martedì 21 agosto 2018


THE TRUMAN SHOW

Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1998
Lingua: Inglese
Durata: 103 min
Rapporto: 1,85 : 1
Genere: Commedia, drammatico, fantascienza,
    satirico
Regia: Peter Weir
Soggetto: Andrew Niccol
Sceneggiatura: Andrew Niccol
Produttore: Edward S. Feldman, Andrew Niccol,
     Scott Rudin, Adam Schroeder
Produttore esecutivo: Lynn Pleshette
Casa di produzione: Paramount Pictures, Scott
     Rudin Productions
Fotografia: Peter Biziou
Montaggio: William M. Anderson, Lee Smith
Effetti speciali: Larz Anderson
Musiche: Philip Glass, Burkhard von Dallwitz
Scenografia: Dennis Gassner

Colonna sonora: 
   1) Sonata per Piano n°11 in La maggiore K331 - Rondò alla turca - Wolfgang Amadeus Mozart
   2) Twentieth Century Boy - The Big Six
  3) Concerto per Piano n°1 in Mi minore, Opus 11 - Secondo tempo - Fryderyk Chopin
  4) Concerto per corno n°1 in Re maggiore - Wolfgang Amadeus Mozart
  5) Love Is Just Around the Corner - Jackie Davies
  6) Wiegenlied - Johannes Brahms
Interpreti e personaggi   
    Jim Carrey: Truman Burbank
    Ed Harris: Christof
    Laura Linney: Hanna Gill/Meryl Burbank
    Noah Emmerich: Marlon
    Natascha McElhone: Lauren/Sylvia
    Holland Taylor: Angela Burbank, madre di
        Truman
    Brian Delate: Kirk Burbank, padre di Truman
    Peter Krause: Lawrence
    Blair Slater: Truman da piccolo
    Paul Giamatti: direttore della sala di controllo
    Ron Taylor: Ron
    Don Taylor: Don
    Ted Raymond: Spencer
    Philip Baker Hall: direttore del Network
    Lorin Moore: bigliettaio al molo
    Kevin D. Ross: voce annunciatore in TV
    Kevin James: operatore televisivo
Doppiatori italiani   
    Roberto Pedicini: Truman Burbank
    Adalberto Maria Merli: Christof
    Francesca Guadagno: Meryl Burbank
    Roberto Draghetti: Marlon
    Lorena Bertini: Lauren/Sylvia
    Paila Pavese: Angela Burbank, madre di Truman
    Luca Dal Fabbro: direttore sala di controllo
    Massimo Rinaldi: bigliettaio al molo
    Sergio Matteucci: voce annunciatore in TV
    Bruno Conti: poliziotto

Budget: 60 milioni di dollari (USA)
Incassi al botteghino: 264,1 milioni di dollari (USA)

Trama: Truman Burbank di Seehaven sorride sempre e non sospetta nulla. È un uomo sulla trentina, pieno di entusiasmo, sposato a una tipica americana bionda. In realtà egli è il protagonista di un reality show e tutto il mondo sa tutto di lui, ma proprio tutto: ogni singolo individuo sul pianeta può guardare tramite la TV anche quando il poveretto siede sulla tazza del cesso e si pulisce il buco del culo. Se scruta la carta igienica sporca per vedere se il colore della merda è nella norma o se c'è sangue, anche il più infimo contadino del Mid West può assistere alla scena. Le sue masturbazioni sono di pubblico dominio: anche se Truman non se lo immagina, ogni sua eiaculazione è argomento di chiacchiere in circoli di carampane da New York a Los Angeles. Il villaggio in cui il giovane uomo conduce la sua vita, Seehaven, è artificiale, situato sotto una cupola asettica in cui ogni dettaglio è simulato, persino il clima. Il demiurgo di questa mostruosità è un plutocrate di nome Christof. Questo produttore di Hollywood ha pensato a tutto: per impedire a Truman di mettere il naso fuori da Seehaven gli ha indotto il terrore del mare e dei voli aerei, arrivando a far tappezzare la locale agenzia di viaggi di manifesti che esasperano i pericoli delle tempeste, di attacchi terroristici e via discorrendo. Il trauma che tiene la cavia mediatica lontano dalle acque salate è il ricordo dell'affogamento del padre, che ritorna periodicamente come un flash a squassargli il cranio. La moglie bionda di Truman è una demente futilissima con un cervello così piccolo da far sembrare soprannaturale l'intelligenza di una gallina. Ha il compito di impedire al marito di pensare, e a quanto pare ci è sempre riuscita senza neanche fargli i pompini: a Seehaven ci sono soltanto mariti e mogli che copulano una volta all'anno nella posizione del frate all'unico scopo di procreare. Il punto è che il protagonista non è affatto innamorato della fatua bionda. C'è un'altra nel suo cuore, una ragazza sensuale e ammiccante di nome Lauren, che emerge dai suoi ricordi giovanili. La sua assenza non smette mai di tormentarlo. All'epoca lui era inesperto e per una serie di sfortunate circostanze ha mancato un incontro magico, trovandosi con la vita diretta suo malgrado lungo un corso ben diverso da quello desiderato. In realtà è stato Christof ad architettare tutto, facendo rimuovere Lauren dal suo show ed appioppando al poveruomo un'insipida deficiente. Ovviamente qualcosa va storto nella programmazione e all'improvviso qualcosa cambia. Truman Burbank acquista la Conoscenza e diventa un eroe, inquieto come Odisseo, incurante della sua stessa vita. Audace come un polinesiano, sfiderà il Fato per riuscire nel titanico scopo che si è prefisso: fuggire da un mondo che ormai sa essere fittizio.


Recensione:

Certo, è una bella commediola satirica innervata di fantascienza distopica, anche se il faccione ghignante di Jim Carrey disturba un po' con le sue smorfie. Va detto che non si tratta di un'idea così originale come può sembrare a prima vista. Sono consapevole del rischio di attirarmi la furia di molti fantascientisti dall'encefalo squadrato e livellato come un cubetto di porfido, ma non tacerò. Se ben vogliamo vedere, il prototipo di questa pellicola e di altre simili è chiaramente identificabile: La fuga di Logan (Logan's Run), diretto da Michael Anderson (1976), che avremo modo di recensire a suo tempo. Derivati dalla stessa fonte sono anche The Island, diretto da Michael Bay (2005) e Moon, diretto da Duncan Jones (2009). Mi si obietterà che le trame di queste opere sono molto diverse tra loro. In realtà questo non corrisponde a verità. Diverse sono le ambientazioni e i dettagli, mentre identica è l'idea portante. Ecco la sua articolazione: 

1) Un ambiente artificiale retto da un'intelligenza demiurgica e menzognera che nasconde la realtà vera;
2) Un individuo che si rende conto di qualcosa che non quadra;
3) La presa di coscienza graduale del protagonista, che finisce col capire di essere stato ingannato;
4) La fuga del protagonista e la sua immissione nella realtà vera, a lui completamente sconosciuta;
5) La nemesi del demiurgo dell'inganno (questo punto può mancare). 

Guardate come questo schema si adatta bene a tutti i film da me menzionati.

La fuga di Logan

1) Una città sotto una cupola, che fa credere ai cittadini di essere i soli superstiti di una catastrofe nucleare. Impone la morte di ogni individuo al compimento dei 30 anni, facendo credere che i morti rinasceranno nei bambini, tutti prodotti tramite clonazione.
2) Logan 5 sa che ci sono fuggitivi e che questi sfuggono per necessità al ciclo delle rinascite; si accorge però che i fuggitivi troppo numerosi. 
3) Logan 5 capisce che il bilancio non torna: nessuno è mai rinato e tutti i morti sono perduti per sempre.
4) Logan 5 approfitta di una missione per evadere dalla città: si rende conto che tutti i fuggitivi sono morti, poi vede che non c'è stata alcuna catastrofe nucleare e trova un uomo anziano.
5) Logan 5 ritorna nella città, con la sola forza della sua volontà manda in tilt il computer-demiurgo; poi conduce il vecchio alle ragazze, che lo accolgono festanti, lo palpano, esprimono con la loro gioia il desiderio di masturbarlo e di fellarlo. 

The Island 

1) Una popolazione vive in un ambiente alienante ed artificiale, dove un'intelligenza demiurgica fa credere alle persone di essere i superstiti di una catastrofe batteriologica; mette in palio in una lotteria un posto nella fantomatica Isola, ultimo ambiente privo di patogeni.
2) Lincoln-6-Echo dubita dell'ambiente in cui vive. Nota il continuo arrivo di "superstiti" da un ambiente esterno di cui non sa nulla. 
3) Lincoln-6-Echo trova un insetto in un'area riservata e capisce che la contaminazione è una balla colossale.
4) Lincoln-6-Echo riesce a trovare il pretesto di una riparazione ed evade con successo. Si trova in un mondo simile a quello in cui viviamo. Apprende con sgomento la verità sul suo luogo di origine: lui e i suoi simili sono cloni creati per fornire organi per i trapianti, richiesti dalla gente del mondo esterno.
5) La sporca faccenda dei cloni creati come produttori di organi da trapiantare diventa di pubblico dominio e l'azienda demiurgica va in rovina: alla gente del mondo esterno era stato fatto credere che non venissero prodotti esseri senzienti.

