martedì 24 gennaio 2017


STAR WARS: IL RISVEGLIO DELLA FORZA

Titolo originale: Star Wars: The Force Awakens
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2015
Data di uscita: 14/12/2015 (Los Angeles);
   18/12/2015 (United States, Canada)
Durata: 136 min
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Rapporto: 2,35:1; 1,44:1 (sequenze IMAX)
Genere: Fantascienza, azione
Regia: J. J. Abrams
Soggetto: Michael Arndt
Sceneggiatura: Lawrence Kasdan, J. J. Abrams,
    Michael Arndt (prima bozza)
Produttore: Kathleen Kennedy, J. J. Abrams, Bryan
    Burk
Produttore esecutivo: Tommy Harper, Jason D.
    McGatlin
Casa di produzione: Lucasfilm (acquisita da The
    Walt Disney Company), Bad Robot Productions
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion
    Pictures
Fotografia: Daniel Mindel
Montaggio: Mary Jo Markey, Maryann Brandon
Effetti speciali: Chris Corbould, Roger Guyett
Musiche: John Williams
Scenografia: Rick Carter, Darren Gilfort
Costumi: Michael Kaplan
Trucco: Amy Byrne
Interpreti e personaggi   
    Harrison Ford: Han Solo
    Mark Hamill: Luke Skywalker
    Carrie Fisher: Leia Organa
    Adam Driver: Kylo Ren
    Daisy Ridley: Rey
    John Boyega: Finn
    Oscar Isaac: Poe Dameron
    Lupita Nyong'o: Maz Kanata
    Andy Serkis: Leader Supremo Snoke
    Domhnall Gleeson: Generale Hux
    Anthony Daniels: C-3PO
    Peter Mayhew: Chewbacca
    Max von Sydow: Lor San Tekka
Doppiatori italiani   
    Michele Gammino: Han Solo
    Ottavia Piccolo: Leia Organa
    David Chevalier: Kylo Ren
    Benedetta Degli Innocenti: Rey
    Luca Mannocci: Finn
    Gabriele Sabatini: Poe Dameron
    Chiara Gioncardi: Maz Kanata
    Massimo Corvo: Leader Supremo Snoke
    Simone D'Andrea: Generale Hux
    Mino Caprio: C-3PO
    Luciano De Ambrosis: Lor San Tekka
Budget lordo: 306 milioni di dollari
Budget netto: 245 milioni di dollari
Incassi: 2.068,2 miliardi di dollari

Trama:  
Un trentennio dopo la Battaglia di Endor, in cui la Seconda Morte Nera è stata annientata, è il tempo della Nuova Repubblica. Il governo provvisiorio guidato dal generale Leia Organa lotta contro il Primo Ordine, erede dell'Impero. In questo fosco scenario, accade un fatto portentoso e funesto: Luke Skywalker fa perdere le sue tracce. Al suo gesto non c'è spiegazione: sono davvero minime le probabilità che si sia lasciato sedurre da una mulatta con un paio di poppe gigantesce e un lato B spropositato. La Resistenza - che conserva il suo nome anche se a governare è la Nuova Repubblica - cerca di passare al pettine la galassia alla ricerca del Jedi scomparso. Il pilota della Resistenza Poe Dameron deve incontrarsi con Lor San Tekka su Jakku, un pianeta desertico posto proprio sul bordo estremo di quella che potrebbe chiamarsi la regione anale della Galassia. Questo Lor San Tekka avrebbe chissà come in suo possesso una mappa magica che spiegherebbe dove si trova Luke Skywalker, un evidente specchietto per allodole, alla cui esistenza tuttavia credono anche gli eredi degli Imperiali guidati da Kylo Ren. Il Sith giunge su Jakku, individua il villaggio in cui si trova il pilota e sferra un attacco. Poe Dameron nasconde in fretta e furia la mappa magica in un droide - cosa abbastanza scontata. Kylo Ren ordina il totale sterminio degli abitanti del villaggio, uccide Lor San Tekka e cattura Dameron. Un assaltatore si fa prendere da scrupoli di coscienza di fronte al genocidio in atto: evidentemente si aspettava che l'Impero fosse il villaggio dei Puffi. A quanto pare il soldato si chiama BB-8: dice di essere stato tolto alla famiglia prima di averne ricordi, ma più probabilmente sarà nato da una vasca di clonazione, per questo ha soltanto una sigla per nome. Fatto sta che nella sua fuga incontra una ragazza chiamata Rey, che conduce un'esistenza di estrema miseria in cui si guadagna da vivere rovistando tra i rottami scovati nel deserto e rivendendo a un ricettatore i reperti. Durante la fuga, ecco che i due salgono su una nave spaziale abbandonata che per incanto si rivela essere proprio il Millenium Falcon. Inizia una lunga serie di peripezie. Il Falcon viene catturato proprio da Han Solo e da Chewbacca, che fanno così la conoscenza dell'impavida Rey. Dopo aver affrontato un'invasione di crostacei giganti, finiscono tutti su un tenebroso pianeta chiamato Takodana, che è un Omphalos del Male. Tra mille turpitudini abita Maz Kanata, una laida tenutaria di bordello dedita alla pirateria. La sua fortezza, non diversamente da quella di Jabba the Hutt, è la somma di tutte le depravazioni umane e non umane. Numerose prostitute vi esercitano il meretricio e hanno contatti carnali con abominevoli mostri alieni, tanto che al confronto le orge di Berlusconi nella reggia di Hardcore sono liquidabili come scherzetti di educande. La maitresse Maz Kanata è sì una lussuriosa vecchiaccia che desterebbe il vomito nel più affamato tra i "morti di figa", ma è anche una fervente seguace della religione dei Cavalieri Jedi: crede nella Forza e custodisce la spada di Luke Skywalker in un segreto recesso. Del resto simili contraddizioni sono più la norma che una rarità. A questo punto il Primo Ordine sferra il suo attacco proprio su Takodana. Il corso degli eventi si fa convulso e procede con incredibile accelerazione. In una ripetizione dello scontro tra Obi-Wan Kenobi e Darth Vader, ecco Han Solo a faccia a faccia con Kylo Ren, il suo figlio deviato. Cerca di riportarlo al Lato Chiaro della Forza ma non ci riesce e finisce trafitto dalla spada laser del Sith. La mortale arma del Primo Ordine, una riedizione delle due precedenti Morti Nere, finisce distrutta: qualcuno ha definito questo prevedibile esito come il terzo madornale errore strategico nella breve esistenza dell'Impero alias Primo Ordine. Dopo aver compiuto la loro missione, Rey, Finn e lo Wookiee ritornano alla base su un pianeta sicuro, dove hano modo di riprendersi. L'estrema dimora di Luke Skywalker viene infine identificata: è un'isola su un pianeta le cui genti native, da lungo tempo estinte, dovevano somigliare agli antichi Sardi. Rey vi giunge sul Falcon in compagnia di Chewbacca, riesce a trovare il Jedi e a consegnargli la sua spada laser. 

Panoplia satyrica

Han Solo 
Sembra l'ombra di se stesso. Un tempo faceva il contrabbandiere per Jabba the Hutt ed era coinvolto in uno spaventoso giro di pornografia tra umani e specie aliene. Si sospetta che intrattenesse rapporti masturbatori con Chewbacca prima di riuscire a sedurre Leia Organa e di trasmetterle una gran quantità di morbi venerei (come se le scelleratezze da lei compiute alla corte di Jabba fossero irrilevanti). 

Generale Leia Organa 
Una Carrie Fisher molto invecchiata. Passato lo stadio della milf e della mature, la si potrebbe definire una grannie. Per spiegare questa comprensibile involuzione del suo aspetto, la Principessa alderaaniana viene descritta come "un po' più distrutta dalla guerra, con il cuore spezzato". Miglior spiegazione è una gonorrea permanente. A distruggere la vita dell'attrice è stata la droga e questo deve essere ricordato sempre - con buona pace dei decerebrati il cui motto è: "Se dici che la droga fa male sei fascista"

Kylo Ren 
Figura grottesca, una caricatura di Darth Vader è una chiara reminiscenza del Casco Nero di Balle Spaziali. Quasi un Sith nerd dall'improbabile elmo dotato di uno strano becco. Se fosse stato mostrato nell'atto di giocare con i pupazzetti la cosa non mi avrebbe stupito. Viene descritto come capo dei Cavalieri di Ren. Ebbene, dove sono gli altri Cavalieri di Ren? Il suo discorso agli Assaltatori mostra palesi reminiscenze della retorica del Nazionalsocialismo. Il teorema è sempre lo stesso e tipicamente americano: se una data cosa X è il Male, dato che il Nazismo è il Male, ne consegue che X deve per necessità essere identificato con il Nazismo - dove X può essere l'Impero, l'Islam o qualsiasi altra entità ad libitum.

Luke Skywalker
Ormai è visto nella Nuova Repubblica come una figura mitologica, simile a Re Artù o al Prete Gianni. Lo troviamo alla fine del film, logorato e un po' ingrassato, con qualche segno di ritenzione idrica, forse a causa di incipiente insufficienza renale. Ha uno sguardo perso nel vuoto, come se portasse su di sé il peso di milioni di anni. Si capisce a colpo d'occhio che è annientato dalla constatazione del fallimento dei suoi disperati tentativi di formare nuovi Jedi. Il motivo è semplice: i Padawan avevano in mente soltanto i pompini.

