domenica 1 novembre 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI AZATHOTH

Azathoth è il più potente degli Dei Esterni. I suoi epiteti sono questi: Caos Primigenio, Caos Nucleare, Demone Sultano, Signore di Tutte le Cose, Tenebra Profonda, Dio Cieco e Idiota. Si dice che bestemmia e gorgoglia senza sosta nel centro dell'Universo. Il suo intelletto un tempo doveva essere smisurato come il suo potere, ma qualche ignoto evento perturbatore lo ha lesionato. Così l'entità abissale si è trasformata in un demente. In luogo in cui brancica è conosciuto come Corte di Azathoth. Si dice che gli altri Dei Esterni lo intrattengano danzando e suonando il flauto, con ogni probabilità per impedirne il risveglio - fatto che distruggerebbe l'intero Cosmo. Per alcuni Azathoth è il Creatore dell'Universo, per altri l'Universo stesso altro non è che un suo sogno. 
 
Il Solitario di Providence ha menzionato Azathoth per la prima volta in un suo promemoria risalente al 1919. Si tratta di una brevissima nota che riporta il teonimo con due parole di spiegazione: "AZATHOTH - hideous name" (ossia "nome orribile"). La prima menzione del Demone Sultano in un'opera compiuta di Lovecraft è nel romanzo La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath (The Dream-Quest of Unknown Kadath), scritto tra il 1926 e il 1927, e pubblicato postumo soltanto nel 1943. Questo è un estratto particolarmente significativo: 
 
"There were, in such voyages, incalculable local dangers; as well as that shocking final peril which gibbers unmentionably outside the ordered universe, where no dreams reach; that last amorphous blight of nethermost confusion which blasphemes and bubbles at the centre of all infinity—the boundless daemon-sultan Azathoth, whose name no lips dare speak aloud, and who gnaws hungrily in inconceivable, unlighted chambers beyond time amidst the muffled, maddening beating of vile drums and the thin, monotonous whine of accursed flutes; to which detestable pounding and piping dance slowly, awkwardly, and absurdly the gigantic ultimate gods, the blind, voiceless, tenebrous, mindless Other Gods whose soul and messenger is the crawling chaos Nyarlathotep."
 
Questa è la traduzione di Gianni Pilo: 
 
"In viaggi simili, c’erano dei pericoli incalcolabili, per non parlare poi dell’ultimo, sconvolgente pericolo, che sussurrava cose indicibili, una volta usciti dal normale universo, e che nessun sogno poteva raggiungere: l’ultima nebbia incorporea del Caos totale che bestemmia e gorgoglia al centro di tutto l’infinito, l’incontenibile demonio, il sultano Azathoth, il cui nome nessuna bocca osa proferire, che digrigna affamato i denti in spazi bui e inconcepibili che si trovano al di là del tempo, tra i colpi soffocati di tamburi che levano la ragione, e la monotona nenia di flauti maledetti. Al ritmo di quegli odiosi suoni lancinanti e rullanti ballano lentamente, mostruosamente e assurdamente i ciclopici Ultimi Dèi, ciechi, atoni, tenebrosi, irrazionali. Gli Altri Dei il cui messaggero è Nyarlathotep, il Caos Strisciante. " 
 
Azathoth avrebbe dovuto essere il titolo di un romanzo iniziato nel 1922 e mai compiuto: ne resta soltanto un frammento, pubblicato postumo nel 1938. Il testo originale può essere letto seguendo questo link: 
 
 
L'ultimo riferimento si ha nel racconto L'abitatore del buio (The Haunter of the Dark), scritto nel 1935 e pubblicato l'anno successivo su Weird Tales (vol. 28, n° 5, pagg. 538-553), nel dicembre del 1936 - pochi mesi prima della morte dell'Autore. Questo è un estratto particolarmente significativo: 

"He thought of the ancient legends of Ultimate Chaos, at whose centre sprawls the blind idiot god Azathoth, Lord of All Things, encircled by his flopping horde of mindless and amorphous dancers, and lulled by the thin monotonous piping of a daemoniac flute held in nameless paws."
 
Questa è la traduzione di Giuseppe Lippi (RIP): 
 
"Pensò alle antiche leggende del Caos Primigenio, al cui centro brancica goffamente, cieco e idiota, il dio Azathoth, Signore di Tutte le Cose, circondato dalla sua inetta schiera di danzatori ottusi e amorfi e cullato dal sottile, monotono lamento d'un flauto demoniaco stretto da mani mostruose."  
 
Etimologia interna 
 
Nella lingua di R'lyeh AZATH significa "Caos", o meglio "Regno del Caos". Indica il Caos Primordiale, la condizione che in ebraico è conosciuta come תֹהוּ וָבֹהוּ Tōhū wā-Bōhū. Secondo la narrazione di Genesi, prima della creazione della Luce, la Terra era desolata, vuota, non formata. Il suffisso R'lyehian -OTH è molto comune e significa "nativo di; abitante". Così AZATHOTH significa "Abitante del Regno del Caos". Un Cultista pensa ovviamente che Lovecraft abbia evocato la lingua di R'lyeh, che non l'abbia semplicemente inventata. Se l'etimologia R'lyehian del nome del Caos Primigenio non pone particolari problemi ai Cultisti, diverso è il discorso per gli scettici che ricercano nel nostro mondo le fonti di ispirazione dell'opera del Solitario di Providence. Passiamo quindi in rassegna le principali ipotesi che sono state enunciate.     
 
