IL SOFFITTO DI CORALLO
Era uno di quei giorni d'estate in cui non si sa materialmente che fare della propria esistenza, giorni in cui i pensieri evaporano come gocce d'acqua cadute sull'asfalto arroventato dal sole. Dalla finestra del suo appartamento, Carmello osservava, in una condizione psichica prossima alla trance, una banda di energumeni avanzare sul marciapiede antistante l'ingresso della palazzina. Procedevano a passo dinoccolato, berciando e schiamazzando da veri trogloditi. D'un tratto, da un bidone della spazzatura, schizzò fuori una pantegana e si avventò contro uno di loro, un individuo dall'aspetto patibolare che indossava pantaloncini da basket, azzannandogli un polpaccio. Il tipo lanciò un urlo, seguito da una sfilza di bestemmie. Intorno a lui si fece immediatamente il vuoto. Tra i "fratelli" vi fu chi prese a sghignazzare, mantenendosi a distanza di sicurezza, e chi invece mise mano allo smartphone per riprendere la scena. Nessuno intervenne in aiuto dell'aggredito. Questi, urlando a squarciagola, fece per afferrare la pantegana nel tentativo di strapparsela di dosso, ma il grosso topo di fogna non mollava la presa, anzi, si fece ancor più accanito. Estratto un coltello a serramanico dalla tasca dei pantaloni, il fratello lo conficcò nel corpo del ratto, che reagì avventandosi con furia sull'avambraccio armato. La scena andava assumendo aspetti sempre più orripilanti, al punto che Carmello se ne distolse e si rifugiò in un'altra stanza, disgustato. Accese la tivù per non sentire le urla, ma non potè fare a meno di udire, pochi minuti dopo, il suono del campanello. Dallo spioncino scorse il volto della vicina, l'anziana signora Torrejon. Aprì, rassegnato.
"Ha visto? Ha visto che roba?".
"Si, signora, ho visto."
"Lo vado dicendo da mesi che bisogna fare pulizia nel quartiere! Pulizia accurata! Quelli non sono ratti, ma belve sanguinarie. Venga, venga da me che le preparo un caffè. E' pallido come un cencio."
Carmello obbedì. L'appartamento della signora Torrejon presentava più di una singolarità, prima fra tutte la decorazione del soffitto della sala: vi era raffigurato un banco di coralli, dipinto con maestria. La signora praticava una devozione religiosa tutta sua; allineate su una cassettiera, a fianco del ritratto del marito defunto, facevano bella mostra di sé due statuette: una raffigurava la Vergine di Guadalupe, l'altra la Santa Muerte.
"Si accomodi, le porto subito qualcosa."
La signora tornò con un vassoio su cui erano posate una tazza e una piatto con dei panini tondi.
"Li assaggi, non faccia complimenti. Sa come li chiamiamo in Messico? Pan de muertos, il pane dei morti."
"Grazie, signora, molto gentile."
"Dunque, dicevo, ha seguito tutta quanta la scena?"
"In parte."
"Avrebbe dovuto. Quanto sangue ha perso quel tipaccio! E il ratto anche da morto affondava i denti nella carne! Eh, mi sa che quel bruto farà meglio a farsi vedere in ospedale, e in fretta. C'è un lago di sangue sul marciapiede, deve avergli reciso una vena, vedesse che roba. Poi scendo a gettare un secchio d'acqua."
"Ci penso io signora. Ma quegli altri se ne sono andati?"
"Si si, e di corsa! Lei forse non sa cosa combinano, in un garage qui vicino."
"Sinceramente no".
"Girano filmacci porno con delle puttanelle bianche a cui la cocaina ha corroso il cervello. Che schifo, non so se siano peggio loro o i ratti che infestano il quartiere. Gente simile non merita di stare al mondo."
Sul tavolino di fronte al divano stava un giornale aperto su una pagina interna, riservata alla cronaca. Un titolo calamitò l'attenzione di Carmello:
Incendio nel negozio di un antiquario
Per un istante, gli parve che la stanza prendesse a girare vorticosamente intorno a lui.
"Che c'è, si sente bene?"
"Si, solo una momentanea vertigine."
"Carmello, lei è troppo sensibile,"
"Ora è passata."
Nell'articolo compariva un nome: Melvin Grimshaw.
Dopo un'ora circa, Carmello si trovava dinanzi all'abitazione dell'antiquario. L'incendio l'aveva annerita senza tuttavia distruggerla. L'edera sui muri, cotta dal colore sprigionatosi dall'interno, appariva color ruggine. Sinistro e funereo come una lapide in marmo nero, l'edificio emanava odore di legno combusto.
Dalla finestra al piano superiore si udì una voce:
"Entri, la prego!"
Carmello non si sottrasse alla richiesta accorata. La porta blindata non era chiusa a chiave, gli bastò sospingerla per aprirla. La vista del disastro provocato dal fuoco lo gettò nello sconforto; dei tanti, begli oggetti esposti nel negozio non restava più nulla.
"Salga, la scala è alla sua sinistra."
