venerdì 22 settembre 2017


SOMMO PONTEFICE:
UN EPITETO PAGANO PER IL CAPO
DELLA CHIESA DI ROMA 

Un interessante caso di sincretismo 

Ormai da tempo immemorabile i termini Pontefice, Papa e Vescovo di Roma sono sinonimi. Eppure la loro origine è diversa. La parola Pontefice (in latino Pontifex), alla lettera 'Costruttore di Ponti', ha la sua origine nella religione tradizionale dell'antica Roma, che tanto fu debitrice nelle sue forme e nella ritualità alla cultura degli Etruschi. L'interpretazione è chiara: un Pontifex costruiva idealmente ponti tra l'Umano e il Divino. Il Pontifex Maximus era a capo del Collegio dei Pontefici. Aveva il compito di normare la dimensione del sacro in ogni suo dettaglio, secondo la concezione di un popolo giunto in occidente dal lontano Caucaso. Questo era il nucleo della società dei Rasenna. Infatti le parole di Tarquinio il Superbo esprimono con nitidezza un'analoga concezione applicata all'ambito politico, quando definì la monarchia "straordinario istituto a mezza strada tra il divino e l'umano" (Tito Livio, 2, 9).
Come è stato possibile che questo arcaico epiteto pagano sia passato a designare quello che i cattolici credono il successore di Pietro e il rappresentante di Cristo in terra?

Dopo aver vinto la battaglia di Ponte Milvio contro gli eserciti di Massenzio, Costantino emanò il famoso Editto di Milano (313 d.C.). Questo editto assicurava piena libertà religiosa ai Cristiani. Costantino però non fece richiesta di essere battezzato. Visse al di fuori dalla Chiesa di Roma continuando a commettere crimini inauditi. Si suppone infatti che agli occhi di chiunque siano crimini inauditi azioni come costringere propria la moglie a entrare in un bagno di acqua bollente, ordinare l'esecuzione del proprio figlio primogenito o obbligare un proprio zio a strangolarsi con le proprie mani. Pur proclamandosi protettore della Cristianità, Costantino mantenne il titolo di Pontifex Maximus, che veniva automaticamente conferito ad ogni imperatore romano.

Dieci anni dopo l'Editto di Milano, Costantino pubblicò un documento in cui esprimeva il suo desiderio che tutti i suoi sudditi seguissero la sua stessa religione, pur garantendo libertà ai seguaci del politeismo tradizionale. Eppure l'Imperatore addusse sempre capziose argomentazioni per posticipare il battesimo. Il sacramento gli fu somministrato solo quando era in agonia, e per giunta da un vescovo che professava l'Arianesimo. La sua ammirazione per gli Aruspici era stata resa manifesta quando aveva fondato Costantinopoli sul luogo della più antica Bisanzio, seguendo tutte le prescrizioni rituali dettate dai libri sacri degli Etruschi.

Se Costantino non aveva cercato in alcun modo di imporre con la forza le sue dubbie convinzioni, i suoi figli Costante e Costanzo II furono più fanatici e determinati. Diedero inizio a una tradizione che avrebbe conosciuto grande fortuna nei secoli. Anche se ci è noto un editto di Costanzo II che dichiara illegali i sacrifici agli Dei, abbiamo motivo di sospettare che non fu applicato. Nonostante il suo zelo, neppure lui ebbe qualcosa a che ridire nel ricevere il titolo di Pontifex Maximus. Le cose cambiarono soltanto con l'Imperatore Graziano, che fece una scelta radicale: rinunciò a quell'onorificienza antica e la attribuì al Vescovo di Roma, che fu ben lieto di accettare quel residuo del vecchio mondo, incorporandone la forma esteriore nella tradizione cattolica. Facendo questo, la Chiesa di Roma operò un astuto sincretismo che contribuì ad attrarre nell'orbita del suo potere molti incerti pagani della decadenza.

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