Etimologie esterne 
 
Queste sono le possibili fonti di ispirazione: 
 
1) Il demone Azazel 
In ebraico il misterioso nome עֲזָאזֵלʻAzāzēl è connesso al capro espiatorio. In origine indicava il luogo desolato dove era mandato a morire il capro che portava su di sé i peccati del Popolo di Israele, durante il giorno dello Yom Kippur. In seguito, sul finire del Periodo del Secondo Tempio, il nome ʻAzāzēl venne ad essere associato con l'Angelo Caduto. Da toponimo è passato ad essere il nome di un demone. Quasi inutile a dirsi, l'etimologia è sconosciuta. Come spesso accade, sono state fabbricate numerose etimologie popolari, tutte da rigettarsi (es. "la capra è consumata"; "Contro Dio"; "Più forte di Dio", etc).
Si trova anche in arabo come عزازيل ʻAzāzīl (sicuramente un prestito dall'ebraico). 
Il Solitario di Providence, secondo Robert M. Price, avrebbe preso da ʻAzāzēl la prima parte del nome di Azathoth

2) La città biblica di Anathoth
Nelle Scritture עֲנָתוֹת ‘Anāthōth è il nome di una città levitica data ai Figli di Aronne nella tribù di Beniamino (Giosuè, 21:13-18; 1 Cronache, 6:54-60). È riportato che vi nacque Geremia. Il toponimo deriva dal nome della divinità femminile cananea ‘Anat (ebraico עֲנָת ‘Anāth, cananeo
‘nt /‘a'no:t/, ugaritico ‘nt /‘a'na:tu/; trascrizione greca Ἀνάθ). La sua trascrizione greca è Ἀναθώθ. La forma derivata è scritta in ebraico עַנְּתֹתִי ‘annethōthī o עַנתֹתִי ‘anthōthī "abitante di Anathoth"; l'adattamento greco è Ἀνθωθίτης o Ἀναθωθίτης.
Troviamo anche due menzioni di ‘Anāthōth come nome di persona maschile (1 Cronache, 7:8 e Neemia 10:19). 
Le etimologie popolari fabbricate per questo nome (es. dal verbo ענה "corrispondere; essere occupato") sono da rigettarsi.   
Il Solitario di Providence, secondo Robert M. Price, avrebbe preso da ‘Anāthōth la seconda parte del nome di Azathoth. Secondo questa ipotesi, il nome del Demone Sultano sarebbe una parola macedonia: Azazel + Anathoth = Azathoth
 
3) Il termine alchemico Azoth 
Nel latino medievale degli Alchimisti era usata la parola azoth (varianti: azoc, azoch), che indicava il principio primo dei metalli, ossia il mercurio. Questo era creduto presente in tutti i metalli e all'origine delle loro peculiari proprietà, quindi da loro estraibile. Era anche definito come un solvente universale simile all'etere e all'alchaest. Si credeva che fosse possibile ottenerlo sciogliendo spirito vitale nella materia grossolana e ottenendo per successiva cristallizzazione la pietra filosofale. Nell'opera di Paracelso il termine azoth, spiegato come "mercurio corporeo", indica la Panacea, la Medicina Universale o Elisir di Vita, cura di tutti i mali. Il suo simbolo era il Caduceo. L'etimologia non è difficile come potrebbe sembrare a prima vista: azoth deriva dall'arabo الزَاؤُوق az-zā'ūq (al-zā'ūq, al-zā'būq) "mercurio". Esistono anche altre proposte etimologiche, non altrettanto convincenti. Nel gergo dei Sufi, el-dhat è riportato col significato di "essenza, quiddità" (variante ezzat), e sarebbe derivato dal persiano az-zauth. Tuttavia non sono stato in grado di trovare ulteriori spiegazioni: a quanto pare queste parole si trovano citate soltanto in libri sull'Alchimia. È stato persino pensato che azoth fosse la trasposizione di Ain Soph nella lingua degli uccelli! Aleister Crowley cercò assurdamente di spiegare l'enigmatico vocabolo con un acronimo cabalistico. In lingua italiana azoth è stato assimilato come azoto (da non confondersi col nome dell'omonimo elemento chimico, che deriva invece dal greco e significa "privo di vita": ἀ- "non" + ζωή "vita"). In spagnolo il mercurio è chiamato azogue, prestito dall'arabo andaluso. 
L'origine ultima della parola araba al-zā'ūq è ricostruibile: deriva dal siriano zīwag, a sua volta è un prestito da una lingua iranica (medio persiano *zhīwak, antico persiano *jīvaka-, estensione di jīva- "vivo"). La radice protoindoeuropea è gwei- "vivo", ben nota a tutti. Così si può dimostrare che questa parola è parente della prima parte del composto inglese quicksilver "mercurio", alla lettera "argento vivo". 
I Solitario di Providence, sempre secondo Robert M. Price, potrebbe aver alterato Azoth aggiungendovi un tipico suffisso -oth: Azoth + -oth = Azathoth.
 
4) Thoth, il dio egiziano della saggezza e delle arti 
Il teonimo Thoth deriva dall'antico egiziano ḏḥwtj, pronunciato /tˀə'ħawtə/ nel Medio Regno. Non perdo tempo a deprecare la fallace pronuncia egittologica convenzionale. Il significato di ḏḥwtj è "(Egli) è come un Ibis". Infatti la divinità è comunemente raffigurata come un uomo con la testa di ibis. Gli esiti della forma egiziana in copto sono i seguenti: 

ⲑⲱⲟⲩⲧ (Thōout) in bohairico
ⲑⲱⲧⲑ (Thōtth) in bohairico e in sahidico
ⲑⲟⲟⲩⲧ (Thoout) in sahidico
ⲑⲱⲑ (Thōth) in bohairico e in sahidico 

Questo nome divino è passato in greco come Θώθ (Thoth), con la variante Θεύθ (Theuth). 
Il solitario di Providence, secondo Phileus P. Sadowsky, avrebbe preso da Thoth la seconda parte del nome di Azathoth. La ricostruzione tentata dallo stesso Sadowsky è Izzu Tahuti, che significherebbe "Forza di Thoth". Questo nonostante Azathoth sia descritto come "divinità cieca e idiota", in totale opposizione a Thoth, a cui le genti dell'Egitto attribuivano tra le altre cose l'invenzione della scrittura. 

