martedì 2 aprile 2019

UN VOCABOLO NORRENO PER INDICARE LA DIVINITÀ PAGANA: FJARG

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga

fjarg (n.), divinità pagana
   pl. fjǫrg, divinità pagane


Derivati:
fjarg-hús (n.), tempio pagano 

La forma protogermanica ricostruibile è *fergwan "divinità, deità" (secondo un'altra metodologia si ottiene *firgwan, ma la sostanza non cambia). La mente va subito al gotico fairguni /'fεrguni/ "montagna", che ha un perfetto corrispondente nel norreno Fjǫrgyn (f.) "Madre Terra" (gen. Fjǫrgynjar). Se si volesse procedere a ritroso fino all'indoeuropeo, si arriverebbe alla radice *perkw- "quercia", che si trova nel teonimo lituano Perkūnas (lettone Pērkons, antico prussiano Perkūns, Perkunos, iatvingio Parkuns), che indicava un dio uranico rossochiomato in tutto e per tutto simile al tonante Thor. Tutto sembra così andare liscio e non presentare alcun problema. Ci sono tuttavia alcune difficoltà che reputo non proprio irrilevanti. La forma norrena fjarg implica un accento anomalo: per spiegarla occorre ricostruire un indoeuropeo *perkwóm. Perché tale accento e - soprattutto - perché il genere neutro? 

Che dire poi dello slavo Perun, teonimo che richiama immediatamente il baltico Perkūnas? Eppure c'è una difficoltà a prima vista insormontabile. Come mai nella forma slava manca la consonante velare? Come appare subito ovvio, non è possibile che un gruppo consonantico -rk- si sia semplificato in -r- per azione della magia. Si può immaginare che Perun e Perkūnas abbiano diverse etimologie? Direi di no. I casi sono due: 1) l'alternanza problematica -rk- / -r- era tipica di una lingua ignota e non indoeuropea; 2) la forma base ha -r-, mentre l'altra con -r-k- mostra l'aggiunta di un suffisso in velare -k-, e in ogni caso si tratterebbe di materiale non indoeuropeo. Secondo il mio modesto avviso, sarebbe meglio considerare fjarg un vocabolo di origine preindoeuropea. Sergei Nikolayev fa molta confusione, separando Perkūnas da Perun e accostando il secondo all'ittita piruna-, peruna- "pietra". Non è poi che un confronto con le lingue anatoliche risolva la questione, come se ogni radice documentata in esse fosse in automatico una prova inconfutabile di indoeuropeità. Dubbi e incertezze non mancano di certo!

Veniamo ora a un bizzarro caso di decostruzionismo che ho reperito nel Web. Si tratta di un caso notevole, perché mi sono accorto che predata di gran lunga l'opera di Jacques Derrida. In un dizionario online ho potuto assistere al tentativo di eliminare l'esistenza stessa del vocabolo fjarg "divinità pagana". Ho poi constatato che gli autori dell'opera sono proprio Cleasby e Vigfusson: la data di pubblicazione del loro dizionario Islandese - Inglese è il 1874. Gli autori partono dalla constatazione che la parola fjarg-vefjar "seta" (una kenning per silki), alla lettera "tele divine", sarebbe corrotta per *fjarg-vefjaz, *fjarg-vefjask, che dunque sarebbe un verbo riflessivo col significato di "gemere per un peso eccessivo". Una parola formata mala, dato che vefjask significa "essere avvolto; essere impigliato", da vefja "avvolgere". La parola da cui è partita la fabbricazione di Cleasby-Vigfusson deve essere stata fjarg-viðrask "gemere per un peso eccessivo" (elencata poco sotto nel dizionario). A questo punto, dato che il composto fjarg-hús esiste senz'ombra di dubbio, esso è stato spiegato come "case immense, case grandi" (in inglese "huge, big houses") anziché come "templi pagani", attribuendo al prefisso fjarg- il valore di "immenso, grande". Che questa sia un'assurdità si può facilmente dimostrarlo. Nell'islandese moderno - che è una forma attuale di norreno - esiste il composto fjargveður "tempesta" (glossa inglese "storm"). Nel norreno dell'epoca delle saghe si sarebbe detto *fjarg-veðr "tempesta", forma che non sono riuscito a reperire ma che deve essere per forza esistita. Deriva da veðr "tempo" (atmosferico), parola che ha la stessa origine dell'inglese weather, a tutti ben noto. Il significato originale della parola per dire "tempesta" deve essere stato "tempo divino", ossia "tempo di Thor", quindi "tempo diabolico", "tempo funesto", a seguito del mutamento del sentire fattosi strada con l'introduzione del Cristianesimo. Non "grande tempo" o "tempo immenso". Come Gianna Chiesa Isnardi ci ricorda nel suo fondamentale volume I miti nordici (1991), nei tempi tardi Thor era considerato un demone. Era degenerato da divinità uranica a diavolo. Per i Cristiani, Thor esisteva fisicamente e continuò a esistere per diversi secoli dopo che il Paganesimo era cessato come religione organizzata. Gli veniva attruibuito un essere personale e fisico, persino dai missionari. Rispetto ai tempi dell'idolatria, cambiava qualcosa di rilevante: il Dio Fulvo non era più oggetto di adorazione, bensì di esecrazione. È chiaro quindi quale sia il significato originale di fjarg-. Significava "divino", donde si è avuto lo slittamento in "funesto", "diabolico". Il significato di "immenso", "soverchiante" deve essere stato il frutto di uno sviluppo secondario: fjarg-viðrask è giunto a significare "gemere per un peso eccessivo" da un più antico "gemere per un peso sovrumano". Il "peso sovrumano" in questione è un "peso divino" o piuttosto un "peso diabolico", è ovvio.

Ricordo ancora uno squallidissimo film peplum visto in gioventù. C'erano alcuni gladiatori pronti ad andare nell'arena a combattere alla presenza dell'Imperatore. Uno di loro era un superbo trace fulvo con una bella barba. Un vecchio cristiano serviva il pasto ai combattenti, mettendo sulla tavola alcune pagnotte e una brocca di vino. Nel farlo, sperando di farsi riconoscere, tracciava il simbolo del pesce sulla polvere che ricopriva la mensa. Poi iniziava a predicare e invitava i gladiatori a rinunciare al culto di Marte per innalzare preghiere a Cristo. Questi temevano molto la bestemmia del vecchio: il trace, sudando freddo, dichiarava il proprio disagio, aveva paura che Marte si sarebbe adirato e avrebbe ritirato il suo sostegno all'imminente scontro armato. Allora il cristiano diceva: "E come potrebbe adirarsi, visto che non esiste?" Ecco, questo è un grave anacronismo. La domanda, assurda, un antico cristiano non avrebbe potuto farla. Sarebbe infatti tipica di un democristiano o di un adepto di Comunione e Liberazione, non di un cristiano dell'epoca imperiale. Per gli antichi Cristiani, gli Dei di Roma esistevano ma erano diavoli, erano malvagi. Lo stesso atteggiamento era tipico dei Cristiani dei secoli successivi, che ritenevano un demonio ogni divinità dei popoli scandinavi a cui portavano la nuova religione.

