giovedì 10 novembre 2016


CANDIDO, O L'OTTIMISMO 

AKA: Candido, ovvero l'ottimismo; Candido
Titolo originale: Candide, ou l'Optimisme
Autore: François-Marie Arouet, detto Voltaire
Lingua originale: Francese
Anno: 1759
Genere: Racconto filosofico, satira

Trama: 

In Vestfalia vive Candido, un giovane orfano dall'animo puro, ospite nel castello del Barone Thunder-den-Tronckh (si noti il nome pseudotedesco) e secondo alcune voci suo figlio illegittimo. Candido conduce un'esistenza spensierata e segue le lezioni del precettore Pangloss, filosofo iperottimista secondo cui ogni cosa ha la sua ragione d'esistere. Se ai nostri tempi i filosofi sono detestati vivamente dal gentil sesso, tanto che spesso sono segregati e impossibilitati ad accoppiarsi, Pangloss era invece un incorreggibile donnaiolo che approfittava volentieri delle contadinotte, esplorandone il corpo e stantuffandole. Candido ama la bella Cunegonda e passa gran parte del suo tempo ad osservarla. Lei spia le gesta di Pangloss e ispirata da ciò che ha visto bacia Candido dietro un paravento. Le effusioni vengono però scoperte, così il Barone furibondo bandisce Candido dal castello. Poco dopo la partenza dell'orfano, accade che i Bulgari calano sul castello espugnandolo. Il Barone viene trucidato con la sua famiglia: l'unica superstite è Cunegonda, di cui però si perdono le tracce. Ha inizio una serie vorticosa di peripezie. Candido viene arruolato a forza dai Bulgari e quando cerca di fuggire viene bastonato da duemila soldati. Condannato a morte e graziato, riesce infine a fuggire, ritrovando Pangloss consunto dalla lue. 

Un mercante anabattista di nome Jacques (Giacomo) dà a Candido e a Pangloss un passaggio sulla sua nave, che giunge a Lisbona, devastata dallo spaventoso terremoto del 1755. Jacques muore in una tempesta, Pangloss viene condannato a morte dall'Inquisizione e impiccato, Candido è fustigato a sangue. Una vecchia, che lo raccoglie e lo cura, si rivela una conoscente della bella Cunegonda, oltre che la figlia illegittima di un papa. Finita a Lisbona, la figlia del Barone di Vestfalia è diventata l'amante di due uomini: il Grande Inquisitore e il giudeo Don Issacar. Candido li uccide entrambi. Non gli resta che fuggire su una nave assieme a Cunegonda, alla vecchia e al servitore Cacambo, arrivando in Argentina, nel porto di Buenos Aires. Mentre la vecchia e la nobildonna di Vestfalia sono ospitate nel palazzo del Governatore, Candido e Cacambo vanno a nord, trovando rifugio tra i Gesuiti. Senonché si viene a scoprire che il Generale dell'Ordine è proprio il fratello di Cunegonda, che si oppone alle nozze di Candido con la sua amata. Nella lite che ne segue, Candido uccide il gesuita. Assieme a Cacambo fugge attraverso la foresta, inoltrandosi nelle terre dei cannibali Orecchioni. Avuta salva la vita per il rotto della cuffia, i due risalgono il fiume finendo nel mitico paese di El Dorado. Si tratta di una valle impervia tra montagne altissime, in cui abita un popolo di un'incredibile ricchezza, che considera l'oro e le pietre preziose dello stesso valore del fango. Siccome le genti di questo regno incantato hanno come lingua il Quechua, Cacambo li intende alla perfezione ed è in grado di fungere da traduttore. El Dorado è un paese utopico abitato da consanguinei degli Incas, in cui non divampa mai un litigio, in cui è sconosciuta la guerra (nonostante in Quechua esistano parole ben adatte a descrivere questi concetti). Candido e Cacambo si allontanano dalla felice terra andina carichi di oro e di preziosi.

Ritornati a Buenos Aires con il progetto di riscattare Cunegonda, i due vengono ad apprendere la notizia delle sue nozze forzate col Governatore. In preda alla disperazione, Candido decide di fare ritorno in Europa. Incontra un manicheo di nome Martino, la cui Dottrina contrasta in ogni dettaglio con le mortifere bugie di Pangloss, affermando la Verità sulla natura maligna dell'Esistanza. Eventi funesti portano Candido a dividersi da Cacambo e a iniziare una serie di peregrinazioni per la Francia e per l'Inghilterra, incontrando sul suo cammino numerosi personaggi grotteschi, come Girofléé, un fratacchione evaso dal suo convento con la precisa intenzione di farsi turco, ossia di convertirsi all'Islam. Gli accadimenti sono convulsi. Alla fine Candido incontra nuovamente Cacambo. Su una galera ottomana giungono a Costantinopoli per scoprire che Cunegonda è finita in stato di schiavitù. Alla fine Candido, Cacambo, Martino il Manicheo, il redivivo Pangloss, la servetta sifilitica e il fratacchione turchizzato finiscono a vivere in una modesta fattoria nei pressi della capitale dell'Impero Ottomano, comprata con i residui delle ricchezze portate da El Dorado e ormai ridotti a ben poca cosa. Qui coltiveranno i pistacchi e altri ortaggi, costretti ad abbandonare discussioni e filosofemi per prestare le loro cure alla terra.  

Recensione: 

Splendido racconto filosofico, il cui principale intento è la confutazione delle aberrazioni diffuse dalla teodicea di Gottfried Wilhelm von Leibniz, un malfattore che sosteneva a spada tratta la natura buona dell'Universo. Proprio Leibniz è ritratto da Voltaire nelle sembianze dell'insopportabile Pangloss. A quanto consta, l'ispirazione è giunta al filosofo francese dal terremoti inaudito che ha raso al suolo Lisbona, facendo un gran numero di morti, incredibile per l'epoca. Questa catastrofe ha dato origine ad accanite discussioni sulla teodicea, mettendo in profondissima crisi il mondo cattolico. I fedeli del Papa credevano infatti che mai e poi mai Dio avrebbe potuto colpire una città cattolica, capitale di un regno che tanto si era dato da fare per evangelizzare le genti. Secondo i loro schemi, Dio avrebbe dovuto devastare un paese protestante. L'accaduto era del tutto inesplicabile e segnò l'inizio di mutamenti irreversibili nella Storia d'Europa. Se siamo arrivati al pontificato di Jorge Pompeo Bergoglio, dallo spessore teologico nullo, in cui sfrenati appetiti feticisti sono etichettati come "umiltà evangelica" - mentre sono in realtà libidine bella e bona - è per via di una catena di eventi iniziata proprio col Grande Terremoto che sconvolse Lisbona e che tanto colpì l'immaginazione di Voltaire. 