mercoledì 28 ottobre 2020

HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT CELTISTA: LA MALEDIZIONE GAELICA NE 'I RATTI NEI MURI'

Il racconto I ratti nei muri (The Rats in the Walls) è un capolavoro di H. P. Lovecraft. Fu scritto nel 1923, fra agosto e settembre, e pubblicato per la prima volta nel marzo del 1924 sulla rivista Weird Tales. Horror puro e weird robusto. La trama ruota attorno a un tema che non sarà mai abbastanza sfruttato finché il Tempo avrà corso: la storia di una famiglia nobiliare gravata da una terribile maledizione. La voce narrante è quella dell'ultimo superstite della stirpe dei Delapore, giunto in Inghilterra dal Massachusetts dopo che il suo unico figlio era stato reso invalido durante la Grande Guerra. Il suo scopo era ristrutturare Exham Priory ad Anchester, la proprietà dei suoi Antenati, i nobili De la Poer, avendola acquistata dalla famiglia del capitano Edward Norrys. Finiti i lavori dopo la morte dell'infelice figlio e resa abitabile la vetusta dimora, il protagonista si accorge ben presto che qualcosa non va: si palesano con rumori spettrali gli eserciti dei ratti. Per cercare di capire l'origine di queste presenze infestanti e funeste, Delapore assume una squadra di esperti, tra i quali l'archeologo Sir William Brinton, l'occultista Thornton e l'antropologo Trask. Le ricerche culminano con la scoperta di un vero e proprio mondo sotterraneo, un labirinto di gallerie e di cripte piene zeppe di scheletri deformi. Emerge così la terribile verità. I De la Poer, baroni normanni, erano una famiglia demoniaca e degenerata che allevava relitti umani allo scopo di macellarli e di nutrirsi delle loro carni!
 
Al culmine dell'orrore, Delapore viene trovato in stato di spaventosa alterazione, proprio sul cadavere semidivorato del capitano Norrys. Il delirio si esprime con una vera e propria catabasi linguistica:
 
"Curse you, Thornton, I’ll teach you to faint at what my family do! ... ’Sblood, thou stinkard, I’ll learn ye how to gust ... wolde ye swynke me thilke wys? ... Magna Mater! Magna Mater! ... Atys ... Dia ad aghaidh ’s ad aodaun ... agus bas dunach ort! Dhonas ’s dholas ort, agus leat-sa! ... Ungl ... ungl ... rrrlh ... chchch …." 
 
1) Il protagonista parte dall'inglese contemporaneo: "Curse you, Thornton, Ill teach you to faint at what my family do!"
2) Prosegue quindi con l'inglese dell'epoca elisabettiana: "Sblood, thou stinkard, Ill learn ye how to gust"
3) Giunge poi al medio inglese dell'epoca di Chaucer: "wolde ye swynke me thilke wys?" 
4) Non riesce a procedere con l'anglosassone e continua con il latino: "Magna Mater! Magna Mater! ... Atys ..." 
5) A questo punto dovrebbe arrivare al britannico parlato ai tempi di Cesare. Invece troviamo una maledizione anacronistica in gaelico scozzese: "Dia ad aghaidh ’s ad aodaun ... agus bas dunach ort! Dhonas ’s dholas ort, agus leat-sa!" 
6) Infine, sprofondando negli Abissi del Tempo, ecco comparire dei grugniti inarticolati, quasi fossimo di fronte a versi di pitecantropi: "Ungl ... ungl ... rrrlh ... chchch ….
 
Nelle traduzioni in italiano, si segnalano alterazioni dei testi in gaelico e non solo (vedi nel seguito). Non è facile orientarsi nell'ocano di tutte le traduzioni che sono state fatte. Mi limiterò a riportarne alcune. 
 
Questa è la traduzione di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco: 
 
"Maledetto Thornton, ti insegno io a svenire di fronte a quello che ha fatto la mia famiglia! Maledette bestie schifose, vi insegno io come si fa a... Mi resistete, maledetti... 
Magna Mater! Magna Mater!... Atys... Dia ad aghaidh’s ad aodann ... agus bas dunach ort! Dhonas’s dholas ort, agus leatsa! ... Ungl ... ungl ... rrrlh ... chchch …." 
 
Questa è la traduzione di Giuseppe Lippi: 
 
"Maledetto Thornton, ti insegno io a svenire davanti agli atti della mia famiglia! Io t'ammazzo, vilissimo, ti fo vedere come si fa... oseresti resistermi? Magna Mater! Magna Mater!... Atys... Dia ad aghaidh’s ad aodanr... agus bas dunach ort! Dhonas’s dholas ort, agus leat-sa!... Ungl... ungl... rrrlh... chchch…."  
 
Questa è la traduzione di Carlo Pagetti: 
 
"Che tu sia maledetto, Thornton, ti insegno io a svenire davanti agli atti della mia famiglia! Per dio, carogna, te la faccio vedere io... oseresti opporti? Magna Mater! Magna Mater!... Attis... Dia ad aghaidh ʻs ad aodann... agus bas dunach ort! Dhonas ʻs dholas ort, agus leat-sa!... Ungl... ungl... rrrlh... chchch…."   
 
Notiamo subito che la traduzione di Pagetti è senza dubbio la migliore. Tra le altre cose, emenda Atys in Attis, il nome più corretto del Paredro di Cibele. Con tutto il bene che voglio a Giuseppe (RIP), ʼsblood non significa affatto "io t'ammazzo". È una contrazione della violenta bestemmia God's Blood "Sangue di Dio" (variante: Christ's Blood). Capisco che non fosse possibile far comparire l'imprecazione "Sangue di Dio" in una traduzione nell'Italietta bigotta, ma i fatti sono questi. Pagetti si avvicina di più al vero, con un "Per dio" che di certo ha richiesto un grande coraggio. Assurda la traduzione di Pilo-Fusco, se pure traduzione possiamo chiamarla: non si capisce come un semplice ʼsblood sia potuto divenire "Maledette bestie schifose". Forse per onomatopea?  

