SULLE MALATTIE DEGLI ISLANDESI
La povertà degli Islandesi e la dispersione della loro piccola comunità su una così vasta estensione del paese, rendono quasi impossibile che i medici praticanti possano ottenere una sussistenza indipendente nell'isola. Per ovviare, per quanto possibile, a questo male, un piccolo stanziamento medico è assicurato con le spese pubbliche, e consiste in un medico sovrintendente, che ha il titolo di Landphysicus, un farmacista e cinque medici subordinati, che risiedono in differenti parti dell'isola. Il medico e il farmacista sono stanziati nelle vicinanze di Reykjavik, dove è loro fornita come residenza una casa che per forma e accomodamento è superiore alle comuni abitazioni islandesi. Indipendentemente da tale provvigione e dall'uso di un po' di terra annessa alla casa, il Landphysicus ha un salario annuo di 600 dollari reali, con la libertà di avvalersi dei profitti di ogni pratica che la sua situazione può offrire.
Il presente possessore dell'ufficio è il Dott. Klog, nato in Islanda ma educato a Copenhagen. Dei praticanti del paese, uno è stanziato sulla costa meridionale dell'isola, un altro sulla costa orientale, un terzo su quella settentrionale e due nella provincia occidentale. Il lettore comprenderà facilmente quale sia la carenza di assistenza medica del paese, tanto che si menziona che alcuni distretti, sottoposti alle cure di un singolo individuo, si estendono per circa 200 miglia lungo la costa, con una larghezza variabile da dieci a trenta miglia. Abbiamo avuto l'opportunità, mentre eravamo in Islanda, di vedere due dei praticanti del paese, entrambi uomini molto rispettabili e ben informati sulla loro professione. Uno di loro, il Sig. Paulson, era già stato notato, possedendo egli una più vasta conoscenza della storia naturale dei suoi paesani.
Con l'eccezione di tre ospedali, in cui pochi lebbrosi incurabili ricevevano assistenza gratuita, non esisteva alcuna istituzione medica sull'isola. Questi ospedali sono mantenuti a spese pubbliche e con un metodo degno di essere notato per la sua singolarità. In un certo giorno specifico, nel periodo dell'anno in cui la pesca sulle coste è più abbondante e fortunata, ad ogni barca da pesa nell'isola è richiesto di contribuire alla parte di un uomo sulla cattura che ha fatto; una provvigione è aggiunta per legge, in modo che, se il numero di pesci catturati da ogni barca quel giorno non raggiunge una quota di cinque per ogni pescatore, il contributo agli ospedali dovrà essere rimandato fino alla prossima volta, quando il prodotto di un giorno di pesca sarà uguale o eccederà questa quota.
Parlando delle malattie dell'Islanda, sarà necessario alludere soltanto a quelle che forniscono un qualche aspetto peculiare o interessante, o che sono in maniera più specifica connesse al clima e al modo di vivere degli abitanti. La dieta degli Islandesi consiste quasi solamente di cibo animale, di cui il pesce, sia fresco che essiccato, costituisce di gran lunga la più larga parte. Durante l'estate, essi hanno latte e burro in grande abbondanza; ma del pane e di ogni altro cibo vegetale c'è la più grande scarsità e, tra le classi più basse, la quasi totale privazione. La mancanza di pulizia nelle abitudini personali e domestiche della gente è stata oggetto di frequenti allusioni; è un grave impedimento alla loro situazione, la rimozione della quale potrebbe probabilmente essere compiuta tramite sacrificio di altre abitudini, ancor più essenziali alle loro esistenze confortevoli. Come effetto di queste circostanze nel modo di vivere degli Islandesi, le malattie cutanee, che insorgono da uno stato cachettico del corpo, sono incredibilmente frequenti tra loro e appaiono nelle loro forme peggiori. Lo scorbuto e la lebbra sono comuni nell'isola, ricorrendo specialmente nei distretti di Gutbringe e di Snæfell Sussols e in altre parti della costa occidentale, dove gli abitanti dipendono soprattutto dalla pesca, e dove i pascoli sono inferiori in estensione e in produzione. Lo scorbuto (kreppusot), come appare in Islanda, non presenta una peculiarità di sintomi degna di nota. La malattia si osserva ricorrere con maggior frequenza in quei periodi in cui c'è una carenza di cibo tra gli abitanti, o quando la neve e il gelo dell'inverno seguono immediatamente a una stagione autunnale umida. Per la sua cura si applica una dieta vegetale, per quanto le circostanze degli Islandesi permettano di avvalersi di un simile mezzo. Frutti di ogni tipo sono ricercati da loro; ma qualche vantaggio deriva dall'impiego della cochlearia (officinalis et darica), del trifolium repens, delle bacche e delle cime del juniperus communis, e del sedum acre; piante che sono indigene nell'isola.