Etimologia di Pangloss
e genealogia della sifilide

Il nome Pangloss, di per sé assai bizzarro, è senza dubbio satirico. Voltaire lo derivò infatti dal greco πᾶν "tutto" e γλῶσσα "lingua". Ne conseque che Pangloss significa "Tutto lingua", con riferimento alla sua retorica ottimista di chiara origine leibniziana. "Viviamo nel migliore dei mondi possibili", ripete a pappagallo l'istitutore, a ogni piè sospinto, anche di fronte alle evidenze più avverse. Nella Natura maligna nulla lo piega: se la sifilide lo deturpa e gli divora il naso, egli baldanzoso sostiene che senza quell'atroce morbo giunto dalle Americhe non conosceremmo la cioccolata. Il brano in cui il sostenitore della teodicea fa l'apologia del Treponema pallidum è stato addirittura soggetto a censura e omesso dall'edizione ottocentesca del racconto. Lo riporto in questa sede (traduzione di Paola Angioletti): 

Ella ne era infetta, forse ne è morta. Paquette aveva avuto questo regalo da un frate francescano molto colto, il quale era risalito all’origine: infatti egli l’aveva preso da un capitano di cavalleria, che lo doveva a un paggio, che l’aveva preso da un gesuita il quale, da novizio, l’aveva ereditato in linea diretta da un compagno di Cristoforo Colombo. Quanto a me, non lo darò a nessuno, perché sto morendo.
- O Pangloss! gridò Candido, che strana genealogia! Certamente il diavolo ne è il capostipite! - Niente affatto, replicò quel grand’uomo: era una cosa indispensabile nel migliore dei mondi, un ingrediente necessario: poiché, se Colombo non avesse preso in un’isola dell’America questa malattia che avvelena la sorgente della generazione, che spesso anzi impedisce la generazione e che evidentemente è l’opposto del gran fine della natura, noi non avremmo né cioccolata né cocciniglia; bisogna ancora osservare che fino ad oggi questa malattia esiste solo nel nostro continente, come le dispute. I Turchi, gli Indiani, i Persiani, i Cinesi, i Siamesi, i Giapponesi, non la conoscono ancora; ma c’è una ragione sufficiente perché la conoscano a loro volta fra qualche secolo. In quest’attesa, essa ha fatto progressi meravigliosi fra noi, e soprattutto fra quei grandi eserciti composti di onesti stipendiati così cortesi, i quali decidono il destino degli Stati; si può ben affermare che, quando trentamila uomini combattono schierati in battaglia contro truppe di numero uguale, ci sono circa ventimila sifilitici da ogni parte. 

Il mistero di Cacambo

Voltaire ci descrive Cacambo come un meticcio di Tucumán, per tre quanti indio e per un quarto spagnolo, che parlava la lingua del Perù, ossia il Quechua. Così ci dice l'Illuminista, che nella provincia di Tucumán non si sente parlare altro idioma. Cacambo tuttavia porta un nome non Quechua che ha la sua radice nella lingua dei Diaghiti, il Kakán: è formato tramite un suffisso -bo a partire dal nome stesso della lingua, una radice che compare anche nel nome del Dio delle Tempeste, Kakanchig e in alcuni cognomi come Cacana e Cacanay.
L'etimologia di Kakán è stata a lungo fraintesa. Tradizionalmente è ricondotto al Quechua qaqa "roccia, pietra", e Kakanchig è interpretato come "Nostra Pietra". Tuttavia noi vediamo che queste parole non sono Quechua e che l'idioma Kakán, pur avendo molti prestiti dalla lingua di Cuzco, non è con essa imparantato. Nel Quechua di Santiago del Estero, che tuttora mostra numerosi vocaboli di sostrato riconducibili al Kakán, il teonimo è pronunciato Kakanchik, con /k/ e non con /q/: non risale assolutamente al Quechua qaqa. La terminazione -chik in questa parola non corrisponde affatto alla desinenza Quechua per "nostro". Tutto il contrario. Il nome della lingua, Kakán, significa "Nostro", proprio come Kunza, il nome della lingua degli Atacameños. Così la radice chic, chig, chiz significa "Dio, Sommo", proprio come nella lingua degli Huarpe Chis Tactao è il cielo. Kakanchig significa "Nostro Dio". L'antroponimo Cacana significa "Nostra (Terra)", e da esse deriva Cacanay col tipico suffisso di derivazione Kak
án -ay. Tutto chiarissimo. Il Kakán, estinto da tempo, era un lontano parente del Kunza e della lingua degli Huarpe. Quest'ultima aveva in aggiunta numerosi prestiti dal Kakán (tra questi proprio tactao "villaggio"). Pubblicherò la mia opera di ricostruzione di quell'idioma perduto in un'altra occasione.
Il punto è questo: come faceva Voltaire ad essere a conoscenza di un antroponimo Kak
án correttamente formato? Forse ha conosciuto lui stesso un indio di nome Cacambo, oppure ha avuto occasione di leggere la grammatica e il vocabolario del Kakán composti da Padre Bárcena (Barzana), opera di capitale importanza e oggi malauguratamente perduta per colpa delle velenose congiure della stramaledetta Setta Massonica.


Donne che si accoppiano con le scimmie!

