venerdì 13 settembre 2019



IL SEME DELL'UOMO

Lingua originale: Italiano
Paese di produzione: Francia, Italia
Anno: 1969
Durata: 113 min
Genere: Fantascienza, drammatico
Sottogenere: Surreale, simbolico
Regia: Marco Ferreri
Soggetto: Marco Ferreri
Produttore: Franco Cristaldi
Formato: Eastmancolor  
Sceneggiatura: Marco Ferreri, Sergio Bazzini
Casa di produzione: Polifilm
Distribuzione in italiano: Cineriz
Fotografia: Mario Vulpiani
Montaggio: Enzo Micarelli
Musiche: Teo Usuelli, Richard Teitelbaum
Scenografia: Luciana Vedovelli Levi
Costumi: Lina Nerli Taviani
Trucco: Alfonso Gola
Interpreti e personaggi:
    Anne Wiazemsky: Dora
    Marzio Margine: Cino
    Annie Girardot: donna straniera
    Rada Rassimov: prostituta bionda al seguito del maggiore
    Maria Teresa Piaggio: prostituta riccia rossiccia al seguito
           del maggiore
    Milvia Deanna Frosini: prete
    Angela Pagano: suora
    Adriano Aprà: giornalista televisivo
    Mario Vulpiani: maggiore elicotterista
    Vittorio Armentano: tecnico/scienziato bruno
Titoli tradotti: 

    Inglese: The Seed of Man
    Francese: La Semence de l'Homme
    Catalano: La llavor de l'home



Trama:
Una coppia di giovani si è fermata a un autogrill per mangiare un boccone. La ragazza, Dora, è una splendida rossa malinconica, che svogliatamente addenta un hamburger mentre un grande schermo televisivo sulla parete mostra immagini in bianco e nero di città distrutte. Sembrano immagini di repertorio della Guerra, prive di qualsiasi attinenza con la realtà presente. C'è però un elemento incongruo: un'annunciatrice avvisa che un cartello giallo indica la peste e che ci si augura di non imattersi mai in tale segnale. Eppure nell'autogrill la vita continua come sempre, senza traccia alcuna di situazioni di emergenza. Il giovane Cino Doria, un toscanaccio malcontento dalla chioma biondiccia, invita la sua amata a finire il pasto e a seguirlo, ché è ora di rimettersi in viaggio. Passa dal distributore dove sono messe in bella mostra pile di olio lubrificante. Gli viene offerto del whisky (pubblicità occulta di una nota marca), che accetta - pur senza mostrarsi bramoso come farei io. La coppia sale sulla splendida automobile arancione, che sfreccia sull'autostrada deserta. Presto le corsie si restringono come l'uretra di un puttaniere pieno zeppo di pus gonorroico: c'è un posto di blocco. La scena è surreale: i poliziotti sembrano usciti da un film grottesco con Pozzetto e sono più goffi dei tacchini gonfiati con anabolizzanti. Conducono i due giovani sotto una tenda di plastica con apparecchiature che fanno bip! bip! e manichini distesi che dovrebbero essere cadaveri. Quindi consegnano loro un flacone di pastiglie per poter sopravvivere in una terra di morbi orrendi. La macchina arancione viene sequestrata, quindi Cino e Dora sono costretti ad allontanarsi sul litorale, con l'ordine di cercare un edificio abbandonato in cui stabilirsi. Così avviene. Il toscanaccio e la sua longilinea compagna occupano una villa costiera, dopo aver riscontrato che il padrone di casa giace defunto. Inizia una logorante cronaca di quotidiano disfacimento, con diversi colpi di scena destinati a riassorbirsi nel pus della monotonia, fino allo sconcertante epilogo.



Recensione:  
Budget ristrettissimo, appena sufficiente per produrre un film ai limiti del trash. Assenza quasi totale di effetti speciali. Impossibilità quasi totale di simulare la distruzione e la decadenza. Risultato: un collage impazzito che sembra fatto di sequenze oniriche male assortite e attaccate insieme con un debole collante. Certe ingenuità sono sconcertanti. Un solo capolavoro tecnico, una grande eccezione: il fotogramma in cui si mostra, in uno sconvolgente bianco e nero, la Visione Sublime, ossia la basilica di San Pietro diroccata, annientata! L'Ultimo Papa, sprofondato nella demenza, viene portato via in barella mentre bofonchia formule superstiziose e afferma di aver perduto il Paradiso. Basterebbe soltanto questo per fare entrare la pellicola nella cineteca dell'Olimpo!


L'Eresia del Prete Crociato

Si noti che il prete al seguito dell'emissario statale, che sfoggia una tonaca nera con un gigantesco simbolo crociato scarlatto, è il rappresentante di una nuova religione, sorta sulle macerie del defunto Cattolicesimo. Quando benedice il cibo - un cinghiale arrostito su un rozzo fuoco di legna - si fa un segno della croce ridotto e dice risoluto: "Nel nome del Padre e del Figlio". Lo Spirito Santo è stato abolito. Eppure senza lo Spirito Santo non si può dare Cristianesimo alcuno, in nessuna sua confessione e forma! La Chiesa Romana, che ha perseguitato e assassinato i Catari, ha pur sempre in comune con loro - anche se soltanto a livello di linguaggio,  nelle formule e nei riti - lo Spirito Santo. Invece il Prete Crociato al seguito del ministro non fa menzione alcuna dello Spirito Santo, che è stato soppresso. Un prete biofilo e natalista, che comanda la fecondità. Eliminato senza indugio il Verbo, rimosso con efficacia estrema dopo la misera morte dell'Ultimo Papa, la strada resta spianata a ogni orrore concepibile da mente umana. Questo iato è la più grande frattura in tutta la storia del Cristianesimo. Soltanto un genio nichilista come Ferreri poteva concepire uno scisma di così grande portata! 


Costumi sessuali

Emerge un dato sconvolgente per questi tempi. I protagonisti, il toscanaccio biondiccio e la sua splendida ragazza fulva, non avevano alcun rapporto sessuale. L'unico contatto possibile tra un uomo e una donna era l'inserimento del pene nel vaso procreativo, con eiaculazione interna. La condanna di qualsiasi altra pratica sessuale era assoluta. I pompini erano inconcepibili. Non era nemmeno pensabile usare l'orifizio anale o compiere toccamenti masturbatori, facendo finire lo sperma sul corpo o nel vuoto. Esisteva una morale comune e onnipresente che schiacciava ogni iniziativa del singolo: tutto ciò che sfuggiva alla sua sorveglianza censoria era ritenuto universalmente ripugnante. Le donne erano la colonna portante di tale legge, la cui origine è chiaramente nel Vecchio Testamento. Il punto è che nessuno sembrava consapevole della natura religiosa di questi tabù, portati avanti anche da persone che non aderivano alla Chiesa di Roma o ad altra forma di culto organizzato. Le stesse pratiche erano portate avanti anche da persone atee. Qualcuno si porrà una domanda: "Era tutta ipocrisia? Ipocrisia italica?" Non credo. In quel mondo plumbeo l'imbarazzo era totale, certe cose non potevano nemmeno essere pensate. Un geroglifico inquietante di questa cappa di oppressione lo possiamo vedere nell'immenso capodoglio spiaggiato e destinato a putrefarsi sotto i raggi del sole.