La lebbra degli Islandesi (likthra, holdsveike o spitelska) esibisce, in molte circostanze, tutti i caratteri essenziali della genuina elefantiasi, o lepra arabum, ed è una malattia del tipo più formidabile e devastante. Tumori non dolenti della faccia e degli arti sono in genere tra i primi sintomi del morbo, accompagnati da gonfiori delle guandole salivari, inguinali e ascellari. Le narici, le orecchie e le labbra sono progeressivamente affette da tumefazione e deformità. La pelle, nel suo insieme o in differenti parti del corpo, diventa spessa e dura, esibendo spesso una superficie lucida o untuosa, talvolta ruvida e scabra che, in un periodo più avanzato del morbo, mostra numerose fessure e spaccature. I sensi sono di solito molto affievoliti e generalmente ricorre l'anestesia delle estremità. La voce assume una particolare raucedine e un tono nasale, spesso con gonfiore delle tonsille ma senza ostacoli alla deglutizione, fino a che la malattia è progredita grandemente nel paziente: il respiro e la materia trasudata sono estremamente fetidi, i capelli e le unghie di frequente si staccano e cadono. I tumori nelle diverse parti del corpo gradualmente diventano ulcere maligne che spurgano una materia acre ed insana. In questo stato spesso il paziente si trascina in una lunga vita o, quando la malattia ha un decorso più veloce, tutti i sintomi si aggravano rapidamente ed egli è condotto in uno stato di estrema debolezza e squallore.
Quando si considera quanto spesso sia inefficace il trattamento di questa malattia nelle regioni più fortunate, non desterà sorpresa che in Islanda i tentativi di cura siano generalmente inutili, anche laddove possa essere ottenuta assistenza medica alle condizioni del paziente. Lassativi, diaforetici e altri mezzi, a volte persino la venesezione, sono impiegati nei primi stadi o con intenzioni di profilassi. Le piante indigene che i nativi impiegano come rimedi sono il ginepro, il vaccinium myrtillus, la rhodiala-rosea e la dryas octopetula; l'ultima di queste, in particolare, cresce in grande abbondanza nell'isola. Questi rimedi, tuttavia, sembrano essere di scarso aiuto nel contrastare qualsiasi sintomo urgente della malattia.
Non sembra esistere alcun documento scritto in Islanda sulla prima comparsa della lebbra nel paese. Il Cavaliere Bach, nella sua lettera al Dott. Van Troil sul soggetto, pensa che sia probabile che il morbo sia stato portato in Islanda dall'Asia o dal Sud dell'Europa, al tempo delle Crociate, alle quali - egli afferma - gli Islandesi parteciparono assieme alle altre nazioni d'Europa. Dalla Storia Ecclesiastica dell'Islanda, risulta che quest'ultima affermazione non è ben fondata, ma sebbene non parteciparono alle guerre sante, gli Islandesi ebbero in quel periodo un'intima connessione con il continente Europeo. Il morbo di cui stiamo parlando, una volta introdotto, si sarebbe prontamente sviluppato, in parte per il suo carattere contagioso, ma forse principalmente per via del cibo e delle abitudini personali della gente. Nel resto dell'Europa scomparve gradualmente, come conseguenza del progressivo miglioramento nei modelli di vita in tutte le classi della società.