Moon

1) Sam Bell è l'unico abitante di una base lunare adibita da una potente multinazionale all'estrazione di elio-3. Un'intelligenza artificiale demiurgica gli fa credere che alla scadenza del suo contratto ritornerà dalla sua famiglia. In realtà il protagonista è un clone, la sua famiglia non esiste, allo scadenza del contratto sarà terminato e sostituito da un altro clone. 
2) In seguito ad un incidente, Sam Bell sperimenta forti mal di testa e allucinazioni. Per caso ascolta una comunicazione dell'intelligenza artificiale, che vuole impedirgli di recarsi in una certa area del campo minerario. Cominciano i dubbi.
3) Sam Ball si reca proprio nell'area interdetta e scopre un altro se stesso privo di coscienza. Riporta il clone alla base e lo fa risvegliare. A un certo punto lui e il suo simile capiscono l'arcano: sono entrambi cloni del vero Sam Bell.
4) I due Sam Bell elaborano un complesso piano. Mentre il clone più anziano, ormai prossimo alla morte, subisce un grave incidente per far trovare il proprio corpo agli inviati della multinazionale, il clone più giovane si mette in un bidone e si fa sparare verso la Terra, scalpitando come un moccioso decerebrato. 
5) Il Sam Bell sparato sulla Terra arriva a destinazione, dice tutto ai giornalisti e fa scoppiare uno scandalo che travolge la multinazionale demiurgica, che finisce sotto inchiesta.


Arriviamo dunque a The Truman Show

1) Truman Burbank è a sua insaputa il protagonista di un reality show, prodotto dal demiurgo Christof. Tutto ciò che vive e sperimenta nella sua nativa Seehaven è illusione. La sua esistenza è un fake che serve solo ad incrementare l'audience del programma.
2) Truman Burbank si rende conto che alcuni dettagli sembrano artificiali, come ad esempio una donna con una carrozzina e un maggiolino giallo ammaccato che percorrono all'infinito la stessa via, quasi rincorrendosi.
3) Dopo numerosi tentativi fallimentari di fuga, Truman Burbank capisce l'arcano. Vede ricomparire suo padre, che credeva morto. Uscito da Seehaven, si rende conto che vengono scatenati incendi e addirittura un incidente nucleare pur di fermarlo. Quando una guardia a lui del tutto ignota lo chiama per nome, il protagonista ha la conferma più chiara della natura illusoria della sua esistenza.  
4)
Rubata un'imbarcazione, Truman Burbank si dirige al largo e trova letteralmente i confini dello studio cinematografico, con una porta attraverso cui passa nel mondo vero.
5)
Christof non subisce nemesi, si limita a riorganizzare il suo reality show.

Non vedete che si tratta sempre della stessa identica storia?


Indebita attribuzione di paternità 

A quanto ho appreso nel Web, la paternità del soggetto di The Truman Show è attribuita all'episodio 23 della prima serie della fortunata serie televisiva The Twilight Zone, conosciuta in Italia come Ai confini della realtà. L'episodio in questione si intitola L'avventura di Arthur Curtis (l'originale è A World of Difference) e risale al 1960. Riporto sinteticamente la trama.

Un manager di successo, Arthur Curtis, è felicemente sposato e ha una figlia. La sua vita è piena e non è turbata nemmeno da un'ombra. Un giorno, mentre sta trafficando per prenotare un viaggio a San Francisco con la sua amatissima famiglia, quando si accorge che il telefono non funziona (all'epoca non esistevano gli smartphone!). Alzata la cornetta sente una voce imperiosa che urla "STOP!" (nella versione originale "CUT!"). Di colpo le pareti della stanza si dissolvono e il manager ha davanti a sé il set di un film. Il regista aggressivo lo apostrofa. Tutti si rivolgono a lui chiamandolo Gerald (Gerry) Raigan e lo considerano un attore. A quanto pare è così, anche se lui trasecola in preda allo shock: l'intera vita di Arthur Curtis è soltanto il copione di un film! Ecco che arriva una donna fascinosa e volitiva, una bionda amazzone che si scaglia come una furia contro l'uomo ancora in preda al trauma: è Nora, l'ex moglie di Gerry Raigan, che pretende da lui la firma di un assegno milionario. A quanto pare l'uomo è un alcolizzato terminale e la sua vita sta andando a rotoli. Cerca di fare di tutto per dimostrare di essere Arthur Curtis, ma alla fine dave cedere. Il suo agente gli mostra il copione del film Il mondo privato di Arthur Curtis, cosa che annichilisce gli ultimi barlumi di forza dell'uomo già annichilito. L'untuoso agente dice anche che la produzione è stata cancellata e che lo studio sta per essere smantellato. In preda alla disperazione, Curtis si siede, si abbandona al torpore e... sparisce. Ritorna per incanto nel suo mondo, lasciandosi l'incubo alle spalle.

Come si può vedere, c'è soltanto un elemento in comune con The Truman Show: l'idea di un uomo la cui stessa vita è in realtà uno spettacolo televisivo. Le differenze sono abissali. Le elenco: 

- Christof ha gestito l'esistenza di Truman fin dal concepimento, guidandone scientemente ogni passo dalla nascita, per anni. Lo ha coltivato come una piantina ornamentale, o come un pollo.
- Il regista del film su Arthur Curtis, l'agente e i produttori non manipolano in alcun modo Gerald Raigan. Anzi, si stupiscono moltissimo del fatto che si identifichi nel protagonista del film. 

- Truman sospetta che il suo mondo è finto e cerca di uscirne.
- Arthur Curtis si trova catapultato in un mondo che non è il suo, senza il minimo preavviso. Non c'è alcun processo di acquisizione della Conoscenza. Anzi, il salto in un altro mondo rischia di annientarlo.

- La salvezza per Truman è l'uscita da Seehaven e l'ingresso nel mondo vero.
- Per Arthur Curtis il mondo in cui si gira il film sulla sua vita è dannazione, è Inferno. La Salvezza è il ritorno a casa, dalla propria famiglia.

- Truman fino a un certo punto ignora l'inganno, mentre lo spettatore sa tutto su Christof e sulle sue diavolerie.
- L'intera vicenda di Arthur Curtis è oscurissima e potrebbe spiegarsi scientificamente in due modi:
  i) Dal punto di vista del mondo di Curtis, il mondo di Raigan è un'esperienza onirica insolitamente vivida, un incubo denso che alla fine si conclude.
  ii) Dal punto di vista del mondo di Raigan, il mondo di Curtis è un'allucinazione unita a profonde amnesie dovuta all'alcolismo: possono essere sintomi di sindrome di Korsakov. La scomparsa di Raigan si può spiegare facilmente, visto che molte persone colpite da demenza scompaiono e non le si riesce a trovare più.

Come si può vedere, The Truman Show non c'entra proprio nulla con A World of Difference. Se paragoniamo il soggetto di Niccol a un virus, al massimo l'episodio 23 della prima serie di The Twilight Zone ha dato qualcosa alla guaina proteica, non certo al corredo genetico.

Banalità varie

Salta subito all'occhio che Truman è semplicemente un True Man, ossia "Uomo Vero", "Uomo Sincero" - probabilmente anche nell'accezione di "sempliciotto". Per contro il nome del Demiurgo Christof è stato analizzato come Christ-Off. La vulgata corrente, un po' tirata per i capelli, interpreta questa singolare formazione come un sinonimo di Antichrist "Anticristo".

Spunti gnostici e occasioni perse 

L'idea della realtà come inganno prodotto da un potente demone è alla base del credo degli Gnostici dell'epoca antica. Proprio il cinema l'ha sfruttata in non poche occasioni, ma purtroppo senza comprenderla appieno. Tutti i film che abbiamo menzionato hanno una caratteristica assai fastidiosa, che ricorre molto di frequente nel cinema. Si tratta di una fede ingenua nelle capacità umane. Tutto si fonda sull'idea che non soltanto l'aver compreso gli inganni del Demiurgo porti all'invulnerabilità, ma che addirittura possa provocare la fine del suo Regno. Nel mondo dei Puffi funzionerebbe di certo, dato che la minaccia più terribile è Gargamella. In realtà Christof avrebbe trovato un modo estremamente semplice ed efficace per lobotomizzare Truman e rendergli impossibile la fuga. Con il suo immensa potere lo avrebbe potuto fermare subito o correggere senza farlo sapere al pubblico, al primo insorgere di una qualsiasi stravaganza. Ovvio, su queste basi il film non sarebbe stato girato. Anche The Island e Moon hanno un finale di una stupidità sconvolgente: davvero si può credere che possa scoppiare uno scandalo in grado di fermare un organismo complesso e potente come una multinazionale? A quanto pare i vari registi non sanno che esistono i killer aziendali! 