Rey
Non oso indagare sulle sue condizioni igieniche. Dubito molto che nella realtà una ragazza che conducesse una simile esistenza sarebbe fragrante come un fiore e dalla pelle liscia come quella di una escort. Le avventure di Rey sono da record. Sembra che non si fermi nemmeno un attimo da quando fugge dal pianeta desertico a quando giunge al cospetto di Luke Skywalker sul pianeta nuragico. Avrà avuto il tempo di farsi una doccia o di passarsi una salvietta detergente tra le gambe? Le sequenze sono serrate e danno l'impressione che tale salutare pausa non ci sia stata. Perché nel cinema non si pensa mai a queste cose? Tutto si svolge sempre come se il corpo umano fosse simile a una bambola senza odori - e quindi senza necessità di essere lavato. 

Snoke, il Leader del Primo Ordine
Non si capisce bene se Snoke sia davvero un gigante oppure un nanerottolo vanitoso grande quanto un puffo e ingigantito da una proiezione olografica. Nel primo caso, il pensiero va immediatamente all'immensa quantità di cibo necessario per sostenere un simile essere e di conseguenza agli stronzi giganteschi prodotti dalla sua defecazione, tanto massicci da necessitare un gran carro per essere rimossi.

Recensione:
Detto tra noi, fa un po' schifo. Non voglio togliere Cristo dalla croce a nessuno, ma proprio non sono riuscito a sopportare la proiezione di questa porcata della Walt Disney Company. Rimango basito al pensiero che i suoi incassi siano stati stratosferici e che abbiano persino superato quelli di ogni altro episodio di Star Wars.

L'Eterno Ritorno dell'Uguale 

Una ripetizione di una storia trita e ritrita, già vista nell'Episodio IV - Una Nuova Speranza. Quest'epoca priva di fuoco divino ha perso ogni capacità creativa e si limita a sfornare riedizioni, remake, sequel, prequel e spin-off a getto continuo.
Il canovaccio è questo, invariabile:

1) Un pianeta desertico; 
2) Un individuo giovane e ribelle, che vive nel deserto;
3) Un evento imprevisto che lo costringe a fuggire su altri mondi;
4) Un'eredità misteriosa; 
5) Un genitore oscuro.

Ecco tradotti tutti i punti nei due film in questione:

1) Jakku - Tatooine;
2) Rey - Luke Skywalker;
3) L'assalto degli imperiali su Jakku e su Tatooine; 
4) I poteri Jedi; la spada laser di Anakin Skywalker e quella di Luke Skywalker;  
5) Un Jedi sconosciuto - Anakin Skywalker. 

In uno dei prossimi film della serie si scoprirà che Kylo Ren e Rey sono fratello e sorella, proprio come Luke e Leia hanno entrambi per padre Darth Vader (ex Anakin Skywalker). Oppure sarà rivelato che Rey è la figlia di Kylo Ren, nonostante i due sembrino coetanei? Comunque la si metta, ormai a queste cose siamo abituati. 

Vediamo che l'archetipo di Darth Vader, Padre Oscuro di Luke, si ripete in Kylo Ren, Figlio Oscuro di Han Solo e di Leia. Mentre nel primo caso il Padre Oscuro si scontra prima con Obi-Wan Kenobi e poi col suo figlio biologico che cerca di volgerlo al Bene, nel secondo caso è il padre biologico che si scontra col suo Figlio Oscuro. Una sorta di simmetria che lascia nella sostanza immutata la natura degli eventi. La risoluzione di questo contrasto avviene in una struttura tecnologica complessa. La morte di Han Solo ricorda quella di Obi-Wan Kenobi.  

Il pestilenziale calderone di pus che è la corte di Jabba si ripresenta su Takodana. Il parallelismo è abbastanza spiccato, anche se la decrepita tartaruga Maz Kanata è una sostenitrice dei Jedi, mentre Jabba è diabolico nell'anima e nel corpo, del tutto irredimibile. Non possono esserci dubbi, si tratta sempre della stessa storia, di cui ci propineranno prodotti riciclati all'infinito cambiando soltanto i dettagli, dato che il Fuoco Divino sembra aver abbandonato il genere umano.  

Una lista di 40 errori

Sul Fuffington Post, sito buonista che aborro, abomino ed esecro, è comparso un ingegnoso elenco di 40 errori che rendono il film inguardabile. L'autore dell'articolo in questione è il giornalista e accademico Seth Abramson della University of New Hampshire, che afferma di aver amato il film pur avendo trovato non poche lacune ed insonsistenze nella sua futile trama. 


Devo ammettere che alcune delle considerazioni esposte sull'immonda testata mi sono state di grande utilità. Uno dei gravissimi errori elencati merita qualche commento in questa sede. Si tratta del trentaseiesimo della lista:

Perché tutti gli Stormtrooper sono umani (o umanoidi)? Se con l'avvento del Primo Ordine tutti i cloni allevati per essere Stromptroopers non sono più cloni di Jango Fett, perché non ci sono Stormtroppers di tutte le specie e di ogni razza (umana)? Perché non ci sono Stormtroopers volanti della stessa specie come, ad esempio, Watto (da "La minaccia fantasma")?

Semplice: perché l'Impero si fonda sullo specismo, l'equivalente galattico del razzismo. Sarebbe molto più difficile trovare Watto tra gli "Stormtroopers" di quanto non fosse trovare un ebreo tra le SS (dove c'erano però numerosi Mischlinge), anche soltanto per un banale fatto: un proboscidato volante non può occultare il proprio aspetto e passare per umano. Tuttavia mi rendo conto che qualcosa non quadra comunque: che dire di un umanoide bislacco come Snoke? Che sia uno gnomo ingrandito con la proiezione olografica o che sia un gigante sfornatore di immani torte fecali, resta la stessa domanda: come può un individuo di una specie tanto distante dal genere umano essere a capo di un regime ferocemente specista?

La recensione dell'Osservatore Romano

Pur detestando vivamente il Papato e tutto ciò che ne deriva, trovo condivisibile la recensione negativa comparsa sulle pagine dell'Osservatore Romano. L'articolo di Emilio Ranzato definisce il film "confuso e sfocato" e lo etichetta come un reboot scadente influenzato dal mondo dei videogames e pervaso dalla bidimensionalità del computer. Il Leader Snoke, pur non menzionato in modo esplicito per non fare spoiler, è giustamente additato come "goffo e pacchiano" ed è ritenuto "il più grave difetto del film". L'articolo è consultabile nel Web gratuitamente sul sito della testata pontificia, per trovarlo basta digitare in Google la semplice chiave di ricerca Star Wars confuso e sfocato, o qualche altra simile. Oltre all'articolo di Ranzato, si possono consultare le molte notizie di questa recensione pubblicate su un gran numero di quotidiani online. 

Un singolare episodio di censura


Una scena è stata tagliata dall'implacabile censura dei buonisti, che in nome dell'idolo ripugnante della political correctness hanno ritenuto inaccettabile la violenza di Chewbacca. Il video con la scena originale è stato pubblicato sulla pagina online della Stampa. Nel castello di Maz Kanata un orrendo e pingue alieno di nome Unkar aggredisce Rey, volendo abusare del suo corpo. Il sanguigno Wookiee interviene prontamente a difendere l'amica, afferra un braccio di Unkar e senza tante cerimonie glielo strappa. A quanto pare non si riesce proprio a far capire ai lotofagi della Walt Disney Company che non si può sopravvivere negli angiporti con il codice etico di Mickey Mouse. 

L'autorazzismo di George Lucas

Si riporta quanto ha dichiarato George Lucas, il celeberrimo padre di Star Wars a riguardo dell'Episodio VII, scagliandosi contro la Walt Disney: "Hanno voluto fare un film rétro. Non mi piace. Ho lavorato duramente per realizzare ogni film in modo completamente diverso, con diversi pianeti, diverse astronavi, per renderlo sempre nuovo". Quindi ha aggiunto: "Ho venduto i miei figli agli schiavisti bianchi". Di grazia, cosa intende il rubicondo regista per "schiavisti bianchi"? Perché non limitarsi a dire di aver venduto i suoi figli agli schiavisti? Secondo lui, che a quanto pare è caduto fulminato dalla political correctness mentre viaggiava verso Damasco, sarebbe necessario sempre specificare che gli schiavisti devono essere sempre e necessariamente bianchi. Come se l'aggiunta dell'aggettivo peggiorasse la caratterizzazione morale dello schiavismo. Forse George Lucas pensa di non essere bianco? Cosa crede dunque di essere? Un giamaicano pieno di ganja? Forse gli schiavisti arabi che hanno devastato l'Africa sono moralmente accettabili per il fatto di essere un po' "abbronzati"? Se sorgesse dalla terra a sud del Sahara un feroce schiavismo esercitato dai Mandingo contro le genti di origine europea, sarebbe dunque una cosa accettabile? La realtà è una sola: il padre di Star Wars è autorazzista.    