Banchetti tiestei

La prostituta errabonda interpretata da Annie Girardot seduce il toscanaccio biondiccio e si fa mettere incinta. Natalista, biofila e copulatrice incallita, sostiene il dovere di ogni donna di continuare la Vita, la Biologia, la Carne. Così la compagna fulva dell'uomo, biasimata dalla pretoriana di Ahriman, si vendica in modo atroce. La ragazza dalle chiome rossicce uccide la disinibita rivale a colpi di scure durante un'escursione nella campagna. Anche se la tecnica usata è quella dell'off camera, si capisce che la macella, la cucina e la serve al suo compagno - che si complimenta per la dolcezza della carne, interrogandosi sulla natura dell'animale da cui proviene. Senza volerlo, si ritorna alle origini del Cristianesimo. Una delle accuse che i Romani rivolgevano ai seguaci della nuova religione era quello di organizzare orge cannibaliche. Secondo una credenza molto diffusa, nell'oscurità labirintica delle catacombe era scelta una vittima sacrificale, che veniva uccisa, macellata e mangiata ritualmente. Ecco qual era l'essenza dell'Eucarestia, secondo l'interpretazione letterale delle parole di Cristo: "In verità, in verità vi dico, se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi stessi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno". Io stesso, da bambino, ero rimasto sconvolto nell'udire queste parole dal prete che officiava una messa. Nella mia mente si erano formate immagini nitide di un uomo che veniva appeso a testa in giù con i ganci, sgozzato come un maiale, macellato e mangiato. Quando mia madre cuoceva le bistecche e le mangiavo avidamente, spesso fantasticavo che fossero state tagliate dal cadavere di Gesù. Non solo mi vedevo con la massima chiarezza mentale la carne umana cucinata in padella, servita e ingurgitata: la assaporavo proprio! Assimilata e trasformata in merda! Eccola l'essenza della dottrina dell'Incarnazione: farsi carne significa farsi sterco! Il Pop Bogomil mi ha insegnato la Verità e mi ha liberato da simili orrori! 


Una fiera eroina estinzionista 

La splendida ragazza fulva è una combattente contro l'ordine cosmico. Caso davvero raro per una rappresentante del Gentil Sesso, si rende conto che non esiste affatto il diritto di procreare, dato che ai nuovi nati si lascia in eredità una sopravvivenza infernale. Così si oppone al suo compagno, che è invece un biofilo natalista, un adoratore della fecondità. Il giovane le chiede continuamente di fare un figlio e lei rifiuta. "Non ne abbiamo il diritto!", esclama ogni volta la giovane. Quando i rappresentanti del governo le ordinano di essere ingravidata, riesce a tener loro testa. "Tutte le donne devono essere fecondate", questo è il supremo comandamento dell'Eresia Neocattolica che ha abolito lo Spirito Santo. Lei tace, si chiude nel suo sdegno e continua a non accettare lo sperma nel proprio ventre. Le reazioni del toscanaccio biondiccio a questo stato di cose sono folli, a dir poco bislacche. Prima accoglie nel letto la prostituta errabonda, che si stende tra lui e la sua compagna, prendendogli l'uccello tra le gambe e lasciandosi inseminare. Una volta eliminata la rivale, la ragazza fulva insiste nella propria determinazione a non dare al compagno il figlio che le chiede. Lui allora plasma una figura di donna nuda con la sabbia bagnata, in riva al mare, e si stende su di essa infilando il fallo nella vulva finta, bagnandola così di sperma. Poi decide di passare all'inganno: narcotizza la fanciulla ritrosa con una pozione e la ingravida nel sonno. Quando lei lo viene a sapere si dispera, mentre il fecondatore inscena una danza abominevole in cui si esalta, urlando: "Un miliardo di figli!" Si vede come il nuovo Adamo, colui che darà origine a un nuovo genere umano. Nemesi non tarda ad arrivare in soccorso dell'eroina!     


Pubblicità "occulta"

Nominato custode del museo storico, il giovane bellimbusto è particolarmente fiero del pezzo più importante ereditato dal vecchio proprietario della villa costiera. Si tratta di una forma di Parmigiano Reggiano. "Un gran formaggio da 700 anni!", esclama la ragazza fulva, a riprova della natura contagiosa ed insestinguibile dei messaggi pubblicitari. Quando ho sentito questa frase mi sono reso conto di quanto si stagliasse nella mia memoria in modo netto, improvvisamente recuperata dalla deriva nei miei banchi di memoria stagnante! Quel formaggio avrebbe potuto essere mangiato, come suggerito dalla sensuale rossa. Se ciò fosse avvenuto, non sarebbe rimasta alcuna memoria di tale prodotto dell'ingegno e del lavoro umano, visto che l'arte casearia era cessata a causa della catastrofe. La necessità di conservare quella reliquia è così passata davanti a ogni tentazione di smantellarla un boccone dopo l'altro solo per trasformarla in mucchietti di feci grasse. Quando i rappresentanti del governo, regredito alle condizioni barbariche del Far West, visitano la villa sul mare, si assiste ad atti di idolatria nei confronti della forma di formaggio: principalmente feticismo tramite contatto e inalazione. Persino il prete crociato perde il controllo! 


Loop temporale!

Alla fine, quando l'esplosione si porta via la coppia, si comprende l'arcano. Il toscanaccio biondiccio è un doppione giovanile del precedente custode della villa costiera. In pratica l'esplosione finale che sembra disintegrarlo assieme alla compagna, in realtà lo riporta indietro nel tempo, facendo ricominciare tutto dall'inizio, per sempre. Loop infinito! Un paradosso temporale stridente. Come un film in cui la fine coincide con l'inizio. Quando la coppia ha occupato la villa, ha subito trovato il corpo del custode: l'uomo era stato ghermito dal Triste Mietitore mentre era seduto su una sedia a contemplare il mare. Il funerale del defunto è consistito in una semplice inumazione nella nuda terra, con sopra qualche pietra per segnare il luogo della rudimentale tomba. Così inizia un singolare processo di assimilazione del nuovo proprietario alla figura del vecchio. Il marcantonio dai capelli paglierini si fa crescere una barba in stile puritano, come quella del Capitano Achab. Continua a radersi i baffi e parte delle guance, sagomandosi con grande cura la barba lasciata crescere sul mento. A questo punto solo un cieco non si renderebbe conto che a tutti gli effetti egli è diventato quasi indistinguibile dall'uomo che ha seppellito. Ecco, quell'uomo era ancora lui, in un cronotopo anteriore a quello in cui inizia la narrazione. Queste trovate negli anni '60 e '70 andavano molto di moda.   

Altre recensioni e reazioni nel Web

Questo è un estratto dal Dizionario Morandini

Scritta con Luigi Bazzini, questa favola apocalittica che invoca il dissolvimento dell'umanità aberrante è messa in immagini nella spoglia messinscena di un dramma beckettiano. La pochezza dei mezzi diventa stile. Lo scheletro candido della balena, bello come una scultura di Henry Moore, è l'unico lusso scenografico. Il nichilismo di Ferreri tocca qui uno dei suoi vertici.

Se devo essere sincero, lo scheletro del capodoglio mi è parso fatto di gesso. :)

Si deve a Paride86 il seguente intervento non proprio eulogistico apparso su www.mymovies.it

Da evitare 

Due giovani innamorati sopravvivono ad un non precisato cataclisma e si rifugiano in una casa sul mare. Ricostruiranno la loro esistenza vivendo come primitivi e perennemente in disaccordo se mettere o no al mondo una progenie. Da un'idea interessante è uscito fuori un film mal girato, male interpretato e segnato da una sceneggiatura noiosa e improbabile. I sopravvissuti si adattano benissimo alla nuova vita, quasi fossero degli esperti di agricoltura e pastorizia, senza contare l'incredibile abilità nella caccia, anche di lei, che si ritrova addirittura a fronteggiare vittoriosa un enorme cinghiale! Ci sono, poi, dei notevoli picchi di trash, come la pistola rosso fuoco, il sexy abito dell'amica del capitano, la bottiglia di pepsi e gli occhialoni rosa della vagabonda. Non mi è piaciuto per niente. 