Il presente possessore dell'ufficio è il Dott. Klog, nato in Islanda ma educato a Copenhagen. Dei praticanti del paese, uno è stanziato sulla costa meridionale dell'isola, un altro sulla costa orientale, un terzo su quella settentrionale e due nella provincia occidentale. Il lettore comprenderà facilmente quale sia la carenza di assistenza medica del paese, tanto che si menziona che alcuni distretti, sottoposti alle cure di un singolo individuo, si estendono per circa 200 miglia lungo la costa, con una larghezza variabile da dieci a trenta miglia. Abbiamo avuto l'opportunità, mentre eravamo in Islanda, di vedere due dei praticanti del paese, entrambi uomini molto rispettabili e ben informati sulla loro professione. Uno di loro, il Sig. Paulson, era già stato notato, possedendo egli una più vasta conoscenza della storia naturale dei suoi paesani.
Con l'eccezione di tre ospedali, in cui pochi lebbrosi incurabili ricevevano assistenza gratuita, non esisteva alcuna istituzione medica sull'isola. Questi ospedali sono mantenuti a spese pubbliche e con un metodo degno di essere notato per la sua singolarità. In un certo giorno specifico, nel periodo dell'anno in cui la pesca sulle coste è più abbondante e fortunata, ad ogni barca da pesa nell'isola è richiesto di contribuire alla parte di un uomo sulla cattura che ha fatto; una provvigione è aggiunta per legge, in modo che, se il numero di pesci catturati da ogni barca quel giorno non raggiunge una quota di cinque per ogni pescatore, il contributo agli ospedali dovrà essere rimandato fino alla prossima volta, quando il prodotto di un giorno di pesca sarà uguale o eccederà questa quota.
Parlando delle malattie dell'Islanda, sarà necessario alludere soltanto a quelle che forniscono un qualche aspetto peculiare o interessante, o che sono in maniera più specifica connesse al clima e al modo di vivere degli abitanti. La dieta degli Islandesi consiste quasi solamente di cibo animale, di cui il pesce, sia fresco che essiccato, costituisce di gran lunga la più larga parte. Durante l'estate, essi hanno latte e burro in grande abbondanza; ma del pane e di ogni altro cibo vegetale c'è la più grande scarsità e, tra le classi più basse, la quasi totale privazione. La mancanza di pulizia nelle abitudini personali e domestiche della gente è stata oggetto di frequenti allusioni; è un grave impedimento alla loro situazione, la rimozione della quale potrebbe probabilmente essere compiuta tramite sacrificio di altre abitudini, ancor più essenziali alle loro esistenze confortevoli. Come effetto di queste circostanze nel modo di vivere degli Islandesi, le malattie cutanee, che insorgono da uno stato cachettico del corpo, sono incredibilmente frequenti tra loro e appaiono nelle loro forme peggiori. Lo scorbuto e la lebbra sono comuni nell'isola, ricorrendo specialmente nei distretti di Gutbringe e di Snæfell Sussols e in altre parti della costa occidentale, dove gli abitanti dipendono soprattutto dalla pesca, e dove i pascoli sono inferiori in estensione e in produzione. Lo scorbuto (kreppusot), come appare in Islanda, non presenta una peculiarità di sintomi degna di nota. La malattia si osserva ricorrere con maggior frequenza in quei periodi in cui c'è una carenza di cibo tra gli abitanti, o quando la neve e il gelo dell'inverno seguono immediatamente a una stagione autunnale umida. Per la sua cura si applica una dieta vegetale, per quanto le circostanze degli Islandesi permettano di avvalersi di un simile mezzo. Frutti di ogni tipo sono ricercati da loro; ma qualche vantaggio deriva dall'impiego della cochlearia (officinalis et darica), del trifolium repens, delle bacche e delle cime del juniperus communis, e del sedum acre; piante che sono indigene nell'isola.