giovedì 16 agosto 2018


PI GRECO - IL TEOREMA DEL DELIRIO

Titolo originale: Π
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 1998
Durata: 84 min
Dati tecnici: B/N
Genere: Thriller
Regia: Darren Aronofsky
Soggetto: Darren Aronofsky, Sean Gullette, Eric
     Watson
Sceneggiatura: Darren Aronofsky
Produttore: Darren Aronofsky, Eric Watson, Scott
     Vogel
Fotografia: Matthew Libatique
Montaggio: Oren Sarch
Musiche: Clint Mansell
Animazione: Dan Moss
Costumi e guardaroba: Eric "Shorty" Meyerson
Interpreti e personaggi:
    Sean Gullette: Maximillian Cohen
    Mark Margolis: Sol Robeson
    Ben Shenkman: Lenny Meyer
    Pamela Hart: Marcy Dawson
    Stephen Pearlman: Rabbino Cohen
    Samia Shoaid: Devi
    Ajay Naidu: Farrouhk
    Kristyn Mae-Anne Lao: Jenna (la bambina)
    Espher Lao Nieves: La madre di Jenna
    Joanne Gordon: La Signora Ovadia
    Lauren Fox: Jenny Robeson
    Stanley B. Herman: L'uomo senza baffi
    Clint Mansell: Fotografo
    Tom Tumminello: Ephraim
    Henri Falconi: Studente della Kabbalah
    Iisaac Fried: Studente della Kabbalah
    Ari Handel: Studente della Kabbalah
    Oren Sarch: Studente della Kabbalah
    Lloyd J. Schwartz: Studente della Kabbalah
    Richard Lifschutz: Studente della Kabalah
    David Strahlberg: Studente della Kabbalah
    Peter Cheyenne: Brad
    David Tawil: Jake
    J.C. Islander: Uomo che presenta la valigia
    Abraham Aronofsky: Uomo che consegna la
         valigia
    Ray Seiden: Vigile
    Scott Franklin: Voce del Vigile
    Chris Johnson: Guidatore di Limousine
    Sal Monte: Re Nettuno
Doppiatori italiani:   
    Massimo Rossi: Maximillian Cohen
    Enrico Di Troia: Lenny Meyer
    Anna Cesareni: Marcy Dawson
Colonna sonora:    
    Clint Mansell - πr2
    Orbital - P.E.T.R.O.L.
    Autechre - Kalpol Introl
    Aphex Twin - Bucephalus Bouncing Ball
    Roni Size - Watching Windows
    Massive Attack - Angel
    Clint Mansell - We Got The Gun
    David Holmes - No Man's Land
    Gus Gus - Anthem
    Banco de Gaia - Drippy
    Psilonaut - Third from the Sun
    Spacetime Continuum - A Low Frequency
          Inversion Field
    Clint Mansell - 2πr
Premi:
1) Thessaloniki Film Festival - premio FIPRESCI con menzione speciale (1998)
2) Sundance Film Festival - Premio alla regia (1998)
3) Málaga International Week of Fantastic Cinema - Premio come menzione speciale (1999)
4) Independent Spirit Awards 1999: miglior sceneggiatura d'esordio
5) Independent Spirit Awards - Miglior film di debutto
6) Gotham Awards - Premio Open Palm al regista (1999)
7) Gijón International Film Festival - Grand Prix Asturia al regista (1999)
8) Florida Film Critics Circle Awards - premio FFCC rivelazione dell'anno al regista (1999) 

9) Fant-Asia Film Festival - terzo posto come miglior film internazionale (1999)
10) Deauville Film Festival - Candidato come Grand Special Prize (1999)
11) Chlotrudis Awards - candidato al premio Chlotrudis Award come miglior film

Budget: 68.000 dollari USA
Incassi al botteghino: 3.221.152 dollari USA

Trama:
Quando era bambino, Maximilian Cohen fu sempre avvertito dalla madre, che gli diceva in continuazione di non fissare mai il sole. A sei anni disobbedì, fissò a lungo l'astro diurno e ne ebbe un grave trauma. Fu invaso dalla luce solare diretta e sperimentò una cecità temporanea. Riacquistò la vista, ma fu cambiato per sempre: da allora i suoi pensieri ebbero un corso diverso, che lo separava dal resto del genere umano. Si ritrovò capace di compiere calcoli complicatissimi col solo aiuto della sua mente. Cominciò a soffrire di emicranie atroci. Per mitigare l'insopportabile dolore, acquisì l'abitudine di assumere dosi massicce di antidolorifici di ogni tipo. Crescendo divenne un genio della matematica, ma a causa delle allucinazioni e dei lampi di dolore che gli laceravano il cranio, ebbe la vita di un sociopatico paranoico, ai confini con la pazzia furiosa. In queste condizioni lo vediamo già nelle scene iniziali della pellicola, immerso in una tenebra densa e assoluta. La vita di Max Cohen è dominata da un'ossessione che non gli concede un solo attimo di respiro, privandolo anche del sonno. Egli è convinto che ogni singolo evento, ogni singolo ente nel vasto Universo sia codificato tramite il linguaggio della matematica: a questo punto basterebbe comprendere gli schemi numerici che emergono dall'analisi di qualsiasi situazione per avere la Conoscenza suprema. Non essendo religioso, il protagonista si dedica a qualcosa di molto concreto e materiale: la predizione delle quotazioni di Wall Street. Frustrato dal suo insuccesso, il matematico si reca in un bar, dove si imbatte in un ebreo ortodosso della setta dei Chassidim, che lo intrattiene con alcuni semplici giochetti numerici volti a dimostrare che la Torah è un codice che contiene tutti i segreti della Creazione. Prima di collassare, il suo computer vomita una sequenza di 216 cifre, senza alcun significato discernibile. Molti si interessano a questa scoperta. L'unica persona che possa aiutare Max è l'attempato amico Sol Robeson, anch'egli un matematico. Preoccupato per la salute mentale del giovane, Sol cerca di convincerlo ad abbandonare ogni tentativo di trovare schemi nell'Universo; eppure gli confida di essersi imbattuto nello stesso numero di 216 cifre da giovane, nel corso delle sue ricerche. A questo punto i Chassidim rapiscono Max, conducendolo al cospetto del loro capo, un rabbino che di cognome fa Cohen proprio come il nostro matematico. A questo punto viene svelato l'arcano: il numero di 216 cifre rappresenta il Vero Nome di Dio, la cui conoscenza permetterebbe alla setta di studiosi della Kabbalah di ricostruire il Tempio di Gerusalemme e di ripristinare l'Ebraismo sacerdotale, arrivando quindi a dominare il mondo. Disgustato da questi deliri, Max Cohen riesce a fuggire. Ritiratosi nel suo bagno si perfora il cranio con un trapano.     

Recensione:  
Nonostante questo film sia stato prodotto con grande scarsità di mezzi, lo trovo senz'alcun dubbio eccellente. La scelta del bianco e nero proietta in un universo di disperazione, in cui nemmeno una singola particella di luce può trovare la sua via senza perdersi negli Inferi. Come rivelazioni agghiaccianti, compaiono immagini di un cervello nudo e zeppo di coaguli, finito in mezzo all'immondizia, poi nel lavandino, le sinapsi e i neuroni agonizzanti eppure incapaci di morire! La materia grigia viene dilaniata, quasi una premonizione del trapano che penetrerà in una tempia del protagonista. La matematica, con gli inquietanti misteri delle infinite cifre del Pi greco e della sequenza di Fibonacci, è la vera protagonista di questo thriller scientifico che a quanto ne so non ha precedenti nella storia del cinema. Proprio la matematica si dimostra capace di squarciare il tessuto stesso della realtà, aprendo una fessura da cui fa la sua irruzione il Mostro della Follia. Non per niente Sean Gullette, l'attore che ha interpretato Max Cohen, è stato segnato dalle riprese e ha dichiarato che il film è "una storia di Faust digitale".       

Il Nome di Dio

Se la sequenza di cifre mostrata nel film fosse davvero il Vero Nome di Dio, a rigor di logica, seguendo i princìpi della Kabbalah, potremmo convertirlo in lettere - ossia in consonanti dell'alfabeto ebraico. Questo dovrebbe essere immediato, dato che ad ogni consonante dell'alfabeto ebraico è associato un valore numerico univoco. Una volta compiuta quest'opera, dovremmo vocalizzare le 216 lettere così ottenute. Non dovrebbe essere un'impresa molto difficile. A questo punto, dato che i cultori della Kabbalah chiamano Dio l'Artefice di questo mondo, sapremmo come bestemmiarlo al meglio, coprendo il suo Vero Nome di maledizioni senza fine, ogni volta che ci alziamo e ogni volta che ci corichiamo. Perché, vedete, sarebbe proprio a quella sequenza di sillaba che potremmo attribuire ogni Male, ogni abominazione, ogni aberrazione che costituisce la sostanza di questo mondo schifoso. Questo sarebbe il nome cifrato del Boia Cosmico: 

94 143 243 431 512 659 321 054 872 390 486 828 512 913 474 876 027 671 959 234 602 385 829 583 047 250 165 232 525 929 692 572 765 536 436 346 272 718 401 201 264 314 754 632 945 012 784 726 484 107 562 234 789 626 728 592 858 295 347 502 772 262 646 456 217 613 984 829 519 475 412 398 501

A parte il fatto che sono 218 cifre, non 216, vediamo che c'è una difficoltà non da ridere. Lo zero non era concepibile quando l'alfabeto cananeo fu inventato. La conversione dei numeri in lettere non è così banale: occorre fare il calcolo delle unità, delle decine, delle centinaia e delle migliaia partendo dalla fine del numero, tanto grande da non poter avere radici nell'intuizione umana. A un certo punto nel film vediamo sullo schermo di un computer antidiluviano alcune sequenze numeriche convertirsi in brani della Torah in caratteri della scrittura rabbinica quadrata, con tanto di vocalizzazione masoretica delle parole. Non sembra però trattarsi della stessa sequenza numerica identificata con il Nome di Dio, che vediamo vomitata dalla macchina poco dopo, in un punto successivo del film. Ovviamente Aronofsky ha inventato tutti questi numeri di sana pianta, sarebbe vano cercarvi significati profondi.  