Cineforum Fantafilm 

Il film di Ferreri è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 16 maggio 2011. Non l'ho visto in quell'occasione. Purtroppo le mie presenze sono state troppo poche!

martedì 10 settembre 2019


PROVIDENCE 

Titolo originale: Providence
Anno: 1977
Paese: Francia, Svizzera
Lingua: Inglese
Durata: 110 min
Tipologia: Metafilm
Genere: Drammatico, commedia, grottesco
Regia: Alain Resnais
Assistenti alla regia: Florence Malraux, Guy Pinon,
     John Lvoff
Soggetto / dialoghi: David Mercer
Produttori: Klaus Hellwig, Yves Gasser, Yves Peyrot
Produttore esecutivo: Philippe Dussart
Produttori associati: Lise Fayolle, Juergen Hellwig
Società di produzione: Action Films, Citel Films, SFP, FR3
Distribuzione: C.C.F.C. 
Musiche: Miklós Rózsa 
Fotografia:
Ricardo Aronovich
Scenografia: Charles Merangel, Jacques Saulnier
Montaggio: Jean-Pierre Besnard, Albert Jurgenson
Costumi: Catherine Leterrier (design),
    John Bates (guardaroba)
Trucco: Régine Havan, Victor Merinow, Michel Trigon,
    Marie-Hélène Yasschenkoff
Suono: René Magnol, Jacques Maumont
Direzione artistica: Michel Breton, Jean-Claude Cabouret,
    Daniel Pierre, Claude Serre
Interpreti e personaggi: 
    Dirk Bogarde: Claude Langham (avvocato cinico)
    Ellen Burstyn: Sonia Langham (moglie adultera)
    John Gielgud: Clive Langham (vecchio lamentoso)
    David Warner: Kevin Woodford / Kevin Langham
        (amante ingenuo / astrofisico)
    Elaine Stritch: Helen Wiener (cougar bionda)
    Danis Lawson: Dave Woodford (calciatore rubentino)
    Samson Fainsilber: Il vecchio pagano
    Cyril Luckham: Dottor Mark Eddington
    Anna Wing: Karen
    Kathryn Leigh Scott: Miss Boon (milf bruna sexy)
    Joseph Pittoors: Un vecchio
    Milo Sperber: Mr. Jenner
    Piter Arne: Nils
    Tanya Lopert: Miss Lister (milf rossiccia)
Riconoscimenti:
    1977 - Seminci
        Espiga de oro a Alain Resnais
    1978 - Premio César
        Miglior film a Alain Resnais
        Migliore regia a Alain Resnais
        Migliore sceneggiatura originale a David Mercer
        Migliore scenografia a Jacques Saulnier
        Miglior montaggio a Albert Jurgenson
        Miglior sonoro a René Magnol e Jacques Maumont
        Miglior colonna sonora a Miklós Rózsa
        Nomination Migliore fotografia a Ricardo Aronovich
    1977 - New York Film Critics Circle Award
        Miglior attore protagonista a John Gielgud


Trama: 
Un vecchio scrittore dilaniato dai dolori del cancro si ingozza di paté e di tartufi, ingurgitando ettolitri di vino bianco per favorire la discesa della massa di cibi verso la loro destinazione infera. Bagordi che di certo gli fanno onore e che non esiterei a ritenere un modello da imitare, se non fosse che ad ogni sorso il vegliardo se ne esce con insopportabili lamentele. Il film procede tra una colica e l'altra. Un po' come la mia esistenza. Un monologo querulo e incoerente, quasi un flusso di coscienza, che si fa immensa fatica a separare dalle caotiche sequenze della storia plasmata da quel singolare demiurgo. Assistiamo così al processo al giovane biondiccio Kevin Woodford, un soldato che ha avuto una disavventura durante un pattugliamento in un bosco. Nei pressi di un monumento megalitico si è imbattuto in un vecchio pagano con sembianze licantropesche, dalle unghie adunche e dal naso coperto di pelame stopposo. Il pagano, che era ferito in modo grave e implorava una rapida morte, viene preso in simpatia da Kevin e abbattuto all'istante con una fucilata. È per questo che l'uccisore, convinto assertore dell'eutanasia, subisce un processo civile. Cosa un po' singolare: non dovrebbe essere giudicato da un tribunale militare? L'accusatore del giovane soldato è un avvocato odioso e di un cinismo disumano, Claude Langham, che fa di tutto per ottenere una sentenza di condanna. Herr Josef Mengele potrebbe dargli lezioni di etica. Nonostante questi sforzi l'accusato viene assolto, con grande gioia di Sonia, la libidinosa e adultera moglie dell'arrogante leguleio. Presto si arriva a capire meglio la situazione: il cornuto Claude è proprio il figlio dello scrittore vegliardo e corroso dalle metastasi! A rendere più insopportabile l'umiliazione del becco è il fatto che la splendida e statuaria Sonia ha scelto come partner sessuale proprio il biondiccio Kevin! Peccato che l'ardore dell'adultera non sia ricambiato: l'oggetto del suo desiderio è freddo come un pezzo di marmo, insensibile alle lusinghe femminili. È capace di allontanarla mentre cerca di fargli un pompino. Respinge la sua bocca lasciva per parlare di astronauti e di stelle alla deriva nello spazio profondo. Al massimo glielo avrà infilato nel vaso procreativo, senza alcun entusiasmo, solo per placare la sua insistenza. Claude, folle di gelosia, cerca di uccidere il rivale e di affermare i suoi legittimi diritti di marito. Tutto procede nella confusione più totale e soltanto verso la fine della narrazione è concesso allo spettatore di trovare il bandolo della matassa e di comprendere davvero qualcosa. Si capisce allora che questo non è un semplice film: è un metafilm


Recensione: 
Devo essere onesto e franco: a me il metafilm di Resnais non è piaciuto un granché. Non ha l'aria di essere questo gran capolavoro. Certo, all'inizio sembrava interessante - in modo blando, s'intende. Era partito con una musica coinvolgente e con sequenze cupe. Presto ho cominciato a non capirci più nulla, tanto che a un certo punto sono arrivato a una disarmante conclusione: "Fa schifo". Solo alla fine, dopo aver sopportato una lunga sofferenza dello spirito nel tentativo di dare un ordine logico alle sequenze, tutto mi è stato chiaro e ho potuto credere di non aver gettato via il mio tempo. Tutte le azioni, tutte le parole dei personaggi erano soltanto laide invenzioni del vegliardo demiurgo. Invenzioni in grado di operare una distorsione totale degli stessi personaggi secondo le aspettative del narratore, a cui avrebbe giovato un flusso di morfina. Quando ho compreso tutti gli arcani, ho rivalutato un po' l'opera del regista francese. Si badi bene, soltanto un po', non molto. I personaggi sono a dir poco deprimenti e quasi sempre privi di spessore. Dire che sono posticci sarebbe ancora far loro un complimento. Alcuni sono proprio insopportabili, proprio perché sono soltanto simulacri. Prendiamo per esempio il sedicente fratello di Kevin: è un calciatore con la maglietta bianconera della Rubentus e frulla per una buona metà della pellicola, senza un minuto di sosta. La cosa, dirò, mi ha dato non poco sui nervi. Per fortuna sparisce di colpo. Una presenza senza costrutto, una scomparsa senza significato. Poi c'è la segretaria, una milf rossiccia che incensa il vecchio scrittore demiurgico, dicendo che è un uomo eccezionale, che è andata a letto con lui e gli ha concesso il proprio corpo. Si capisce lontano un miglio che è stata pagata dall'interessato per dire queste cose. Ecco alla fine svelata la verità sul biondiccio Kevin: è proprio il figlio naturale (riconosciuto) del vetusto e querulo Clive Langham, quindi è il fratellastro dell'avvocato, Claude. I due condividono la metà del corredo genetico paterno, sono germogliati dalla stessa sburra ma da diversi marchesi. Eppure, tra tante banalità, sorge qualche perla, come quando l'architetto della metanarrazione, in preda all'ennesima crisi di dolore, afferma una grande verità: "E là, nel gelido Universo, c'è il Nulla".