Nel corso delle avventure di Candido e dei suoi compagni compaiono due misteriose creature, scimmie gigantesche che godono dei favori sessuali delle donne della tribù nativa degli Orecchioni. Nulla a che vedere con i famigerati ricchioni o busoni di Sodoma! Si tratta di genti indiane famose per i loro ornamenti auricolari, che deformavano i lobi e i padiglioni allungandoli in modo grottesco, donde il nome spagnolo di Orejones. La narrazione che fa Voltaire è tanto spassosa quanto tragica: 

Il sole tramontava, quando i due smarriti sentirono alcune piccole strida, che parean di femmine; essi non sapevano se quelle strida eran di dolore, o di gioja; si alzaron precipitosamente con quella inquietudine, e con quello spavento che tutto inspira in un paese incognito. Quei clamori si partivano da due giovani, che leggermente correvano lungo la sponda della prateria, mentre due scimmie le mordevano alle spalle. Candido ne fu mosso a pietà; aveva egli imparato a tirare da' Bulgari, ed avrebbe colpito una nocciuola in mezzo a un cespuglio, senza toccar le foglie; prende egli il suo fucile spagnuolo a due canne, tira e ammazza le due scimmie. - Dio sia lodato, mio caro Cacambo, io ho liberato da un gran periglio quelle due povere creature; se ho commesso un peccato ammazzando un inquisitore e un gesuita, io vi ho ben rimediato, salvando la vita a due giovani, saran forse due damigelle di condizione, e questa avventura ci può procurare gran vantaggi nel paese.
Volea più dire, ma restò colla parola in bocca quando vide quelle due giovani abbracciare teneramente le due scimmie, cadere piangendo su’ loro corpi ed empir l’aria di dolorose grida. - Io non mi aspettava un cuor tanto buono, disse finalmente a Cacambo, il qual gli replicò: - Voi avete fatto un bel servizio padron mio: avete ammazzato i due amanti di quelle damigelle. - I loro amanti! è possibile? Tu mi burli, Cacambo, come posso crederlo? - Mio caro padrone, interrompe Cacambo, voi vi fate sempre maraviglia di tutto; perchè ha egli a parervi strano che in qualche paese vi sieno delle scimmie che ottengano simpatie dalle dame? esse son un quarto d’uomo com’io sono un quarto di spagnuolo. - Ah, ripiglia Candido, mi sovviene d'aver inteso dire dal mio maestro Pangloss, che altre volte sono accaduti simili accidenti, e che avean prodotto degli Egipani, de' Fauni, dei Satiri, stati veduti dai più gran personaggi dell'antichità; ma io la credeva un favola. - Ora dovete esserne convinto, disse Cacambo. Quel che io temo per altro, è che quelle dame non ci pongano in qualche imbroglio.

Ebbene, i paesi in cui le scimmie sono protagoniste dei sogni erotici delle donne sono numerosissimi, tanto da potersi dire più la norma che eccezioni! Tra questi - e lo dico con amarezza estrema - si può senza dubbio annoverare l'Italia, terra in cui Leopardi è schernito da un gran numero di donne che sognano poi di masturbare i peggiori malfattori e di farsi da loro montare. Questo perché vedono nel malfattore un pallido riflesso della scimmia che così intensamente concupiscono! 

Un racconto ucronico oppure onirostorico?

Alcuni elementi non combaciano con il nostro corso storico. La vecchia incontrata a Lisbona da Candido dice di essere figlia di Papa Urbano X, che è un pontefice immaginario. Questo potrebbe essere un elemento ucronico. Tuttavia se alcuni eventi sono reali, come il terremoto del 1755, numerosi altri sono immaginari e improbabili, in ogni caso non riconducibili a un Punto di Divergenza. El Dorado non appartiene di certo al mondo reale e difficilmente una simile utopia potrebbe esistere. I Prussiani sono chiamati Bulgari e i Francesi sono chiamati Abari, con un nome con ogni probabilità ispirato da quello degli Àvari, parenti degli Unni. Queste considerazioni potrebbero far propendere per l'attribuzione del racconto al reame dell'onirostoria.

lunedì 7 novembre 2016

LA CARTA DEI CAPELLI BIONDI


Così è presentata questa preziosa mappa sul forum Termometro Politico: 


"Questa mappa dei capelli biondi che hai postato è la mappa fatta da Biasutti attraverso i dati raccolti da Livi. E' stata fatta analizzando le foto di 300.000 italiani dagli schedari militari. E' a dir poco antiquata ed è solo indicativa per mostrare quello che già tutti sappiamo, ovvero che il biondismo è giustamente più diffuso nell'estremo Nord piuttosto che nell'estremo Sud. La situazione varia poi da regione a regione, la Campania non è certamente la Calabria ad esempio. I più scuri al Nord sono gli emiliani mentre al Sud sono i calabresi."   

E ancora:  

"Di biondo poi esistono diversi gradi, un biondo del genere ad esempio non è diffusissimo generalmente in Italia se non in percentuali piuttosto basse."   

Le distribuzioni dei capelli biondi mostrate dalla mappa di Biasutti non sono ovviamente aggiornate, risalendo a un'epoca anteriore alle grandi migrazioni. È interessante confrontare la diffusione del biondismo con quella del rutilismo mostrati dalla Carta dei capelli rossi, già pubblicata su questo stesso blog. 


Vediamo che in Sicilia Occidentale, specialmente nell'area di Palermo, si trova una notevole diffusione del biondismo (5,0 - 7,4%), associata a una diffusione ancor più grande del rutilismo (4,8 - 6,8%). Questi caratteri sono da ascriversi alla discendenza dai Normanni. Si trovano individui con fisionomia scandinava, occhi azzurri o grigi e capelli biondi o rossicci, caratteri associati ad alta statura e a fisionomie di un tipo che non è usuale in Lombardia.  

Al giorno d'oggi esiste un negazionismo pernicioso che mira a minimizzare il ruolo dei Normanni nel popolamento della Sicilia, insistendo sul fatto che ne giunsero ben pochi nell'isola. Anche se questo fosse provato, dirò che non è necessaria una popolazione esogena massiccia per produrre un cambiamento notevole nella genetica dei nativi: i Normanni diedero origine alla nobiltà siciliana, e i nobiluomini hanno sempre avuto l'usanza di accoppiarsi con le donne della popolazione sottomessa, dando origine a una discendenza anche molto numerosa. Così accadde che un Altavilla poté avere moltissime donne e moltissimi figli illegittimi, il che spiega la diffusione di aplogruppi normanni nella parte occidentale della Sicilia. 