Discontinuità ineliminabile 

Il protagonista si chiama Cohen, parola che in ebraico significa "sacerdote". Lo stesso cognome, comunissimo tra gli Israeliti, è portato dal Rabbino Capo, che sogna la restaurazione del culto officiato dai Kohanim, i Sacerdoti, nel Tempio di Gerusalemme. Nonostante la grande diffusione del cognome Cohen, i segreti dell'Ebraismo sacerdotale sono andati perduti con la distruzione del Secondo Tempio ad opera di Tito nel 70 d.C.: l'Ebraismo rabbinico non ne è la continuazione diretta. Ciò che i Cabalisti possono fare è soltanto esercitarsi in costruzioni esoteriche in apparenza sorprendenti, ma in realtà fondate su una logica estremamente fragile. In pratica il loro lavoro consiste nel cavare sangue dalle rape. Il sogno messianico dei settari cultori della Kabbalah che vediamo nel film è irrealizzabile. È una futile velleità, proprio come il sogno dei Neopagani, che negli ultimi secoli si illudono di poter ripristinare gli antichi culti politeisti. Solo per fare un esempio, in Islanda e altrove esiste una congrega chiamata Ásatrú, che afferma di avere una continuità diretta con la religione precristiana. Tuttavia vediamo che questi non sono veri devoti degli Asi: sono persino incapaci di sacrificare un ariete a Thor! Il loro è un panteismo di sapore New Age, che considera gli Dei manifestazioni simboliche dell'Uno-Tutto, concetto che gli Islandesi non avevano. Tra le genti del Nord, Thor era concepito come un essere reale fatto di carne e di ossa, che ingurgitava montagne di cibo e defecava producendo masse di stronzi fumanti, un essere dotato di un colossale fallo in grado di penetrare e di eiaculare. Un essere che esigeva sangue di vittime, anche umane. Senza i blót, ossia i sacrifici, la religione antica non ha il benché minimo senso. Cosa sono dunque questi pseudopagani che si cagano addosso dalla paura di fronte alla furia isterica degli animalisti? Nonostante gli Israeliti siano molto rigorosi nel separarsi dai Gentili e dai culti idolatrici, il ragionamento che si può applicare loro non è affatto diverso da quello appena esposto. Se un rito, quale che esso sia, non è tramandato da persona di carne a persona di carne, è privo di qualsiasi valore. La trasmissione diretta è irrinunciabile. Non si può rabberciare qualcosa a partire da testi antichi o meno antichi, pretendendo poi di aver rifondato un culto estinto. Se il fuoco del Santuario di Vesta è stato spento, il culto di Roma è estinto. Se il Secondo Tempio è stato distrutto, non si può edificare il Terzo Tempio profetizzato da Ezechiele. Inutili sono i sogni pantocratici di futuribili Kohanim. Se l'Eterno risiedeva nel Primo Tempio, com'è possibile che Nabucodonosor abbia raso al suolo una così augusta dimora? Nabucodonosor mangiava e smerdava, era un semplice uomo di carne. Se l'Eterno risiedeva nel Secondo Tempio, com'è possibile che Tito abbia raso al suolo una così augusta dimora? Tito mangiava e smerdava, era un semplice uomo di carne. La verità è ben chiara: l'Eterno non può far tornare liquido un uovo rassodato o far rivivere un fuoco estinto, come non lo può fare Thor, come non lo può fare Vesta.

L'illusione della Ghematria

I miti biblici come quello della Torre di Babele sono soltanto creazioni di uomini che vissero millenni fa. L'ebraico è una lingua derivata, come tutte le altre lingue di questo mondo, antiche e moderne. Non contiene codici preferenziali in grado di codificare numericamente la realtà: qualsiasi schema vi si trovi ha la stessa consistenza della pareidolia che mi fa vedere i teschi nei disegni caotici delle venature del marmo. L'ebraico è una lingua cananea come il fenicio, è un parente stretto della lingua di Cartagine. In pratica i Moabiti e gli Ammoniti, mortali nemici di Israele, parlavano dialetti dell'ebraico. Le sue vocali hanno subìto una rotazione, alcune sue consonanti finali si sono affievolite e sono scomparse, altre consonanti sono mutate secondo regole ben precise. Ecco una lista di parole ebraiche con le protoforme semitiche ricostruite su basi solidissime, da cui vediamo come i trucchetti ghematrici e cabalistici cessino di funzionare non appena andiamo un po' indietro nel tempo:

'abh "padre" deriva dalla protoforma *ɁABBU
'em "madre" deriva dalla protoforma *ɁIMMU 
yeled "bambino" deriva dalla protoforma *WALDU
'el "Dio" deriva dalla protoforma *ɁILHU 
'eloah "Dio" deriva dalla protoforma *ɁILA:HU
yayin "vino" deriva dalla protoforma *WAINU
shor "bue" deriva dalla protoforma *ΘAURU
shalom
"pace" deriva dalla protoforma *ŠALA:MU
kerem
"vigna" deriva dalla protoforma *KARMU 

Come può dunque una lingua derivata essere la cifra la Creazione? Semplice: non può. Guardate bene, se non ci credete. La consonante iniziale w- è diventata y-: ebr. yayin "vino" deriva da una protoforma semitica *WAINU-, che è molto simile a quella che troviamo in indoeuropeo occidentale, *WOINO-. Evidentemente si tratta di un prestito (con ogni probabilità protosemitico e protoindoeuropeo occidentale hanno preso la parola da una terza lingua non identificata). Così vediamo che la fricativa postalveolare Š del protosemitico e la fricativa interdentale Θ si sono confuse in Š nell'ebraico. La protoforma semitica ΘAURU "bue" è molto simile a quella che troviamo in indoeuropeo occidentale, *TAURO- / *(S)TEURO- "toro". Evidentemente si tratta di un prestito (con ogni probabilità protosemitico e protoindoeuropeo occidentale hanno preso la parola da una terza lingua non identificata). La potenza della filologia smaschera i Cabalisti! 

NDE

Il trapano che buca la scatola cranica di Max Cohen non è la fine di tutto. Almeno non del film. Il matematico si ritrova con la figlia di una vicina di casa, una vivace bambina che lo tedia senza requie chiedendogli di eseguire a mente una moltiplicazione. Con sua grande sorpresa, la sua mente, un tempo acutissima, è ridotta all'impotenza. Non gli riesce nemmeno più di fare operazioni banali. Un silenzio assoluto è calato su di lui come un maglio dal cielo. La sua afflizione lo abbandona, così riesce a sorridere, per la prima volta nel corso della sua infernale esistenza. Queste sensazioni sono forse le ultime reazioni dei neuroni morenti? Il film si conclude con un ultimo quesito della bambina invadente e molesta: quanto fa 748 diviso per 238. Il risultato non viene rivelato, ma è proprio il Pi greco!

Cineforum Fantafilm

Il presente film di Aronofsky è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 10 ottobre 2005. Purtroppo non sono riuscito ad esserci in quell'occasione e ho potuto vedere il film soltanto nell'agosto 2018.

lunedì 13 agosto 2018

LA GUERRA DEGLI STRONZI

Ora che tutto volge al termine, sento di dover riferire, sia pur sommariamente, gli eventi di cui sono stato testimone.

La guerra ebbe inizio nel mese di marzo del 2016, allorché gli stronzi deposti dagli allogeni presero improvvisamente ad assalire i loro corrispettivi cacati dagli indigeni.

Nessuno sa per quale ragione ciò accadde, fatto sta che nei centri abitati scoppiarono violenti tafferugli fra stronzi.

Sulle prime si trattò di risse che coinvolgevano decine di individui, poi la situazione degenerò e gli scontri si tramutarono in vere e proprie battaglie cui presero parte migliaia di contendenti.

Le strade divennero in breve tempo impercorribili. Per ogni stronzo che perdeva la vita, subito dalla fogne ne scaturivano altri cinque.

Durante una delle rare tregue, mi avventurai all'aperto. Il questore mi aveva supplicato per telefono di raggiungerlo con urgenza presso il suo ufficio.

Prima di uscire, indossai una mascherina per proteggermi dai lezzi nauseabondi che ammorbavano le strade.

I marciapiedi erano ricoperti da un denso strato di feci.

Gli stronzi uccisi in battaglia si disfacevano per poi amalgamarsi sotto diversa forma e, nel volgere di poche ore, riprendevano la lotta nei rispettivi schieramenti.

Vidi un assembramento di stronzi nei pressi del Duomo: erano così numerosi che la piazza ne traboccava.

Nel varcare l'ingresso della questura, notai una figura accovacciata accanto a uno schedario. Doveva trattarsi di un archivista uscito di senno: dopo che ebbe defecato, lo vidi infatti ingoiare l'escremento appena deposto. Accortosi che lo stavo osservando esclamò:

"Uno stronzo di meno sulla faccia della terra!".

Mi diressi senza esitazioni al piano superiore.

Sui gradini dello scalone giacevano i corpi senza vita di una decina di stronzi. Il puzzo era atroce.

La porta dell'ufficio del questore era chiusa a chiave dall'interno, bussai ed egli venne ad aprirmi.

"Si sieda", mi disse in tono grave, "La situazione è disperata ma non possiamo e non dobbiamo cedere allo sconforto. La collettività si aspetta molto da noi."