Incesto subliminale 

Il vegliardo demiurgo è morboso. Non può sopportare che il proprio figlio sia un avvocato di successo in buona sostanza privo di vizi, così lo snatura, lo rende turpe e odiosissimo. Non può sopportare che il figlio abbia una moglie fedele che lo ama, così la trasforma in una Messalina e le fa concupire il fratellastro del legittimo consorte. Lo scrittore si duole di non poterle attribuire un fratello carnale - altrimenti l'avrebbe fatta strisciare ai suoi piedi mendicando una fellatio. Vorrebbe essere lui a penetrare la nuora, una donna castana e statuaria. Vorrebbe farle conoscere il proprio sperma e far sì che proprio figlio sia reso becco nel peggiore dei modi, il più umiliante di tutti. Non riuscendoci, si vendica in modo guittesco. "Ti piace come mastica?", chiede Claude alla moglie, alludendo a Kevin intento a ingurgitare badilate di fagioli. "Mi interessa di più come fòrnica", risponde lei, con aria di sfida. Questa battuta è tutto quello che il vecchio genio riesce a metterle in bocca. Le perverse risorse di Clive Langham non finiscono qui. Prende Molly, la propria moglie malata di cancro e morta suicida, e la trasforma nell'amante del proprio figlio Claude. Mostruoso. Prende questa cougar bionda e ormai vizza, facendo sì che apra le gambe per il proprio figlio, consumando copule incestuose. Com'è ovvio, tutte queste cose non le si vede in modo esplicito, sono lasciate all'immaginazione, eppure formano come una cappa innaturale di tensione che perseguita lo spettatore. 


Cosa rappresenta il pagano ferito? 

Una cosa mi ha colpito: la figura distorta e sofferente del vecchio pagano. Quella creatura licantropesca che emerge dalle profondità del bosco è quanto di più enigmatico possa esserci. Negli Stati Uniti d'America mancano molte cose che a noi in Europa sono familiari. Non ci sono nobili, non ci sono castelli e non ci sono resti di una civiltà megalitica come quella che ha eretto il cerchio di Stonehenge. Se qualcuno dice di essere un nobile negli States, o è un impostore o è un esule. I castelli degli States sono tutti finti, a quanto ne so: spesso sono fatti di cartapesta e si trovano nei parchi tematici. Cosa ci fa dunque un antico monumento megalitico in pieno New England, in un bosco attorno a Providence? Non è dato sapere. Poi, verso la fine del film, prima dell'epilogo, vediamo che Kevin si trasforma nel fisico fino a somigliare al pagano. Gli crescono peli scuri sul volto e sul naso, una vera e propria barba nasale che lo rende quasi uno wookie. A questo punto si comprende che nella laida fantasia di Clive Langham, il figlio illegittimo Kevin rappresenta una sorta di senso di colpa in grado di assumere l'aspetto di un mostro. Una presenza incubica che non lo abbandona. Tanto più che anche la ferita ha una sua logica: il cinico Claude, impazzito dalla gelosia, spara al fratellastro. Ecco come è nata la ferita. Il pagano è ancora Kevin invecchiato, che si è impupato nel monumento megalitico per poi emergere in decadenza e in sfacelo, solo per finire ucciso dal se stesso più giovane. Soppressione di un proprio doppione, paradossi temporali stridenti e mulinelli nel tempo! 


Kevin, un santo manicheo 

A un certo punto si capisce che l'universo interiore del biondiccio Kevin è ricchissimo. Egli non è una creatura di questo mondo. Il suo problema è che non reagisce agli stimoli. La realtà esterna gli fa talmente orrore che ne rimane traumatizzato, così si chiude a riccio. Fa una grande fatica ad esprimersi, usa le parole con grande parsimonia. Così il suo silenzio ostinato può essere scambiato per mancanza di spessore. A un certo punto se ne esce a dire qualcosa di sconcertante: "Magari in un altro periodo della Storia me la sarei cavato bene come santo... di quelli che poi finivano sul rogo". Il riferimento ai Catari è palese e inaspettato. Non è infatti una banalità. Chi ha scritto i dialoghi (non penso che sia farina del sacco del regista) doveva conoscere la storia dei Buoni Uomini. Il finale ci mostra Kevin nelle sue vesti di scienziato asettico, nella sua perenne calma serafica, nella sua totale assenza di passioni. Ogni accenno di rivolta contre il mondo e contro la vita sembra essersi sopito. Forse è stato il tormentato Clive Langham a introdurre in lui una scintilla di anticosmismo?       


Il Borghese e la Rivoluzione

Il vegliardo demiurgo discute spesso col figlio della natura della borghesia. Afferma cose sconcertanti a questo proposito. Quando era giovane, si diverte a raccontare, era affascinato dal bolscevismo. Poi si è ritratto inorridito da questo suo esperimento stravagante: a fargli paura non era tanto la Rivoluzione, erano i rivoluzionari. Uomini concreti, non idee. Uomini che avrebbero potuto identificarlo come un nemico e annientarlo. Forse possiamo scorgere echi della sua esperienza politica nelle scene che mostrano prigionieri in uno stadio adibito a campo di concentramento, destinati alla fucilazione. Sono scene che sembrano incarnare le paure più recondite dello scrittore: i rivoluzionari passati all'azione, lui e i suoi cari etichettati come nemici del Popolo, destinati all'esecuzione. L'associazione che fa capolino nella mia mente è istantanea ma capovolge tutto: lo stadio il golpe militare avvenuto in Cile nel 1973, dove però ad essere torturati e uccisi furono proprio i comunisti. La morale potrebbe essere questa: tutto ciò che è derivato dall'idealismo di Hegel è un punto su una circonferenza, e su una circonferenza gli estremi coincidono. Riporto un dialogo che mi sembra interessante. 
     Il padre dice: 
"Il borghese è semplicemente un uomo che rifiuta di accettare le novità ideologiche ".
    Il figlio ribatte: 
"Il borghese è semplicemente un uomo che vede nelle novità ideologiche la distruzione dei suoi valori. E forse anch'io lo sono... Non so se i miei valori siano veri o falsi, ma sono le strutture morali entro cui posso vivere".     
    Il padre chiede:

"L'unico problema è, mio caro ragazzo, quali sono?"     
    Il figlio risponde:

"Onestà, scrupolosità, discernimento, comprensione, tenerezza, avversione alla violenza e all'esercizio cosciente del terrore."     
    La moglie del figlio obietta: 
"Ma non sono monopolio della borghesia!"
    Il padre esclama:
"E poi non capisco come si possano confondere le virtù private con la giustizia pubblica! Sei ingenuo o solo ipocrita?!"

Immagino di introdurmi nel dialogo con una citazione del Capitano di Monaco:
"Poiché sono un uomo immaturo e perverso, sono più attratto dai disordini e dalla guerra che dal buon ordine borghese".
Com'ebbe più volte a dire il militare tedesco, i valori borghesi gli davano i conati di vomito. Per sentire in sé e condividere la sua rabbia, basta ascoltare il melenso discorso del leguleio Claude Langham.
Mentre si svolge il dibattito sulle classi sociali, in sottofondo cinguettano gli usignoli e i pettirossi. Si sente anche il monotono canto di un cuculo. Tutti uccelli euroasiatici e africani, che non si trovano affatto nelle Americhe. 