Si noti un'importante isola di biondismo in Campania, che corrisponde ai Longobardi di Benevento. Tale popolamento si deve a una fara giunta direttamente dal Friuli. 

In Brianza, nella zona in cui abito, la percentuale di biondismo dovrebbe essere cospicua, ma se devo essere sincero di autentici biondi ne vedo in giro molto pochi. Tanto poco frequente è il biondismo a Seregno, che è uso comune usare l'aggettivo "biondo" anche per le chiome di persone dai capelli castani. Quando ero al liceo, in classe si definivano biondi coloro che non fossero corvini o rossi, anche se la tonalità di castano era davvero scura. Ricordo però una famiglia i cui componenti erano tutti biondissimi, senza eccezioni, sia da parte di madre che di padre. Così a naso, la mappa conserva ancora una certa validità per altre zone dell'Italia. Il carattere è molto più diffuso in Toscana, ad esempio a Firenze e ad Arezzo, di quanto non lo sia in Lombardia. Un amico fiorentino ha i capelli chiari come quelli di Farinata degli Uberti, un'amica di Arezzo sembra giunta dalla Norvegia. Anche nel Canavese, a Torino e in altre parti del Piemonte a nord del Po ho visto molte persone native con i capelli di un color biondo chiaro: in particolare ricordo un amico di Pinerolo, un paio di neonazisti di Torino e alcuni hooligan di Gattinara. Questi ultimi si erano riempiti di idromele fino all'impossibile, mettendosi poi alla guida e sgommando via tra mille bestemmie nel cuore della notte. 

Tra i meno biondi ci sono i Sardi, la cui popolazione è rimasta sotto una campana di vetro, una sorta di macchina del tempo che ne ha isolato i caratteri genetici, risalenti in gran parte al Neolitico. I pochi biondi presenti potrebbero essere dovuti a migrazioni antiche di elementi liguri e celtici.

giovedì 3 novembre 2016

LA SALUTATIO ANGELICA IN LINGUA GOTICA (MATTHEW CARVER)

Matthew Carver è l'autore di un'ottima traduzione gotica della Salutatio Angelica, più nota come Ave Maria. Direi che il lavoro è di una qualità eccellente, tanto che potrebbe essere stato scritto dallo stesso Wulfila - anche se l'uso di tale preghera nella forma moderna ai tempi dell'insigne vescovo sarebbe stato anacronistico. Non so se sia davvero il caso di ritenere la lingua in cui è stata composta gotico rivitalizzato o conlang neogotica: potrebbe ben essere il gotico del IV secolo d.C. Questo è il testo:


Fagino Maria,
anstai audahafta,
Frauja miþ þus;
þiuþido þu in qinom,
jah þiuþido akran qiþaus þeinis, Iesus. 

Weiha Maria, aiþei Gudis,
bidei faur unsis frawaurhta,
nu jah in ƕeilai dauþaus unsaris.
Amen 
 

COMMENTI:

Sussiste un unico dubbio, tuttavia di scarso rilievo ai fini pratici dell'uso della lingua. Di certo Gudis come genitivo di Guþ "Dio" sarà stato perfettamente accettabile; tuttavia è possibile che la forma migliore fosse Guþis, visto che si abbrevia sempre in Gþs. Allo stesso modo il dativo si abbrevia sempre in Gþa, che a rivor di logica dovrebbe stare per Guþa. Le forme abbreviate si trovano regolarmente nei manoscritti, ma nelle pubblicazioni sono state per lo più risolte in Gudis e Guda

Questi Gudis e Guda sono forme ricostruite sul plurale guda "dèi pagani" (cfr. galiugaguda "falsi dèi") e su corrispondenti derivati in gud(a)-, con ottime basi (es. gudja "prete", con suffisso *-jan-, cfr. norreno goði "sacerdote pagano", con suffisso *-an-). Tuttavia potrebbe anche darsi che le forme del plurale e dei derivati abbiano -d- per un riflesso di una diversa accentazione della forma protogermanica. Del resto giova ricordare il caso di bloþ "sangue", gen. bloþis, che si oppone a quanto avviene ad esempio in antico inglese (> ingl. blood) e in antico alto tedesco (> ted. Blut), che riflettono chiaramente una sonora -ð- nella protoforma. A parer mio, se le forme flesse singolari fossero state soltanto Gudis e Guda, sarebbero state abbreviate in *Gds e *Gda rispettivamente, quindi proporrei l'esistenza di un genitivo sing. Guþis e di un dativo sing. Guþa. Ho tuttavia ancora dubbi a includere tali forme includo nella conlang neogotica. Il paradigma dovrebbe essere il seguente:  

nom./acc. sing. Guþ  gen. sing. Guþis, Gudis
gen. sing. Guþa, Guda
nom./acc. pl guda
gen. pl. gude
dat. pl. gudam  

La cosa non deve stupire: il nome divino in gotico presenta anche altre anomalie. In origine doveva essere un neutro sia al singolare che al plurale. Poi mantenne forma di neutro al singolare ma divenne di genere maschile indicando il Dio Cristiano: Guþ mikils "Dio Grande". Simile uso si ha anche in norreno (Guð, di forma neutra ma di genere maschile, rispetto al plurale neutro goð "dèi pagani"). Questo uso del maschile potrebbe essere stato già in uso nei tempi pagani, ad esempio riferito a Odino (gotico ricostruito Wodans) e ad altre divinità del politeismo tradizionale. È possibile che Wulfila, considerando il Nome di Dio qualcosa di immutabile, abbia ritenuto di dover formare per l'uso cristiano delle forme come genitivo Guþis e dativo Guþa per conservare la radice senza mutamenti. In questo caso sarebbero forme artificiali la cui anomali sarebbe dovuta a ragioni teologiche. Tuttavia abbiamo attestato gudhus "tempio", con -d-, il che porta a credere che le due forme convivessero. Potrebbe però anche darsi che l'uso delle forme con þ non fosse una creazione di Wulfila, ma avesse le sue radici in qualcosa di antico che ora ci sfugge. Non ho mezzi sufficienti per risolvere il problema. 