La lebbra degli Islandesi (likthra, holdsveike o spitelska) esibisce, in molte circostanze, tutti i caratteri essenziali della genuina elefantiasi, o lepra arabum, ed è una malattia del tipo più formidabile e devastante. Tumori non dolenti della faccia e degli arti sono in genere tra i primi sintomi del morbo, accompagnati da gonfiori delle guandole salivari, inguinali e ascellari. Le narici, le orecchie e le labbra sono progeressivamente affette da tumefazione e deformità. La pelle, nel suo insieme o in differenti parti del corpo, diventa spessa e dura, esibendo spesso una superficie lucida o untuosa, talvolta ruvida e scabra che, in un periodo più avanzato del morbo, mostra numerose fessure e spaccature. I sensi sono di solito molto affievoliti e generalmente ricorre l'anestesia delle estremità. La voce assume una particolare raucedine e un tono nasale, spesso con gonfiore delle tonsille ma senza ostacoli alla deglutizione, fino a che la malattia è progredita grandemente nel paziente: il respiro e la materia trasudata sono estremamente fetidi, i capelli e le unghie di frequente si staccano e cadono. I tumori nelle diverse parti del corpo gradualmente diventano ulcere maligne che spurgano una materia acre ed insana. In questo stato spesso il paziente si trascina in una lunga vita o, quando la malattia ha un decorso più veloce, tutti i sintomi si aggravano rapidamente ed egli è condotto in uno stato di estrema debolezza e squallore.
Quando si considera quanto spesso sia inefficace il trattamento di questa malattia nelle regioni più fortunate, non desterà sorpresa che in Islanda i tentativi di cura siano generalmente inutili, anche laddove possa essere ottenuta assistenza medica alle condizioni del paziente. Lassativi, diaforetici e altri mezzi, a volte persino la venesezione, sono impiegati nei primi stadi o con intenzioni di profilassi. Le piante indigene che i nativi impiegano come rimedi sono il ginepro, il vaccinium myrtillus, la rhodiala-rosea e la dryas octopetula; l'ultima di queste, in particolare, cresce in grande abbondanza nell'isola. Questi rimedi, tuttavia, sembrano essere di scarso aiuto nel contrastare qualsiasi sintomo urgente della malattia.
Non sembra esistere alcun documento scritto in Islanda sulla prima comparsa della lebbra nel paese. Il Cavaliere Bach, nella sua lettera al Dott. Van Troil sul soggetto, pensa che sia probabile che il morbo sia stato portato in Islanda dall'Asia o dal Sud dell'Europa, al tempo delle Crociate, alle quali - egli afferma - gli Islandesi parteciparono assieme alle altre nazioni d'Europa. Dalla Storia Ecclesiastica dell'Islanda, risulta che quest'ultima affermazione non è ben fondata, ma sebbene non parteciparono alle guerre sante, gli Islandesi ebbero in quel periodo un'intima connessione con il continente Europeo. Il morbo di cui stiamo parlando, una volta introdotto, si sarebbe prontamente sviluppato, in parte per il suo carattere contagioso, ma forse principalmente per via del cibo e delle abitudini personali della gente. Nel resto dell'Europa scomparve gradualmente, come conseguenza del progressivo miglioramento nei modelli di vita in tutte le classi della società.
Le devastazioni compiute dal vaiolo in Islanda sono state tali da rendere questa malattia importante persino nella storia politica dell'isola. Introdotta dal continente in diversi periodi, e questi in genere distanti l'uno dall'altro, si è diffusa rapidamente e nella sua forma più virulenta, producendo effetti quasi privi di paragone nella storia di questo morbo spaventoso. Il più notevole caso ebbe luogo nel 1707, durante quell'anno la mortalità ammontò, secondo la stima più accurata, a circa 16.000 anime, più di un quarto dell'intera popolazione in quel periodo. Molte simili occorrenze sono registrate nella storia dell'Islanda, sebbene nessuna ebbe effetti così estremamente disastrosi. Qualche anno fa il vaccino fu introdotto in quest'isola dalla Danimarca, ma a causa dell'esiguità della popolazione e della sua dispersione su una superficie tanto vasta, questo finì presto disperso, e al tempo del nostro arrivo (nel Maggio 1810), abbiamo trovato la pratica dell'inoculazione (vaccinazione) completamente sospesa. Vista questa circostanza, abbiamo preso con noi alcune croste di vaccino, con il progetto di raccomandare questo metodo in seguito proposto dal Sig. Bryce. Quasi immediatamente dopo il nostro arrivo, abbiamo inoculato molti bambini a Reykjavik e in seguito in altre parti del paese; avendo una comunicazione con il Landphysicus sull'argomento, abbiamo avuto la soddosfazione di sapere, prima del nostro ritorno in Gran Bretagna, che la crosta di vaccino si era fatta strada in ogni parte dell'isola. L'adozione del piano di inoculazione dalle croste, assicurerà senza dubbio agli abitanti una permanente continuità di questa benedizione.