Come accennato, l'Autore non è stato in grado di utilizzare la lingua di Beowulf. Il suo medio inglese consiste di queste forme: 
 
wolde = would
ye = you 
swynke = to swink "sforzarsi, faticare" 
me = me
thilke = the like 
wys = wise (cfr. italiano guisa, di chiara origine germanica) 
 
Parleremo in altra sede del pronome ye, come anche del pronome Thou citato nel testo elisabettiano. 
 
Dal canto suo, in una lettera Lovecraft ha dato un abbozzo di spiegazione alle sue scelte a proposito della parte in gaelico. Riporto qui il testo: 

"What the intermediate jargon is, is perfectly good Celtic—a bit of venomously vituperative phraseology which a certain small boy out to know; because his grandpa, instead of consulting a professor to get a Celtic phrase, found a ready-made one so apt that he lifted it bodily from The Sin-Eater, by Fiona MacLeod, in the volume of Best Psychic Stories which Sonny himself generously sent! I thought you’d note that at once—but youth hath a crowded memory. Anyhow, the only objection to the phrase is that it’s Gaelic instead of Cymric as the south-of-England locale demands. But as—with anthropology—details don’t count. Nobody will ever stop to note the difference."
(SL1.258) 

Traduzione per gli anglofobi non anglofoni:

"Quale che sia il gergo intermedio, è Celtico perfettamente buono - un po' di fraseologia vituperante che un certo ragazzino vuole conoscere; poiché suo nonno, invece di consultare un professore per ottenere una frase celtica, ne trovò una già pronta, così adatta che la prese di peso da The Sin-Eater, di Fiona MacLeod, nel volume di Best Psychic Stories che lo stesso Sonny ha generosamente inviato! Pensavo che l'avresti notato subito - ma la gioventù ha una memoria affollata. Ad ogni modo, la sola obiezione alla frase è che è in Gaelico anziché in Gallese come richiesto dalla località del Sud dell'Inghilterra. Ma siccome - con l'antropologia - i dettagli non contano, nessuno si soffermerà mai a notare la differenza." 

Invece la differenza l'ho notata all'istante, essendo un appassionato celtista e indoeuropeista. Mi sono reso conto dell'assurda incoerenza a colpo d'occhio. Quanti recensori tecnici si sono soffermati sulla questione? Scommetto nessuno. Il punto è che le lingue celtiche non sono "gerghi" né tantomeno "slang criminali", come l'Autore sembra voler insinuare. Sono lingue degne come quelle derivate dal latino e dal protogermanico. Spero che gli eventuali lettori avranno la pazienza di leggere con attenzione quanto ho da dire.    
 
Un anacronismo marchiano 
 
Questo è il testo in gaelico nella sua forma corretta: 
"Dia ad aghaidh ’s ad aodann ... agus bas dunach ort! Dhonas ’s dholas ort, agus leat-sa!"
 
Questa è la traduzione in inglese moderno:
"God against thee and in thy face ... and may a death of woe be yours ... Evil and sorrow to thee and thine." 
 
Questa è la traduzione in italiano:  
"Dio contro di te e in faccia a te... e possa una morte di dolore essere tua... Male e dolore a te e per te."  
 
Riporto senz'altro l'originale di William Sharp (Paisley 1855 - Bronte 1905), importante autore del Revival Celtico che scrisse sotto lo pseudonimo femminile di Fiona MacLeod. Le parti in gaelico le ho evidenziate in neretto: 
 
"But, Andrew Blair, I will say this: when you fair abroad, Droch caoidh ort! and when you go upon the water, Gaoth gun direadh ort! Ay, ay, Anndra-mhic-Adam, Dia ad aghaidh 's ad aodann ... agus bas dunach ort! Dhonas 's dholas ort, agus leat-sa!"   

Questa è la traduzione parola per parola: 
 
droch "cattivo" 
caoidh "lamento"
ort "su di te" 
 
gaoth "vento" 
gun "senza"
deireadh "fine"(1)  
ort "su di te" 
 
(1)Nell'originale è scritto erroneamente direadh; lo si trova tradotto erroneamente con "direction". La traduzione corretta è invece "end".

Dia "Dio" 
ad "al tuo; nel tuo" 
aghaidh "volto, faccia" 
's "e" (abbreviazione di agus, vedi sotto)
ad "al tuo; nel tuo" 
aodann "faccia, fronte"
agus "e" 
bàs "morte"
dunach "di disastro" 
ort "su di te"  
dhonas "cattiva fortuna" (forma "aspirata" di donas)
's "e" 
dhòlas "dolore" (forma "aspirata" di dòlas)
leat-sa "con te"
 
Notiamo che Lovecraft ha commesso un notevole errore di trascrizione, riportando la parola aodann come aodaun, per via di una banale inversione del carattere -n- corsivo, interpretato come -u-. Non è difficile incorrere in refusi di questo genere. Ricordo quando al liceo un'antipatica foruncolosa copiò un compito di inglese dalla vicina di banco, trascrivendo "glance" come "glauce" e facendo acrobazie perigliose nel tentativo di pronunciare tale vocabolo a lei sconosciuto (prima tentò di articolarlo come "gloss", poi lo pronunciò in maniera ortografica, come se fosse scritto in italiano, destando le ire funeste della professoressa). Simili insidiosi errori possono ricorrere spesso e inficiare il lavoro di linguisti e di antropologi. Il corsivo è un uso pessimo che andrebbe abolito una volta per tutte, date le ambiguità a cui si presta. 
 