UN VOCABOLO NORRENO PER INDICARE IL MOSTRO: -GÁLKN

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga: 

hrein-gálkn (n.), lupo (poet.)
  alla lettera "mostro delle renne" 


La radice della prima parte del composto è ovviamente hreinn "renna" (gen. hreins; pl. hreinar). Ovviamente lo zoonimo non va confuso con l'aggettivo omofono, hreinn "puro", la cui origine è completamente diversa. Il tentativo di ricondurre il nome della renna a una variante *k'rei- del protoindoeuropeo *k'erǝ- "corno; testa" mi appare tutto sommato vano e artificioso: si tratterà piuttosto di un relitto del sostrato neolitico.

Abbiamo poi anche un altro simile composto, di cui ero già a conoscenza in precedenza:

finngálkn (n.), centauro 
  alla lettera "mostro dei Finni" 

La radice della prima parte del composto è ovviamente finn "finno" (pl. Finnar). L'etnonimo indicava in origine i Lapponi (Saami). L'etimologia è a mio avviso oscurissima e non indoeuropea, anche se mi sono imbattuto in una spiegazione singolare, che vorrebbe interpretare il termine come "colui che trova", dal norreno finna "trovare" (< protogermanico *finþanan), con allusione allo stile di vita di questi popoli di cacciatotori-raccoglitori, vagabondi alla perenne ricerca di cibo e di legna da ardere. A me pare una falsa etimologia della più bell'acqua. Tra l'altro, a conferma di quanto dico, Iordane (VI secolo) menzionava i Finni, i Finnaithae e i Crefennae o Scretofenni, senza alcuna traccia di un gruppo consonantico con fricativa interdentale. Il geografo greco-romano Tolomeo menziona i Phinnoi nella sua Geographia verso il 150 d.C.; Cornelio Tacito scrive per la prima volta dei Fenni nella Germania e siamo nel 98 d.C.: tutto ciò in epoca molto anteriore al passaggio di -nþ- in -nn- in norreno!

Il finngálkn è descritto come un essere pericoloso e malefico, con la metà superiore simile a quella di un essere umano e la metà inferiore simile al corpo di un animale. La credenza nell'esistenza dei finngalkn sopravvisse a lungo al Paganesimo, tanto che si ritrova in Islanda fino ad epoca abbastanza recente. Nel 1383 nell'isola vulcanica accadde che un gallo depose un uovo, gettando la gente nel panico: il terrore del portento (rund) era palpabile. Per impedire che un finngálkn si impadronisse dell'uovo demoniaco e lo usasse per compiere un maleficio, questo fu bruciato assieme al gallo che l'aveva deposto; come l'uovo si ruppe tra le fiamme, fu visto uscire un essere simile a un verme. Quando furono introdotte le armi da fuoco si disse che i finngálkn erano immuni alle pallottole, a meno che non fossero d'argento e recanti il segno di una croce.


Cosa senza dubbio abbastanza singolare, il finngálkn attrasse persino l'interesse dei grammatici. Il poeta islandese Óláfr Þórðarsson (1210 - 1259) usò la parola finngálknat (che è una forma con articolo determinativo suffisso neutro) per designare l'uso delle metafore miste in poesia, da lui paragonate al corpo ibrido del mostro.

A questo punto possiamo estrarre dai due composti in analisi, hrein-gálkn e finngálkn, senza commettere alcun abuso, il vocabolo *gálkn "mostro". Ho messo l'asterisco perchè non mi risulta che sia usato al di fuori dei composti. La lunghezza della vocale -á- è secondaria e dovuta all'effetto del gruppo consonantico iniziante con una liquida, cosa ben documentata (es. úlfr "lupo" da ulfr; mjólk "latte" da mjǫlk, etc.). Si capisce che la protoforma germanica ricostruibile è *galknan "mostro". La definisco "protoforma germanica" per convenzione, perché suppongo che la parola sia stata presa a prestito già in epoca protogermanica, anche se non ha lasciato alcun discendente noto in lingue diverse dal norreno. 

Ebbene, molto probabilmente si tratta di una voce neolitica, residuo delle popolazioni antecedenti l'arrivo delle genti indoeuropee che hanno portato in Scandinavia la lingua da noi denominata protogermanico. Fatto sta che il vocabolo in analisi non ha alcun parallelo credibile in alcuna lingua indoeuropea. La sua stessa fonetica, particolarmente convoluta, si dimostra estranea agli schemi indoeuropei e già per questo molto sospetta. Irrido e schernisco i neogrammatici talebani che proiettano nelle steppe ogni minimo vocabolo attestato anche soltanto in una lingua indoeuropea storica, anche se appare evidente che si tratta di una voce isolata quanto inspiegabile.  

A quanto pare, anche se per confermare questa notizia avrei bisogno di maggior documentazione, esiste una variante -gápn, presente in finngápn = finngálkn. Se validata, questa forma assai singolare punterebbe a una protoforma che nella lingua d'origine doveva possedere una consonante labiovelare, qualcosa come *galkwna-. La consonante liquida era con ogni probabilità "oscura", cosa che spiega la sua scomparsa nella forma in -gápn. Non si può spiegare questa occorrenza anomala tramite il protogermanico e quindi bisognerà pensare a qualcosa di più antico, i cui dettagli sono purtroppo persi, forse per sempre.

sabato 30 marzo 2019

UN INTERESSANTE PRESTITO SLAVO IN NORRENO E LA SUA ORIGINE

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga: 

polota (f.), Palazzo Imperiale di Costantinopoli 

Declinazione: gen./dat./acc. polotu; pl. nom./acc. polotur, gen. polotna, dat. polotum

Varianti:
polóta
pólóta
poluta
polluta
polúta
pólúta

palata 


Derivati: 

polota-svarf (n.), saccheggio del Palazzo
    varianti:
    polóta-svarf
, polutasvarf, pólútasvarf 
Si tratta del diritto, tipico dei Variaghi della Guardia Imperiale, di girare per il palazzo alla morte di un Imperatore, in cerca di denaro e preziosi vari di cui impossessarsi. Queste sono le radici del composto: polota "Palazzo" e sverfa "limare", donde svarf (n.) "polvere di limatura", ma anche "ruberia, estorsione". Il costume, senza dubbio un grande privilegio - oltre che
un saccheggio legalizzato a tutti gli effetti - viene spiegato da Snorri Sturluson (1178 o 1179 -1241) nella Heimskringla, e più precisamente in questo passo della Haralds saga Harðráða (Saga di Aroldo dal Duro Consiglio) che vi è inclusa (ortografia non normalizzata): 

Haralldr hafdi III sinnom komit í polota-svarf, medan hann var í Miklagardi. Þat ero þar lög, at hvert sinn er Grickia konungr deyr, þá skulo Væringiar hafa polota-svarf: þeir skolo þá gánga of allar polotur konungs, þar sem fehirdzlor hans ero, oc scal hverr þar eignaz at friálso þat ser, hvert er höndum kemr á. 