L'etimologia della parola non ci aiuta: questo vocabolo è in realtà di natura e di origine profondamente incerte. Tradizionalmente il proto-germanico *guðan è fatto risalire alla radice indoeuropea *g'hew- / *g'hu- "celebrare, libare" (cfr. sanscrito juhoti "egli sacrifica" < *g'hu-g'hew-ti). Se le forme gotiche con -þ- fossero confermate come antiche, ciò metterebbe in crisi l'etimologia indoeuropea: si dovrebbe ricostruire una forma protogermanica *guθan a fianco di *guðan, e questa risalirebbe a un precedente *g'hútom, con un accento inadatto a un termine col significato di "libato; invocato": questa etimologia si basava per l'appunto su una forma ricostruita *g'hutóm (cfr. greco χυτός "libato"). Sono incline a ritenere la radice un relitto preindoeuropeo o comunque un prestito di adstrato da una lingua sconosciuta e da lungo tempo estinta.

martedì 1 novembre 2016

PRESTITI DAL GOTICO NELLE LINGUE SLAVE

Numerose parole sono passate dalla lingua dei Goti al proto-slavo all'epoca del grande Re Ermanarico, l'Alessandro Magno del Nord (morto ultracentenario nel 376 d.C.), delle cui epiche gesta ha scritto diffusamente Iordanes. Ecco un elenco di lemmi: 

1) Gotico akeit "aceto" (< Lat. ace:tum)
Proto-slavo: *akitu
Slavo ecclesiastico osĭtŭ "aceto" 

2) Gotico asilus "asino" (< Lat. asellus, da asinus
Proto-slavo: *asilu
Slavo ecclesiastico os
ĭlŭ "asino"
Ha dato russo
осел (osjel) "asino"

3) Gotico ricostruito AUSIHRIGGS "orecchino"
Proto-slavo: *o:seringu

Slavo ecclesiastico
userjazŭ "orecchino"
La forma gotica presupposta dal proto-slavo è una variante dell'atteso AUSAHRIGGS.

4) Gotico ricostruito BAIRGS /bɛrgs/ "altura"
Proto-slavo:
*bergu
Slavo ecclesiastico
bregŭ "collina" 
A giudicare da altre lingue germaniche, si può ricostruire anche la variante di genere neutro
bairg, che non spiega però la forma proto-slava. 

5) Gotico biuda "tazza" 
Proto-slavo: *bjo:da
Slavo ecclesiastico
bljudo "tazza" 

6) Gotico boka "lettera" (pl. bokos "libro")
Proto-slavo: *bo:ku:

Slavo ecclesiastico buky "lettera" 

7) Gotico flokan "gemere, lamentarsi" 
Proto-slavo: *pla:ka:tej
Slavo ecclesiastico plakati "piangere"

8) Gotico ricostruito FULK "schiera"
Proto-slavo: *pulku
Slavo ecclesiastico pl
ŭkŭ "popolo"

9) Gotico ganisan "essere salvo, guarire"
Proto-slavo: *ganezantej
Slavo ecclesiastico
goneznǫti "crescere sano"
Si noti la vocale
-e-, oltre alla consonante sonora.

10) Gotico ricostruito GANSUS "oca"
Proto-slavo: *gansi

Slavo ecclesiastico gǫs
ĭ "oca"
Ha dato russo гусь (gus') "oca" 

11) Gotico gards "corte; casa" > "città" 
Proto-slavo: *gardu
Slavo ecclesiastico
gradŭ "città" 
Ha dato russo город (gorod, grad) "città" 

12) Gotico ricostruito GILDAN "ripagare"
Proto-slavo: 
*želda:n- 
Slavo ecclesiastico ž
lesti "compensare un danno"
Il nesso -st- nasce nello slavo ecclesiastico dallo scontro della -d- della radice con -t- del suffisso dell'infinito
. Per la vocale -e- si confronti il gotico di Crimea con le sue forme anomale e talvolta più affini al germanico occidentale.

13) Gotico hilms "elmo" 
Proto-slavo: *šelmu
Slavo ecclesiastico šl
ěmŭ "elmo" 
Per la vocale -e- si confronti il gotico di Crimea con le sue forme anomale e talvolta più affini al germanico occidentale.

14) Gotico hlaifs (gen. hlaibis) "pane"
Proto-slavo: *xlajbu

Slavo ecclesiastico xl
ěbŭ "pane"
Ha dato russo хлеб (khljep) "pane" 

15) Gotico hlaiw "tomba"
Proto-slavo: *xlajwu
Slavo ecclesiastico xl
ěvŭ "stalla; porcile"
Lo slittamento semantico è dovuto alla forma della costruzione, realizzata con pietre ammucchiate.


16) Gotico ricostruito HULMS "isolotto"  
Proto-slavo: *xulmu
Slavo ecclesiastico x
ŭlmŭ "poggio" 
 Documentato nel nome degli Ulmerugi, citati da Iordanes. Confronta norreno holmr, holmi "isolotto": il termine si riferiva a piccole isole fluviali pianeggianti.

17) Gotico hus /hu:s/ "casa"
Proto-slavo: *xu:su, *xu:zu
Slavo ecclesiastico xyz
ŭ "casa" 

18) Gotico kaisar "imperatore"
Proto-slavo: *kajsa:riju

Slavo ecclesiastico cěsarĭ "imperatore"
Ha dato russo царь (tsar') "imperatore"
La forma proto-slava è un derivato che presuppone un gotico *kaisareis, che potrebbe ben essere esistito, per quanto la sua morfologia mi appaia strana (forse è dall'aggettivo latino Caesareus).