"Forse troppo".

"Abbia la compiacenza di risparmiarmi, per una volta, le sue battute sarcastiche. L'ho convocata per affidarle un importante incarico."

"La ascolto."

"Lei dovrà infiltrarsi fra gli stronzi."

"Scusi ma non credo di aver afferrato."

"Non è stato forse addestrato a questi incarichi?"

"Si, ma stavolta non vedo come potrei assolvere a una simile missione."

"Sta a lei trovare il modo."

"A parte il fatto che quand'anche mi truccassi da stronzo non risulterei credibile e verrei immediatamente individuato come un elemento estraneo, che senso avrebbe la mia infiltrazione? Gli stronzi non parlano, non si scambiano informazioni."

"Mi sta dicendo che non intende obbedire al mio ordine? Si rende conto che questa è insubordinazione?"

"Dottore, la merda ha superato da tempo i livelli di guardia. Lei trascorre il suo tempo barricato in questo ufficio e non ha una chiara visione di quanto accade all'esterno. La questura è deserta: ci siete solo lei e un archivista impazzito che inghiotte i propri escrementi. Gli agenti si sono volatilizzati tutti quanti."

"Insubordinazione e disfattismo!"

"Siamo realisti: gli stronzi hanno preso il sopravvento."

"No! Non tutto è perduto! Chiameremo a raccolta la società civile!"

"La società civile contribuisce ogni giorno a produrre nuovi stronzi. L'unica soluzione consisterebbe nel non defecare, ma ciò è impossibile."

Il questore chinò lo sguardo sconsolato.

"Con tutti questi stronzi in circolazione, c'è il serio rischio che la civiltà si estingua, e noi con essa."

"Quegli stronzi non sono piovuti dal cielo, li abbiamo fabbricati noi. Sono usciti dai nostri culi."

"Non vi è dunque rimedio?"

"Fino a pochi mesi fa l'umanità cacava indisturbata, tirava lo sciacquone e tanti saluti allo stronzo. Oggi non è più così: gli stronzi tornano a noi come altrettanti boomerang.

E siccome smettere di cacare non si può, lei capisce che non c’è soluzione. Finiranno col sopraffarci.”

Il questore mi guardò dritto negli occhi e sospirò.

“Capisco. Siamo nella merda!”

Pietro Ferrari, agosto 2018

sabato 11 agosto 2018

L'ESTATE DEI MORTI

“Oh Signùr, al Giulio l’ha mort! Aiüt, aiüt!”
Pavia, venerdì 8 giugno 2018, ore 10 del mattino: le grida della signora Ernestina, vedova settantacinquenne, risuonano altissime in Viale Gorizia. L’anziana donna, affacciatasi sull’uscio di casa, ha appena scorto nel cortile dell’abitazione del vicino il corpo di quest’ultimo riverso sull’erba, a faccia in giù. Due cornacchie zampettano attorno alla figura esanime, beccandola sulla testa. Le urla di Ernestina attirano l’attenzione di un messo comunale che in quel momento sta percorrendo Viale Gorizia.
“Sciùra, sä süceda?”
“L’ha mort al Giulio, gh’è i crov che 'lä mangiän!”
Il messo compone immediatamente il 112; dopo una decina di minuti sopraggiungono un’ambulanza e una volante della polizia. Il paramedico non può far altro che constatare la morte del pensionato e chiedere l’intervento di una vettura per il trasporto della salma alla camera mortuaria di Via Forlanini. 

“Giovane, i morti vanno trattati con rispetto, tienilo sempre a mente.”
L’uomo che ha pronunciato queste parole si chiama Attilio Ceriani e presta servizio all’obitorio da oltre vent’anni. Il giovanotto che sta istruendo, invece, è alle prime armi.
“Dai morti c’è sempre da imparare, ricordati. Non devi averne paura, abituati a stare in loro compagnia. E mi raccomando, non ridere mai in presenza dei parenti dei defunti! Hai capito Sergio?”
“Capito.”
“Se ti viene da ridere, devi fissare un punto sulla parete, che so io, una macchia di muffa, e concentrarti su quello.”
“Guardare il muro?”
“Funziona.”
“E con gli stranieri?”
“Anche.”
“No, volevo dire: come mi devo comportare?”
“Normalmente. Mostrati serio ma non accigliato. Sii moderatamente affabile.”
Dallo sguardo del neoassunto, Ceriani intuisce che questi ignora il significato del termine.
“Sii cortese”, rettifica, “Parla solo quando interpellato. Tu parli da solo?”
“A volte.”
“Non prendere l’abitudine di parlare coi cadaveri se no poi diventa un vizio.”
“Ma se non posso parlare coi morti, con chi parlo?”
“Parla dentro la tua testa.”
“E come si fa?”
“Imparerai. Intanto devi prendere confidenza con i cadaveri. Questo è molto importante.”
“Cosa devo fare?”
“Devi stare in loro compagnia e non averne paura. Per esempio, ci sono persone che hanno timore di dare le spalle a una barella con sopra un morto. Questo non va bene. E’ una paura che va superata. Lo senti questo odore?”
“Sì.”
“Dovrai farci l’abitudine. Questo è il tuo nuovo mondo. Ti piace?”
“Non tanto.”
“Hai passato troppo tempo all’aria aperta. Il sole fa male, meglio i posti chiusi: sotterranei, cripte. Qui non ti annoierai, te l’assicuro… C’è sempre gente che va, gente che viene. Morti sempre nuovi e relativi parenti. Stai solo attento al personale delle pompe funebri!”
“Perché?”
“Non dar loro confidenza. Non parlare mai più del necessario. Rammenta: è dei vivi che devi avere paura, non dei morti!”
In quel preciso istante si ferma dinanzi all’ingresso la vettura per il trasporto delle salme.
“Che ti dicevo, Sergio? Forza, al lavoro!”
Il fu Giulio viene prontamente scaricato e collocato su una barella zincata nel salone di osservazione.
“Ora del decesso? La trovi scritta su quel documento.”
“Otto del mattino”
“Bene, questo signore resta qui sino alle otto di domattina, dopo di che va nella cella refrigerata, chiaro?”
“Agli ordini!”
Alle 7 dell’indomani, all’atto dell’apertura della camera mortuaria, Ceriani avverte una strana sensazione. Si dirige immediatamente verso il salone, accende la luce: ai piedi della barella zincata su cui, il giorno precedente, era stata deposta la salma del pensionato ora ce ne stanno altre tre.
I cadaveri giacciono nudi uno accanto all’altro, sul pavimento.
“Sergio, vedi anche tu quel che vedo io?”
“Sono uguali.”
“Sì, uguali fra loro… e al morto sulla barella.”

Ore 8, Dipartimento di Medicina Legale

“Non me la raccontate giusta: i cadaveri erano quattro anche ieri sera”.
Il dottor Fulcis lancia un’occhiata severissima agli addetti alla camera mortuaria.
“Le assicuro di no - ma prima di continuare le chiedo di osservarli bene.”
Il medico forense rivolge la propria attenzione alle quattro salme disposte nella sala anatomica. Passa dall’una all’altra, più volte.
“Che razza di scherzo è questo?”
“Me lo dica lei”, risponde Ceriani, “io so solo che ce n’era uno e stamane sono diventati quattro.”
“Esigo sapere esattamente com’è andata.”
“Ieri hanno portato un morto, l’abbiamo sistemato normalmente. Stamattina all’apertura abbiamo trovato altri tre cadaveri uguali al primo.”
“L’originale dov’era?”
“Sulla barella, dove l’avevamo posato.”
“E gli altri?”
“Per terra.”
“In che stato erano?”
“Come li vede ora: rigor mortis.”
In quel preciso istante, il telefono posto sulla scrivania prende a squillare. L’assistente di Fulcis solleva il ricevitore.
“Chiamano dalla camera mortuaria: il cadavere di un’anziana si è quadruplicato.”
Fulcis ha un sussulto, come se avesse ricevuto una frustata.
“Ci sono i parenti della defunta che danno fuori di matto.”
Fulcis e Ceriani si guardano con gli occhi sbarrati.
“Avvertite la polizia per ogni evenienza. Ceriani, lei intanto vada a vedere e mi riferisca.”
La telefonata di Ceriani non si fa attendere.
“Dottore, abbiamo quattro cadaveri uguali come gocce d’acqua.”
“Cos’è questo baccano? Chi grida? I parenti?”
“Sì.”
“Fateli allontanare! Avete chiamato la polizia?”
“Sta arrivando.”
“Portatemi qui la vecchia, subito.”
“Quale delle quattro?”
“Tutte e quattro!”
I quattro corpi giacciono distesi sui tavoli autoptici, indistinguibili l’uno dall’altro.
“Prelievi ematici su tutte e quattro, massima urgenza”, ordina Fulcis.
Il telefono squilla di nuovo. Fulcis esita un istante prima di rispondere.
“Dottore, sono centodiciotto!”
“Come?!”
“Centodiciotto cadaveri!”
“Si può sapere cosa state dicendo? Siete tutti impazziti?”
“Si stanno moltiplicando a tutto spiano! Da sette che erano, sono diventati cento in meno di un’ora. Non sappiamo più dove metterli!
” 
Le urla dei parenti dei defunti risuonano da un capo all’altro della via. Un vecchio vedovo, colto da malore, collassa nel vestibolo della camera mortuaria. Le manovre di rianimazione non sortiscono alcun risultato: viene constatato il decesso. Trasportato al vicino Dipartimento di Medicina Legale, il cadavere si moltiplica sotto gli sguardi atterriti dei necrofori. Fulcis, testimone del fenomeno, vacilla come un pugile colpito da un diretto al volto, quindi dà ordine di deporre i corpi nei sotterranei dell’edificio.