Riporto anche il testo in ortografia normalizzata: 

Haraldr hafði III sinnum komit í polota-svarf, meðan hann var í Miklagarði. Þat eru þar lǫg, at hvert sinn er Grikkjakonungr deyr, þá skulu Væringjar hafa polota-svarf: þeir skulu þá ganga um allar polotur konungs, þar sem féhirzlur hans eru, ok skal hverr þar eignaz at frjálsu þat sér, hvert er hǫndum kemr á.

Traduzione:

"Harald partecipò tre volte al saccheggio del Palazzo, mentre era a Bisanzio. Questa vi è la legge, che ogni volta che un re dei Greci muore, i Variaghi debbano tenere un saccheggio del Palazzo: essi devono allora andare per tutti i palazzi del re, dove sono le sue stanze del tesoro, e ognuno deve impossessarsi liberamente di ciò su cui mette le mani."

Richard Cleasby nel suo Icelandic - English dictionary, curato e completato da Gudbrand Vigfusson, riporta una citazione assai simile al testo del sapiente Snorri, per quanto non identica:

ganga þeir um allar polotur konungs, … ok skal hverr hafa at frjálsu þat sem hǫndum kemr á "... andare essi per tutti i palazzi del re, ... e ciascuno deve impossessarsi liberamente di ciò su cui mette le proprie mani".

Va detto che all'epoca di Cleasby e di Vigfusson non si era ancora diffusa l'epidemia di fontite acuta, così non saltavano fuori dovunque studentelli nerdosi e isterici a urlare a ogni piè sospinto: "Fonti!!! Fo-ffò-ffò! Fonti!!! Fo-ffò-ffò!" Così gli autori del dizionario non si curarono troppo di riportare l'estratto dello scritto di Snorri in modo accurato. Oggi sarebbe considerata una colpa imperdonabile. Se la fontite acuta fosse stata imperante già a quei tempi, sarebbe stata annullata l'intera aneddotica, che poggiava in gran parte su conoscenze riportate a memoria, utilissime anche se non esenti da distorsioni. Come al solito, il decostruzionismo moderno ha portato a un certo atteggiamento scettico nel mondo accademico: partendo dal fatto che la Heimskringla è a quanto pare la sola fonte a parlare del costume del polota-svarf - non menzionato nel mondo greco - c'è chi è giunto persino a dubitare della sua reale esistenza.

Il Palazzo Imperiale, polota, fa parte della geografia di Bisanzio, la capitale che in norreno era chiamata Miklagarðr (Mikligarðr), ossia "Grande Città", e che era vista dai guerrieri scandinavi come un luogo splendido in cui conquistare oro, onore e gloria. La storia della parola errante per designare il Palazzo è un po' complicata. Si tratta chiaramente di un prestito che ha la sua origine ultima nel latino pala:tium "palazzo" (in origine indicava il Colle Palatino), passato in greco nell'epoca imperiale come  παλάτιον. La parola era usata in particolar modo per indicare il complesso dei palazzi imperiali a Costantinopoli: Ἱερὸν παλάτιον "Sacro Palazzo" e Μέγα παλάτιον "Grande Palazzo". Quindi da Bisanzio il vocabolo è giunto nelle lingue slave (es. antico russo полота, polota), assumendo il tipico vocalismo in -o-, pur essendo nota anche la variante palata (палата) in cui questo mutamento non è avvenuto. La fonetica e la morfologia della parola dimostrano che non può essere stata presa direttamente dal greco, essendo la mediazione slava indispensabile: oltre al vocalismo è importante anche il cambiamento di genere grammaticale, da neutro a femminile. Si deve infine notare che in greco si ha l'assenza di assibilazione dell'occlusiva dentale -t-, cosa che punta direttamente a una pronuncia latina /pala:tium/ > /pa'la:tju(m)/ e non /palatsjum/ come vorrebbe l'uso della Chiesa Romana e del sistema scolastico di questo paese. Nel greco medievale παλάτιον è diventato regolarmente παλάτιν, quindi la finale del genere neutro è caduta dando origine al greco moderno (demotico) παλάτι. Nonostante queste evidenze inoppugnabili, sono sicuro che non demorderanno i fautori superstiti della pronuncia ecclesiastica del latino proiettata indietro nel tempo fino alla preistoria più remota.

UNA PAROLA SANSCRITA ERRANTE GIUNTA IN NORRENO

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga: 

hjassi (m.), una bestia favolosa

Riporto quindi alcune informazioni utili. 

Variante: hjasi
(l'alternanza -s- / -ss- è un chiaro indizio della natura non nativa della parola) 


Idiomatica: 
verða aldraðr (gamall) sem hjassi "essere vecchio come uno hjassi", ossia "essere decrepito"; 
hann er afgamall hjassi "egli è un vecchio decrepito". 

Questo è un estratto della Saga di Egill il Monco in cui si parla della fantomatica bestia:

Hertryggr hefir konungr heitit. Hann réð fyrir austr í Rússía. Þat er mikit land ok fjǫlbyggt ok liggr milli Húnalands ok Garðaríkis. Hann var kvángaðr. Hann átti tvær dœtr. Hét hvártveggi Hildr. Þær váru vænar ok vel skapi farnar ok váru sæmiliga upp fœddar. Konungr unni mikit dœtrum sínum. Einn tíma bar þat til tíðenda, at konungr fór á dýraveiðar, en in eldri Hildr á hnotskóg ok konur hennar. Hún var kǫlluð Brynhildr. Kom þat til þess, at hún vandist við riddara íþróttir. Nú sem þær búast heim ór skóginum, kemr eitt mikit dýr, þat er hjasi heitir, fram at þeim. Þat var mikit vexti ok grimmt. Þat á lengstan aldr af dýrum, ok er þat fornmæli, at sá, sem gamall er, sé aldraðr sem einn hjasi. Þat er skapt sem glatúnshundr ok hefir eyru svá stór, at þau nema jǫrð. En er þær sá dýrit, hljóp síns vegar hver, en dýrit greip konungsdóttur ok hljóp í skóginn, en konurnar sǫgðu heim þessi tíðendi. Varð konungr mjǫk hryggr ok lætr leita, ok finnst hún hvergi. Kemr engi sá, at honum kunni þar til at segja. Dofnar hér yfir sem annat, ok líðr til jóla.

Questa è la traduzione di Fulvio Ferrari.