Star Wars e la pornografia

L'industria di Star Wars più in salute senza dubbio è quella che produce tonnellate di immagini pornografiche. Sapete che vi dico? Che c'è più verità in quell'ammasso di immagini inimmaginabili e pruriginose che in tutto il cosiddetto "Universo Espanso". Questo perché l'essenza di Star Wars è la stessa Sorgente della Corruzione. Un universo in sfacelo, tutto animato da perversioni di ogni genere. Già nel primo film del '77, il celeberrimo Episodio IV, vediamo prostitute in cerca di clienti nel bar di Mos Eisley sul pianeta bisolare Tatooine. Prostitute umane disposte a concedere la bocca e gli orifizi inferi non soltanto a maschi del genere umano, ma anche e soprattutto agli alieni. Vediamo a un certo punto persino un prostituto effeminatissimo che fuma una sigaretta allusiva con un lunghissimo bocchino. Credete che George Lucas e gli altri ideatori non pensassero proprio a queste cose quando hanno concepito le scene? Agli albori della Saga, Jabba the Hutt era descritto come un bipede dal sembiante simile a quello di un trichecone con le chiappe del culo proprio sotto gli occhi. Così appariva nei fumetti di Guerre Stellari che circolavano dopo l'uscita del primo film. Poi, a distanza di qualche anno, abbiamo appreso che Jabba è un gigantesco stronzo bavoso dotato di braccini atrofici e di una smisurata libidine. Nell'Episodio VI - Il ritorno dello Jedi si vede chiaramente che Jabba doveva essere considerato un pervertito dai suoi consanguinei, perché concupiva femmine umane. La sequenza in cui lecca la Principessa Leia difficilmente può essere interpretata come innocua. Infatti la fantasia si sfrena, proiettando un turbine di immagini allucinanti, com'è sempre stato nelle intenzioni degli Artefici. Se quanto affermo vi suona strano e incredibile, vi invito a fare in Google Immagini la seguente ricerca: Star Wars porn.

venerdì 20 gennaio 2017

LO PSEUDO-QUECHUA DI GREEDO


Ormai ci saranno ben poche persone in Occidente a non aver mai visto Guerre Stellari (Episodio IV, Una Nuova Speranza, 1977). Una delle sequenze più celebri del mitico film di fantascienza è quella in cui Han Solo viene intercettato dal killer rodiano Greedo e torchiato a causa di un grave debito che ha contratto perdendo un carico di spezie preziosissime, trasportate per conto del bavoso Jabba the Hutt (all'epoca questi dettagli erano piuttosto nebulosi, tutto si sarebbe fatto più chiaro col procedere della saga). La conversazione si svolge nel seguente modo: l'alieno si esprime in una lingua non umana e il contrabbandiere, che la capisce alla perfezione, gli risponde nella lingua comune.

Secondo la vulgata corrente, Lucas non avrebbe avuto la possibilità di far sviluppare una conlang specifica, dati i tempi stretti della produzione. Così avrebbe utilizzato una lingua già esistente: il Quechua. Questo è quanto riporta Wookieepedia, il Wiki di Star Wars:


"Greedo's language was Quechua, but actually the Director just picked some words up from the native language of South America, what it really does not have meaning, but comes from Quechua."

Le frasi pronunciate dal rodiano Greedo contengono in effetti parole simili per sonorità al Quechua, ma altre hanno invece un aspetto fonetico dissimile e una fonotattica incompatibile con quella della lingua incaica. Inoltre il significato dei termini identificabili non torna con la traduzione mostrata dai sottotitoli, che evidentemente è stata elaborata in modo indipendente dal testo. È quindi inesatto affermare che Greedo parla Quechua. Il testo originale non è a quanto pare disponibile. Le trascrizioni che si trovano nel Web mostrano sostanziali differenze reciproche e sono in genere assimilate all'usuale modo di rendere l'Huttese, la lingua usata da Jabba e ufficiale nel feudo di Tatooine, di cui esiste materiale sparso nel Web. In altre parole le assonanze con il Quechua non appaiono molto evidenti da tali trascrizioni.

Questo è un esempio, pubblicato su un blog:


"Oonta goota, Solo?"
    Going somewhere, Solo? 

"Yes, Greedo, as a matter of fact I was just going to see your boss. Tell Jabba that I've got his money." 

"Somepeetchalay. Vara trahm ne tach vakee cheetha. Jabba wanin cheeco-wa  rush anye katanye wanaruska, heh heh heh. Chas kin yanee ke chusoo."
   It's too late, you should have paid him when you had the chance. Jabba's put a price on your head so large every bounty hunter in the galaxy will be looking for you. I'm lucky I found you first. 

"Yeah, but this time I've got the money."  

"Enjaya kul a intekun kuthuow."
   If you give it to me, I might forget I found you.  

"I don't have it with me. Tell Jabba--"  

"Tens hikikne. Hoko ruya pulyana oolwan spa steeka gush shuku ponoma three pe."
   Jabba's through with you. He has no time for smugglers who drop their shipments at the first sign of an Imperial cruiser. 

"Even I get boarded sometimes. Do you think I had a choice?"  

"Tlok Jabba. Boopa goompah-kne et an anpaw."
    You can tell that to Jabba. He may only take your ship.  

"Over my dead body." 

"Ukle nyuma. cheskopokuta klees ka tlanko ... ya oska."
   
That's the idea. I've been looking forward to this for a long time.  "Yes, I'll bet you have."  

<blaster goes off; barrage of light and smoke>  

random patron: "Mamoo lu!"
"Sorry about the mess."
 

Questa è la trascrizione delle parole di Greedo pubblicata sul sito The Complete Wermo's Guide (le risposte di Han Solo sono omesse): 


"Koona t'chuta, Solo?" (Going somewhere, Solo?)
"Song peetch alay." (It's too late.)
"Mala tram pee chock makacheesa." (You should have paid him when you had the chance.)
"Jabba wah ning chee kosthpa murishani tytung ye wanya yoskah." (Jabba put a price on your head so large every bounty hunter in the galaxy will be looking for you. Ha, h,a ha.)
"Chas kee nyowyee koo chooskoo." (I'm lucky I found you first.)
"Keh lee chalya chulkah in ting cooing koosooah." (If you give it to me, I might forget I found you.)
"Jabba hari tish ding." (Jabba's through with you.)
"Song kul rul yay pul-yaya ulwan spastika kushunkoo oponowa tweepi." (He has no time for smugglers who drop their shipments at the first sign of an Imperial cruiser.)
"Klop Jabba poo pah." (You can tell that to Jabba.)
"Goo paknee ata pankpa." (He may only take your ship.)
"Uth laynuma." (That's the idea.)
"Chespo kutata kreesta krenko, nyakoska!" (I've been looking forward to this dor a long time.)

Non molto simile alla prima, non trovate? In entrambi i casi le somiglianze col Quechua sono ben difficili da trovare, a dover essere franchi.

All'epoca avevo fatto una trascrizione ancora diversa della conversazione. Le discrepanze forse sono dovute al fatto che il mio udito non è mai stato eccellente. Va detto che l'ho eseguita prima di essere affetto da gravissime forme di acufeni e di misofonia. Tuttavia ascolto il video in un momento di calma, resto convinto che sia migliore di quelle fatte da anglosassoni, per loro ottusa natura pieni zeppi di pregiudizi sui suoni delle lingue altrui. La riporto in caratteri IPA, in modo da evitare le ambiguità dei sistemi di trascrizione usati dagli americani.

/ku(ta) 'tu: ta, 'solo?/  
   Vai da qualche parte, Solo?

"Sì, infatti, per essere esatti stavo andando dal tuo capo. Dì a Jabba che ho i soldi per lui."

/'sɔmbi dʒa'le:. mara'kampi 'taχva ki'tʃi:ta. 'dʒaba wa'nintʃi 'kɔχpa wi'ʃani kʾai'fanni waɲa'hɔsqa. hɛʾ hɛʾ hɛʾ. tʃʾaski'ɲawi kʾu'tʃumsu./    È troppo tardi. Avresti dovuto pagarlo quando te ne la data la possibilità. Jabba ha messo sulla tua testa una taglia così grossa che ogni cacciatore di teste della galassia ti starà cercando. Sono stato fortunato a trovarti per primo. 

"Sì, ma questa volta ho i soldi, capisci..." 

/qʾɛn'dʒaya 'qulqa iti 'kuni kusu'wa:u/ 
   Se li dai a me, potrei dimenticare di averti trovato.   

"Ma i soldi non li ho mica qui con me. Di' a Jabba ---" 

/haha'kisti. hɔgu'luje 'puja ja'hurwar 'pakika ku'ʃumkum 'pɔnɔwa twi'pi:d(i)./ 
   Jabba ha chiuso con te. Non ha tempo per i contrabbandieri che scaricano la merce al primo segno di un incrociatore Imperiale.

"Eh, a volte vengo abbordato anch'io. Credi che avessi un'alternativa?" 

/tʾɔp 'dʒaba 'pʾuppʾa qup'padne atha'pampa./ 
   Puoi raccontarlo a Jabba. Forse prenderà solo la tua nave. 

"Mi dovrà prima accoppare."

/'uχle 'ɲuma. 'tʃɛspo ko'tɔta 'plizda 'kʁembo ... da 'hɔsqa./ 
    È quella l'idea
. Da tempo aspettavo questo momento. 

"Sì, scommetto che è vero!" (poi cambiato in "Ci credo proprio!")  

Frammenti cosmici dell'Impero Incaico?

Nonostante i dati sopra riportati non appaiano molto incoraggianti, va detto che esiste un video in cui un parlante del Quechua di Cuzco analizza alcuni lemmi che ricorrono nel video, trovandoli sensati. Per visualizzare bene le scritte aggiunte dal commentatore al video occorre utilizzare come browser Firefox. Eccolo: 


In particolare stupisce la seguente frase: 

JABBA WAÑINCHI QOQPA WISHANI K'AYTANPI WAÑAWUSQA
Traduzione spagnola:
 Jabba dice que dara un premio al que te mate

Glossario aggiunto dall'autore (usa il segno > anziché <):

Wañinchi > wañuchiy = hacer matar
Qoqpa = del que da
Wishani > willan = dice
Wañawusqa > wañumusqa = habia muerto
Wishani > Willani = aviso

La traduzione di questo frammento è compatibile con quella fornita dai sottotitoli, anche se compiuto in Quechua ed è adatta al contesto.