19) Gotico ricostruito KIND "infante" 
Proto-slavo: *
činda
Slavo ecclesiastico čędo "infante"  

20) Gotico kaupjan "comprare"
Proto-slavo *ko:pi:tej
Slavo ecclesiastico kupiti "comprare"

21) Gotico kausjan "provare, gustare"  
Proto-slavo *ko:si:tej
Slavo ecclesiastico kusiti "provare, gustare"
 

22) Gotico ricostruito KUNIGGS /'kuniŋgs/ "nobile, re"
Proto-slavo: *kuningu

Slavo ecclesiastico
kŭnedzŭ "duca"
Ha dato russo
княз (knjaz) "principe"

23) Gotico ricostruito LEKA "cura medica"  
Proto-slavo: *le:ku
Slavo ecclesiastico lěk
ŭ "cura" 
Nel gotico di Wulfila è attestata la forma lekareis "medico".

24) Gotico ricostruito LAUKS "porro"  
Proto-slavo: *lo:ku
Slavo ecclesiastico luk
ŭ "cipolla" 

25) Gotico ricostruito MASTS "palo di supporto"
Proto-slavo: *mastu
Slavo ecclesiastico: most
ŭ "ponte" 

26) Gotico mekeis /'me:ki:s/, meki /'me:ki/ "spada"
Proto-slavo: *me:či 
Slavo ecclesiastico: m
ečĭ, mĭčĭ "spada"
Ha dato russo меч (mjech) "spada" 
Confronta norreno mǽkir "spada", anglosassone mēċe.

27) Gotico ricostruito NAUTA "capi di bestiame"
   (n. pl.)

Proto-slavo: *no:ta
Slavo ecclesiastico nuta "bestiame"
Si confronti norreno naut "manzo" (n.), anglosassone nēat "manzo" (n.). La forma gotica d'origine era evidentemente un plurale neutro, poi interpretato come un femminile dagli Slavi.

28) Gotico skatts "ricchezza, denaro" 
    (in Wulfila vale "moneta, denaro")

Proto-slavo: *skatu

Slavo ecclesiastico skot
ŭ "bestiame"

29) Gotico skilliggs /'skilliŋgs/ "scellino"  
Proto-slavo: *skulingu
Slavo ecclesiastico
skŭlędzŭ "monetina"

30) Gotico smakka "fico"
Proto-slavo: *smaku:
Slavo ecclesiastico smoky "fico" 

31) Gotico ricostruito TUN /tu:n/ "recinto"
Proto-slavo: *tu:n

Slavo ecclesiastico tyn
ŭ "recinto"

32) Gotico wein /wi:n/ "vino"
Proto-slavo: *wi:na

Slavo ecclesiastico vino "vino"
Ha dato russo vino "vino"

33) Gotico weinagards /'wi:nagards/ "vigna" 
Proto-slavo: *wi:nagardu
Slavo ecclesiastico vinograd
ŭ "uva; vite"
Ha dato russo виноград (vinograd) "uva; vite", 
    виноградник (vinogradnik) "vigna" 

Commenti: 

Si notano imponenti fenomeni di palatalizzazione. Con buona pace di chi ritiene le lingue immutabili, numerose consonanti velari della lingua di Wulfila hanno subìto una trasformazione una volta adottate dagli Slavi, fino a diventare nel giro di pochi secoli palatali e addirittura sibilanti.

PRESTITI DAL GOTICO NELLE LINGUE BALTICHE

Una lingua scomparsa non è da considerarsi dissolta nel Nulla, pur essendosi estinta da lungo tempo. Spesso e volentieri lascia tracce ben riconoscibili che perdurano nei secoli e che può essere molto interessante studiare. È il caso della lingua dei Goti, che nei primi secoli di Cristo lasciò alcuni importanti lessemi nelle lingue indoeuropee del Baltico. Quando i Goti abbandonarono le loro sedi d'origine nella Svezia meridionale, all'incirca quando sulle Terre del Nord regnava il Re Frotho, la loro lingua doveva essere molto affine al germanico comune, così chiameremo pre-gotico la sorgente ricostruita dei prestiti in questione. Nelle lingue baltiche documentate si trovano sia forme molto vicine all'originale che forme con evoluzioni fonetiche singolari, prese a prestito in un'epoca più tarda. Ecco un elenco di lemmi significativi:

1) Pre-gotico *alχiz "idolo; tempio" (gotico alhs "tempio"): Ha dato, con diversa declinazione, lituano alka, alkas "idolo". Esiste anche lettone elks "idolo", che mostra un Umlaut in -i- o un'oscura variazione apofonica: in ogni caso non può provenire dalla lingua dei Goti. L'origine ultima della parola è preindoeuropea. Si ricordi che Tacito attestò il nome Alcis dato dai Nahanarvali a una coppia di gemelli divini identificati con Castore e Polluce (tradizionalmente interpretato come dativo plurale, potrebbe essere stato considerato indeclinabile). 

2) Pre-gotico *aluθ "birra" (gotico ricostruito ALUÞ): Ha dato lituano alus "birra",  lettone alus "birra" e prussiano alu "idromele". Si noti lo slittamento semantico in prussiano: con ogni probabilità indicava all'inizio un idromele aromatizzato e reso amarognolo con erbe. La pratica di aromatizzare questa bevanda era molto diffusa in epoca antica e nasceva dalla necessità di mascherare i retrogusti dovuti a una fermentazione difettosa.

3) Pre-gotico *asiluz "asino" (gotico asilus, dal latino asellus, diminutivo di asinus): Ha dato prussiano asilis "asino" e lituano "asilas". Si noti il cambio di declinazione. La forma prussiana dimostra l'antichità di questo prestito dal latino al proto-germanico. Il lettone ēzelis è invece dal medio alto tedesco esel (tedesco moderno Esel) : mostra Umlaut in -i-, vocale tonica lunga e consonante sonora -z-.

4) Pre-gotico *brunjo:n "armatura, corazza", pl. *brunjo:nz (gotico brunjo): Ha dato prussiano brunyos "armatura". La forma prussiana deriva chiaramente dal plurale della forma gotica.

5) Pre-gotico *gatwo: "strada" (gotico gatwo): Ha dato lituano gatvė "strada" e lettone (dial.) gatva "strada".