Nella traduzione di Pilo-Fusco l'originale aodaun è restaurato con il corretto aodann. Così anche nella traduzione di Pagetti.
Nella traduzione di Lippi aodaun diventa invece aodanr, con un'impervia fonotattica degna delle iscrizioni oghamiche pictiche! 
 
Perché tutto questo non va bene? Perché parlo di anacronismo marchiano? Semplice. Le lingue cambiano nel tempo. Cambiano in modo sistematico, tramite mutamenti fonetici che non sono avvertite dai parlanti. Queste mutazioni sono quasi sempre regolari; quando non lo sono, è perché agiscono interferenze che soggiaciono in ogni caso a una logica. I mutamenti si accumulano nel corso dei secoli fino a produrre risultati sorprendenti. Le lingue diventano così irriconoscibili. Non si può prendere il gaelico scozzese del XIX secolo e proiettarlo nell'epoca dell'Impero Romano. Sarebbe come prendere il milanese di Carlo Porta e proiettarlo nell'epoca dell'Impero Romano. Anzi, peggio, perché i mutamenti che le lingue celtiche insulari hanno subìto nel corso dei secoli sono particolarmente corrosivi. In media è stata persa una sillaba su due.   
 
Queste sono alcune ricostruzioni di forme proto-iberniche: 
 
droch /t̪ɾox/ "cattivo" < *drukos (maschile); 
      < *drukā (femminile); < *drukon (neutro)
caoidh /khɯi/ "lamento" < *kējā    
ort /ɔrˠs̪t/ "su di te" < *wer-ted 
gaoth /kɯː/ "vento" < *gaitā  
gun /kun/ "senza" < *kina   
deireadh /'tʲeɾʲə/ "fine" < *diarewedon
Dia /tʲia/ "Dio" < *dēwos 
ad /at̪/ "al tuo, nel tuo" < *eni *tō   
aghaidh /ɤː.ɪ/ "faccia" < *agedā(2) 
aodann /ˈɯːt̪ən̪ˠ/ "faccia, fronte" < *antanos 
agus /'akəs̪/ "e" < *onkuθθus "vicinanza" 
bàs /pa:s̪/ "morte" < *bāθθon "morte"     
dunach /'t̪unəx/ "di disastro" < *dugnawatōs 
donas /'t̪onəs̪/ "cattiva fortuna" < *dugnawaθθus 
leat-sa /ˈlʲat̪sə/ "con te" < *letos-ted-son  
 
(2)Confronta la radice gallica agedo-, che forma antroponimi come Agedouiros. Il significato di questa parola era "faccia, superficie; onore". Così Agedouiros significa "Uomo d'Onore".  
 
Il gaelico dhòlas (forma "aspirata" di dòlas) deriva dal prefisso negativo/peggiorativo do- (< *du-) e dal medio irlandese sólas "gioia", prestito dall'antico francese solas, in ultima analisi dal latino sōlācium. Una ricostruzione su queste basi sarebbe quindi con ogni probabilità fallace. Pertanto sostituiamo il vocabolo: 
 
bròn /prɔ:n/ "dolore" < *brugnā  

Si nota che il processo di ricostruzione fa venire meno molte allitterazioni. La congiunzione agus (antico irlandese ocus) ha sostituito mezzi di espressione più antichi, che sono testimoniati nei documenti provenienti dalle Gallie: il suffisso -C (corrispondente al latino -que) e la congiunzione ETIC (corrispondente al latino et). Dobbiamo ovviamente tener conto di tutto questo.     

Possiamo tentare di ricostruire la maledizione, trascrivendola in ortografia latina integrata col carattere speciale detto "tau gallicum" e fornendone la pronuncia: 
 
DRVCA CEIA VERTED 
/'druka: 'ke:ja: 'werted/

 
GAITA CINA DIAREVEDON VERTED 
/'gaita: kina di'arewedon 'werted/
 
DEVOS ENI TO AGEDIN ANTANONC  
/'de:wos 'eni to: 'agedin 'antanonk/ 
 
ETIC BAÐÐON DVGNAVATOS VERTED 
/'etik 'ba:θθon 'dugnawato:s 'werted/

DVGNAVAÐÐVS BRVGNAC LETOSTEĐSON 
/'dugnawaθθus 'brugna:k 'letosteθˌson/

Tutto questo senza contare che DEVOS si riferisce a una divinità pagana (ad esempio Nodens), mentre il suo discendente gaelico Dia si riferisce alla divinità cristiana.  

La raccolta menzionata da Lovecraft, Best Psychic Stories, può essere letta gratuitamente su Archive.org:
 

La solita baggianata del razzismo lovecraftiano 
 
Gli stramaledetti buonisti politically correct insistono sul razzismo del Solitario di Providence: nel caso di questo racconto evidenziano il nome che il protagonista ha dato al proprio gatto, Nigger-Man. Nessuno ha però fatto la benché minima menzione all'innata avversione provata dall'Autore nei confronti degli Irlandesi - il cui colore della pelle non è certo quello della carta carbone, essendo praticamente indistinguibili dagli Anglosassoni! Non mi stancherò mai di ripeterlo: tutto ciò non toglie nemmeno un iota alla sua immensa gloria, che mai declinerà finché il Tempo avrà corso!   

sabato 24 ottobre 2020

HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT AMERICANISTA: L'INVASIONE DEGLI INUTO

La Stella Polare (Polaris) è un breve racconto fantasy di H. P. Lovecraft, scritto nel 1918 e pubblicato per la prima volta nel dicembre del 1920 sulla rivista amatoriale The Philosopher (da non confondersi con l'omonima rivista accademica fondata nel 1923). Quando lo lessi, molti anni fa, ne fui molto colpito. Narra di un uomo ossessionato dalla Stella Polare, convinto di essere vissuto in un'epoca remotissima, nella terra che oggi conosciamo come Groenlandia e che lui chiamava Lomar. Il suo nome non viene mai rivelato nel corso della narrazione. Egli è convinto di essere stato un guardiano incaricato di sorvegliare la capitale del Regno, Olathoë, che sorgeva nel mezzo della piana di Sarkis, tra i monti Noton e Kadiphonek. La città era assediata da orde di genti bellicosissime e barbare, gli Inuto (nell'originale Inutos, col tipico plurale sigmatico anglosassone), descritti come "tarchiati e gialli".
 