Gli Islandesi hanno occasionalmente sofferto molto per via del morbillo, proprio come per il vaiolo: nel 1797 seicento persone sono state uccise da questa malattia.
Non si può dire che la sifilide esista in Islanda. Singoli casi sono talvolta sorti da comunicazione con stranieri, ma la malattia è sempre stata intercettata prima di fare qualsiasi progresso nel paese.
La psoriasi è una malattia quasi universale in Islanda, comparendo indiscriminatamente in tutte le classi di abitanti. Nessuno stigma è associato ad essa e non sembra nemmeno che sia tentata una cura, sebbene il rimedio più efficace si trovi con tanta abbondanza nel paese.
Le affezioni viscerali infiammatorie sono molto comuni tra gli Islandesi. La natura variabile del clima e la costante esposizione all'umidità e al freddo nell'occupazione della pesca, danno una forte tendenza ai malanni polmonari e, sul numero annuo di morti nell'isola, una percentuale molto grande è riferibile a questa causa. Questo fatto è stato accertato dall'esame di certi registri statistici, che sono tenuti ogni anno dai preti di molte parrocchie e trasmessi al Vescovo di Reykjavik. In queste affezioni polmonari e specialmente nel caso di tisi, il lichen islandicus è molto impiegato dai nativi; possiede una reputazione tra loro, che l'esperienza dei suoi effetti in altri paesi sembrerebbe garantire scarsamente. Come rimedio emolliente, tuttavia, forse è in qualche modo in grado di allevviare i sintomi e, come articolo di dieta, in quei casi può certo essere vantaggioso.
Le affezioni infiammatorie dei visceri addominali sono molto comuni tra gli Islandesi, principalmente, forse, in conseguenza della peculiare natura della dieta a cui sono abituati. È possibile che questa disposizione sia causata dal trattamento dei bambini nella loro infanzia. Una madre in Islanda raramente allatta i suoi figli, ma li nutre con latte di vacca o di pecora, che il poppante succhia da un pezzo di straccio inumidito o da una spugna. Quando, data l'estrema povertà o altre circostanze, il latte non è disponibile, un piccolo pesce o della carne, arrotolata in un panno di lino e posta in bocca al poppante, è il sostituto più comunemente usato. La dieta degli Islandesi dà così molta disposizione ai vermi, e gli ascaridi sono osservati con particolare frequenza.
Gli Islandesi hanno occasionalmente sofferto molto per via del morbillo, proprio come per il vaiolo: nel 1797 seicento persone sono state uccise da questa malattia.
Non si può dire che la sifilide esista in Islanda. Singoli casi sono talvolta sorti da comunicazione con stranieri, ma la malattia è sempre stata intercettata prima di fare qualsiasi progresso nel paese.
La psoriasi è una malattia quasi universale in Islanda, comparendo indiscriminatamente in tutte le classi di abitanti. Nessuno stigma è associato ad essa e non sembra nemmeno che sia tentata una cura, sebbene il rimedio più efficace si trovi con tanta abbondanza nel paese.