6) Pre-gotico *Guto:z "Goti" (gotico ricostruito GUTANS, con declinazione debole; gen. pl. attestato Gutani): Ha dato lituano Gudai "Bielorussi" (i.e. "Stranieri, Barbari"). Alcuni studiosi hanno pensato che il termine sia stato importato prima dell'azione della Legge di Grimm, ma questo sembra improbabile. Si sarà piuttosto trattato di una lenizione di -t- in -d-.

7) Pre-gotico *katilaz "pentola" (gotico katils "pentola" < lat. catillus, diminutivo di cati:nus): Ha dato prussiano catils "caldaia", lituano katilas "caldaia", lettone katls "caldaia". Un importane termine culturale, presente anche nelle lingue slave.

8) Pre-gotico *kuningaz "nobile; re" (gotico ricostruito KUNIGGS /'kuniŋgs/) : Ha dato lituano kunigas "prete" e lettone kungs "signore". Il prestito esiste anche nelle lingue finniche, es. estone e finnico kuningas "re", giungendo fino ali Urali. Il termine non è attestato nel gotico di Wulfila ma deve essere comunque esistito. Il prussiano konagis "re" sembra essere derivato da una lingua germanica occidentale, come l'antico alto tedesco (tedesco moderno König).

9) Pre-gotico *miðuz "idromele" (gotico ricostruito MIDUS /'miðus/) ha dato lituano midus "idromele". Si può capirlo al di là di ogni ragionevole dubbio, perché il vocabolo lituano midus non è un prodotto regolare dell'indoeuropeo *medhu-, in quanto quella lingua conserva regolarmente IE /e/. Inoltre in lituano esiste anche medus "miele" (non fermentato), che è la forma regolarmente ereditata. La vocale /i/ come prodotto di IE /e/ nella radice *medhu- è invece tipico della lingua gotica, e così l'origine delle parole baltiche per "idromele" è chiaramente dimostrata.
Il lettone medus "idromele, miele" e il prussiano antico meddo "miele" sono output regolari della radice indoeuropea e non necessitano di alcuna mediazione gotica.

10) Pre-gotico *mo:to: "dazio doganale" (gotico mota "dogana"): Ha dato lituano muĩtas "dazio doganale", lettone muita "dogana". Il trattamento della vocale tonica è strano e compatibile con una datazione più tarda del prestito.  

11) Pre-gotico *ri:kiz "re" (gotico reiks "principe, sovrano"): Ha dato prussiano rikis "sovrano" (scritto anche Rickies). In lituano rikis è passato a significare "vescovo". Un importante prestito culturale.  

12) Pre-gotico *sarwiz "armi" (gotico sarwa, n. pl.): Ha dato prussiano sarwis "armi". Nella lingua di Wulfila non si trova attestata la variante col tema in -i- presupposta dal prussiano. Non pare che questo lemma esista in lituano e in lettone. La cosa non deve stupire più di tanto: i Borussi dovettero avere una maggior influenza linguistica da parte dei Goti.

13) Pre-gotico *stiklaz "bicchiere" (gotico stikls): Ha dato lettone stikls "bicchiere" e prussiano stiklo "bicchiere". Lo stesso termine è passato anche nelle lingue slave senza grandi mutamenti.  

14) Pre-gotico *waldawi:χaz (-æ:n) "guerriero potente" (gotico ricostruito WALDWEIHS o WALDWEIHA): Ha dato prussiano waldwiko "cavaliere". Derivato dal verbo waldan "dominare, avere potere su qualcuno" e weihan "combattere" (forma ricostruita; nel gotico di Wulfila esiste anche l'omofono weihs "santo"), sarebbe del tutto inspiegabile se si pretendesse di analizzarlo in termini di lessico baltico nativo.  

15) Pre-gotico *χailaz "sano; salve!" (gotico hails): Ha dato lituano kailas! "salve!" e prussiano kails "sano". Ci è noto un brindisi prussiano: kails poskails ains par antres "sano dopo sano, uno dopo l'altro".  

16) Pre-gotico *χilmaz "elmo" (gotico hilms): Ha dato prussiano ilmis "tipo di tetto di granaio" (detto così per la forma). Per le sue peculiarità fonetiche, questo lemma non può essere giunto per mediazione slava. In prussiano esiste anche la voce kelmte "elmo", che sembra giunto da un'altra fonte germanica, con -e- al posto di -i- e la consonante fricativa iniziale adottata come occlusiva.

17) Pre-gotico *χlaiβaz "pane" (gotico hlaifs, gen. hlaibis): Ha dato lettone klaips "pane". Il prestito è avvenuto in un'epoca anteriore alla monottongazione di /ai/ in /ɛ:/, quindi prima del IV secolo d.C. La forma lituana kliẽpas è invece giunta in tale lingua attraverso la mediazione slava (potrebbe però anche essere un prestito gotico diretto ma seriore). La consonante /p/ non è un problema come taluni credono: nelle lingue baltiche non esiste la fricativa bilabiale /φ/ e neppure la fricativa labiodentale /f/. Allo stesso modo la fricativa uvulare o velare /χ/ viene adottata come occlusiva velare /k/.

18) Pre-gotico *wi:nan "vino" (gotico wein): Ha dato lettone vīns "vino". Il passaggio dal genere neutro al maschile è facilmente spiegabile: il lettone non possiede il neutro. La forma lituana vyno parrebbe invece essere giunta tramite mediazione slava. Si noterà che a differenza dello slavo, il lettone e il lituano non hanno preso a prestito la parola per "vigna", rispondendo al gotico weinagards con formazioni innovative: lettone vīna dārzs e lituano vynuogynas.

giovedì 27 ottobre 2016

LA POESIA DELL'ANELLO IN LINGUA GOTICA (MATTHEW CARVER)

La versione in lingua gotica della Poesia dell'Anello di Tolkien compiuta da David Salo non è l'unica. Ho scoperto che ne esiste un'altra, opera di Matthew Carver, studioso statunitense. Non sono riuscito a reperire il suo curriculum e non va taciuto che esistono diversi suoi omonimi, il che rende la ricerca più difficile: solo per fare un esempio, non so se si tratti dello stesso Matthew Carver traduttore dal tedesco e appassionato di inni protestanti. Questo è il testo:  

Þize Hrigge waurþun, hausida waurda
þreis du haldan Þiudanam Albe

tugglahulidaim triggwaba guldanai.