Un'interessante incoerenza narrativa 
 
A un certo punto il narratore ascolta nella sua mente una poesia, che sembra essere pronunciata dalla Stella Polare, avvertita come una presenza ostile e maligna. Questo è il testo: 
 
"Slumber, watcher, till the spheres,
Six and twenty thousand years
Have revolv'd, and I return
To the spot where now I burn.
Other stars anon shall rise
To the axis of the skies;
Stars that soothe and stars that bless
With a sweet forgetfulness:
Only when my round is o'er
Shall the past disturb thy door."
   
 
Questa è la traduzione libera di Giuseppe Lippi (RIP):  
 
"Dormi, guardiano, dormi in fila
Per lunghi anni Ventiseimila,
Svegliati solo nel momento
Che brillerò nel firmamento
Proprio dove brillo adesso.
Tu nel ciel vedrai spuntare
Molte stelle da guardare;
E la calma ti daranno,
Dimenticare ti faranno:
Ma quando tornerò nella vecchia posizione
Il passato ti darà una bella lezione." 
 
Non so se sono soltanto io a trovare strano questo canto. La bizzarria non sta nei suoi contenuti: sta nel fatto che è in inglese e che presenta ingegnose rime. Il compianto Giuseppe Lippi ha fatto del suo meglio per rendere la sua struttura poetica, concependo rime idonee in italiano. Direi che il risultato è ottimo, anche se in alcuni punti si ravvisa una certa distanza dal significato dell'originale. La domanda è questa: nella testa del protagonista non avrebbe dovuto pulsare un componimento nella lingua di Lomar? I versi avrebbero presentato rime simili a quelle riportate nel racconto? Quali rime? Dovremmo pensare che il cervello di quell'uomo avesse trasposto i contenuti in inglese adattandoli alle circostanze? Oppure, semplicemente, l'Autore non ci ha pensato e ha dato per scontato che a Lomar si parlasse inglese? Non voglio credere a quest'ultima alternativa, che mi pare oltremodo ingenua e grottesca. 
 
L'ignota lingua di Lomar 
 
Certo è un vero peccato che l'ignota lingua di Lomar non sia stata documentata. Ci saremmo almeno aspettati di veder menzionati i nomi lomariani degli astri funesti, la Stella Polare e Aldebaran. Non sono in grado di ricavare elementi utili dal materiale citato, che consiste in alcuni toponimi (Lomar, l'altopiano di Sarkis, il monte Noton, il monte Kadiphonek, la torre di Thapnen, la valle di Banof, le città Daikos e Zobna), in un antroponimo (Alos) e in poco altro: oltre agli Inuto è menzionato un etnonimo (Gnophkeh), ma questi saranno endoetnici presi a prestito, non esoetnici imposti dai Lomariani; ci sono poi i Manoscritti Pnakotici (in inglese Pnakotic Manuscripts), che compaiono anche in altre opere lovecraftiane e che hanno tratto il loro nome dalla perduta città di Pnakotus, edificata dalla Grande Razza di Yith.
 
Gli Inuto, gli Inuit e la Terra del Sogno    

Ora leggete attentamente queste parole, che concludono il racconto: 

"I have failed in my duty and betrayed the marble city of Olathoë; I have proven false to Alos, my friend and commander. But still these shadows of my dream deride me. They say there is no land of Lomar, save in my nocturnal imaginings; that in those realms where the Pole Star shines high and red Aldebaran crawls low around the horizon, there has been naught save ice and snow for thousands of years, and never a man save squat yellow creatures, blighted by the cold, whom they call “Esquimaux”.
And as I writhe in my guilty agony, frantic to save the city whose peril every moment grows, and vainly striving to shake off this unnatural dream of a house of stone and brick south of a sinister swamp and a cemetery on a low hillock; the Pole Star, even and monstrous, leers down from the black vault, winking hideously like an insane watching eye which strives to convey some strange message, yet recalls nothing save that it once had a message to convey." 

Traduzione:
 
"Ho fallito nel mio compito, ho tradito la marmorea città di Olathoë; mi sono mostrato indegno di Alos, mio amico e comandante, e ancora le ombre del sogno mi deridono. Dicono che la terra di Lomar esiste solo nelle mie fantasie notturne, che nelle regioni dove la Stella Polare brilla alta nel cielo e Aldebaran striscia lungo l'orizzonte non c'è altro che neve e ghiaccio da migliaia d'anni e che l'uomo non ci si è mai avventurato, a parte una razza di individui gialli e tarchiati che qui chiamano "esquimesi".
E io mi tormento nel rimorso, desiderando ardentemente di poter salvare la città: ma ad ogni momento il pericolo cresce e io lotto invano per scuotermi di dosso il sogno innaturale di questa casa di pietra e mattoni, a sud della palude e del cimitero che sorge sulla collina. E la Stella Polare, malvagia e mostruosa, mi deride dalla volta nera, ammiccando orribilmente come un occhio folle che guarda, guarda in continuazione e cerca di trasmettere un messaggio misterioso; ma non ricorda quale, se non che una volta ce n'era uno."  