Le affezioni viscerali infiammatorie sono molto comuni tra gli Islandesi. La natura variabile del clima e la costante esposizione all'umidità e al freddo nell'occupazione della pesca, danno una forte tendenza ai malanni polmonari e, sul numero annuo di morti nell'isola, una percentuale molto grande è riferibile a questa causa. Questo fatto è stato accertato dall'esame di certi registri statistici, che sono tenuti ogni anno dai preti di molte parrocchie e trasmessi al Vescovo di Reykjavik. In queste affezioni polmonari e specialmente nel caso di tisi, il lichen islandicus è molto impiegato dai nativi; possiede una reputazione tra loro, che l'esperienza dei suoi effetti in altri paesi sembrerebbe garantire scarsamente. Come rimedio emolliente, tuttavia, forse è in qualche modo in grado di allevviare i sintomi e, come articolo di dieta, in quei casi può certo essere vantaggioso.
Le affezioni infiammatorie dei visceri addominali sono molto comuni tra gli Islandesi, principalmente, forse, in conseguenza della peculiare natura della dieta a cui sono abituati. È possibile che questa disposizione sia causata dal trattamento dei bambini nella loro infanzia. Una madre in Islanda raramente allatta i suoi figli, ma li nutre con latte di vacca o di pecora, che il poppante succhia da un pezzo di straccio inumidito o da una spugna. Quando, data l'estrema povertà o altre circostanze, il latte non è disponibile, un piccolo pesce o della carne, arrotolata in un panno di lino e posta in bocca al poppante, è il sostituto più comunemente usato. La dieta degli Islandesi dà così molta disposizione ai vermi, e gli ascaridi sono osservati con particolare frequenza.
Il clima e le occupazioni della gente, in particolare quelle della pesca, rendono le affezioni reumatiche molto comuni. Si dice che la gotta ricorra occasionalmente, ma si può dubitare che non sia qualche modificazione dei reumatismi che ha ottenuto quel nome.
L'ipocondria è una malattia frequente tra i nativi dell'Islanda, indotta probabilmente dalle circostanze fisiche della loro situazione e dal lungo confinamento nelle loro abitazioni, che è necessario durante la stagione invernale. Tuttavia il temperamento generale degli Islandesi non appare melanconico, e la vivacità del loro carattere di frequente contrasta con la miseria delle loro condizioni di vita.
Oltre alle malattie che ho già descritto, ho avuto l'opportunità di vedere, mentre ero in Islanda, casi di epilessia, isteria, amenorrea, menorragia, asma, ittero, etc. Non ho notato alcun caso di febbre idiopatica, né intermittente, né continua, tuttavia sono stato informato che a volte appare tra gli abitanti in una forma ben definita; un effetto, senza dubbio, delle vaste estensioni di pantani e suolo palustre, che si formano anche nei distretti più popolosi dell'isola.
Un singolare morbo deve essere ancora descritto, gli effetti del quale, anche se limitati a piccoli focolari, sono eminentemente disastrosi in tutta la loro estensione. Questa è la malattia chiamata Ginklofe dagli Islandesi, il tetano o trismus neonatorum degli scrittori medici, che invade i bambini ad una molto tenera età e quasi invariabilmente si dimostra fatale nel suo esito. Ricorre molto raramente, se non affatto, nella terraferma dell'Islanda, ma è confinato principalmente in un gruppo di isole chiamato Westmann-Eyar, situato sulla costa meridionale. La popolazione di Heimaey non arriva ad annoverare le 200 anime, ed è quasi interamente sostenuta dalla migrazione dalla terraferma; a stento si conosce di un solo caso di sopravvivenza di un bambino all'infanzia. Durante una grande parte dell'anno, l'isola è del tutto inaccessibile a causa delle tempeste, delle correnti e della natura della costa. Gli abitanti sono quindi quasi del tutto abbandonati alle loro risorse. Il principale alimento è un uccello marino, chiamato fulmar, che si procurano in grande abbondanza, usando le uova e la carne dell'uccello e salando quest'ultima come cibo invernale. Gli effetti distruttivi delle eruzioni vulcaniche del 1783 sui prodotti della pesca intorno a queste isole, hanno privato gli abitanti di questo cibo. Non hanno nessun cibo vegetale, e ci sono solo poche vacche e pecore sull'isola.