Echi di Lovecraft 

Ovviamente il titolo del metafilm, Providence, trae origine proprio dalla cittadina del New England che diede i natali al Grande Solitario, Howard Phillips Lovecraft (1890 - 1937). L'allusione è triplice. Oltre a essere il luogo d'origine di Lovecraft, Providence è proprio il nome della dimora signorile del vegliardo demiurgo Clive Langham. Nel suo significato di "Provvidenza", indica anche il controllo che egli esercita sui membri della propria famiglia, trasformati in meri pupazzi. La natura di questo controllo è più prossima al concetto pagano di Fato che al concetto cristiano di Provvidenza divina, proprio per la sua natura ineluttabile. Qui si insinua una stridente contraddizione a livello lessicale. L'universo di Lovecraft non conosce alcuna presenza ordinatrice e morale di un essere superiore, a cui si possa attribuire l'epiteto di "Provvidenza": il genere umano è in balia degli Elementi e delle Potenze del Caos, che possono cancellarlo in qualunque istante. La colonna sonora evoca ambientazioni funeree. Vi sono scorci urbani con case di color mattone da cui sembra irradiare l'ontologia stessa della Decadenza. La scena più interessante è senza dubbio quella dell'autopsia del vecchio pagano. Il suo cadavere giallastro, steso sul tavolo operatorio, è dissezionato come la carcassa di un pollo, ridotto a un oggetto senza valore da gettare nell'immondizia una volta concluso l'esame autottico. Resnais ordinò a Jaques Saulnier, che si occupava del set, di leggere l'opera omnia di Lovecraft, perché l'idea stessa della Morte fosse trasfusa nella sfarzosa villa chiamata Providence. Una villa concepita dal regista come una tomba di famiglia!


Le opinioni di Resnais sul suo metafilm 

Il regista fornì una chiave interpretativa della propria opera, che appare forse un po' banale. Avrebbe forse fatto meglio a non parlarne neppure. Ecco un sintetico sunto. Tutto si fonda sull'egocentrismo del protagonista, anziano e malato, unita all'ostinazione con cui si oppone all'idea di morire. L'approssimarsi della morte degrada l'essere umano, gli fa perdere la ragione lo trasforma in un animale. Questo sarebbe il significato della figura del vecchio pagano, che ha perso quasi del tutto la propria umanità per diventare un licantropo - ma con ancora un barlume di coscienza, che è la causa della sua pressante richiesta di eutanasia. Le scene dello stadio adibito a campo di concentramento, più che evocare la dittatura di Pinochet o altri regimi autocratici, avrebbero la loro radice nella paura che il vecchio ha dei giovani, sempre ansiosi di gettarlo fuori dall'Esistenza per occupare il suo spazio. Eppure questa esegesi non mi convince del tutto, non spiega la profonda ferita aperta del protagonista e di coloro che lo circondano: la reputo insostanziale e simile a cibo insipido.

Curiosità varie  

Questo è stato il primo film girato in inglese per Alain Resnais. Il regista francese non si trovava a proprio agio con la lingua di Albione, ma ebbe a dire che non riusciva a immaginarsi i dialoghi nel proprio idioma natio: "Non avrebbe funzionato in francese". Tuttavia in seguito i produttori lo costrinsero a fare anche una versione in francese. Furono impiegati doppiatori del calibro di Gérard Depardieu (Kevin), Claude Dauphin (Clive), François Périer (Claude), Nelly Borgeaud (Sonia) e Suzanne Flon (Helen). 

Providence avrebbe dovuto essere girato proprio nel New England, ma presto si capì che i costi sarebbero stati proibitivi. Soltanto alcune riprese di esterni furono fatte a Providence e ad Albany negli Stati Uniti. Per il resto, il regista optò per ambientazioni europee come Bruxelles, Anversa e Lovanio. Gli interni sono stati girati a Parigi. Le scene del compleanno finale di Clive sono state girate al castello di Montméry ad Ambazac, vicino a Limoges (Francia). Capite ora perché gli uccelli che cantano in sottofondo non appartengono all'avifauna americana? 

Cineforum Fantafilm 

Il metafilm resnaisiano fu proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 29 ottobre 2010. Purtroppo non ho potuto essere presente, sarebbe stato interessante partecipare alla discussione. La scheda del film sul sito Fantascienza.com contiene passi degni di nota:

"... un vecchio scrittore trascorre una notte insonne in cui il mondo interiore si dilata e le proiezioni della sua fantasia diventano il commento di una civiltà in decadenza." 

"... diretto magistralmente, interpretato da un quintetto di attori di classe, è un film impervio, geniale e affascinante come un labirintico gioco di specchi in cui i fantasmi dell'immaginario (e del subconscio) sono al fianco delle figure della realtà."

venerdì 6 settembre 2019


IL TERRORE DEI BARBARI

Lingua originale: Italiano
Paese di produzione: Italia
Anno: 1959
Durata: 85 min
Rapporto: 2,35 : 1
Genere: Peplum, (pseudo)storico, epico, trash
Regia: Carlo Campogalliani
Sceneggiatura: Gino Mangini, Emimmo Salvi, Nino Stresa,
      Giuseppe Taffarel
Produttore: Emimmo Salvi
Casa di produzione: Alta Vista, Standard Produzione
Fotografia: Bitto Albertini
Montaggio: Franco Fraticelli
Musiche: Carlo Innocenzi
Scenografia: Oscar D'Amico
Costumi: Giorgio Desideri, Giovanna Natili
Interpreti e personaggi*:
    Steve Reeves: Emiliano
    Chelo Alonso: Landa
    Giulia Rubini: Lidia
    Luciano Marin: Marco
    Livio Lorenzon: Igor
    Andrea Checchi: Delfo
    Bruce Cabot: Alboino
    Arturo Dominici: Svevo
    Furio Meniconi: Gensérico
    Carla Calò: madre di Bruno
    Fabrizio Capucci: Bruno
     *Alcuni personaggi sono stati rinominati nella versione in inglese: Emiliano è
      diventato Goliath, Landa è diventata Lynda, mentre Gensérico è diventato
      Hulderich.

Doppiatori originali:
    Emilio Cigoli: Emiliano
    Lydia Simoneschi: Landa
    Fiorella Betti: Lidia
    Giuseppe Rinaldi: Marco
    Renato Turi: Igor
    Gualtiero De Angelis: Delfo
    Bruno Persa: Alboino
    Nando Gazzolo: Svevo
    Nino Bonanni: Gensérico
    Dhia Cristiani: madre di Bruno
    Manlio Busoni: voce narrante 
Traduzioni del titolo: 
    Inglese: Goliath and the Barbarians

Trama:
Una labile cornice storica viene illustrata dalla voce del presentatore, proprio mentre parte una grottesca musichetta. Ecco il testo:


"Nell'anno 568 dopo Cristo, Alboino, Re dei Longobardi, calò in Italia dalla vicina Pannonia. Le orde barbariche, costituite da genti di razze diverse, che la bramosia di conquista teneva unite, dilagarono nella Penisola da Cividale del Frìuli (sic), portando ovunque la distruzione e la morte."  

Li si vede cavalcare, questi Longobardi - diciamo così -, tutti coperti di pelli quasi ridotte a brandelli. Cavalcano a spron battuto, gli zoccoli dei cavalli che fanno il rumore del tuono. I gonfalonieri reggono vessilli alquanto primitivi che lo spettatore fa molta fatica ad interpretare, sembrano graticole di ferro nero levate verso il cielo. Sono più simili a Mongoli che a Germani, in molti casi hanno il cranio rasato e un codino di capelli corvini intrecciati: è proprio il famoso bunchuk di Taras Bulba. Le orde si abbattono su Verona come uno sciame di locuste, distruggendo tutto al loro passaggio. Saccheggiano la villa del più importante notabile della città e lo uccidono a sangue freddo, trapassandolo con una lancia. Suo figlio, l'erculeo Emiliano, giura vendetta. Tratti in salvo i suoi famigliari conducendoli sui monti, guida una guerriglia contro gli invasori. Robusto rappresentante della stirpe di Maciste, sembra appartenere più all'antichità classica che a un Alto Medioevo non ancora compiutamente cristiano. Emiliano ha un grande ingegno: si traveste con pelli e si maschera in modo tale da apparire ai suoi sconvolti nemici come un licantropo. Riesce ad organizzare un'efficace resistenza e a diventare un vero e proprio flagello per Alboino, che ancora cerca invano di espugnare Pavia allo scopo di farne la propria capitale. Allo scopo di ricondurre all'ordine il regno appena conquistato, il Re dei Longobardi invia alla frontiera settentrionale un feudatario idiota, il brutale Igor, che è un vero e proprio gorilla. Questo scimmione demente è innamorato follemente di Landa, la bella e mora figlia dello slavo Delfo. Quello che l'energumeno desidera è subito chiaro. Intende innanzitutto sopprimere Delfo per prendersi Landa e farla sua. Lei però sa che il suo pretendente, a dispetto delle sembianze da gorilla, ha un esiguo falletto, un budellino moscio, mentre Emiliano ha un immenso Schwanzstücker, in grado di schiacciare le noci col glande! Queste femminee valutazioni sono per così dire la spina dorsale dell'opera di Campogalliani.  