Il termine ch'askiñawi, trascritto spesso dagli anglofoni come chaskañawi, viene spesso glossato come "occhio di stella". Vero è senza dubbio che in Quechia ñawi significa "occhio". La parola ch'aska può essere un aggettivo che significa "increspato", oppure un sostantivo che indica il pianeta Venere (stella del mattino). Non può tradursi con "stella" in senso generale, che è qoyllur.

Nel blog Allillanchu di Lorena Chauca, ospitato su Blogspot, è stato pubblicato un post in cui Guerre Stellari è tradotto in Quechua come Qoyllurkunap Awqana. Davvero esaltante. 


Da qoyllur "stella" si forma il plurale qoyllur-kuna "stelle" tramite l'usuale suffisso -kuna. Quindi si forma il genitivo tramite il suffisso -p (che in altri dialetti è pronunciato come una fricativa uvulare -q): qoyllur-kuna-p "delle stelle". La parola per dire "guerra", awqana, è formata con un suffisso strumentale -na a partire da awqa "ribelle".

Chi ha sparato per primo? 

Due parole sulla famosa polemica "Han shot first" contro "Greedo shot first". Nella versione originale del film, era Han Solo a sparare per primo: il killer rodiano non aveva nemmeno la possibilità di portare il dito al grilletto. Poi a quanto pare, George Lucas, pressato dai buonisti che volevano un film politically correct, introdusse variazioni nelle sequenze in questione, per provare che Han Solo aveva reagito per legittima difesa. Si possono osservare i frutti della dottrina nota come mutability of the past nelle oscenissime versioni restaurate. Ovviamente i buonisti si sono comunque contraddetti da sé, perché far apparire Greedo cattivo... va contro l'antirazzismo (o piuttosto contro l'antispecismo). L'alieno deve essere sempre e per forza buono, quindi non può sparare per primo. Tuttavia, ammettendo la versione originale, bisognava pensare che il cattivo fosse Han Solo, il che avrebbe assestato un grave colpo alla retorica della redenzione morale. Ne sorsero controversie etiche tra pipparoli mentali, pronti a difendere a spada tratta uno o l'altro dei due personaggi inesistenti. Restando nel contesto della Saga, su Han Solo, sulla sua etica e sulla sua redenzione si possono nutrire sensati dubbi, visto che quando lavorava per Jabba aveva contatti sessuali con umani e con alieni di tutti i sessi, finendo col riempirsi di spaventosi morbi venerei.

Promozione della lingua Quechua

Per finire, ecco un video di Guerre Stellari (Episodio V - L'Impero colpisce ancora), in Quechua autentico con sottotitoli in spagnolo.

lunedì 16 gennaio 2017

L'ILLUSIONE DELL'IPNOSI REGRESSIVA E DELLO SPIRITISMO

Un grande flagello pseudoscientifico è la stolta credenza che tramite pratiche ipnotiche sia possibile a un individuo regredire a vite precedenti, ricordandole in toto o in parte. Il fondamento di questa teoria è semplice: essendo possibile a un manipolatore della congrega degli psicologi far regredire una persona fino all'infanzia, se questa regressione procede oltre il limite della nascita, ecco che si entra nel campo di una precedente esistenza terrena. Mi si obietterà che la cosa potrebbe di per sé essere di un notevole interesse. Il punto è che si tratta di un colossale imbroglio. A questa conclusione si può giungere facilmente analizzando i risultati delle osservazioni compiute dagli psicologi sui pazienti fatti regredire fino a epoche anteriori alla loro venuta al mondo, e in particolare sugli xenoglossi. Se l'ipnosi regressiva avesse un benché minimo fondamento, ne otterremmo conoscenza. Invece non si ottiene nulla che abbia più valore di un monticolo di stronzi di pollo. Vedete, vorrei che fosse vero. Vorrei che si potesse risalire a epoche passate. Vorrei sentire le voci degli Antichi. Invece devo riconoscere che tutto questo è impossibile.

Non è difficile imbattersi in alcune narrazioni relative a soggetti ipnotizzati che sarebbero regrediti per secoli. Ricordo in particolare il caso del soggetto che si reputava un vichingo; sarebbe anche riuscito a produrre, seppur con enorme fatica, un elenco di parole "norrene". Che io sappia, questo glossarietto non è mai stato pubblicato e doveva essere abbastanza penoso: dubito fortemente che consistesse in complessi versi eddici. Significativo è anche il caso del soggetto che si reputava un sumero e che non è stato mai in grado di richiamare alla memoria nemmeno una parola di sumerico. Considerata la struttura fonetica semplicissima di tale lingua isolata, non gli sarebbe stato difficile balbettare parole come LU "uomo", LUGAL "re" (lett. "uomo grande"), E "casa", EGAL "palazzo" (lett. "casa grande"), A "acqua", ABA "lago" (lett. "nicchia d'acqua"), AN "cielo", EME "lingua", INIM "parola", MUNUS "donna", GUD "bue", UR "cane", URU "città", LAM "abbondanza", LAL "miele" e via discorrendo. Avrebbe potuto evitare parole con suoni poco familiari, come UḪ "insetto, parassita", etc. Invece niente. Nemmeno una sillaba. Il punto è che non conoscendo nulla della lingua di Sumer, non poteva certo improvvisarla, non ci vuole Sherlock Holmes per capirlo. La Thomason riporta nel suo saggio Xenoglossy il caso di una ragazza che sotto ipnosi affermava di essere stata una squaw Apache il cui bizzarro nome era Chloe. Anche se pungolata di continuo dall'ipnotizzatore, Ralph Grossi, faceva di tutto per resistere alla richiesta di pronunciare parole della sua lingua. Se le fosse stato richiesto del sesso orale con spargimento di sperma in bocca, forse sarebbe stata meno riluttante. Quando alla fine riportò alla mente una lista di parole, se ne uscì con ritrovati incompatibili con la fonotattica della lingua in questione. Ad esempio, molti vocaboli contenevano la rotica /r/ - cosa impossibile nella lingua genuina degli Apache - ed erano assenti diversi suoni peculiari, come le occlusive laterali sorde. Se questi soggetti tornassero davvero con la mente ad altre vite, o se fossero posseduti da spiriti, dovrebbero pensare e parlare soltanto nella lingua del contesto corrispondente. Dovrebbe venir loro spontaneo. Se non lo fanno - e non lo fanno - significa che è un imbroglio.

Trovo assolutamente futile e ridicola l'idea secondo cui un ipnotizzato dovrebbe sperimentare difficoltà a rievocare la propria lingua in caso di "incarnazioni" molto antiche. Perché mai dovrebbero esserci difficoltà? Non esiste una sola motivazione razionale di tutto questo. Se ammettiamo la spiegazione soprannaturale fornita dagli ipnotizzatori, allora affermiamo che lo spirito deve precedere la mente di un soggetto che ha un corpo di carne, deve essere libero da qualsiasi pastoia e riportare semplicemente ciò di cui è stato testimone. Eppure i medium non lo credono. Questo per un semplice motivo: tremano loro le chiappe del culo e si cagano in mano di fronte a qualsiasi indagatore che usi la logica consequenziale come guida. Consapevoli del fatto che gli xenoglossi producono solo patacche, fanno leva sulle menti suggestionabili di persone ignoranti, rifuggendo gli autentici esperti di lingue che potrebbero facilmente confutare tutte le loro baggianate, facendo cadere su di loro un grande discredito.  

Ricordo nitidamente un caso ancor più sorprenente: quello dello pseudoetrusco spiritico. I parapsicologi Giovanna B. e Francesco L. Oscott hanno scritto il libro Gli Etruschi parlano. Alla scoperta della lingua etrusca (1984), pubblicato da Edizioni Mediterranee. Nel volume si descrivono le comunicazioni fatte da "spiriti" che secondo gli autori dicevano di appartenere al popolo dei Rasna. Valendosi di argomenti linguistici, si può certo dire che si tratta di un falso montato ad arte. Ancora a distanza di anni, il professor Giulio Facchetti ha giustamente schernito gli autori di questa baggianata medianica, dicendo che il soggiorno nell'oltretomba evidentemente aveva danneggiato la memoria degli spiriti degli etruschi. Passo brevemente in rassegna i numerosi aspetti inverosimili che ho potuto riscontrare:

1) Gli "spiriti" usano un frasario da grammatici, ricorrendo ad esempio al termine "genitivo" quando spiegano come formare i numerali ordinali a partire dai numerali cardinali. 
2) La forma *etpam "affinché, per" è di certo un grossolano errore di lettura del vocabolo genuino etnam "quindi; allo stesso modo", a cui è stato attribuito un diverso significato dai medium.  
3) Uno pseudo-pronome *sas è tradotto con "vi", senza alcun marcatore dell'accusativo analogo a quello di mini "me" (da mi "io"), un "te" < *un-n(i), col suffisso assorbito dalla radice (cfr. une "a te", unχva "le tue cose", nel Liber Linteus; unas "di te", attestato su vasi), cn "lui, lei" (da ca "egli, ella"), enan "ci" (cfr. enaś "di noi", nel Liber Linteus; zuci enesci "nella nostra determinazione", sul Cippo di Perugia), unum "vi" (con -m < -n per effetto della vocale labiale).
4) I numerali 
śa "quattro" e maχ "cinque" sono assurdamente invertiti: viene detto che *mach vale "quattro" e *sa vale "cinque". Questo scontenta tanto coloro che con me affermano che śa è "quattro" e huθ è "sei", quanto tutti coloro che reputano invece che valga huθ "quattro", śa "sei", per includere l'etrusco nel novero delle lingue indoeuropee.
5) I genitivi non sono formati correttamente. Così abbiamo genitivi in -e da nomi femminili in -a, cosa che va contro ogni basilare principio di conoscenza della lingua etrusca.
6) I termini pseudoetruschi *crap "bucchero nero" e *punu "nero" sono pure e semplici invenzioni; si trova una radice crap- in etrusco genuino, che ha tutt'altro significato.
7) Molte parole sono prese dal latino e almeno una dal greco. Così si ha *val "saluta" (latino vale "stammi bene") e *thalaths "mare" (greco thalatta, thalassa). 