«C'era un re che si chiamava Hertryggr e regnava a est, in Russia. Questa è una terra molto grande e popolosa, e si stende tra Húnaland e Gardaríki. Il re era sposato e aveva due figlie, entrambe di nome Hildr: erano fanciulle belle, di buon carattere e di buona educazione, ed egli le amava teneramente.
Un giorno accadde che il re si recasse a caccia, mentre la figlia maggiore andava a cercar noci in compagnia delle sue damigelle. Questa ragazza veniva chiamata Brynhildr perché praticava le arti cavalleresche. Brynhildr e le altre fanciulle si preparavano a tornare a casa, quando si abbatté su di loro un grande animale, detto hjasi: una bestia crudele, di corporatura enorme. Lo hjasi è, tra gli animali, quello che vive più a lungo, tanto che, con un'antica espressione, se qualcuno diventa molto vecchio si dice che ha l'età di uno hjasi. L'aspetto di questa fiera è simile a quello di una donnola, e ha orecchie tanto lunghe che toccano il suolo.
Alla vista dell’animale le fanciulle corsero ognuna in una direzione diversa, lo hjasi afferrò allora la principessa e si rifugiò nel bosco. Le damigelle tornarono poi a casa e riferirono quanto era successo. Il re ne fu estremamente addolorato: diede l’ordine di cercare la figlia, ma non la si trovò in nessun luogo, nessuno fu capace di dirgli dove fosse. Come ogni cosa, anche questa fu piano piano dimenticata, il tempo passò e si avvicinò la festa di Jól.
»

Parola importata dai Variaghi, hjassi / hjasi ha a mio avviso come sorgente ultima il sanscrito hastin "elefante". Fulvio Ferrari, che ha curato la traduzione e l'edizione della Saga di Egill il Monco (1995), fa notare in una nota seminale che lo hjassi fosse descritto come una bestia in tutto simile all'elefante, fatta salva l'assenza della proboscide, organo muscolare che costituisce invece uno dei tratti distintivi imprescindibili del pachiderma. Ecco le parole dell'insigne germanista sull'argomento (da me credute a lungo opera di Gianna Chiesa Isnardi per una fallacia della memoria):

«Non è chiaro a che tipo di animale, più o meno fantastico, l’autore della saga faccia riferimento con il termine hjasi. Secondo  Petter Salan  si  tratterebbe di un lupo (Salan 1693, pp. 92 ss.); Lagerholm (1927, p. 4-5n.) accoglie l’ipotesi di un legame con il norvegese jase (lepre) e pensa all’attribuzione di caratteristiche e dimensioni fantastiche a un animale, la lepre appunto, assente in Islanda. Marina Mundt (1993, pp. 216-219) pone invece il termine hjassi – grafia in AM 589e, 4° – in relazione con il sanscrito hasty e riconosce in questo mostro un elefante indiano: viaggiatori scandinavi in Oriente avrebbero visto rappresentazioni di elefanti con un guerriero stretto nella proboscide, e dai loro racconti sarebbe originato lo hjasi della Saga di Egill il monco. Va però notato che la lingua norrena conosceva il termine d’origine persiana fíll per designare l’elefante, animale descritto con una certa ampiezza nell’excursus geografico contenuto nello Stjórn, traduzione  e  parafrasi  commentata  dei  primi  libri  della  Bibbia in norreno (Simek 1990, pp. 524-525). Se inoltre lo hjasi della saga derivasse dall’impressione suscitata negli Scandinavi in Oriente dall’immagine di un elefante con un guerriero stretto nella proboscide, non si spiegherebbe l’assenza dalla descrizione dell’elemento più strano e, al tempo stesso, funzionale: la proboscide.»

Le grottesche opinioni di Salan e di Lagerholm sono da ritenersi risibili e più insensate dei peti di un mulo: manca loro qualsiasi traccia di elementare coerenza interna. Detto questo, assumendo che lo hjassi sia un esotico pachiderma, il mistero della proboscide mancante avrebbe una chiara e logica spiegazione: più che all'elefante asiatico (Elephas maximus), si può pensare che la parola fosse riferita al mammut (gen. Mammuthus), animale ben noto in Russia, dove notevoli resti affioravano dai terreni siberiani, al punto da costituire importanti fonti d'avorio in epoca medievale. Le carcasse dei mammut rinvenute nella tundra erano sprovviste della proboscide, dato che il deterioramento dell'appendice nasale si era completato prima del processo di congelamento. Si deve notare che il prestito, evidentemente entrato nella lingua degli Svedesi, sia poi giunto fino in Islanda. 

Il vocabolo norreno in questione non va confuso con hjassi, variante di hjarsi (m.) "apice, cima" e derivata dalla stessa radice di hjarni (m.) "cervello" (protoforma indoeuropea *k'erǝs-). L'idea di Petter Salan, che identifica assurdamente lo hjassi con una lepre ingigantita all'istante all'arrivo dei coloni norvegesi in Islanda, si fonda sull'esistenza di un altro omofono: hjasi (m.) "lepre". Vediamo che il genuino esito norreno del protogermanico *xazæ:n "lepre" è heri (m.), ove la vocale -e- si è prodotta a causa dell'Umlaut palatale della rotica -R-, derivata regolarmente da -z- e quindi confusa con -r-. Per contro non si trova chiara spiegazione all'aspetto fonetico di hjasi. Non può essere derivato dalla variante *xasæ:n, con sibilante sorda, che avrebbe dato *hasi. Una fantomatica protoforma *xisæ:n, il cui vocalismo è da ritenersi aberrante, non spiega neppure lei i dati: non si sarebbe sviluppata affatto la "frattura" della vocale tonica, ossia la sua trasformazione in -ja-. Avanzo l'ipotesi che hjasi "lepre" sia un prestito da una lingua germanica orientale, anche se la fonetica permane ardua. La forma gotica ricostruibile è *hasa "lepre". La protoforma indoeuropea, posto che la parola non sia un relitto di sostrato, sarebbe *k'as-(no-) "grigio". 

Veniamo ora al sanscrito hastin "elefante". Esiste una radicata tradizione che traduce hastin con "dotato di mano", dove la mano a cui si allude è ovviamente la proboscide, appendice mirabilissima, dotata di migliaia di muscoli e prensile in modo splendido. Esiste infatti l'aggettivo hastin "dotato di mani". Se devo essere franco, ritengo poco probabile questa spiegazione. Con ogni probabilità si tratta di una falsa etimologia o etimologia popolare, essendo hastin "elefante" un relitto di una lingua sconosciuta del sostrato preindoeuropeo sopravvissuto nel lessico sanscrito. Un'altra possibilità è che si tratti di un calco dal Tamil kaimmā - uno delle centiniaia di nomi dell'elefante tuttora in uso - che potrebbe derivare da kai "mano", intesa come "appendice prensile". Posto che non sia a sua volta una falsa etimologia. Riporto il link a una pagina che elenca un certo numero di derivati e di composti in sanscrito:


A questo punto rimane un problema: qual è stata l'esatta traiettoria del prestito? Se postuliamo l'esistenza di un'ignota lingua siberiana che ha preso il prestito dal sanscrito e lo ha usato per descrivere i mammut, resta da risolvere una questione di non poco conto: in concreto, di quale lingua si tratta? Dobbiamo pensare che l'aspirazione iniziale del sanscrito hastin, che era sonora, sia stata adattata in una fricativa sorda /ç/, che in norreno è stata poi resa con /hj/. Questo porrebbe fine all'annoso problema della -j- in hjassi. Poi dovremmo pensare all'evoluzione di -st- in -ss- / -s-. Queste considerazioni non mi sono al momento sufficienti a identificare l'idioma perduto in questione, così lascio aperta la discussione. 

giovedì 28 marzo 2019

PRESTITI IRLANDESI IN NORRENO

In norreno si trovano alcuni prestiti dall'antico irlandese, com'è naturale che sia, a causa dei contatti profondi tra i Vichinghi e le genti celtiche dell'Isola Verde. Va però precisato che si tratta di vocaboli che compaiono soltanto nella lingua dell'Islanda, a parte una paio di termini relativi a nazionalità celtiche, mentre non sono attestati in Norvegia e in Svezia in epoca medievale. Tuttavia alcuni casi hanno lasciato discendenti nelle lingue moderne, quindi dovettero esistere. Quando l'Islanda fu colonizzata da esuli norvegesi in fuga dal regime tirannico (uppríki) di Aroldo Bellachioma, portarono con sé molti schiavi irlandesi. A un certo punto prendere come concubine fulve ragazze irlandesi era quasi un hobby, tanto che di queste passioni restano ancora tracce indelebili nel genoma delle genti d'Islanda. In realtà c'era un rapporto ambivalente tra i padroni di lingua norrena e i servi importati dall'Isola Verde: non di rado a questi ultimi erano attribuiti poteri sovrumani che esigevano rispetto.

Elenco nel seguito i prestiti irlandesi in norreno che sono riuscito a reperire, aggiungendovi commenti che spero saranno considerati utili dai (pochissimi) lettori di questo portale alla deriva. Il genere grammaticale delle voci norrene è indicato tra parentesi: (m.) = maschile; (f.) = femminile; (n.) = neutro. 

bagall (m.), pastorale, bastone del vescovo
Deriva dall'antico irlandese bachall "bastone; pastorale". In ultima istanza è un derivato dal latino baculum "bastone".
 

bjafall (m.), mantello con cappuccio senza maniche
Deriva dall'antico irlandese birbell "tipo di mantello". 
 

bjannak (n.), benedizione
  variante: bjának
Deriva dall'antico irlandese bennacht "benedizione", a sua volta dal latino benedictio: (gen. benedictio:nis). Come si può ben intuire, il vocabolo è intrinsecamente cristiano. Pure ci viene tramandato dalle fonti del tardo paganesimo nordico che era chiamato bjannak il gesto di saluto fatto da Odino.

bjǫð (f.), pianura, terreno, terra, mondo
Deriva dall'antico irlandese bith, bioth (m.) "mondo", dal protoceltico *bitus. Si trova questo elemento nel gallico bitu-, nell'etnonimo Bitu-ri:ges. Si noti il cambiamento di genere grammaticale nel passaggio della parola al norreno.


brekan (n.), tipo di coperta da letto, plaid 
Deriva dall'antico irlandese breccán "tartan", lett. "(tessuto) screziato", da brecc "screziato, maculato".


dini (m.), fuoco
Deriva dall'antico irlandese teine "fuoco", dal protoceltico *tenes-, a sua volta da *tepnes-. La regolare perdita della labiale -p- rende poco evidente la parentela di questa parola con il latino tepe:re "essere tiepido", tepor "calore (moderato)", dalla radice indoeuropea *tep- "caldo".

díar "dèi; preti (pagani)"
Deriva dall'antico irlandese Día "Dio", con una desinenza -ar del plurale maschile norreno dei nomi forti col tema in -a-. L'origine è chiaramente dal protoceltico *de:wos "dio, divinità" (< *deiwos), la cui radice è ben attestata nell'onomastica di tutto il dominio celtico antico. Trovo assai singolare l'uso di questo vocabolo per indicare realtà pagane, dato che l'Irlanda era un paese cristiano, anzi, un centro di irradiazione del monachesimo. Forse dietro le apparenza si nascondevano realtà ancestrali, come prova anche la grande fama di esperti in magia che gli Islandesi attribuivano alle genti d'Irlanda. Va anche detto che gli Irlandesi stanzatisi in Islanda all'inizio della colonizzazione sono rapidamente passati al paganesimo.


gjaltr (m.), panico in battaglia
Deriva dall'antico irlandese geilt "codardia, pusillanimità; terrore". Stando a Zoëga, autore del ben noto dizionario, la parola in norreno ha un uso limitato e stereotipato, in pratica la si trova soltanto nella frase verða at gjalti "diventare pazzo dal terrore" (glossa inglese: to turn mad with terror).


ingjan (f.), ragazza
Deriva dall'antico irlandese inġen "ragazza", che è dal protoceltico *eni-gena: "figlia; ragazza". L'irlandese moderno ha inghean.


Írar (pl. m.), Irlandesi
   derivati:
   írskr, irlandese
   Írland (n.), Irlanda

Deriva dall'antico irlandese Ériu (gen. Érenn) "Irlanda", dal protoceltico *I:werju:, gen. *I:werjonos, a sua volta dalla radice indeouropea *pi:wer- "grasso, abbondante" con regolare perdita dell'occlusiva labiale sorda. Un tempo il toponimo in questione, registrato in latino come Hibernia già all'epoca di Cesare, fosse formato a partire dalla radice del sanscrito Ārya- "signore, nobiluomo" (da cui è derivato l'aggettivo Ariano); si vede a colpo d'occhio che questo è impossibile per ragioni fonetiche. In gaelico moderno si ha Éire.

kapall (m.), ronzino
Deriva dall'antico irlandese capall "cavallo".
In ultima analisi, l'etimologia è la stessa dell'italiano cavallo, latino caballus "cavallo castrato" (di origine celtica). Non è poi così chiaro se il vocabolo in irlandese fosse davvero nativo.

kjafall (m.), tipo di camicia
Deriva dall'antico irlandese caḃail "tronco della camicia". Indica soprattutto un indumento senza maniche e dotato di cappuccio, indossato dalle donne degli Indiani d'America. 


kjallakr (m.), proprietario di una cantina
Deriva dall'antico irlandese cellach "cantina". In ultima analisi l'etimologia della voce irlandese è la stessa di quella del norreno kjallari "cantina": la radice di partenza è quella del latino cella


kjannr (m.), testa
kjanni (m.), testa
Deriva dall'antico irlandese cenn (n.) "testa". L'irlandese moderno ha ceann. La forma protoceltica è *kwennom, da cui deriva anche il gallico penno- "testa". Anche il britannico aveva la forma labializzata penno- (da cui il gallese pen). Si noti il cambiamento di genere grammaticale nel passaggio della parola al norreno.