Recensione:
Dire che questo è un film spazzatura è in buona sostanza un insulto al concetto stesso di immondizia di celluloide. Forse la parola più giusta per descriverlo è imbarazzante. Certo, il mondo in cui viviamo ci ha dato orrori indescrivibili e infamie infinite, ma simili porcherie pseudostoriche non le dobbiamo sopportare più. Forse è meglio doversi sorbire filmati sui glory holes e sul sesso oro-anale praticato da Madonna ad autentici gorilla, che essere costretti a vedere i propri Antenati ridotti a macchiette inverosimili esposte al pubblico ludibrio dei bruti. 

Anacronismi e incoerenze à gogo! 

Sul sito Bloopers.it si fa notare giustamente che è anacronistico il comando di Alboino: "No Igor, andrai a Milano per sottomettere i valvassori". Nel VI secolo non esisteva la carica feudale dei valvassori e neppure la stessa parola per indicarla (valvassore deriva dall'antico francese vavassor, che a sua volta è dal latino vassus vassorum "servo dei servi").

Va detto che lo stesso nome Igor è anacronistico: è un adattamento slavo del nome norreno Yngvarr, importato in Russia dai Variaghi. Nel VI secolo non poteva esistere nessuno tra i Longobardi o tra i popoli loro associati a portare un simile antroponimo. Semmai avrebbe dovuto essere *INGUARI, che tuttavia non sembra documentato da nessuna parte. Allo stato attuale delle mie conoscenze non mi risultano attestazioni di composti longobardi formati a partire dal nome di divinità che in protogermanico doveva suonare *Ingwaz, molto produttivo in Scandinavia. La forma gotica sarebbe scritta in ortografia wulfiliana *Iggwaharjis.

Gensérico nun ze po' sentì, come si direbbe nell'Urbe. La pronuncia in italiano corretto è Genserìco (chi diamine pronuncerebbe mai Teodòrico??). Si tratta di un nome tipico dei Vandali, portato da un loro condottiero nel V secolo, che devastò Roma un anno dopo che l'aveva visitata Alarico. Genserico (Gensericus, Geisericus, etc.) è un adattamento della forma originale vandalica, scritta più correttamente Geiseric e attestata ad esempio in Iordane. L'accento della forma nativa è sulla prima sillaba, che ha un dittongo o una vocale lunga. In gotico wulfiliano sarebbe scritto *Gaizareiks e significa "Principe del Giavellotto". In longobardo l'elemento *gaiza- "giavellotto, lancia" si era evoluto in gaire-, gari-, con tipico rotacismo della sibilante sonora -z- protogermanica, conservata invece nel germanico orientale (gotico, vandalico, burgundico, etc.). 

Quando Alboino chiama a gran voce alcuni suoi scagnozzi, c'è da ridere fragorosamente. Uno è Ario, un altro è Arìchi, un altro ancora porta un nome a malapena distinguibile che suona quasi Jabba! Non è difficile scorgere in Ario il nome del famoso eresiarca le cui dottrine ebbero grande diffusione tra molti popoli germanici. Non mi pare che fosse attestato il suo uso come antroponimo tra i popoli germanici che pure aderivano alla confessione Ariana del Crisitanesimo. Arichi è un nome longobardo (Arichis, Arechis), ma l'accento è collocato in modo erroneo sulla penultima sillaba.

Ralfo, Delfo, Svevo e Landa. Campogalliani doveva avere una forte predilezione per i nomi brevi. Svevo è chiaramente un nome etnico tratto dalla confederazione degli Svevi, quelli che già Cesare e Tacito chiamavano Suebi. Potrebbe avere un senso, anche se non mi pare che sia documentato. Gli altri nomi citati non hanno fondamento alcuno. A un certo punto Igor replica al Re Alboino a proposito di Delfo, dicendo: "È vecchio ed è slavo". Landa stessa afferma di avere sangue slavo. All'epoca in Italia si aveva un'idea abbastanza nebulosa dei popoli slavi e delle loro caratteristiche. Li si confondeva spesso e volentieri con gli Zingari (endoetnici Roma, Sinti, etc.). Così Landa incarna lo stereotipo della femme fatale zigana, una maliarda abbronzata e sensuale, con occhi e capelli scuri come la notte, esperta di arti magiche. 

Le orge della corte di Alboino sono forse un po' troppo sensuali, troppo moderne. Non so se con le pratiche igieniche dell'epoca avrebbe fatto molto piacere ai nobiluomini di un popolo germanico avere tante donne discinte a mettere i propri piedi nudi all'aria, spingendoli sotto il naso degli ospiti. Sarebbe oltremodo interessante poter disporre di seri trattati antropologici sul modo di concepire il corpo femmile e il potere attrattivo di ogni sua parte in un tempo in cui ci potevano essere seri ostacoli allo stesso concetto di Eros. Sporcizia, smegma, sudore. Certo, in qualche modo ci si lavava anche allora, ma non c'erano le saponette antibatteriche, credo che oltre all'acqua semplice ci fossero ben poche risorse, al massimo qualche erba come la pianta chiamata aro o qualche impasto di cenere e sego suino. Non dimentichiamoci che il tracollo igienico nella tarda Antichità ha causato la scomparsa della fellatio dall'Occidente - con l'eccezione di pochi casi più che altro collegabili a perverse disposizioni d'animo (volontà di infliggere umiliazione, etc.).

I Longobardi saccheggiano un mulino, inviati da Igor. Si mettono a caricare sacchi di cereali sulle spalle, ammucchiandoli in un carro rudimentale. Ecco che dalla grande dimora di pietra ove è collocato il mulino esce una donna urlante. Chiama suo figlio e gli urla che la loro famiglia è rovinata. Il nome del bambino è Bruno. Ebbene, Bruno è un nome germanico. L'errore commesso dallo sceneggiatore è lampante: egli parte dal patrimonio onomastico italiano contemporaneo e lo proietta all'infinito nel passato, senza alcun senso critico, pensando che possa valere l'idea di italianità eterna e immutabile contrapposta all'ignoranza e all'estraneità assoluta dei "Barbari" - concepiti come alieni piovuti sulla Terra da un altro pianeta, del tutto privi di qualsiasi contatto con alcunché di noto. 

Si deve dire Friùli, non Frìuli. Come ben risaputo, il toponimo è derivato da Forum Iulii. Un accento sulla prima vocale -i- è di per sé una vera e propria assurdità. La tradizione vuole che la pronuncia Frìuli, del tutto erronea, sia stata diffusa da un cronista di poca conoscenza all'epoca del grande terremoto del Friuli del 1976. Ecco, basta guardare il peplum trash di Campogalliani per rendersi conto che l'errore di pronuncia risale a un'epoca anteriore a quella del sisma. 