8) La locuzone *acra *reltha "campi abbandonati" è chiaramente una deformazione del latino *agra relicta, errato per agri relicti. Lat. relictus "abbandonato" è da re-linquo "abbandono": è un composto, dalla cui errata interpretazione i medium hanno formato una radice pseudoetrusca *rel- "abbandonare". In etrusco il suffisso -θa, ça va sans dire, non marca il participio passato passivo.
9) La forma *punenth "a combattere" è una deformazione del latino pugnans "che combatte" o pugnando "combattendo".  
10) Le voci del verbo "andare" (es. *veit "va", *veet "era andata", *vetne "andò", *vet "andava", *vunt "passano") appaiono formate su esiti romanzi del verbo latino vadere, proprio come le forme italiane vado, vai, va, vanno
11) Il verbo *fer "egli porta" e il verbo *vit "vide" sono chiari latinismi.
 
12) Alcune parole non latine e non greche corrispondono nella forma a parole etrusche attestate, ma viene dato loro significato del tutto dissimile da quello accertato o supposto con ottime basi usando il metodo combinatorio e il metodo bilinguistico. Così *mec "con", *span "stima", *thepres "proteggerà". In realtà abbiamo meχ "popolo; pubblico", śpan- "piano; piatto"; Θefri(e), Θepri(e) "Tiberio", antroponimo formato dalla radice θefri-, θepri- "fiume", donde deriva anche il nome del Tevere.
13) Si notano numerose preposizioni che non hanno alcun riscontro: oltre ai già citati *etpam "per" e *mec "con", abbiamo *veve "in", *men "su", *ut "col", *thil "coi". Si vede con la massima chiarezza che *ap "da" è null'altro che il latino ab "da" (davanti a vocale). La forma *ethtve "nel", anche abbreviata in *tve, è nata da un fraintendimento di una parola di tutt'altro significato (cfr. (h)eitva "grande", etve
θaure "nel grande sepolcro"). Dove sono i locativi sintetici in -θ, -θi?
14) Si esibisce un uso inverecondo della pseudologica. Se metà delle parole sono giuste, dicono gli autori, si deduce che debbano esserlo anche le altre. Tuttavia non ne consegue: è un evidente caso della fallacia logica chiamata non sequitur

Esistono, com'è naturale attendersi dagli ambienti dell'occultismo, numerosi esempi di pseudoegiziano spiritico. Ovviamente la pronuncia è quella egittologica, che è completamente falsa e ben distante dalla realtà. Se uno spiritista usa la falsa pronuncia egittologica Ra, o una pronuncia ibrida Amon-Ra, si squalifica da sé, ma pochi entrano in un simile dettaglio. Di certo ra significa "sole" nella lingua delle Hawaii, non in quella della Terra dei Faraoni. Certo mi farebbe una profonda impressione uno spiritista che pronunciasse /re:aʿ/ o /ri:aʿ/ (pronuncia ricostruibile con sicurezza dalle trascrizioni babilonesi, il cui vocalismo persiste nel copto ), ma è chiaro che significa pretendere troppo: cose simili non accadono. Dato il basso livello culturale delle persone coinvolte, è inverosimile attendersi che siano studiose di vocalizzazione delle antiche parole egizie, che conoscano il copto e via discorrendo.

Talvolta gli stessi testimoni di una pretesa xenoglossia sono affetti da uno strano pudore. Non gli si riesce ad estorcere la citazione di una sola parola. Balbettano, nicchiano, si esprimono in termini vaghissimi. Accade proprio questo nel caso di uno xenoglosso di cui ha scritto la Thomason. Costui affermava in ipnosi di essere stato un cavaliere nella Normandia del XIV secolo. Interrogato su quale lingua parlasse, se ne uscì a dire che la sua lingua era il gaelico, una lingua celtica parlata in Irlanda e in Scozia. La Thomason si affretta a dire che tale lingua non è parlata in Normandia e non lo è mai stata in passato. Questo potrebbe non essere del tutto vero: assieme ai Vichinghi giunsero anche alcuni coloni dall'Inghilterra e altri dall'Irlanda. Questi ultimi potrebbero aver portato con sé la lingua irlandese, che avrebbe potuto essere parlata per qualche tempo in ambito domestico. Il XIV è tuttavia un'epoca troppo tarda per trovarne residui. Come se dovesse parlare di stimolazione orale dell'ano, la Thomason è imbarazzatissima e afferma che la lingua "gaelica" del cavaliere di Normandia avrebbe qualcosa del francese e qualcosa del latino, non essendo tuttavia né francese né latino. La studiosa non fornisce dettagli che possano chiarire di più, anche se trapela chiaramente che si tratta di un pastone immondo e insensato di parole biascicate. A un certo punto si legge che un parlante francese avrebbe ascoltato la glossolalia, trovandovi assonanze con la propria lingua madre. Mi pare talmente assurdo da meritare soltanto dileggio! Le frasi raccolte hanno qualcosa del francese? Bene, voglio poterle analizzare, è un mio diritto. Questo pudore non giova alla Scienza: trovo che sia necessario esporre le porcate degli xenoglossi e dei glossolalici per confutare le affermazioni di psicologi, parapsicologi ed esorcisti.

Ora domando questo agli eventuali lettori: tutte le pataccate sopra esposte dovrebbero appartenere al dominio della demonologia?

Sorprende che il CICAP non sia all'altezza di questi argomenti. Nessuno in quell'organizzazione vuole davvero sporcarsi le mani con la merda. Sulle pagine del sito del CICAP si trovano alcuni tentativi di confutazione dell'origine paranormale dei fenomeni della xenoglossia e della glossolalia (tra loro confusi, si noti). Si tratta però di tentativi appena abbozzati, condotti senza utilizzare l'arma più potente: la linguistica. Pare evidente che Piero Angela e la sua progenie non reputino la linguistica una scienza, così la considerano inutile. Si invoca dunque l'intervento del CICACICAP (Comitato Italiano per il Controllo della Affermazioni del CICAP) benemerita associazone della Nazione Oscura Caotica. Mi appello al Presidente Lukha B. Kremo affinché faccia intervenire sulla questione Roberto Quaglia, presidente onorario del CICACICAP.

giovedì 12 gennaio 2017

LE INCONSISTENZE DEGLI XENOGLOSSI E DEI GLOSSOLALICI

Il termine xenoglossia non appartiene al linguaggio della Chiesa di Roma, come molti potrebbero credere. A coniare il vocabolo a partire da radici elleniche è stato il medico e fisiologo francese Charles Robert Richet nei primi anni del XX secolo. A quanto pare, il massimo studioso di xenoglossia non deve essere cercato tra gli esorcisti della corte papalina: era lo psichiatra Ian Stevenson della University of Virginia Medical School, deceduto nel 2007. Quel luminare ha posto la distinzione tra xenoglossia recitativa (recitative xenoglossy) e xenoglossia di risposta (responsive xenoglossy). Nel primo caso il soggetto è in grado di pronunciare singole frasi, in genere brevi, senza saper conversare nella lingua straniera. Nel secondo caso il paziente è in grado di rispondere in modo sensato a domande che gli sono poste. Il professor Stevenson riteneva autentico il fenomeno e per darne spiegazione ipotizzava che in certe condizioni uno spirito incarnato potesse ricordare lingue parlate in una vita precedente. In altre parole, gli era necessario sconfinare nella religione e nello spiritismo, essendo incapace di spiegare i fatti tramite il semplice ricorso al metodo scientifico. Tutto ciò non è poi così distante dagli enunciati di Padre Amorth e di Milingo, che consideravano gli xenoglossi posseduti da Satana. La linguista Sarah Grey Thomason, dell'Università di Pittsburgh, nel 1995 ha composto sull'argomento il saggio Xenoglossy, disponibile online gratuitamente e scaricabile in formato pdf: 


La Thomason riporta alcuni interessanti casi americani di presunta xenoglossia, tra cui uno relativo allo svedese, un altro al tedesco e un altro ancora al bengali. Ne traccerò brevemente i limiti e le inconsistenze. I casi in questione sono stati studiati sul campo da Stevenson, dato che lo psichiatra non si fidava dei dati riportati in letteratura e non descritti con sufficientemente rigore. Lo studio risale al 1974, epoca abbastanza sospetta, dato il colossale abuso di sostanze stupefacenti diffuso in modo capillare in ogni strato della società americana e anche nel mondo accademico.

1) Primo caso. Una casalinga trentasettenne di cui si danno solo le iniziali non separate da punti, TE, ipnotizzata dal marito, manifestò la personalità maschile di un certo Jensen Jacoby, che si esprimeva in svedese. La donna rispondeva a domande in inglese usando l'inglese e a domande in svedese usando lo svedese - pur con qualche difficoltà di comprensione.  