korki (m.), avena
Deriva dall'antico irlandese coirce, corca "avena". Il termine, di origine non indoeuropea, è assai probabilmente un relitto di una lingua neolitica. 


kross (m.), croce 
Deriva dall'antico irlandese cross "croce", che a sua volta è un chiaro prestito dal latino crux, gen. crucis. La forma che continua nel gaelico è il nominativo, non l'accusativo crucem. Si noti la complessità dei percorsi attraverso cui si diffondevano queste parole connesse alla cristianizzazione. Attraverso questo prestito possiamo tracciare l'influenza della Chiesa Irlandese, che all'epoca non dipendeva da Roma. Per contro, forme come krúss, krúx, krúz, sono giunte attraverso missionari della Chiesa Romana e hanno una fonetica molto diversa. 


kró (f.), recinto per il bestiame, ovile
    gen. krór, dat./acc. kró;
    pl.: nom./acc. krór, gen. króa, dat. króm
Deriva dall'antico irlandesce cró "recinto".


lámr (m.), mano
Deriva dall'antico irlandese láṁ /lã:β/ "mano". L'irlandese attuale ha lámh /la:v/. Notevole il cambiamento di genere: la parola gaelica è femminile e deriva dal protoceltico *la:ma:, dalla stessa radice indoeuropea da cui deriva il latino palma "palmo di mano": la scomparsa dell'antica consonante p- è regolare e caratterizza le lingue celtiche. 


lind (n.), sorgente 
Deriva dall'antico irlandese linn "pozza; lago; mare; oceano".
In irlandese moderno, la parola lionn è giunta a significare "birra". 


lung (f.), nave
Deriva dall'antico irlandese long "nave". L'etimologia della parola gaelica è dibattuta. Alcuni autori vorrebbero derivare long dal latino longa (na:vis) "nave lunga", ma esiste in antico irlandese un termine sicuramente nativo, coḃlach "flotta", da *kom-wo-loks (gen. *kom-wo-logos), che depone a favore di un'origine antica. Si noti che il genere grammaticale si è conservato in norreno: la parola irlandese, femminile, è rimasta tale.

lurkr (m.), mazza
Deriva dall'antico irlandese lorg "mazza, clava". Notevole il cambiamento di genere: la parola gaelica è femminile. 


mallakr (m.), maledizione
mallaki (m.), maledizione
Deriva dall'antico irlandese mallacht "maledizione", a sua volta prestito dal latino maledictio: (gen. maledictio:nis). Nella Saga di Olaf Tryggvason contenuta nel Flateyjarbók è riportato var mikill mallaki "ci fu grande maledizione". È attestata persino una formula di maledizione, riportata nella Saga di Giovanni il Santo (Jóns Saga Helga): male diarik! "sii tu maledetto, o re!" (glossa norrena: bǫlvaðr sért þú konúngr!). Si tratta di un tentativo di rendere mallacht duit a ríġ! (lett. "(sia) maledizione a te, o re!"). Il re risponde nella stessa lingua a chi lo ha maledetto, un norvegese che conosceva l'irlandese, dicendogli: olgeira ragall "è difficile conoscere la via buia" (glossa norrena: ókunnug er myrk gata).

minþak, minðak (n.), pasta di burro e farina
Deriva dall'antico irlandese mintach, menadach.


skjaðak (n.), loglio; cattiva fermentazione della birra
Deriva dall'antico irlandese sceathach "vomitevole, nauseabondo" (detto di birra cattiva). In norreno la parola fa riferimento all'avvelenamento della birra col loglio (Lolium temulentum). Si è recentemente scoperto che non è il loglio in sé ad essere velenoso, ma diventa tale a causa del fungo che lo parassita (Claviceps purpurea, detto anche ergot). Il norvegese moderno ha skjak "loglio", segno che la parola dovette essere conosciuta e usata anche in Norvegia, non soltanto in Islanda.


skotr (m.), scoto; scozzese 
   derivati:
   skozkr, scozzese
   Skotland (n.), Scozia
Deriva dall'antico irlandese Scot (m.; pl. Scoit) "scoto; scozzese", di origine non indoeuropea.

sofn (m.), fornace 
    derivati:
    sofnhús (n.), casa della fornace

Deriva dall'antico irlandese sorn(n) "forno, fornace", a sua volta dal latino furnus. Il trattamento della rotica è a mio avviso assai peculiare. Forse si può considerare un indizio del fatto che la rotica in antico irlandese non era trillata. La parola non l'ho trovata nel dizionario di Zoëga, bensì in un'opera di Jón Jóhannesson:


Per ulteriori informazioni, si rimanda ad altro materiale in islandese:


sparða (f.), ascia irlandese a due mani 
Deriva dall'antico irlandese sparth "ascia a due mani". Molto comune è l'idea che il vocabolo irlandese sia d'origine norrena, anche se poi non troviamo credibili corrispondenze in alcuna lingua germanica. Con ogni probabilità è un relitto di una lingua preceltica che continuò a essere parlata a lungo nell'Isola Verde, come provato da numerose altre parole problematiche in gaelico, come vedremo in altra occasione. 


súst (f.), attrezzo per trebbiare  
   varianti: þúst, þust 
Deriva dall'antico irlandese súist "attrezzo per trebbiare". In ultima istanza dal latino fu:stis "bastone, palo", da cui anche l'italiano fusto. La traduzione in inglese della parola norrena e di quella irlandese è flail, cosa che può fuorviare il lettore poco esperto e convincerlo che si stia parlando dell'arma chiamata mazzafrusto.

tarfr (m.), toro
Deriva dall'antico irlandese tarḃ "toro", naturale evoluzione del protoceltico *tarwos


ærgin, ergin (n. pl.), malghe, alpeggi  
Deriva dall'antico irlandese airge "luogo dove sono tenute le vacche". Il norvegese moderno ha erg "alpeggio", segno che la parola di origine gaelica dovette esistere anche in Norvegia, non soltanto in Islanda. 


Gli antroponimi 

I nomi propri di persona di origine irlandese sono numerosi nel patrimonio onomastico islandese. Si trovano anche alcuni soprannomi. Per approfonditi dettagli bibliografici si rimanda al lavoro di Brian M. Scott, Old Norse Forms of Early Irish Names (2003). Commento in questa sede vari antroponimi adattati in norreno dal gaelico, cercando per quanto possibile di delinearne l'etimologia e di aggiungervi qualche considerazione.

Bekan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Beccán, a sua volta da becc "piccolo", con l'aggiunta del tipico suffisso diminutivo -án (< -*agnos).

Bjaðachr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Beothach, che significa "Il Vivente", da bethu, beothu "vita", gen bethaḋ  (protoceltico *biwotu:ts). Attestato al genitivo come Bjaðachs in un'iscrizione (metà XI secolo). Quello che trovo di notevole in questa attestazione è il mancato adattamento del suono aspirato gaelico -ch-: ci saremmo aspettati *Bjaðaks. Potrebbe essere un indizio del fatto che all'epoca esistevano ancora parlanti dell'antico irlandese? 