La leggenda dei Cinocefali 

Non si capisce come Emiliano avrebbe potuto ingannare i gloriosi Longobardi con un travestimento pacchiano da uomo-lupo (o piuttosto da uomo-cane). Infatti sono stati proprio i Longobardi ad escogitare, come ci narra Paolo Diacono, l'inganno dei Cinocefali. Per atterrire i loro nemici, in un'occasione avevano diffuso una diceria sinistra: nei loro accampamenti sarebbero stati ospitati mostri con corpo umano e testa di cane, assai bellicosi e avidissimi di sangue. Quindi un simile imbroglio, essendo noto a tutti fin dall'infanzia, non avrebbe provocato alcuno scompiglio tra il popolo di Alboino! Non dobbiamo mai immaginare, come ha fatto Campogalliani, che i nostri Progenitori fossero più primitivi di noi nell'immaginazione: lo erano soltanto nei mezzi tecnologici! 

martedì 3 settembre 2019


AMAKUSA SHIRO TOKISADA -
THE REBEL 

Titolo originale: Amakusa Shirō Tokisada
AKA:
The Revolutionary; The Christian Revolt 

Anno: 1962
Lingua: Giapponese
Paese: Giappone
Regia:
Nagisa Ō
shima
Genere: Drammatico, storico
Durata: 100 min
Colore: B/N
Formato: Scope
Produzione: Hiroshi
Ōkawa per la Toei di Kyoto
Produttori associati: Yoshino Mori, Yurin Nakamura,
     Kimiharu Tsujino  
Distribuzione: Toei Kyoto 
Sceneggiatura: Nagisa
Ōshima, Toshirō Ishidō
Fotografia: Shintar
ō Kawasaki
Montaggio: Shintarō Miyamoto
Musiche: Riichir
ō Manabe
Trucco: Masanobu Hayashi
Interpreti e personaggi: 

    Hashizō Ōkawa: Amakusa Shirō Tokisada
    Ryûtar
ō Ōtomo: Shinbei Oka
   
Tetsuo Ashida:
Zanemon Yama 
    Minoru Chiaki: Sō
ho Tanaka 
    Tokue Hanazawa: Yozaemon 
    Ch
ōichirō Kawarasaki: Tamezō 
    Yoshi Katō
: Il nonno di Zanemon Yama 
    Mikijir
ō Hira: Katsuie Matsukura 
    Rentarō Mikuni: Uemonsaku 
    Sue Mitobe: Maki 
   
Kikue Mōri: Maruta 
    Takamaru Sasaki: Jinbei 
    Satomi Oka: Sakura (moglie di Shinbei)
    Kei Sat
ō: Taga Mondo 
    Rokk
ō Toura: Rōnin (samurai senza padrone)
   
Junko Matsukawa: Okiku (accreditata come Sayuri
          Tachikawa)
   
    Takao Yoshizawa
   
Mieko Kiuchi 


Trama: 
Siamo nel Giappone dell'epoca Edo, sotto il dominio dei Tokugawa, nella prima metà del XVII secolo. I fatti si svolgono dal dicembre 1637 all'aprile 1638. La penisola di Shimabara, proprio come la popolosa città di Nagasaki, era abitata da una popolazione in prevalenza cristiana. Per questo motivo c'erano gravi attriti sociali. I feudatari erano ferocemente anticristiani e opprimevano il volgo in modo crudele, tassandolo fino a ridurlo in condizioni di povertà estrema. La rapacità del fisco era insostenibile, al punto che il governo Monti sarebbe stato considerato una manna! Gli esattori pretendevano una tassa in riso, lasciando ai sudditi soltanto poche patate. Gli armigeri dello Shogunato compiono irruzioni nei villaggi e catturano i cristiani, gettandoli nelle segrete, scorticandoli a forza di frustate e torturandoli fino a rendere loro la vita impossibile. Coloro che si rifiutano di abiurare vengono messi a morte con supplizi atrocissimi. Il popolo giapponese è indomito e fiero, quale che sia la sua religione. Così quando l'estremo limite della sopportazione viene superato, la rivolta ha inizio. A guidare la ribellione è il giovane Amakusa Shirō Tokisada (nato Masuda Shirō, figlio di Masuda Jinbei). Gli insorti assediano ed espugnano un castello dopo l'altro e il loro numero cresce giorno dopo giorno fino a raggiungere le proporzioni di un esercito. La sorte sembra arridere loro, ma segni luttuosi di morte violenta e di sterminio iniziano a manifestarsi...


Recensione: 
Il film mi è piaciuto, anche se devo rilevare spaventose sproporzioni nella narrazione. Troppo spazio dedicato a conversazioni serrate, che il regista deve aver ritenuto più importanti della stessa rivolta e della sua repressione. Va detto che ho potuto visionare la pellicola soltanto nella versione originale in giapponese, senza alcun doppiaggio né sottotitoli in inglese. Del resto sono dell'idea che un film giapponese debba essere visto in lingua originale, anche a costo di capire poco o nulla dei dialoghi! Poi si scopre che spesso le parole degli attori sono superflue, visto che nella maggior parte dei casi l'unica cosa che conta è l'azione. Quando questo non accade, è divertente cercare di riempire i buchi narrativi con qualche inadeguata costruzione mentale.  Quello che ho più apprezzato è l'ambientazione cupissima, claustrofobica, tanto che nelle scene notturne la storia sembra ambientata su un pianeta nel cui cielo un sole nero irradia una tenebra aggressiva. A un certo punto, alla piena luce del sole, vengono bruciati vivi alcuni cristiani e tra questi ci sono anche bambini. I loro corpi vengono avvolti in quelli che sembrano tappeti fatti di sottili canne e di paglia, a cui i carnefici danno fuoco. La maestria del regista è sublime nel rendere l'orrore che stravolge il volto di un vecchio fedele, nascosto nella vegetazione, che assiste alla lenta agonia dei suoi correligionari. 


Un vivido ma fugace affresco dei costumi 

Il signore feudale era un pederasta e aveva un harem di fanciulli vestiti da geisha, su cui sfogava le proprie bramosie sodomitiche penetrandoli selvaggiamente nell'intestino. Il regista allude a questo in poche brevi ma chiare sequenze. Non si trovano molti film, giapponesi o prodotti in altri paesi, che riportino in modo esplicito e approfondito questa realtà, di cui pochi sembrano essere al corrente. Lo stesso Tokugawa Ieyasu e altri daimyō dell'epoca Edo erano dediti alla pederastia e avevano i loro harem di effeminati. Secondo il mio parere, questo punto dolente, che poneva la cultura giapponese in rotta di collisione con la religione cristiana predicata dai missionari, spiega gli sviluppi repressivi dell'epoca Edo. Anche il famoso inquisitore anticristiano Inoue Masashige era un notorio pederasta. Non soltanto: aveva avuto un'educazione cristiana e da giovane per poco non si era fatto prete. Ecco una prova del conflitto stridente tra una dottrina straniera e le inclinazioni sessuali di un uomo che ne poteva capire soltanto la forma. Una lotta i cui risultati hanno avuto portata storica. 


Olandesi volanti 

Gli Olandesi fanno la loro irruzione nel film come folletti infarinati, forse interpretati da attori nipponici truccati e impettiti, tanto che di primo acchito mi sono sembrate quasi caricature di occidentali. Guardando con attenzione i fotogrammi, mi sono poi accorto che non si tratta di un lavoro approssimativo: quelle facce sembrano proprio avere lineamenti batavici! I figli dei Paesi Bassi si manifestano per pochi secondi assieme a un grande cannone che spara una specie di fuoco artificiale. La scena è estemporanea, non integrata nella trama. Sembra quasi che i messaggeri di un mondo alieno invadano la Terra da un buco nel cielo, rompendo l'ordine cosmico come una lancia che dilania le viscere; invece si ritraggono quasi subito e scompaiono senza lasciare traccia alcuna nel tessuto narrativo. Il riferimento è alla nave da guerra olandese Rijp, che cannoneggiò il castello di Hara in cui i rivoltosi si erano asserragliati. Nella pellicola di Ōshima vediamo invece gli Olandesi sugli spalti di un castello. Tutto ciò che è estraneo al Giappone desta stupore misto a scandalo e in qualche modo deve essere isolato, neutralizzato. Sembra di essere di fronte alla reazione di un sistema immunitario vigoroso che aggredisce i patogeni giunti da un'oscena fonte di una sconosciuta infezione. 