Stupisce molto che Lovecraft abbia usato l'etnonimo Inuto, in cui si riconosce all'istante un'alterazione di Inuit, ben noto endoetnico delle genti note come Eschimesi (variante obsoleta Esquimesi). Proprio il finale del racconto, sopra riportato, prova al di là di ogni dubbio che questa scelta dell'Autore non è stata casuale. Quanti se ne sono accorti tra i suoi esegeti? Possiamo dire a questo punto che gli Inuto sono i corrispondenti Eschimesi delle Terre dei Sogni (Dreamlands), anzi, uno dei pochi punti di contatto tra queste due realtà parallele. Il nome Dreamlands è dato a una vasta dimensione parallela a cui è possibile avere accesso unicamente tramite l'attività onirica. Proprio in tale mondo si trovano il Paese di Ulthar, ove non si possono uccidere i gatti, l'Altopiano di Leng, l'Isola di Oriab, le Rovine di Sarnath, la Terra di Mnar e innumerevoli altri luoghi incantati. La gelida Lomar appartiene alla stessa geografia del Sogno. Si potrebbe quindi pensare che sia vana la sua identificazione con la Groenlandia, con cui pure presenta molte analogie. Eppure è evidente che il Solitario di Providence ha tratto in qualche modo ispirazione dalla nostra realtà, da quanto poteva immaginare sulle origini degli Eschimesi e della calotta glaciale artica.     
 
Terre del sogno e realtà  
 
Facciamo ora un rapido confronto tra gli eventi ricostruibili e quelli esposti nel racconto. Secondo quanto Lovecraft ha narrato in Polaris, le cose erano tutto sommato abbastanza semplici, se così possiamo dire. Fino a ventiseimila anni prima del suo tempo, la Groenlandia era libera dai ghiacci e abitata da genti di aspetto europeo. Quindi sarebbero giunti dall'Asia gli Inuto a portare devastazione. Distrutta la civiltà di Lomar, sarebbe poi giunta la glaciazione e gli Inuto, adattati al nuovo clima, avrebbero infine dato come discendenti gli attuali Inuit. In realtà gli Inuit sono una presenza molto più recente nell'Artico: sono giunti alcuni secoli dopo la fondazione delle colonie norvegesi in Groenlandia, come spiegato con maggior dettaglio nel seguito. Anche per quanto riguarda la climatologia e la geologia, non c'è rispondenza alcuna tra quanto raccontato in Polaris e gli eventi del nostro pianeta. L'ultima glaciazione, quella di Würm, fu la quarta del Pleistocene: iniziò circa 110.000 anni fa e si concluse circa 12.000 anni fa. La sua massima estensione fu raggiunta circa 18.000-18.000 anni fa in Europa e circa 22.000-18.000 anni fa in Siberia. La calotta di ghiaccio (Islandsis) che ricopre la Groenlandia si formò molto prima, nel tardo Pliocene, circa 3 milioni di anni fa. Le prove delle glaciazioni quaternarie furono scoperte nel corso del XVIII e del XIX secolo, come parte della Rivoluzione Scientifica. Notiamo che la cronologia non torna affatto con quella descritta dal Solitario di Providence. Eppure c'è un dettaglio inquietante quanto innegabile: il cielo del nostro mondo è lo stesso di quello delle Terre del Sogno, con le medesime stelle che vi brillano!  
 
L'origine degli Inuit  
 
Gli attuali Eschimesi includono gli Inuit (Canada, Groenlandia) e gli Yupik (Alaska). Sono anche chiamati Neo-Eschimesi e discendono dalla Cultura di Thule, che è giunta in Groenlandia nel XIII secolo d.C. I loro antenati provenivano dalla regione di Birnirk, in Alaska settentrionale, come suggerito dai reperti archeologici e dall'analisi del genoma (presenza dell'aplogruppo A). Prima della migrazione delle genti della Cultura di Thule, le regioni del Canada settentrionale e della Groenlandia erano occupate da altri popoli, conosciuti come Paleo-Eschimesi. Appartenevano ai Paleo-Eschimesi le culture conosciute come Saqqaq (2500 a.C. - 800 a.C.), Indipendence I (2400 a.C. - 1000 a.C.), Indipendence II (700 a.C. - 80 a.C.) e infine Dorset (500 a.C. - al più tardi 1500 d.C.). Il nome dato a queste culture è tratto dai luoghi delle scoperte archeologiche: le loro lingue sono perdute. L'aplogruppo D è dominante, in netto contrasto con gli antenati degli Inuit. L'origine ultima dei Paleo-Eschimesi, come quella dei Neo-Eschimesi, è la Siberia, da cui sono partite ondate migratorie separate.  

Etimologia di Inuit
 
In proto-eschimese la parola *ińuɣ significa "persona". Ne derivano le seguenti protoforme: proto-Inuit: *inuɣ "persona" e proto-Yupik *yuɣ "persona". 
 
Questa è la declinazione di inuk "persona" in groenlandese: 
 
Singolare:
 
Assolutivo: inuk 
Ergativo: inuup
Allativo: inummut
Ablativo: inummit
Prosecutivo: inukkut
Locativo: inummi
Strumentale: inummik
Equativo: inuttut  
 
Plurale: 
 
Assolutivo: inuit  
Ergativo: inuit 
Allativo: inunnut
Ablativo: inunniit
Prosecutivo: inutsigut
Locativo: inunni
Strumentale: inunnik
Equativo: inuttut  

La forma lovecraftiana Inuto sembra quasi l'equativo di inuit, ossia inuttut "come una persona; come le persone". Non credo tuttavia plausibile che Lovecraft avesse simili conoscenze. Avrà derivato l'etnonimo Inuto a partire dalla forma assolutiva plurale inuit, che certamente doveva essere ben nota agli etnologi. Non dobbiamo dimenticarci che Lovecraft non era Tolkien e non dava grande importanza al rigore filologico.   
 