Bjaðmakr (m.)
Scott afferma di non aver trovato una credibile fonte irlandese per questo antroponimo. Resta tuttavia possibile che derivi da be(o)thu "vita" e da macc "figlio", significando quindi "Figlio della Vita". Davvero inconsueto, ma non così incredibile. Si potrebbe pensare a un significato cristiano.

Bjollok (f.)
È un adattamento dell'antico irlandese *Beollóc, non attestato ma formato dalla radice beoll- (vedi Bjólan) con un suffisso diminutivo -óc che ricorre anche nell'antroponimo femminile Crínóc

Bjólan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Beollán.

Brjánn (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Brian (gen. Briain). C'è chi ha suggerito una protoforma *Brigonos, ma lo trovo impossibile: la -g- mediana protoceltica si è evoluta in una fricativa sonora /γ/, trascritta come -ġ- (g puntata). Soltanto in seguito tale suono si è dileguato, lasciando però traccia nella scruttura fino alla riforma ortografica occorsa in tempi moderni. La protoforma *Brigonos è realmente esistita ma ha dato Breġan, Breoġan, nome di un eroe che compare nel Libro delle Invasioni. In islandese moderno Brjánn suona PRJAUTN.

Dofnakr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Doṁnach, che dal latino Dominicus "Domenico". A dispetto dell'aspetto fonetico, non è connesso con doṁun (m.) "mondo", che è dal protoceltico *dubnos (cfr. gallico dumno-), alla lettera "profondità, abisso".

Domnall (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Doṁnall, dal protoceltico *Dubno-walos "Dominatore del Mondo". È attestato in un'iscrizione runica come TOMNAL. 

Dufan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Duḃán "Piccolo Nero", diminutivo da duḃ "nero" (protoceltico *dubus).

Dufgall (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Duḃġall, alla lettera "Pagano Nero" (ossia "Danese"). In un'iscrizione runica trovata nell'Isola di Man il nome è attestato al genitivo come TUFKALS.

Dufgúss, Dufgus (m.)
    gen. Dufgusar
    variante: Dugfúss 
È un adattamento dell'antico irlandese Duḃġus "Forza Nera". Si noti la desinenza -ar del genitivo, che mostra come il tema in -u- del secondo elemento gus "forza" sia stato conservato in norreno.  

Dufþakr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Duḃthach. Questa è una preziosa testimonianza della pronuncia della lingua gaelica all'epoca dei Vichinghi. L'evoluzione estrema di questo antroponimo ha dato in inglese Duffy

Dungaðr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Donnchaḋ (gen. Donnchaiḋ). Significa "Nobile Bruno, Guerriero Bruno", dal protoceltico *Donno-katwos.


Dungall (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Dúngal. Significa "Potere della Fortezza", dal protoceltico *Du:no-galos. Il primo membro del composto corrisponde al gallico du:no- "fortezza, città", che ha dato così tanti toponimi in -du:num (es. Lugdu:num < *Lug(u)du:non "Città di Lugus", ossia Lione, etc.). Il secondo membro del composto è la radice del nome dei Galli e dei Galati.   


Eðna (f.)
È un adattamento dell'antico irlandese Ethne, Eithne. Il nome, che significa "Chicco di Grano", è attualmente molto popolare in America nella forma Edna.


Feilan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Fáelán "Piccolo Lupo", diminutivo di fáel "lupo", dal protoceltico *wailos, termine tabuistico formato dall'interiezione *wai "guai". È attestato anche come soprannome: uno dei coloni stanziati in Islanda agli inizi del X secolo si chiamava Óláfr "feilan" Þorsteinsson. Ancora oggi in Islanda si usa Feilan come nome proprio e come soprannome.


Gilli (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Gilla "Servo". Letteralmente gilla significa "pupillo; giovane uomo" (pl. gillai). Trovo assai verosimile che il vocabolo gaelico sia un prestito dall'antico inglese gilda "compagno". Altri pensano piuttosto all'antico inglese ċild "bambino" (inglese moderno child), ma in questo caso non potrebbe trattarsi di un prestito diretto a causa di difficoltà fonetiche.


Gillikristr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese  Gilla Chríst "Servo di Cristo". Si noti la differenza sintattica tra il norreno e l'irlandese, che ha reso il nome del possessore come il nome di una cosa posseduta.


Gljómall (m.)
Privo di etimologia norrena, si deve trattare dell'adattamento di un antroponimo antico irlandese. Il problema è che si è smarrito l'originale. Deve essere stato *Gleomál, derivato da gleo "battaglia" e da mál "principe" (< *maglos).


Gluniarain (m.)  
È un adattamento dell'antico irlandese Glún Íarainn "Ginocchio di Ferro", a sua volta traduzione del soprannome norreno Járnkné, con lo stesso significato. 

Kaðall (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Cathal, derivato dal protoceltico *Katu-walos "Dominatore della Battaglia". Simile al britannico Catuvellaunus, che è il modo in cui si trascriveva in latino *Katu-wellaunos, *Katu-wal(l)aunos. In gallese è diventato regolarmente Cadwallon


Kaðlín (f.)
È un adattamento di un nome antico irlandese non identificato, senza dubbio formato a partire da un elemento assai comune nell'onomastica celtica: cath "battaglia", dal protoceltico *katus. In gallico e in britannico troviamo vasta attestazione di nomi in Catu- come Catu-ri:ges "Re della Battaglia", tanto nell'onomastica personale, quanto nei teonimi e negli etnonimi. In Kaðlín è l'elemento -lín il problema. A scanso di equivoci, non si tratta del nome Kathleen, che è un'anglizzazione del gaelico Caitlín "Caterina".


Kalman (m.)  
È un adattamento dell'antico irlandese Colm "Colombano", diminutivo Colmán, in ultima analisi dal latino columba. Si noti il nominativo non marcato, come spesso accade in nomi di origine straniera; tuttavia sembra che anche la forma regolare Kalmann sia attestata. 

Kamban (m.)
Attestato come soprannome, deriva dall'antico irlandese cammán "individuo curvo", da camm "curvo" (protoceltico *kambos). Il prestito però dovrebbe essere avvenuto quando il gruppo consonantico -mb- non si era ancora assimilato.

Kjallakr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Cellach (variante Celldach). Ne deriva l'etnico Kjallekingar "Discendenti di Kjallakr". Il nome gaelico significa "Lotta, Contesa" e non ha nulla a che fare con cellach "proprietario di una cantina" (vedi sopra).


Kjaran (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Ciarán "Piccolo Bruno", diminutivo di cíar "fosco; marrone scuro" (protoceltico *ke:ros, con -e:- da un precedente -ei-).