Le conseguenze disastrose di questa malattia ha indotto il Governo Danese a dare una direttiva ufficiale al Landphysicus d'Islanda, a visitare le isole Westmann, al fine di investigare la sua natura e le sue cause. Questo gentiluomo si è recato in quelle isole durante l'estate del 1810 ed è rimasto sul luogo tre settimane. Anche se non ha visto un caso della malattia, ha ottenuto tutte le informazioni sui fatti dai preti e dagli abitanti che avevano avuto bambini. I sintomi del morbo sono in breve questi. Molto presto dopo la nascita si osservano strabismo e rotolamento degli occhi; ricorre il sussultus tendinum, e i muscoli della schiena sono spesso tesi e irrigiditi, edidentemente da un incipiente spasmo. Questi sintomi infallibilmente denotano l'avvicinarsi dell'esito della malattia. Avendo continuato durante un periodo variabile tra uno e sette giorni dalla nascita, generalmente si innesca il trisma, a volte assieme ad opisthotonos, che in senso stretto è chiamato ginklofe; a volte con emprosthotonos, a cui i nativi danno il nome di klums. Il trisma impedisce la deglutizione e quando il parossismo diventa più violento, il bambino muore. Quando ricorre il raro evento di un esito favorevole, è annunciato da una diarrea critica o da un'eruzione esantematosa, con evacuazione del meconio.
La seguente tabella, che include un periodo di 25 anni, mostra la mortalità in seguito a questa malattia nelle isole Westmann e mostra anche i giorni entro cui è avvenuta la morte.
L'ipocondria è una malattia frequente tra i nativi dell'Islanda, indotta probabilmente dalle circostanze fisiche della loro situazione e dal lungo confinamento nelle loro abitazioni, che è necessario durante la stagione invernale. Tuttavia il temperamento generale degli Islandesi non appare melanconico, e la vivacità del loro carattere di frequente contrasta con la miseria delle loro condizioni di vita.
Oltre alle malattie che ho già descritto, ho avuto l'opportunità di vedere, mentre ero in Islanda, casi di epilessia, isteria, amenorrea, menorragia, asma, ittero, etc. Non ho notato alcun caso di febbre idiopatica, né intermittente, né continua, tuttavia sono stato informato che a volte appare tra gli abitanti in una forma ben definita; un effetto, senza dubbio, delle vaste estensioni di pantani e suolo palustre, che si formano anche nei distretti più popolosi dell'isola.
Un singolare morbo deve essere ancora descritto, gli effetti del quale, anche se limitati a piccoli focolari, sono eminentemente disastrosi in tutta la loro estensione. Questa è la malattia chiamata Ginklofe dagli Islandesi, il tetano o trismus neonatorum degli scrittori medici, che invade i bambini ad una molto tenera età e quasi invariabilmente si dimostra fatale nel suo esito. Ricorre molto raramente, se non affatto, nella terraferma dell'Islanda, ma è confinato principalmente in un gruppo di isole chiamato Westmann-Eyar, situato sulla costa meridionale. La popolazione di Heimaey non arriva ad annoverare le 200 anime, ed è quasi interamente sostenuta dalla migrazione dalla terraferma; a stento si conosce di un solo caso di sopravvivenza di un bambino all'infanzia. Durante una grande parte dell'anno, l'isola è del tutto inaccessibile a causa delle tempeste, delle correnti e della natura della costa. Gli abitanti sono quindi quasi del tutto abbandonati alle loro risorse. Il principale alimento è un uccello marino, chiamato fulmar, che si procurano in grande abbondanza, usando le uova e la carne dell'uccello e salando quest'ultima come cibo invernale. Gli effetti distruttivi delle eruzioni vulcaniche del 1783 sui prodotti della pesca intorno a queste isole, hanno privato gli abitanti di questo cibo. Non hanno nessun cibo vegetale, e ci sono solo poche vacche e pecore sull'isola.