2) Secondo caso. Una casalinga di nome Dolores Jay manifestò, sempre in stato di ipnosi, una fantomatica personalità maschile rispondente al nome di Gretchen, che si esprimeva in uno strana varietà di tedesco. Anche questa volta si trattava di xenoglossia di risposta, soltanto che la donna non sembrava in grado di articolare i responsi in inglese. Tuttavia se le venivano poste domande in inglese capiva e formulava proposizioni apparentemente sensate in tedesco. 

3) Terzo caso. Una donna indiana di nome Uttara Huddar, che parlava in modo fluente il marathi, senza essere ipnotizzata manifestò una personalità maschile rispondente al nome di Sharada, che si esprimeva in un bengali abbastanza buono. Alcune informazioni fornite da Sharada, così riporta la Thomason, sarebbero state verificate, permettendo di localizzare una famiglia corrispondente alle descrizioni in Bangladesh. Non si tacerà che Uttara Huddar è stata scoperta durante un ricovero in ospedale psichiatrico, dettaglio non trascurabile.     

Il punto è che tutti i soggetti in questione erano stati esposti in un qualche modo alla lingua in analisi, anche se spesso in modi non scontati. Vediamo di passare in rassegna le evidenze.

1) TE proveniva da famiglia cosmopolita di stirpe Ashkenazi, con una spiccata dimestichezza per le lingue: era abituata allo yiddish, al polacco e al russo. Si è poi scoperto che era stata esposta a una trasmissione televisiva in svedese, le cui frasi ricordava ancora a distanza di anni. La dichiarazione scritta dal marito, secondo cui lei non sarebbe stata mai esposta a una lingua scandinava, era dunque una dichiarazione mendace. La vicenda mi ricorda un film in cui John Candy aveva imparato alla perfezione lo svedese a furia di guardare film porno prodotti nel paese nordico e non doppiati!

2) Dolores Jay alias Gretchen si esprimeva in un tedesco artefatto la cui pronuncia era distorta e di origine ortografica. Così pronunciava schön "bello" come se fosse la parola inglese shown. Se avesse sentito la pronuncia tedesca genuina, l'avrebbe invece assimilata a shane. A volte distorceva una parola inglese: anziché il corretto blau "blu", utilizzava il fantomatico blü, con vocale bemollizzata. Si è poi scoperto che anni prima dello studio si era procurata un vocabolario tedesco, mandando a memoria molti vocaboli. Siccome mancava ogni guida alla pronuncia, li aveva pronunciati come erano scritti, secondo l'ortografia inglese.

3) Uddara Huddar crebbe in una città babelica dello stato del Maharashtra in cui viveva una comunità di circa 10.000 Bengalesi. Possibile che non abbia mai sentito nemmeno una parola di quella lingua? Non è affatto possibile. Deve aver quindi sviluppato almeno una competenza passiva ascoltando i discorsi della minoranza linguistica bengalese. Si scoprì che non solo era stata esposta al bengali, ma che sapeva persino scriverlo avendo letto un romanzo in quella lingua. Non era una donna incolta: aveva studiato persino il sanscrito!  

Una domanda: c'era proprio bisogna di ricorrere alla reincarnazione per spiegare simili pataccate? 

Se soltanto si indaga abbastanza a fondo, si scopre che non esiste uno solo xenoglosso che sia stato in grado di ricostruire una parte utile del lessico e anche un abbozzo di grammatica di una lingua esistente a lui del tutto estranea. Insisto sull'assoluta inattendibilità dei prodotti degli xenoglossi, che si rivelano sempre inutili ai fini della conoscenza.

Con i prodotti dei glossolalici le cose non sono molto migliori. Ricordo di aver letto molti anni fa, in epoca pre-Internet, di un caso di glossolalia che in realtà può essere definito un abuso di credulità pubblica: una ragazza molto religiosa si esprimeva nella cosiddetta "lingua di Dio", che a giudizio del suo padre spirituale sarebbe stata un idioma neolatino. L'articolista riportava che le caratteristiche erano intermedie tra il provenzale antico e il portoghese. A quell'epoca vigeva l'uso di due pesi e due misure. Se un glossolalico era cattolico, i media si mostravano creduli e spesso riportavano le opinioni favorevoli di un teologo. Se un glossolalico era di altro tipo, allora era considerato un folle e non poteva sperare di suscitare il minimo interesse in nessuno.

Ovviamente è di un'ingenuità assoluta e figlia dell'ignoranza più belluina l'idea di attribuire a Dio una lingua derivata, simile al provenzale e al portoghese, che sono chiari esiti del latino volgare. Se un religioso ammette che Dio sia la causa di ogni cosa, come potrà attribuirgli come propria lingua un idioma derivato? È chiaro che è impossibile. Postilla: tutte le lingue terrestri a noi note sono lingue derivate, inclusi l'ebraico (è una forma di cananeo) e il sumerico (le sue radici presentano segni evidenti di forte evolutività). Gli Ebrei non ebbero l'ebraico come prima lingua, e questo è dimostrato dal fatto che tale forma di cananeo non spiega numerosi antroponimi e toponimi - di cui spesso gli stessi autori dei testi biblici hanno proposto etimologie popolari (es. Babele, Noè, Sodoma, etc.). Ne consegue questo: per coerenza nessun religioso dovrebbe pensare che Dio possa avere come propria lingua tali idiomi, in tutto e per tutto umani, i cui suoni derivano da usura umana da precedenti protoforme più complesse. 

Ribadisco con forza le conclusioni già espresse in un mio precedente intervento. Se questi glossolalici producessero testi tanto sorprendenti, allora perché non vengono diffusi? Perché non si hanno dizionari e grammatiche delle varie "lingue di Dio"? Perché non circola nemmeno una frase? Semplice: perché si tratta di pastoni incoerenti, senza né capo né coda. Come se non bastasse, le persone che raccolgono tali testi sono incompetenti, non capiscono nulla di linguistica, non hanno conoscenze di alcun tipo di alcuna lingua concreta, e sarebbero capaci di definire una lingua "arabo" o "portoghese" soltanto sulla base della sua sonorità. A questo proposito, possiamo ben citare la cosiddetta glossolalia marziana, descritta nel blog Retroguardia 2.0, quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e di Giuseppe Panella:


"E’ il caso di Hélène Smith (Catherine-Élise Muller), la medium studiata e analizzata da Théodore Flournoy dell’Università di Ginevra, che parlava una lingua “marziana” simile al sanscrito e, per questo, osservata anche da de Saussure. La signorina Smith si rivolgeva a Flournoy in una lingua che la donna sosteneva derivare direttamente da Marte; successivamente la mutò in una lingua che de Saussure definì “sanscritoide” e che assomigliava a un linguaggio indiano. Ma i suoni che essa emetteva erano solo apparentemente indù – costituivano un linguaggio privato, una lingua “inventata” che andava al cuore della comunicazione aggirandola."

Immaginiamo che uno psicologo senza alcuna competenza in filologia germanica mi sottoponga il seguente testo, attribuito a uno spiritello che afferma di aver fatto parte del popolo degli Ostrogoti:

o:lu bo:lus analuth mi:nanans sinfli:ksn samiths

Si capisce all'istante che questa lingua non è gotico. Non si tratta di una xenoglossia: è una glossolalia. I motivi della classificazione del testo sono i seguenti:

1) nessuna parola ha un senso compiuto;
2) non si trova nemmeno una corrispondenza con il materiale noto;
3) la struttura grammaticale stessa è incoerente e non corrisponde alla morfologia di una frase di senso compiuto (es. non c'è un verbo in forma finita riconoscibile).

Chiunque abbia qualche conoscenza della lingua di Wulfila, anche senza parlarla fluentemente o possederne l'intero vocabolario, sa per certo che il testo prodotto, nonostante la fonotattica delle parole somigli a quella del gotico, non è formulato nella lingua dei Goti. Proprio come il grammelot di Celentano non è inglese, e qualsiasi parlante anglosassone può dirlo per certo. Che Ferdinand de Saussure affermasse che la glossolalia marziana fosse "sanscritoide" sembra implicare per certo che il linguista francese non avesse la benché minima nozione della lingua sacra dell'India. Che si potrebbe pensare di un latinista che facesse passare il testo detto "lorem ipsum" per una lingua che assomiglia al latino? Quindi tutti i linguisti "possibilisti" sono in malafede, agiscono con disonestà intellettuale e sono nella sostanza chierici traditori.