Lingue Inuit e algonchine: possibili contatti  
 
Le lingue eschimesi sono considerate parte della macrofamiglia nostratica. Eppure i contatti e gli scambi con altri ceppi linguistici del Nordamerica sono senza dubbio stati assai intensi. Nella lingua Innu-aimun parlata dalla popolazione algonchina conosciuta come Montagnais, autoctona della penisola del Labrador, la parola innu significa "persona, essere umano". Potrebbe trattarsi di un prestito da un sostrato o da un adstrato eschimese, dal momento che la lingua dei Montagnais appartiene al gruppo delle lingue Cree e non ha parentela con le lingue degli Inuit. Dal confronto con le altre lingue algonchine emerge che la parola innu è derivata da una protoforma *elenyiwa. A prima vista sembrerebbe difficilmente compatibile con la protoforma eschimese *ińuɣ, ma le difficoltà non sono insormontabili. Se diamo un'occhiata a qualche esito storico, notiamo che potrebbe comunque essere esistita una protoforma comune. 
 
Esiti di *elenyiwa si trovano in tutte le lingue algonchine. Questi sono alcuni esempi: 
 
Cree: iyiniw "uomo"
Fox: ineniwa "uomo"
Menominee: enɛᐧniw "uomo"
Ojibwe: aniniw "uomo"  
Abenaki: alnôba "essere umano"
Massachusett: ninnu "uomo"
Mohegan-Pequot: in "uomo" 
etc.
 
All'interno delle lingue Cree, abbiamo questi dati:  

    Plains Cree: iyiniw
    Woods Cree: iθiniw
    Swampy Cree: ininiw
    Moose Cree: ililiw
    Atikamekw: iriniw
 Cree Occidentale:
    Nord Est Cree: īyiyiw 
    Sud Est Cree: īyiyū 
Montagnais: īlnu (Ovest), innu (Est)
Naskapi: iiyuw, iyyū
 
E se questa radice proto-algonchina fosse un prestito remoto da una lingua artica anteriore da genti anteriori agli Inuit? Potrebbe questa radice essere un antico termine importato dalla Siberia da epoca immemorabile ed evolutosi in seguito in modi indipendenti nelle lingue di popoli diversi, anche non imparentati tra loro? La butto lì.  
 
Thule, Dorset ed Amerindiani 
 
Non ci sono somiglianze genetiche tra Eschimesi e Paleo-Eschimesi. Questo ci dice l'analisi delle sequenze dei resti rinvenuti. Gli accademici non riescono a capire come gli Eschimesi possano aver adottato alcune tecnologie della Cultura di Dorset senza contatti genetici. Ad esempio, risulta che la Cultura di Thule abbia preso da quella di Dorset un particolare tipo di arpione e la tecnica di caccia alle foche tramite un buco nel ghiaccio - anche se non sembra che le genti di Dorset avessero cani per aiutare i cacciatori. Le leggende degli Inuit parlano di una stirpe di giganti che avrebbero abitato in tempi antichi le terre artiche. Sono chiamati Tuniit (al singolare Tuniq) o Sivullirmiut (ossia "Primi Abitanti"). Secondo questa tradizione, questi Tuniit sarebbero stati molto timidi, cosicché gli antenati degli Inuit li avrebbero messi facilmente in fuga. Ma in fuga dove? Questi confusi racconti potrebbero essere nati dal tentativo di nascondere un'orrenda colpa ancestrale, quella del genocidio. Proprio il vocabolo Tuniit potrebbe essere un prestito dalla lingua dei Dorset, il suo ultimo resto e il suo solo documento vivente. Potrebbe essere la prova di qualche contatto intercorso tra le due culture, prima che esplodessero le ostilità con conseguente sterminio degli abitanti più antichi. Se così fosse, prenderebbe sostanza la tesi di coloro che considerano i Paleo-Eschimesi all'origine della diffusione delle lingue Na-Dené in Nordamerica. Tra le lingue di questo ceppo menzioniamo quella dei Navajo e quella degli Apache, popolazioni ben note e gloriose. Il vocabolo dené si trova nelle lingue del ceppo Athabaskan e significa "gente, popolo". Non sembra troppo difficile affermare che la radice *tuni- significasse proprio questo nella lingua della Cultura di Dorset e che avesse la stessa origine. Trovo assurda l'idea di quegli accademici che credono alla scomparsa della Cultura di Dorset prima dell'arrivo di quella di Thule, postulando il saccheggio dei villaggi ormai deserti come fonte di approvvigionamento di manufatti e tecnologie. Proprio la persistenza dell'etnonimo Tuniit confuta questa tesi.  
 
Un esperimento stravagante 
 
D'accordo. Non ho certo l'ardire di ritenermi anche lontanamente pari a Tolkien. Vorrei però tentare un esperimento filologico, a mio avviso di enorme interesse. Pongo i primi rudimenti di una grammatica della lingua degli Inuto che hanno invaso Lomar, portandovi devastazione e morte. Ecco la declinazione di inug "persona, essere umano":
 
Singolare:
 
Assolutivo: inug
Ergativo: inoof
Relativo: inoom
Allativo: inumboth
Ablativo: inumbith
Prosecutivo: inuthkoth
Locativo: inumbë
Strumentale: inumbikh
Equativo: inuhtoth 
 
Plurale: 
 
Assolutivo: inuto
Ergativo: inutof 
Relativo: inutom
Allativo: inumnoth
Ablativo: inumneyth
Prosecutivo: inuthsigoth
Locativo: inumnë 
Strumentale: inumnikh
Equativo: inuhtoth  

A differenza della lingua di Lomar, quella degli Inuto è già fin d'ora ricostruibile.

Un'importante missione 

Anche se non ci riuscirò nel breve termine, vorrei riuscire a produrre un vero e proprio atlante linguistico delle Terre del Sogno! Se tutto andrà per il verso giusto, potrò presentare la mia opera nel giro di qualche anno, rivelando i misteri di Lomar, di Ulthar, del Paese di Mnar e di innumerevoli altri luoghi incantati!