Le conseguenze disastrose di questa malattia ha indotto il Governo Danese a dare una direttiva ufficiale al Landphysicus d'Islanda, a visitare le isole Westmann, al fine di investigare la sua natura e le sue cause. Questo gentiluomo si è recato in quelle isole durante l'estate del 1810 ed è rimasto sul luogo tre settimane. Anche se non ha visto un caso della malattia, ha ottenuto tutte le informazioni sui fatti dai preti e dagli abitanti che avevano avuto bambini. I sintomi del morbo sono in breve questi. Molto presto dopo la nascita si osservano strabismo e rotolamento degli occhi; ricorre il sussultus tendinum, e i muscoli della schiena sono spesso tesi e irrigiditi, edidentemente da un incipiente spasmo. Questi sintomi infallibilmente denotano l'avvicinarsi dell'esito della malattia. Avendo continuato durante un periodo variabile tra uno e sette giorni dalla nascita, generalmente si innesca il trisma, a volte assieme ad opisthotonos, che in senso stretto è chiamato ginklofe; a volte con emprosthotonos, a cui i nativi danno il nome di klums. Il trisma impedisce la deglutizione e quando il parossismo diventa più violento, il bambino muore. Quando ricorre il raro evento di un esito favorevole, è annunciato da una diarrea critica o da un'eruzione esantematosa, con evacuazione del meconio.
La seguente tabella, che include un periodo di 25 anni, mostra la mortalità in seguito a questa malattia nelle isole Westmann e mostra anche i giorni entro cui è avvenuta la morte.
Bambini giorni di vita | Bambini giorni di vita
8 ............ 3 | 10 ............ 10
14 ............ 4 | 2 ............ 11
16 ............ 5 | 1 ............ 12
22 ............ 6 | 1 ............ 13
73 ............ 7 | 5 ............ 14
16 ............ 8 | 1 ............ 21
Si vede, da questa tabella, che il numero di morti durante il settimo giorno superano di gran lunga le altre, e anche che sono più frequenti quelle avvenute durante il quattordicesimo giorno rispetto a quelle avvenute nei giorni immediatamente precedenti o seguenti. Dalla proporzione che questi casi di esito fatale apportano all'intera popolazione dell'isola, è probabile che siano stati pochi casi di ricovero, se non nessuno, durante il periodo incluso nella tabella. Gli abitanti non hanno fatto ricorso ad alcun metodo di cura.
Si sa che questa malattia prevale in altre parti del mondo, ed è in particolare stata descritta nelle Indie Occidentali e nell'isola di Minorca. Esiste anche in Svizzera e in alcuni dei distretti settentrionali della Scozia, specialmente nell'isola di St. Kilda, i cui abitanti, nella loro dieta e modi di vita, somigliano molto ai nativi delle isole Westmann. Le cause scatenanti sono molto oscure. Può essere presunto, tuttavia, che devono variare in modo considerevole, quando la malattia appare in paesi tanto diversi rispetto al clima e alla situazione degli abitanti. Si può ragionevolmente supporre che la sua occorrenza nelle isole Westmann sia connessa con la dieta straordinaria dei nativi, e questo è molto probabile, dato che sembra che il morbo sia stato più frequente quando la pesca fu distrutta dall'eruzione vulcanica nel 1783. Indipendentemente da ogni effetto che la peculiarità della costituzione della madre può avere sulla prole, la pratica di dare al bambino un cibo animale forte e oleoso quasi subito dopo la nascita, creerà necessariamente irritazione dei visceri, predisponendo ad affezioni spasmodiche. Il Dott. Klog, in qualche osservazione che ha fatto sull'argomento, l'attribuisce agli effetti dell'aria marina e dell'atmosfera umida; ma, se queste cause avessero un'influenza considerevole, ci aspetteremmo che la malattia fosse più comune in diverse parti del mondo, di quanto sia in realtà riscontrato.
Tratto da "The medical and physical journal, Volume 27. From January to June, 1812",
del dottor Henry Holland,
traduzione in italiano eseguita dal sottoscritto.
del dottor Henry Holland,
traduzione in italiano eseguita dal sottoscritto.