Università degli Studi di Pavia, ore 10

Il professor Erminio Robecchi, ordinario di Diritto delle società offshore e Tecniche di evasione fiscale, trattiene a stento una bestemmia: non uno degli studenti iscritti alla sessione d’esame fissata per quel giorno si è presentato. Gli assistenti stringono la testa fra le spalle, presagendo l’esplosione di rabbia del docente, che non si fa attendere.
“Perché cazzo non mi avete avvisato? Incapaci! Il mio tempo è denaro, lo capite o no?”.
“Veramente noi…”
“Stia zitto! Ma me la pagano, perdìo se me la pagano! Perché dovranno pur tornare… Li aspetto al varco, quei merdosi!”.
La sagoma di un bidello fa capolino all’ingresso dell’aula. L’uomo ha un’aria sinistra: il viso, segnato da cicatrici, trasuda malvagità allo stato puro.
“Professore.”
“Che c’è?”
“Un decesso, in biblioteca.”
“Chi è morto?”
“Il catalogatore. Infarto, credo.”
“E allora? Che c’entro io? Avvertite la famiglia, il 112.”
“Già fatto. Solo che adesso sono tre.”
“Tre cosa?”
“I cadaveri.”
“Le ha dato di volta il cervello?”
“Se non mi crede, venga a controllare di persona.”
“Non ci penso proprio! Ho uno studio da gestire, io. Mi avete già fatto perdere sin troppo tempo!”.
Afferrata la borsa, Robecchi si alza e si dirige all’uscita senza salutare nessuno. Fatti pochi passi in corridoio, inciampa in un cadavere disteso sul pavimento e cade, battendo violentemente la testa contro lo spigolo di uno scaffale. Uno schizzo di sangue imbratta la parete dell’istituto.

10 giugno, Via Forlanini, ore 8 del mattino

“Dottore, che facciamo?”
La domanda dell’assistente di laboratorio cade nel vuoto. Fulcis osserva ipnotizzato la facciata dell’edificio sede del dipartimento di medicina legale. Durante la notte, i cadaveri si sono moltiplicati a un ritmo tale da riempire i corridoi sino ai soffitti. La pressione esercitata dalla massa crescente di corpi ha schiantato le porte degli uffici; saturati anche questi locali, le salme hanno sfondato i vetri delle finestre ed ora debordano all’esterno.
I cadaveri fuoriusciti dalle finestre infrante si moltiplicano per scissione sotto gli sguardi terrorizzati del personale del Dipartimento.
Il mondo che Fulcis conosceva, un mondo strutturato secondo regole stabili, ha cessato di esistere e il medico forense avverte la sensazione che l’abisso del caos si sia spalancato e stia per inghiottire ogni cosa, inclusa la sua vita.
“Ripiegare.”
“Come, dottore?”
“Andiamocene subito da qui!”
Al semaforo di Via Forlanini la circolazione è interrotta. Un posto di blocco impedisce il passaggio delle auto private. Fulcis si rivolge a un agente di polizia: “Ci sarebbe un problema”
“Che problema?”
“Se vuole avere la cortesia di dare un’occhiata nel cortile del dipartimento…”
L’agente fa un cenno a un collega ed entrambi si dirigono nella direzione indicata dal medico. Un minuto dopo li si vede schizzare fuori dal cancello del dipartimento.
Sono sconvolti, faticano a parlare.
“E’ pieno di cadaveri!”
“Visto?”
“E adesso che si fa?”
“Ditemelo voi.”

Ore 10, Prefettura di Pavia

“Tutte le salme giacenti nelle camere mortuarie di tutti gli ospedali e gli istituti di ricovero e cura della provincia devono essere immediatamente cremate”, letta la frase ad alta voce, il prefetto posa il foglio sulla scrivania.
“Non ce la facciamo. Il forno in funzione al cimitero è del tutto insufficiente”.
“E chi ha parlato del San Giovannino? Signor sindaco, le salme vanno all’inceneritore di Parona. La questura garantirà la scorta dei convogli.”
Chiamato in causa, il questore dice la sua:
“Noi siamo pronti a fare la nostra parte. Si tenga presente, tuttavia, che lo smembramento interrompe il processo di moltiplicazione.”
“Ne consegue che?”
“Ne consegue che dovremmo farli a pezzi all’istante, lì dove si trovano.”
“E’ una proposta aberrante! E chi dovrebbe occuparsi della macellazione delle salme?”
“Se non prendiamo provvedimenti saremo sommersi dai cadaveri.”
“Chiediamo l’intervento immediato del ministero dell’Interno.”
“Sì, ma nel frattempo che ne facciamo dei morti?”
“Vanno distrutti!”
“Vediamo se ho capito bene: in un ospedale o in un ospizio si accerta il decesso di un degente; lo si preleva dalla stanza e lo si fa a pezzi?”
“Ha capito benissimo.”
“E io torno a chiederle: chi se ne occuperebbe?”
“Questo è il minore dei problemi: basta pagare e il personale si trova.”
“E quelli che muoiono nella propria casa?”
“Sono una sparuta minoranza.”
“Scusate ma mi è appena giunta una segnalazione: a Lodi e a Cremona sta succedendo lo stesso.”
“Cosa?!”
“La moltiplicazione dei cadaveri dei deceduti nelle ultime ore ha saturato le camere mortuarie degli ospedali e dei ricoveri per anziani. Le salme debordano nelle vie.”
“Siamo rovinati.”
“Allertiamo le autorità sanitarie, le direzioni delle case di riposo: siano schedati malati gravi, vegliardi, moribondi.”
“E’ troppo tardi, signor questore. La situazione ci è già sfuggita di mano.”
“Non è detta l’ultima parola”, osserva il questore.
“Sarebbe a dire?”
“Potremmo giocare d’anticipo, sopprimere i soggetti a rischio: malati terminali, anziani in fin di vita…”
“Ma è mostruoso!”
“E’ in gioco il destino stesso della nazione. Non è tempo di sentimentalismi.”
“In questo momento il nostro problema non sono i moribondi ma coloro che sono già morti, volete capirlo?”, esclama il prefetto.
Un segretario si affaccia alla porta con un foglio in mano. Il prefetto se lo fa consegnare e ne dà lettura:
“Le cataste di cadaveri occupano Via Forlanini in tutta la sua lunghezza. Le salme formano una specie di muro, la cui altezza va aumentando costantemente.”
Il sindaco abbandona la stanza in preda al più assoluto sgomento. Dopo sedici ore, il Ministero dell’Interno dichiara lo stato di emergenza in tutto il territorio nazionale. 

Circolare riservata – distruggere dopo la lettura 

Le “unità speciali” si articolano in squadre di “cacciatori-liquidatori” e “smaltitori”. I primi hanno i seguenti compiti: individuare le minacce (i moribondi) e le “matrici” (i cadaveri) ovunque essi si trovino; accelerare la dipartita dei moribondi; depezzare le salme. Per tale operazione si utilizzino motoseghe, scuri, mannaie. I resti vanno scaricati presso la stazione di smistamento - qui, le squadre degli “smaltitori” provvedono a stiparli nei cassoni dei camion diretti agli inceneritori.

“Mai vista tanta gente qui. Di solito non c’è nessuno.”
Una folla di donne è raccolta in preghiera all’interno della basilica di San Michele Maggiore e nella piazza antistante. Il questore accoglie le parole del funzionario della Digos con un’alzata di spalle.
“A me preme solo che non scoppino tafferugli. Avete avvertito il prete di non dire spropositi?”
“Certo.”
“Non voglio sentir pronunciare la parola apocalisse. La gente va tranquillizzata, non spaventata.”
“Abbiamo chiarito bene la cosa.”
“Da oggi non si scherza più. Chi diffonde allarmismo va arrestato, chiaro?”
“Ricevuto.”
“Come si chiama l’officiante?”
“Don Angelo Barbieri.”
“Spero per lui che si attenga alle disposizioni. In ogni caso, orecchie aperte: alla prima nota stonata, intervenite.”
La recita del rosario dura ormai da due ore. Gli amplificatori posizionati in piazza diffondono la voce di don Angelo fra coloro che non sono potuti entrare. Il senso di angoscia e smarrimento è tale da risultare quasi palpabile. D’un tratto, nel bel mezzo del Salve Regina, una vecchia si accascia nella navata centrale. Si leva immediatamente un coro di grida stridule, come uno strepitare di cornacchie e di gazze. Un medico si fa largo tra la gente per prestare soccorso. Mentre sta controllando il battito cardiaco dell’anziana, dal corpo di quest’ultima scaturisce un clone perfettamente formato. Si scatena il fuggifuggi generale. Don Angelo raggiunge di corsa i locali della canonica e vi si barrica. I fedeli si accalcano all’uscita, urla spaventose risuonano sotto le volte della basilica.
Gli agenti presenti in piazza San Michele tentano invano di garantire un deflusso ordinato della folla in preda al panico.
Il questore, avvertito al telefono, ruggisce un ordine perentorio:
“Non fatevi sfuggire il prete!”