Il pittore folle (e profetico)  

Alla corte del signore feudale dedito alla pederastia con i travestiti, viveva un pittore. Il suo incarico ufficiale consisteva nel dipingere elaborati ritratti del suo mecenate. La sua figura era ben singolare per essere un nipponico, al punto che a prima vista lo scambiai per un occidentale, forse uno spagnolo o un portoghese. Invece si trattava proprio di un nativo del glorioso paese di Yamato. Nessuna traccia di plica mongolica, i suoi occhi erano enormi e fissi come quelli di un cuculo. La pelosità abbondante indicava la discendenza da popolazioni aborigene pre-nipponiche, Ainu o Emishi. Quando viene scoperto che è un cristiano, viene sottoposto a una devastante bastonatura continua. Già in passato aveva avuto problemi per la sua religione: come il suo dorso viene messo a nudo, spicca un vistoso marchio a forma di croce, testimonianza dell'opera di un precedente carnefice che lo aveva lavorato col ferro rovente. Liberato dalla prigionia, lo stravagante pittore vaga nella notte in preda alla follia, come Re Lear nella tempesta. L'ultimo suo dipinto mostra un paesaggio annientato e pieno di gente crocefissa in mezzo alle fiamme, con colombe bianche che salvono verso il cielo nero. Un luogotenente dell'armata cristiana vede l'opera e capisce all'istante che è una funesta profezia di rovina, così in preda alla furia la fa a pezzi con la katana e uccide l'artista. Lo colpisce prima alla schiena, poi gli infligge profondi tagli al petto. Il sangue, simile a denso fango, esce copioso dalla bocca della vittima, che si accascia al suolo.


Un finale precipitoso  

Amakusa Shiro impugna la katana e il Crocefisso. Intorno a lui garriscono vessilli cristiani, simili a rozze bandiere spagnole o portoghesi con una croce in campo bianco. Vessilli crociati. Schegge di Occidente incastonate in Oriente. Molti dei contadini insorti hanno una massiccia croce di legno legata al cranio: a quanto pare consideravano quel manufatto una protezione soprannaturale. Pregano incessantemente. Quando l'esercito si incammina verso il suo destino, ecco che lo schermo grigio si pietrifica e compare un quadro di fitti ideogrammi. Senza dubbio è un riassunto del finale, che non vedremo mai: i rivoltosi di Shimabara, una volta espugnato il castello di Hara, sono stati tutti decapitati. Per secoli è rimasta impressa nell'eroico popolo nipponico l'immagine di quella montagna di teste recise. E io che mi pregustavo lo scontro finale e la carneficina! Niente da fare. La gestione del tempo e dell'azione da parte dei registi e degli sceneggiatori giapponesi non è affatto simile a quanto ci aspetteremmo. Non segue la stessa nostra logica. Non è euclidea, non è lineare. 

Curiosità varie 

Una donna cristiana sconvolta dal rogo di uomini, donne e bambini, esibisce vistose otturazioni d'oro agli incisivi - cosa impossibile nel Giappone del XVII secolo. Siamo di fronte a un anacronismo.

Amakusa Shirō è considerato un santo da molti cattolici giapponesi, ma non è mai stato canonizzato. Già quando era in vita gli venivano attribuiti miracoli. La Chiesa Romana non ha mai usato i fatti di Shimabara per la sua propaganda, adducendo una sconcertante ragione: gli insorti avrebbero avuto soprattutto motivazioni "materialistiche", come la protesta contro la tassazione. 

Amakusa Shirō è mostrato nel film come un uomo adulto, mentre aveva solo 17 anni quando è stato giustiziato dai carnefici dello Shogunato. La sua testa, spiccata dal busto, è stata esibita al pubblico come monito. L'impatto del personaggio nel mondo dei manga è stato notevole.

Viene mostrato il ruolo primario del riso nel Paese del Sol Levante. L'insurrezione cristiana ha inizio proprio con un atto di spreco in apparenza incoprensibile: viene scagiato a terra il vaso che contiene il riso raccolto come tributo per il feudatario. Ovvio. Quel riso appartiene al Demonio e quindi non può essere usato per l'alimentazione. Quando una dimora feudale viene espugnata, le donne cucinano il riso delle riserve signorili. Viene cotto fino a divenire una massa collosa, che i bambini stremati dalla fame divorano con avidità.  

Il film ci mostra il duello tra Amakusa e un suo luogotenente traditore, Yamada Emosaku. Nella realtà storica le cose sono andate diversamente: il traditore è stato l'unico superstite di quasi 40.000 ribelli. 

Note sulla pronuncia del giapponese  

Quando ero giovane ci si cullava in un'illusione puffesca: si credeva che la lingua giapponese avesse una fonetica elementare e che fosse facilissima da pronunciarsi. La vulgata corrente si fondava su un principio quasi banale per pronunciare le sillabe traslitterate in caratteri romani (romaji): vocali all'italiana e consonanti all'inglese. Per quanto riguarda l'accento, veniva collocato sulla penultima sillaba, a meno che la parola non finisse con un dittongo o con una vocale lunga, nel qual caso l'accento cadeva sull'ultima sillaba (con poche eccezioni per lo più dovute all'errata trascrizione di una vocale lunga come breve). 

I manuali suggerivano di pronunciare il verbo ausiliare onorifico gozaimashìta "è stato" come /gozaima'ʃita/, con l'accento sulla penultima sillaba. Con grande stupore, con gli anni, mi sono accorto che quei manuali erano stati scritti da incompetenti, che non solo inventavano una sillaba inesistente, ma collocavano anche su di essa l'accento. In realtà si deve pronunciare /go'zaimaʃta/, con l'accento sul dittongo. C'è un bel gruppo consonantico, tanto che dovremmo trascrivere la parola in caratteri romani come gozaimashta. Poi ho scoperto l'arcano. Quando una vocale breve i o u è compresa tra due consonanti sorde, o finale di parola preceduta da una consonante sorda, allora non si pronuncia affatto. In qualche trattato si dice che le vocali in questione sono sorde ma in grado di fungere da nuclei sillabici. Non ne sono affatto convinto: mi paiono semplicemente inesistenti. 

Il verbo desu "è" non si pronuncia /'desu/, bensì /des/. La vocale finale non si percepisce nemmeno, per quanti sforzi si facciano.
Il verbo ausiliare onorifico gozaimasu "è" non si pronuncia /gozai'masu/, bensì /go'zaimas/. L'accento è sul dittongo e il suono finale è una sibilante /s/

Allo stesso modo, il nome Amakusa non è affatto /ama'kusa/ con l'accento su una vocale u. Invece si deve dire /a'maksa/. Piaccia o no, nella parola c'è un bel gruppo consonantico /ks/.

Non posso nascondere un fatto scabroso. Esisteva anche un'altra scuola di pronuncia italianizzata del giapponese, che affermava la seguente aberrazione: non c'è una sillaba che ha un accento deciso e prevalente, perché ogni sillaba porta un accento proprio. Ricordo che in uno squallido programma domenicale, Pippo Baudo presentò alcuni giapponesi di Osaka e affermò che il nome della città avrebbe avuto tre accenti. Si sarebbe dovuto pronunciare Ò! SÀ! KÀ! Quando però il presentatore interrogò il nipponico sulla reale pronuncia del toponimo, incontrò non poche difficoltà. Quando gli chiese se si dovesse pronunciare Osakà (ovviamente con la sonora /z/), l'uomo del Sol Levante recisamente gli disse di no. Segnaliamo quindi l'abitudine tipicamente italiana di realizzare la /z/ fonemica giapponese, traslitterata in caratteri romani con z, come un'affricata sonora /dz/, ad esempio nella parola kamikaze. Infine c'è il mitico Luca Giurato, quello del Mudo li Merlino, che usa addirittura un'affricata sorda /tts/: nella sua pronuncia i kamikaze diventano KAMIKAZZI!