Sibunuh þaim in saliþwam staine
Fraujam Dwairge frikahwairbam,
waila witum, waurþun gibanai;
Diwa-Mans domidis dauþnan lofans
Niun nausandins afnemun Bauge;
Iþ Ains nauh ist, ainaha
þanei
faha filhiþ Frauja Riqizis
in sitla swartamma sitands þarei
liuhadalausai ligand aufto
skadjus mikilai Maurdaurlandam in.
Ist Ains finþan allans Hrigge
gawandjan, waldan jah gawidan allis
ana rune stadam riqizis
þarei
liuhadalausai ligand aufto
skadjus mikilai Maurdaurlandam in.


Testo in prosa inglese: 

Of the Rings I have heard tell that, Three were yielded to the Kings of the Elves to keep; Seven were rendered, well we know, to the lords of the Dwarves, ruled by their greed, in their Halls of Stone. The open palms of Mortal man, the corpselike ones doomed to die, received Nine of the Rings. There is one alone yet, which the Dark Lord hides in his grasp, sitting on his black throne in the Land of Mordor where indeed great lightless shadows lie. One (Ring) there is to find all of the Rings, to (turn and) bring them and rule them and surely to bind them in secret places of darkness in the land of Mordor where indeed great lightless shadows lie.


COMMENTI: 

Si tratta di una traduzione libera del testo di Tolkien, che viene riformulato ed esteso, pur restando i concetti immutati. Per certi versi mi pare più vicino alla mentalità dei Goti rispetto a quello di Salo. Ad esempio, si trova la costruzione Þiudanam Albe (dat. pl.) rispetto al pesante albiska-þiudanans (acc. pl.): in questo è in completo accordo con il mio pensiero. Si segnala l'uso di hriggs "anello", gen. pl. hrigge, in luogo di figgragulþ "anello" (lett. "oro del dito").

La forma Maurdaurlandam (dat. pl.) ha il pregio di chiarire la natura toponimica di Maurdaur, che magari non sarebbe evidente a chi non ha un'idea del materiale del Signore degli Anelli. Tuttavia non nascondo che la sua sonorità è un po' strana. Suona stravagante la costruzione Maurdaurlandam in con una postposizione, tanto che la emenderei, sostituendola con in Maurdaurlandam.

Pur trattandosi di un ottimo testo, si ha l'impressione di fondo di una certa sovrabbondanza rispetto all'originale. Nel caso Teodorico il Grande avesse qualche perplessità sul testo stringato di Salo, il cantore potrebbe declamare il testo di Carver per chiarirgli le idee, come se fosse una parafrasi.

LA POESIA DELL'ANELLO IN LINGUA GOTICA (DAVID SALO)

Ci è ben nota è una traduzione nella lingua dei Goti della Poesia dell'Anello di J.R.R. Tolkien, componimento che costituisce il cardine dell'immortale libro Il Signore degli Anelli. Non è difficile reperirla nel Web. Quando la vidi per la prima volta, molti anni fa, ero convinto che il suo artefice fosse proprio l'insigne scrittore sudafricano. Non avendo trovato le prove di questa mia supposizione, ho per anni classificato il componimento come di autore sconosciuto. Infine sono riuscito a risalire all'autore, certo David Salo. In realtà non è proprio uno sconosciuto: è un linguista americano dell'Università di Wisconsin-Madison che ha lavorato sulle conlangs create da Tolkien (Quenya, Eldarin, Sindarin e altre), facendo da consulente per la realizzazione dei film della trilogia del Signore degli Anelli. 

Ecco il testo:

Þrija figgragulþa faur þans albiska-þiudanans undar þana himin;
Sibun faur þans dwairga-fraujans in rohsnim seinaim stainahaim;
Niun faur mannans diwanans, domidans diwan;
Ain faur þana fraujan riqizeinan ana stola riqizeinamma seinamma,
In þamma landa Maurdauris þarei þai skadjus ligand.
Ain figgragulþ waldan ija alla, ain figgragulþ finþan ija,
Ain figgragulþ briggan ija alla jah in riqiza bindan ija.
In þamma landa Maurdauris þarei þai skadjus ligand. 

Testo in italiano:

Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende,
Sette ai Principi dei Nani nelle lor rocche di pietra,
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,
Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra,
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende.
Un Anello per domarli, un Anello per trovarli,
Un Anello per ghermirli e nell'oscurità incatenarli.
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende.

COMMENTI:

Le frasi sono perfettamente wulfiliane e la traduzione è molto letterale. Forse Teodorico il Grande avrebbe trovato la poesia un po' inusuale, ma di certo l'avrebbe apprezzata. 

Maurdaur /'mɔrdɔr/:
Semplice trascrizione del lemma tolkieniano con ortografia tipicamente wulfiliana. È adattato naturalmente alla declinazione di nomi forti come dags "giorno" (tema in -a-), così si ha il genitivo Maurdauris /'mɔrdɔris/
 

albiska-þiudanans "Re degli Elfi" (acc. pl.):
È un composto formato da
þiudans "re". L'aggettivo prefisso è un derivato col suffisso produttivo -isk- a partire dalla forma ricostruita albs "elfo" < proto-germ. *alβiz (tema in -i-), vocabolo non attestato nei documenti a noi noti del gotico di Wulfila, che dovette però essere presente come parte della comune eredità germanica. Così avremo il plurale Albeis "elfi", dativo pl. Albim, accusativo pl. Albins. È piuttosto singolare questa forma con aggettivo prefisso. Avrei preferito tradurre con þiudanans Albe, usando un semplice genitivo plurale.  

dwairga-fraujans "Signori dei Nani" (acc. pl.):
È un composto formato da frauja "signore". La forma ricostruita dwairgs "nano" ha il tema in -a- e corrisponde alla perfezione al norreno dvergr "nano". In questo caso il composto ha come primo membro il sostantivo, a differenza del più complesso
albiska-þiudanans.