Ore 14, Questura di Pavia

“Eminenza!”
“Dottore buongiorno. Non le nascondo che questa convocazione improvvisa mi ha non poco sorpreso.”
“Non ha motivo di preoccuparsi. Dovendo conferire urgentemente con lei, l’ho mandata a prendere. Lei comprenderà che nelle presenti condizioni ogni minuto è prezioso.”
“Certamente.”
“Ho letto le sue dichiarazioni sul quotidiano locale… il suo appello al rispetto dei diritti umani. E’ un momento difficile per tutti, le istituzioni politiche, militari, religiose devono dar prova di coesione e senso della responsabilità.”
“Questo mi è chiaro ma io non potevo non raccogliere il grido di dolore dei parenti dei malati, degli anziani.”
“Naturale, tuttavia volevo informarla che, per motivi di sicurezza, le sarà assegnata una stanza confortevole presso di noi, in questo edificio, da oggi e per le prossime settimane, sino a quando tutto non tornerà nei binari della normalità.”
“Devo considerarmi in arresto?”
“Ma neanche per sogno! Come le dicevo, si tratta di una misura a garanzia della sua incolumità. Ed ora devo proprio salutarla: sa, gli impegni mi chiamano. Se vuol essere così gentile da seguirli, gli agenti la scorteranno presso il suo appartamento.”
L’appartamento del vescovo si rivela essere una comunissima cella.

Ore 16, Prefettura di Pavia

Il prefetto siede, solo, nel proprio ufficio: sulla scrivania sono sparpagliate delle carte. Il funzionario stringe in mano una Beretta 92 S.
“Cosa diceva la maestra Belloni? "Il viatico di una buona vita è una coscienza retta". E adesso? Cosa volete che faccia? E’ finita, è tutto finito.”
Da piazza Guicciardi giunge un coro di urla.
“Che succede? Chi grida? Disperdete l’assembramento!”
Nessuno risponde. Il Prefetto riprende a parlare fra sé e sé.
“Mi sparo, non mi sparo? Dio mio, che devo fare?”
Lo squillo del telefono interrompe le elucubrazioni del funzionario.
“Pronto!”
“La aggiorno sulla situazione.”
La voce del questore ha un suono inquietante, come se qualcosa dentro di lui si fosse incrinato per sempre.
“Sono oltre diecimila, e aumentano a ritmo vertiginoso. A tutti gli effetti, il numero esatto non può più essere stimato.”
“E adesso?”
“In questo preciso istante ci sono le ruspe in azione in Via Forlanini, ma è come cercare di svuotare il mare. Ne spuntano sempre di nuovi. Una cosa allucinante.”
“E nelle altre camere mortuarie?”
“La situazione è fuori controllo alla Maugeri, al Santa Margherita e al Pertusati”
“Allora siamo fottuti”
“Temo proprio di sì.”

Policlinico San Matteo, ore 17

“Ceriani, mi stia a sentire.”
“La ascolto.”
“Ho esaminato attentamente la questione. I cadaveri si moltiplicano per scissione, questo è assodato, ma che ne è dei cloni, se così vogliamo chiamarli?”
“Cominciano a decomporsi.”
“Precisamente. La moltiplicazione si interrompe nel momento in cui inizia la fase putrefattiva enfisematosa. Il problema è che, in 24 ore, da un cadavere possono scaturirne mille.”
“E ciascun clone dà origine ad altri cloni.”
“Ecco, appunto.”
“Quindi siamo spacciati.”
“E’ quel che ho spiegato al prefetto, prima che si sparasse.”
“Ho saputo. Ho sentito anche quel che è successo dopo.”
Fulcis tacque, distogliendo lo sguardo.
“Sono spuntati quattro cloni del prefetto, ognuno con un buco alla tempia.”

Lunedì 19 giugno

Pavia è una città fantasma. Gli abitanti sono fuggiti in preda al panico. Il tanfo di decomposizione rende l’aria irrespirabile: le vie sono ingombre di cadaveri. Le ruspe aprivano un varco fra i cumuli di cadaveri, e subito lo spazio liberato veniva nuovamente riempito dalle salme in moltiplicazione. L’istituzione-attivazione delle “unità speciali” ha richiesto due giorni e in quel sia pur breve lasso di tempo la situazione è precipitata senza scampo.
I morti hanno saturato la città: edifici, strade, piazze, vicoli.
I vivi ne sono stati scacciati.

2 luglio 2018

Il dottor Fulcis ha trovato rifugio nella casa di famiglia a Fortunago, un borgo situato sulle colline dell’Oltrepò Pavese, e da qui segue, tramite Internet, l’evolversi catastrofico della situazione. Ceriani è al suo fianco, armato di fucile, per ogni evenienza.
“Sta andando tutto quanto a puttane! Ascolti questo report:
La fuga dalle aree urbane ha interessato tutta quanta la penisola. Numerosissimi gerontocomi sono stati dati alle fiamme con i ricoverati ancora dentro.
Le unità speciali setacciano le colonne degli sfollati in cerca di anziani e malati da abbattere, scontrandosi con la resistenza delle famiglie.
I piccoli centri su cui si riversa l’ondata di profughi vengono saccheggiati e in molti casi dati alle fiamme. Dalle grandi città la massa dei cadaveri tracima verso il circondario, inarrestabile. Trasportati dalle acque dei fiumi, i morti vengono disseminati ovunque, e qui seguitano a moltiplicarsi, a ritmo crescente.

“Basta non arrivino quassù…”
“E’ un rischio remoto, il problema è un altro: l’interruzione dei rifornimenti di generi di prima necessità. I negozi sono vuoti!”
“Per questo abbiamo fatto scorta prima di venire qui.”
“E quando l’avremo esaurita? Per non parlare dei saccheggiatori… Non siamo affatto al sicuro. Da un giorno all’altro potrebbero piombare qui e mettere il paese a ferro e a fuoco.”
“Non staremo certo a guardare.”
“Ci faranno a pezzi comunque. E poi c’è un altro rischio da considerare. Se morisse qualcuno dei tanti vecchi che vivono qui?”
“Lo facciamo a pezzi e lo bruciamo.”
“E’ una parola! Crede forse che la famiglia ce lo lascerebbe fare? ‘Prego, smembratelo pure!’. Lei non conosce questa gente.”
“Se un cadavere non viene trattato immediatamente, è la fine.”
“La fine è già arrivata, Ceriani, e questo posto pullula di anziani.”
“Non ho intenzione di seguire l’esempio del prefetto. Sarà finita quando sarà finita. Per il momento abbiamo ancora cibo a disposizione e la cantina è ben fornita.”
“Di notte non riesco a chiudere occhio… ho sempre l’impressione che qualcuno cerchi di entrare in casa.”
“Le finestre hanno le inferriate, la porta pare robusta…e noi siamo armati.”
“Abbiamo provviste per non più di un mese.”
“Meglio di niente, dottore.”
“E poi?”
“E poi basta.”

Pietro Ferrari, luglio 2018 

lunedì 6 agosto 2018

AROMIA MOSCHATA E SUO USO VOLUTTUARIO

Non si smette mai di imparare. Vagando in Facebook, per puro caso sono venuto a conoscenza di qualcosa di estremamente bizzarro, in cui mi sono imbattuto nel gruppo "Insetti e altri artropodi- un fantastico mondo da scoprire". Il post che ha attratto la mia attenzione è stato pubblicato il 24 maggio 2018. Si continua a sostenere che in Occidente gli insetti generano una tale repulsione da rendere impensabile ogni loro uso per finalità quotidiane come ad esempio l'alimentazione (ma non solo). In realtà non c'è nulla di più lontano dal vero. Ancora in tempi non troppo lontani, si usava un coleottero cerambicide noto alla Scienza come Aromia moschata per conferire un grato odore al tabacco. L'insetto è splendido, simile a una pietra preziosa e davvero simpatico. 


(By Simon Eugster, created 28 June 2007 (UTC), CC BY-SA 3.0)

Riporto in questa sede il thread tal quale, comprensivo di refusi:  

Alfred Sternberg:
Le persone di una certa età ricorderanno sen'altro che questo cerambicide veniva utilizzato in passato fino agli anni '60 per aromatizzare il tabacco, sia quello per il fiuto che per il trinciato da pipa. Il modo consisteva nell'inserire nella scatola del tabacco questo insetto vivo, che sprigiona un forte aroma di fiori.
L'aromia moschata, splendido cerambicide dal colore blu/verde metallizzato, è diffuso in buona parte dell'Europa ed è facilmente rintracciabile sui salici, del quale è parassita e veniva ricercato per l'aromatizzazione del tabacco. Dopo circa una settimana il tabacco a contatto con questo insetto assumeva un certo odore difficilmente definibile, tra il muschio ed il floreale con una certa prevalenza verso la rosa.

Laura Grilli:
Ricordo quando ero bambina di questo insetto profumato ...mia madre lo chiamava Mosca americana ...Non ne ho più visti da allora

Alfred Sternberg:
E' abbastanza comune, completamente scomparso è invece il loro uso per questa finalità

Aromia moschata nei forum

Si trovano menzioni del prezioso coleottero e delle sue proprietà anche in luoghi del Web ben diversi da Facebook. Riporto alcuni interventi particolarmente significativi tratti dalle conversazioni occorse in due forum. 