Insisto sulla limitatezza estrema dei prodotti dei glossolalici, privi di grammatica e spessissimo anche di traduzione certa, appena abbozzati, influenzati dalla fonetica della lingua in cui sono stati cresciuti. La sola eccezione a me nota è la lingua Enochiana, che pur avendo origini glossolaliche, è stata elaborata da una mente potente come quella dell'esoterista John Dee, e deve essere piuttosto definita una conlang. Se potessi occuparmi di glossolalici e xenoglossi, userei i metodi più rigorosi, tanto da rasentare la ferocia delle leggi dello spartano Licurgo e dell'ateniese Draconte. Registrerei ogni singolo fonema emesso e lo analizzerei con implacabile logica consequenziale, comminando punizioni severissime in caso di scoperta di una frode. Così dubito molto, solo per fare un esempio, che un anglofono americano che realizza /r/ come un flap e che possiede il rotacismo delle antiche /t/ e /d/ intervocaliche, possa uscirsene con una glossolalia dotata di un suono /r/ trillato come quello dell'italiano. Non mi aspetto neppure che un francese se ne esca con una glossolalia dotata di un suono /r/ trillato, dato che ha una rotica uvulare nella sua normale conversazione. Dunque gli spiriti soggiaciono agli usi fonetici delle nazioni della Terra?

domenica 8 gennaio 2017


SULLE MALATTIE DEGLI ISLANDESI 

La povertà degli Islandesi e la dispersione della loro piccola comunità su una così vasta estensione del paese, rendono quasi impossibile che i medici praticanti possano ottenere una sussistenza indipendente nell'isola. Per ovviare, per quanto possibile, a questo male, un piccolo stanziamento medico è assicurato con le spese pubbliche, e consiste in un medico sovrintendente, che ha il titolo di Landphysicus, un farmacista e cinque medici subordinati, che risiedono in differenti parti dell'isola. Il medico e il farmacista sono stanziati nelle vicinanze di Reykjavik, dove è loro fornita come residenza una casa che per forma e accomodamento è superiore alle comuni abitazioni islandesi. Indipendentemente da tale provvigione e dall'uso di un po' di terra annessa alla casa, il Landphysicus ha un salario annuo di 600 dollari reali, con la libertà di avvalersi dei profitti di ogni pratica che la sua situazione può offrire.
Il presente possessore dell'ufficio è il Dott. Klog, nato in Islanda ma educato a Copenhagen. Dei praticanti del paese, uno è stanziato sulla costa meridionale dell'isola, un altro sulla costa orientale, un terzo su quella settentrionale e due nella provincia occidentale. Il lettore comprenderà facilmente quale sia la carenza di assistenza medica del paese, tanto che si menziona che alcuni distretti, sottoposti alle cure di un singolo individuo, si estendono per circa 200 miglia lungo la costa, con una larghezza variabile da dieci a trenta miglia. Abbiamo avuto l'opportunità, mentre eravamo in Islanda, di vedere due dei praticanti del paese, entrambi uomini molto rispettabili e ben informati sulla loro professione. Uno di loro, il Sig. Paulson, era già stato notato, possedendo egli una più vasta conoscenza della storia naturale dei suoi paesani.
Con l'eccezione di tre ospedali, in cui pochi lebbrosi incurabili ricevevano assistenza gratuita, non esisteva alcuna istituzione medica sull'isola. Questi ospedali sono mantenuti a spese pubbliche e con un metodo degno di essere notato per la sua singolarità. In un certo giorno specifico, nel periodo dell'anno in cui la pesca sulle coste è più abbondante e fortunata, ad ogni barca da pesa nell'isola è richiesto di contribuire alla parte di un uomo sulla cattura che ha fatto; una provvigione è aggiunta per legge, in modo che, se il numero di pesci catturati da ogni barca quel giorno non raggiunge una quota di cinque per ogni pescatore, il contributo agli ospedali dovrà essere rimandato fino alla prossima volta, quando il prodotto di un giorno di pesca sarà uguale o eccederà questa quota.
Parlando delle malattie dell'Islanda, sarà necessario alludere soltanto a quelle che forniscono un qualche aspetto peculiare o interessante, o che sono in maniera più specifica connesse al clima e al modo di vivere degli abitanti. La dieta degli Islandesi consiste quasi solamente di cibo animale, di cui il pesce, sia fresco che essiccato, costituisce di gran lunga la più larga parte. Durante l'estate, essi hanno latte e burro in grande abbondanza; ma del pane e di ogni altro cibo vegetale c'è la più grande scarsità e, tra le classi più basse, la quasi totale privazione. La mancanza di pulizia nelle abitudini personali e domestiche della gente è stata oggetto di frequenti allusioni; è un grave impedimento alla loro situazione, la rimozione della quale potrebbe probabilmente essere compiuta tramite sacrificio di altre abitudini, ancor più essenziali alle loro esistenze confortevoli. Come effetto di queste circostanze nel modo di vivere degli Islandesi, le malattie cutanee, che insorgono da uno stato cachettico del corpo, sono incredibilmente frequenti tra loro e appaiono nelle loro forme peggiori. Lo scorbuto e la lebbra sono comuni nell'isola, ricorrendo specialmente nei distretti di Gutbringe e di Snæfell Sussols e in altre parti della costa occidentale, dove gli abitanti dipendono soprattutto dalla pesca, e dove i pascoli sono inferiori in estensione e in produzione. Lo scorbuto (kreppusot), come appare in Islanda, non presenta una peculiarità di sintomi degna di nota. La malattia si osserva ricorrere con maggior frequenza in quei periodi in cui c'è una carenza di cibo tra gli abitanti, o quando la neve e il gelo dell'inverno seguono immediatamente a una stagione autunnale umida. Per la sua cura si applica una dieta vegetale, per quanto le circostanze degli Islandesi permettano di avvalersi di un simile mezzo. Frutti di ogni tipo sono ricercati da loro; ma qualche vantaggio deriva dall'impiego della cochlearia (officinalis et darica), del trifolium repens, delle bacche e delle cime del juniperus communis, e del sedum acre; piante che sono indigene nell'isola.
La lebbra degli Islandesi (likthra, holdsveike o spitelska) esibisce, in molte circostanze, tutti i caratteri essenziali della genuina elefantiasi, o lepra arabum, ed è una malattia del tipo più formidabile e devastante. Tumori non dolenti della faccia e degli arti sono in genere tra i primi sintomi del morbo, accompagnati da gonfiori delle guandole salivari, inguinali e ascellari. Le narici, le orecchie e le labbra sono progeressivamente affette da tumefazione e deformità. La pelle, nel suo insieme o in differenti parti del corpo, diventa spessa e dura, esibendo spesso una superficie lucida o untuosa, talvolta ruvida e scabra che, in un periodo più avanzato del morbo, mostra numerose fessure e spaccature. I sensi sono di solito molto affievoliti e generalmente ricorre l'anestesia delle estremità. La voce assume una particolare raucedine e un tono nasale, spesso con gonfiore delle tonsille ma senza ostacoli alla deglutizione, fino a che la malattia è progredita grandemente nel paziente: il respiro e la materia trasudata sono estremamente fetidi, i capelli e le unghie di frequente si staccano e cadono. I tumori nelle diverse parti del corpo gradualmente diventano ulcere maligne che spurgano una materia acre ed insana. In questo stato spesso il paziente si trascina in una lunga vita o, quando la malattia ha un decorso più veloce, tutti i sintomi si aggravano rapidamente ed egli è condotto in uno stato di estrema debolezza e squallore. 
Quando si considera quanto spesso sia inefficace il trattamento di questa malattia nelle regioni più fortunate, non desterà sorpresa che in Islanda i tentativi di cura siano generalmente inutili, anche laddove possa essere ottenuta assistenza medica alle condizioni del paziente. Lassativi, diaforetici e altri mezzi, a volte persino la venesezione, sono impiegati nei primi stadi o con intenzioni di profilassi. Le piante indigene che i nativi impiegano come rimedi sono il ginepro, il vaccinium myrtillus, la rhodiala-rosea e la dryas octopetula; l'ultima di queste, in particolare, cresce in grande abbondanza nell'isola. Questi rimedi, tuttavia, sembrano essere di scarso aiuto nel contrastare qualsiasi sintomo urgente della malattia.

Non sembra esistere alcun documento scritto in Islanda sulla prima comparsa della lebbra nel paese. Il Cavaliere Bach, nella sua lettera al Dott. Van Troil sul soggetto, pensa che sia probabile che il morbo sia stato portato in Islanda dall'Asia o dal Sud
dell'Europa, al tempo delle Crociate, alle quali - egli afferma - gli Islandesi parteciparono assieme alle altre nazioni d'Europa. Dalla Storia Ecclesiastica dell'Islanda, risulta che quest'ultima affermazione non è ben fondata, ma sebbene non parteciparono alle guerre sante, gli Islandesi ebbero in quel periodo un'intima connessione con il continente Europeo. Il morbo di cui stiamo parlando, una volta introdotto, si sarebbe prontamente sviluppato, in parte per il suo carattere contagioso, ma forse principalmente per via del cibo e delle abitudini personali della gente. Nel resto dell'Europa scomparve gradualmente, come conseguenza del progressivo miglioramento nei modelli di vita in tutte le classi della società.