Kjartan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Cerdin, Cerddin, derivato da cerd, cerdd "artigiano". Molti lo ritengono invece una semplice abbreviazione di Mýrkjartan (vedi sotto). Ricordo di aver letto sul prezioso testo di Gianna Chiesa Isnardi, I miti nordici (1997), di un uomo di nome Kjartan che era un grande adoratore e possedeva una pietra a cui offriva i blót. Poi giunse un missionario, che elevando salmi e praticando esorcismi sarebbe riuscito - così si narra - a sciogliere l'idolo petrigno e a convertire il suo adoratore terrorizzato. Questo aneddoto altamente ideologico illustra bene il contrasto tra persone di ascendenza irlandese, in origine cristiane e poi convertite ai culti pagani, e i missionari della Chiesa Romana.

Kjarvalr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Cerḃall. Nell'ortografia del gaelico moderno è scritto Cearbhall. Non posso nascondere l'oscurità della sua etimologia. Non si sa bene per quale stoltissima perversione è stato usato da alcuni per rendere i nomi Charles e Carrol.

Konall (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Conall. Deriva dal protoceltico *Kuno-walos "Dominatore dei Cani".

Kormákr (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Cormacc. Appare come un composto formato a partire da macc "figlio", anche se il primo elemento cor- non è chiarissimo. L'ipotesi più plausibile è che questo cor- derivi da corb "carro (da guerra)", essendo la forma in origine *Corbmacc. Se così fosse, l'antroponimo avrebbe il significato di "Figlio del Carro", con riferimento al valore dell'auriga sul campo di battaglia.

Kormloð (f.)
È un adattamento dell'antico irlandesce Gormlaith "Principessa Blu", dal protoceltico *Gormo-wlatis.

Kváran (m.)
Attestato come soprannome: Óláfr Kváran. È un adattamento dell'antico irlandese Cuarán, derivato da cúar "curvo, zoppo". In irlandese esiste l'attestazione di un certo Aṁlaiḃ Cuarán, che verosimilmente è proprio lo stesso uomo chiamato Óláfr Kváran in norreno. 


Kýlan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Cáelán, Cóelán "Piccolo Magro", dal protoceltico *koilos "magro, tenue, stretto".

Maddaðr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Maddaḋ. Con ogni probabilità deriva da madda, maddra "cane", un termine di origine preceltica e preindoeuropea, relitto di una lingua neolitica.


Mallymkun (genere incerto)
È un adattamento dell'antico irlandese *Máel Lomchon "Devoto di Lomchu", antroponimo non documentato ma plausibile. Questo *Lomchon, genitivo di *Lomchú, deriva da lomm "nudo, liscio" e da "cane". Non è chiaro se sia un nome di uomo o di donna; è attestato in un'iscrizione runica come MAL:LYMKUN, al nominativo.


Margaðr (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Murchaḋ. Significa "Signore del Mare, Guerriero del Mare", dal protoceltico *Mori-katwos.

Melbrigða (m.)
Melbrigði (m.)
La forma in -a è attestata in caratteri runici come MALBRIÞA, la forma in -i è attestata in caratteri runici come MAILBRIKTI. È un adattamento di Máel Brigte "Devoto di Brigida".

Meldun (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Máel Dúin "Servo della Roccaforte", nome di un antico eroe dei tempi pagani, un ulisse ibernico celebre per i suoi viaggi in terre sovrannaturali.

Melkólfr (m.)
Melkólmr (m.)

È un adattamento dell'antico irlandese Máel Coluim "Devoto di Colombano". La forma con -m- lenito in -f- è notevole. 


Melkorka (f.)
È un adattamento dell'antico irlandese Máel Curcaiġ "Devota di Curcach". Sappiamo di una donna che portava questo nome. Si narra nella Laxdæla Saga che fosse bellissima ma muta. Fu presa come concubina da un uomo, che la ingravidò. Il figlio fu chiamato Olaf e crebbe parlando irlandese, segno che il mutismo di Melkorka era soltanto simulato. In seguito il ragazzo veleggiò verso l'Isola Verde, dove ottenne gloria e onori, essendo la sua origine materna regale.

Melmari (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Máel Maire "Devoto di Maria". Un tipico nome cristiano.

Melpatrikr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Máel Pátraic "Devoto di Patrizio". Un tipico nome cristiano.

Melsnati (m.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Máel Snechtai "Devoto di Snechta".

Myrgjol (f.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Muirgel, dal protoceltico *Mori-gela: "Splendore del Mare". Il secondo componente, -gela: "splendore", si trova anche nel nome di Virgilio: Vergilius non è germogliato nel Lazio, bensì nella terra dei Galli Cenomani.

Mýrkjartan (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Muirchertach. Significa "Marinaio".


Mýrún (f.)
È un adattamento dell'antico irlandese Muirenn. La sillaba finale è stata alterata per etimologia popolare sulla base dei numerosi nomi femminili in -rún (es. Guðrún). 


Njáll (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Niall (gen. Néill). Il significato originale dell'antroponimo è incerto. Sono state fatte varie proposte. Assurdo e ridicolo il tentativo di ricondurre Niall a nél (m.) "nuvola" (< *neblos). Sono invece convinto che sia interessante una connessione con nia (gen. niaḋ) "eroe, guerriero, campione" (< *ne:ts, gen. ne:tos, con -e:- da un precedente -ei-), nel qual caso si può ricostruire la protoforma come *Ne:tlos. Notevole è la rispondenza della radice in questione in area celtiberica.

Patrekr (m.), Patrizio
È un adattamento dell'antico irlandese Pátraic, dal latino Patricius

Poppó (m.)
È un chiaro derivato dell'antico irlandese pobba "padre (in senso spirituale)". Il vocabolo in questione ha diverse varianti: popa, poppa, bobba. Si tratta a mio avviso di un elemento di sostrato, preso da una lingua non indoeuropea sovravvissuta a lungo in Irlanda, ancora a crisianizzazione avvenuta. Anni fa ero convinto che questa parola fosse all'origine del norreno papar "monaci irlandesi", ma l'attenta analisi dei dettagli fonetici mi ha convinto dell'ingenuità di questo accostamento.  

Rafarta (f.) 
È un adattamento dell'antico irlandese Roḃartach, Raḃartach. Significa "Sovrabbondante". Il prefisso ro-, dall'indoeuropeo *pro- "davanti", è un tipico intensivo in protoceltico e nelle lingue derivate. La radice verbale è dall'indoeuropeo *bher- "portare", che si trova ben documentato nel latino ferre.

Taðkr (m.)
È un adattamento dell'antico irlandese Taḋg, di cui riproduce molto bene l'originaria pronuncia. In ultima analisi proviene dal protoceltico *tasgos "tasso" (animale), ben documentato nell'onomastica gallica (Tasgo-) e britannica (Tasgo-, Tasc(i)o-). Non si capisce secondo quale logica i moderni anglosassoni usino tradurre il nome irlandese Tadhg con Timothy