1) Ritrovo Toscano della Pipa


Olòrin, riportando Ramazzotti:
"Questo insetto è un Coleottero (più precisamente un Cerambicide) dalle lunghe antenne e dall'aspetto elegante, con elitre di color verde metallico o bronzeo; misura da un centimetro e mezzo a poco più di tre centimetri, abita in modo particolare i salici ed esala un gradevole aroma, che è un mezzo fra il muschio e la rosa. Nelle campagne si usava raccogliere l'Aromia, ucciderla e riporla in mezzo ai forti tabacchi di allora, perchè coferisse loro un profumo di fiori; credo che oggi sia spento perfino il ricordo di questa pratica: mio nonno notaio mi assicurava che il risultato era buono, ma ero allora decenne e non mi fu possibile sperimentarlo; nè - più tardi - ne ebbi mai l'occasione"

Aqualong:
Mi ero riproposto di provare il metodo,poi non l'ho mai fatto,qualche anno addietro avevo anche chiesto in giro,c'era la memoria del fatto,ma non quella dell'esperienza diretta.
Comunque i vecchi fumatori interpellati che ricordavano il nonno o l'amico etc.. erano tutti concordi che la cerambice andava inserita viva nella custodia del tabacco,che spesso era un pezzo di canna vuota, grossotto, con un tappo di sughero e qualche forellino in alto per far respirare la bestia.
Quello che profumava il tabacco erano le deiezioni dell'insetto,( a Napoli direbbero cacatielle)che quindi doveva campare il più possibile per irrorare il trinciato col suo prezioso aroma. 8)

PaperoFumoso:
Va bene sperimentare ma, a fumarmi la merda del Cerambicide, non ci avevo ancora pensato :-)

Aspetto dovertente è scoprire, con grande sorpresa, che non tutta la merda puzza: si sfata un luogo comune  :o

Aqualong: 
Pensiamo alle api,nelle arnie non ci sono wc,può essere che le deiezioni delle operaie contribuiscono al flavour del miele? 8) ;D 
"non olet"
(Vespasiano)

Giala:
Amico, mai sentito parlare di pajata?
Il caffe' migliore del mondo (ed anche il più caro) lo caca uno zibetto indonesiano.

La merda fa miracoli!

PaperoFumoso:
W la merda!
Più merda per tutti! ;D :D ;D :D

2) Il Piacere del Tabacco da Fiuto


smokeless:
Ho recentemente sperimentato un metodo di aromatizzare il tabacco del quale a suo tempo mi parlò mio babbo, che mi diceva si usasse dalle nostre parti sia per il fiuto che per il trinciato da pipa sino all'avvento, nei primi anni 60, dei tabacchi da pipa aromatizzati (clan e skipper in primo luogo). Il modo consiste nell'inserire nella scatolina del tabacco un coleottero vivo, del genere cerambicidi, che sprigiona un forte aroma di fiori.
Grazie all'aiuto di mio fratello, di professione biologo ed entomologo per passione, ho identificato questo coleottero nella bellissima aromia moschata, di uno splendido colore blu/verde metallizzato, diffuso in buona parte dell'Europa, facilmente rintracciabile sui salici, del quale è parassita. Mio fratello me ne ha anche procurato un esemplare che, benchè morto già da qualche settimana, continuava a emanare un intenso profumo.
Ho pensato quindi di inserirlo in un barattolo a tenuta contenente del SC blu, tabacco assolutamente neutro, e che credo più somigli ai vecchi tabacchi utilizzati un tempo, e lasciarlo riposare per una settimana.
Dopo questo tempo effettivamente il tabacco ha preso un certo odore difficilmente definibile, floreale con una certa prevalenza verso la rosa, comunque diverso dalle profumazioni da me conosciute; forse il più vicino potrebbe essere l'aroma di qualche wilson o SG (forse il Princess Gold), ma meno saponoso e più incerto. L'aroma è comunque più spiccato all'apertura del contenitore che nel naso, dove risulta poco persistente, non aiutato certo dal SC blu, anch'esso di breve durata.
Rimangono poi dei fastidiosi effetti collaterali: il coleottero si è in parte sbriciolato, si sono polverizzate le lunghe antenne e le zampette, e, benchè l'insetto sia veramente bello, fa un po' schifo nasarne parti insieme al tabacco.
In conclusione si è trattato di un esperimento interessante, che vorrei riprovare con un insetto più fresco (mio fratello passa i fine settimana a caccia di coleotteri per la sua collezione), anche se è chiaro che, con l'avvento della diffusione dei tabacchi aromatizzati, si sia estinta questa abitudine, del resto abbastanza ripugnante e sanguinaria per noi cittadini non più abituati al contatto quotidiano con la campagna.
C'è da aggiungere che, dopo una breve ricerca su internet, ho rilevato che questa usanza non era esclusiva della mia isola, ma anzi diffusa in tutta europa, almeno nelle zone in cui questo insetto è comune.
Mi spiace, non riesco ancora bene a caricare immagini, ma una foto dell'aromia è facilmente ricavabile da una ricerca su internet

bering:
Bellissima descrizione smokeless, anch'io ha letto Ramazzotti e mi ricordo dell'aromatizzazione "all'insetto". Se non ricordo male , e quindi potrei sbagliarmi, l'insetto veniva messo vivo nella tabacchiera e credo che gli escrementi aromatizzassero il tabacco. Non vorrei "!sparare una bischerata" come si dice in toscana, ma cosi ricordo, magari andrò a ricercare il libro.

smokeless:
Si, Bering, ti cofermo che anche a me è stato detto che l'insetto veniva messo vivo nella scatola, ma più che dagli escrementi l'odore dovrebbe essere emanato da ghiandole che secernono feromoni utili ad attirare soggetti della stessa specie, almeno così mi è stato riferito.
So che è un paradosso, ma mi sentirei spietato nel richiudere un insetto vivo (e particolarmente carino) nella scatoletta del tabacco, ma non ho avuto nessun senso di colpa quando, in quei giorni, mi sono immerso nel gelido mare di dicembre per poi divorarmi, vivi, una cinquantina di ricci di mare (bè, in realta si mangiano solo le uova).

Axel#6: 
Anche a me risulta che la "mosca del tabacco" (così la chiamava mio nonno, andava messa viva nella tabacchiera. Così mi ha raccontato mio nonno e così ho già raccontato in questo forum da un'altra parte. Davanti alle mie rimostranze di bambino già sensibile alle problematiche animaliste, il nonno aggiungeva poi che non si trattava di una barbarie, anzi: la nicotina inebriava l'insetto al punto che non ne voleva più sapere di uscire dalla scatola magica della polvere neppure quando questa veniva aperta. E così trascorreva beatamente la sua esistenza immersa nella nicotina fino a concludere i suoi giorni tranquilla al riparo di una tabacchiera, morendo di "morte naturale", cosa strana per un insetto che invece di solito muore "spetasciato" o ingoiato da qualcuno o qualcosa... pensate un po': non è forse la fine che anche noi "tabacconi" ci auspicheremmo???!!

bering:
Anch'io caro smokeless avrei remore a mettere un insetto vivo nella tabacchiera, e son contento che l'animo di uomini fiutatori di tabacco (pensa rudi e forti :huh: ) sia invece cosi sensibile anche nei confronti di un insetto. Sarebbe un altro mondo se tutti fossimo "fiutatori di tabacco".
Lo so ragazzi siam tutti dei romantici, gente d'altri tempi 

Logiche conclusioni

Il tempo macina ogni cosa, stritola e divora interi mondi. Il passato è la misura della perdita delle informazioni: più qualcosa si allontana dalla misteriosa entità che chiamiamo "presente" - la sola in cui è definita la nostra esistenza - più perde i propri contorni, più si erode, come se svanisse pezzo per pezzo. Man mano che gli oggetti e le informazioni sprofondano, meno si può conoscere. Al termine di questo gorgo inghittitore c'è un buco nero concettuale che possiamo definire "filtraggio", oltre il quale non esiste più nulla che possa servirci per ricostruire ciò che è andato perduto. Possiamo conoscere il passato soltanto perché nel presente perdurano suoi fossili, sempre più fragili ed evanescenti man mano che procediamo lungo la nostra linea di esistenza. Il caso dell'Aromia moschata usata per aromatizzare il tabacco è un esempio di quanto fragile sia il tessuto di ciò che conosciamo come "realtà". Un costume un tempo diffuso è sparito dal sapere comune quasi da un giorno all'altro, senza che quasi nessuno se ne accorgesse. Le scarse testimonianze che ne rimangono sono anch'esse minacciate, rischiano di perdersi nel rumore di fondo del Web. Tutto è molto confuso e presenta anche alcune contraddizioni, almeno in apparenza. Ad esempio c'è chi sostiene che il coleottero fosse aggiunto vivo al tabacco, mentre secondo altri che fosse aggiunto morto e che venisse sbriciolato. Forse erano diffusi entrambe le preparazioni, ma ormai chi può dirlo? Alcuni chiamavano il cerambicide "mosca americana", ma si tratta di una specie euroasiatica, che non è stata certo importata dagli Stati Uniti! Come e quando a qualcuno sarà venuto in mente di mettere questo insetto nel proprio tabacco? Non possiamo dare una risposta. Ignoriamo troppe cose e Google non ci è poi di grande aiuto. Mi auguro che in futuro possano essere compiute ricerche più approfondite e fruttuose.