Le devastazioni compiute dal vaiolo in Islanda sono state tali da rendere questa malattia importante persino nella storia politica dell'isola. Introdotta dal continente in diversi periodi, e questi in genere distanti l'uno dall'altro, si è  diffusa rapidamente e nella sua forma più virulenta, producendo effetti quasi privi di paragone nella storia di questo morbo spaventoso. Il più notevole caso ebbe luogo nel 1707, durante quell'anno la mortalità ammontò, secondo la stima più accurata, a circa 16.000 anime, più di un quarto dell'intera popolazione in quel periodo. Molte simili occorrenze sono registrate nella storia dell'Islanda, sebbene nessuna ebbe effetti così estremamente disastrosi. Qualche anno fa il vaccino fu introdotto in quest'isola dalla Danimarca, ma a causa dell'esiguità della popolazione e della sua dispersione su una superficie tanto vasta, questo finì presto disperso, e al tempo del nostro arrivo (nel Maggio 1810), abbiamo trovato la pratica dell'inoculazione (vaccinazione) completamente sospesa. Vista questa circostanza, abbiamo preso con noi alcune croste di vaccino, con il progetto di raccomandare questo metodo in seguito proposto dal Sig. Bryce. Quasi immediatamente dopo il nostro arrivo, abbiamo inoculato molti bambini a Reykjavik e in seguito in altre parti del paese; avendo una comunicazione con il Landphysicus sull'argomento, abbiamo avuto la soddosfazione di sapere, prima del nostro ritorno in Gran Bretagna, che la crosta di vaccino si era fatta strada in ogni parte dell'isola. L'adozione del piano di inoculazione dalle croste, assicurerà senza dubbio agli abitanti una permanente continuità di questa benedizione.
Gli Islandesi hanno occasionalmente sofferto molto per via del morbillo, proprio come
per il vaiolo: nel 1797 seicento persone sono state uccise da questa malattia.
Non si può dire che la sifilide esista in Islanda. Singoli casi sono talvolta sorti da
comunicazione con stranieri, ma la malattia è sempre stata intercettata prima di fare qualsiasi progresso nel paese.
La psoriasi è una malattia quasi universale in Islanda, comparendo indiscriminatamente
in tutte le classi di abitanti. Nessuno stigma è associato ad essa e non sembra nemmeno che sia tentata una cura, sebbene il rimedio più efficace si trovi con tanta abbondanza nel paese.
Le affezioni viscerali infiammatorie sono molto comuni tra gli Islandesi. La natura
variabile del clima e la costante esposizione all'umidità e al freddo nell'occupazione della pesca, danno una forte tendenza ai malanni polmonari e, sul numero annuo di morti nell'isola, una percentuale molto grande è riferibile a questa causa. Questo fatto è stato accertato dall'esame di certi registri statistici, che sono tenuti ogni anno dai preti di molte parrocchie e trasmessi al Vescovo di Reykjavik. In queste affezioni polmonari e specialmente nel caso di tisi, il lichen islandicus è molto impiegato dai nativi; possiede una reputazione tra loro, che l'esperienza dei suoi effetti in altri paesi sembrerebbe garantire scarsamente. Come rimedio emolliente, tuttavia, forse è in qualche modo in grado di allevviare i sintomi e, come articolo di dieta, in quei casi può certo essere vantaggioso.
Le affezioni infiammatorie dei visceri addominali sono molto comuni tra gli Islandesi,
principalmente, forse, in conseguenza della peculiare natura della dieta a cui sono abituati. È possibile che questa disposizione sia causata dal trattamento dei bambini nella loro infanzia. Una madre in Islanda raramente allatta i suoi figli, ma li nutre con latte di vacca o di pecora, che il poppante succhia da un pezzo di straccio inumidito o da una spugna. Quando, data l'estrema povertà o altre circostanze, il latte non è disponibile, un piccolo pesce o della carne, arrotolata in un panno di lino e posta in bocca al poppante, è il sostituto più comunemente usato. La dieta degli Islandesi dà così molta disposizione ai vermi, e gli ascaridi sono osservati con particolare frequenza.

Il clima e le occupazioni della gente, in particolare quelle della pesca, rendono le affezioni reumatiche molto comuni. Si dice che la gotta ricorra occasionalmente, ma si può dubitare che non sia qualche modificazione dei reumatismi che ha ottenuto quel nome.
L'ipocondria è una malattia frequente tra i nativi dell'Islanda, indotta probabilmente
dalle circostanze fisiche della loro situazione e dal lungo confinamento nelle loro abitazioni, che è necessario durante la stagione invernale. Tuttavia il temperamento generale degli Islandesi non appare melanconico, e la vivacità del loro carattere di frequente contrasta con la miseria delle loro condizioni di vita.
Oltre alle malattie che ho già descritto, ho avuto l'opportunità di vedere, mentre ero
in Islanda, casi di epilessia, isteria, amenorrea, menorragia, asma, ittero, etc. Non ho notato alcun caso di febbre idiopatica, né intermittente, né continua, tuttavia sono stato informato che a volte appare tra gli abitanti in una forma ben definita; un effetto, senza dubbio, delle vaste estensioni di pantani e suolo palustre, che si formano anche nei distretti più popolosi dell'isola.
Un singolare morbo deve essere ancora descritto, gli effetti del quale, anche se
limitati a piccoli focolari, sono eminentemente disastrosi in tutta la loro estensione. Questa è la malattia chiamata Ginklofe dagli Islandesi, il tetano o trismus neonatorum degli scrittori medici, che invade i bambini ad una molto tenera età e quasi invariabilmente si dimostra fatale nel suo esito. Ricorre molto raramente, se non affatto, nella terraferma dell'Islanda, ma è confinato principalmente in un gruppo di isole chiamato Westmann-Eyar, situato sulla costa meridionale. La popolazione di Heimaey non arriva ad annoverare le 200 anime, ed è quasi interamente sostenuta dalla migrazione dalla terraferma; a stento si conosce di un solo caso di sopravvivenza di un bambino all'infanzia. Durante una grande parte dell'anno, l'isola è del tutto inaccessibile a causa delle tempeste, delle correnti e della natura della costa. Gli abitanti sono quindi quasi del tutto abbandonati alle loro risorse. Il principale alimento è un uccello marino, chiamato fulmar, che si procurano in grande abbondanza, usando le uova e la carne dell'uccello e salando quest'ultima come cibo invernale. Gli effetti distruttivi delle eruzioni vulcaniche del 1783 sui prodotti della pesca intorno a queste isole, hanno privato gli abitanti di questo cibo. Non hanno nessun cibo vegetale, e ci sono solo poche vacche e pecore sull'isola.
Le conseguenze disastrose di questa malattia ha indotto il Governo Danese a dare una
direttiva ufficiale al Landphysicus d'Islanda, a visitare le isole Westmann, al fine di investigare la sua natura e le sue cause. Questo gentiluomo si è recato in quelle isole durante l'estate del 1810 ed è rimasto sul luogo tre settimane. Anche se non ha visto un caso della malattia, ha ottenuto tutte le informazioni sui fatti dai preti e dagli abitanti che avevano avuto bambini. I sintomi del morbo sono in breve questi. Molto presto dopo la nascita si osservano strabismo e rotolamento degli occhi; ricorre il sussultus tendinum, e i muscoli della schiena sono spesso tesi e irrigiditi, edidentemente da un incipiente spasmo. Questi sintomi infallibilmente denotano l'avvicinarsi dell'esito della malattia. Avendo continuato durante un periodo variabile tra uno e sette giorni dalla nascita, generalmente si innesca il trisma, a volte assieme ad opisthotonos, che in senso stretto è chiamato ginklofe; a volte con emprosthotonos, a cui i nativi danno il nome di klums. Il trisma impedisce la deglutizione e quando il parossismo diventa più violento, il bambino muore. Quando ricorre il raro evento di un esito favorevole, è annunciato da una diarrea critica o da un'eruzione esantematosa, con evacuazione del meconio.
La seguente tabella, che include un periodo di 25 anni, mostra la mortalità in seguito a questa malattia nelle isole Westmann e mostra anche i giorni entro cui è avvenuta la morte.

Bambini      giorni di vita        |   Bambini         giorni di vita  

1   ............ 2               |   18 ............ 9
8   ............ 3               |   10 ............ 10
14 ............ 4               |   2   ............ 11
16 ............ 5               |   1   ............ 12
22 ............ 6               |   1   ............ 13
73 ............ 7               |   5   ............ 14
16 ............ 8               |   1   ............ 21 


Si vede, da questa tabella, che il numero di morti durante il settimo giorno superano di gran lunga le altre, e anche che sono più frequenti quelle avvenute durante il quattordicesimo giorno rispetto a quelle avvenute nei giorni immediatamente precedenti o seguenti. Dalla proporzione che questi casi di esito fatale apportano all'intera popolazione dell'isola, è probabile che siano stati pochi casi di ricovero, se non nessuno, durante il periodo incluso nella tabella. Gli abitanti non hanno fatto ricorso ad alcun metodo di cura.
Si sa che questa malattia prevale in altre parti del mondo, ed è in particolare stata
descritta nelle Indie Occidentali e nell'isola di Minorca. Esiste anche in Svizzera e in alcuni dei distretti settentrionali della Scozia, specialmente nell'isola di St. Kilda, i cui abitanti, nella loro dieta e modi di vita, somigliano molto ai nativi delle isole Westmann. Le cause scatenanti sono molto oscure. Può essere presunto, tuttavia, che devono variare in modo considerevole, quando la malattia appare in paesi tanto diversi rispetto al clima e alla situazione degli abitanti. Si può ragionevolmente supporre che la sua occorrenza nelle isole Westmann sia connessa con la dieta straordinaria dei nativi, e questo è molto probabile, dato che sembra che il morbo sia stato più frequente quando la pesca fu distrutta dall'eruzione vulcanica nel 1783. Indipendentemente da ogni effetto che la peculiarità della costituzione della madre può avere sulla prole, la pratica di dare al bambino un cibo animale forte e oleoso quasi subito dopo la nascita, creerà necessariamente irritazione dei visceri, predisponendo ad affezioni spasmodiche. Il Dott. Klog, in qualche osservazione che ha fatto sull'argomento, l'attribuisce agli effetti dell'aria marina e dell'atmosfera umida; ma, se queste cause avessero un'influenza considerevole, ci aspetteremmo che la malattia fosse più comune in diverse parti del mondo, di quanto sia in realtà riscontrato. 

Tratto da "The medical and physical journal, Volume 27. From January to June, 1812",
del dottor Henry Holland, 
traduzione in italiano eseguita dal sottoscritto.