Il piano superiore era stato risparmiato dalle fiamme grazie alla presenza di una porta tagliafuoco, ma vi stagnavano un odore acutissimo di bruciato e un tanfo indescrivibile. Grimshaw sedeva su una poltrona, sul suo volto era impressa un'espressione di dolore e terrore.
"Si sieda, la prego. Lei non può immaginare quel che ho passato in questi ultimi giorni".
"Non si è trattato di un cortocircuito, vero?"
"Ha letto il giornale? E' la versione fornita dai vigili del fuoco. Non credo che l'abbiano imbastita a casaccio. Potrebbe essere plausibile".
"Potrebbe, ma sappiamo entrambi che non è così. Lei era in casa?"
"No, ero alla chiesa dell'ascensione, ad assistere al concerto di un clavicembalista."
"Dal giorno in cui venni qui sino a quello dell'incendio si sono verificati altri... problemi?"
Grimshaw si prese la testa fra le mani.
"Non mi hanno dato tregua."
"Ora cosa conta di fare? Non vorrà restare qui, spero!"
"Non lo so. Ha sentito?"
Si sarebbe detto che una scossa elettrica avesse attraversato il corpo dell'antiquario, facendolo sobbalzare sulla poltrona. Carmello tese l'orecchio. Dal pianterreno saliva un suono melmoso e raschiante, simile a un gracidio.
"Andiamocene subito!"
"Non posso, lei non si rende conto delle conseguenze."
Il gracidio si trasformò in un muggito gorgogliante.
"Mi rendo conto benissimo invece, prenda l'indispensabile, in fretta, e andiamocene!"
Grimshaw infilò poche cose in un borsone. Scendendo la scala, furono investiti da un coro di urla inumane, provenienti dalla cantina, la cui porta veniva percossa, a intervalli regolari, da colpi possenti.
Mentre si dirigevano all'uscita, risuonò un colpo tremendo. La porta cedette di schianto, abbattendosi sul pavimento, mentre i cardini e l'intelaiatura volavano in pezzi. Dalla soglia della cantina, immersa in un'oscurità impenetrabile, si sprigionò una nube di putredine salmastra così intensa da togliere il fiato. La carcassa di un grosso cetaceo in decomposizione su una spiaggia assolata non avrebbe potuto produrre un lezzo più penetrante. Non parve vero ai fuggitivi di poter raggiungere indenni il giardino. Il gorgoglio cessò nel momento esatto in cui misero piede fuori dall'edificio.
Fu solo a bordo dell'autobus che Carmello si accorse di un particolare che gli era sfuggito sino a quel momento. Dal borsone in cui Grimshaw aveva riposto le proprie cose spuntava il dorso di un libro che riconobbe immediatamente: il Necronomicon.
"Non mi dica che se l'è portato appresso!"
"Non volevo dargli la soddisfazione di impadronirsene. Non che la cosa faccia differenza, ormai."
Durante il tragitto, a bordo del mezzo si accese, per ragioni ignote, un alterco tra due passeggeri: una corpulenta donna afroamericana di mezza età e un vecchio asiatico. La donna, in preda alla furia, rovesciò sul poveretto un torrente di insulti, mulinando le braccia come pale. L'asiatico rimasto silenzioso e a capo chino sotto quella grandinata di ingiurie, a un certo punto prese qualcosa dalla borsa di iuta che portava a tracolla e la gettò verso la donna che troneggiava su di lui. Carmello non riuscì immediatamente a capire di che si trattasse, vide però l'espressione della donna cambiare all'istante, assumendo le sfumature della paura. Un grido di raccapriccio scaturì dalla sua bocca. L'asiatico le aveva scagliato addosso un rettile, un geco leopardino per la precisione, che lesto le si era insinuato nella scollatura dell'abito. La donna cominciò a spogliarsi nel tentativo di liberarsi dal geco. L'asiatico, allontanatosi di qualche passo, osservava la scena con un sorrisetto crudele. Dinanzi allo sguardo allibito di Carmello e dei pochi passeggeri presenti sull'autobus, la donna si privò di tutti gli indumenti, mentre il geco si sottraeva a ogni tentativo di cattura. Quando Carmello e l'antiquario scesero dal mezzo, l'ossessa si stava ancora dimenando, nuda e urlante,. L'autista ripartì, del tutto indifferente a quanto stava accadendo.
"Non credo si libererà tanto facilmente da quel rettile", osservò Grimshaw, "l'ho già visto accadere altre volte".
"Ha già assistito a una scena simile?", domandò Carmello stupefatto.
"Oh sì, certo. Pensi che una tale dovette rassegnarsi a portare su di sé un geco per un'intera settimana. Non se ne voleva andare. Aveva trovato un microclima confortevole tra le pieghe adipose dell'ospite. Del resto, li addestrano apposta."
"Li addestrano?"
"Si, ha capito bene. Ha osservato quel tale, l'indonesiano? Le sembra normale che uno salga sull'autobus con un geco nella borsa? Avrà anche notato con che rapidità fulminea il geco si è infilato nella scollatura. Era chiaramente addestrato."
"Mi sfugge il senso di tutto ciò."
"Dovrà abituarsi a ben altro, amico mio: la natura degli eventi straordinari è celata talvolta allo sguardo degli uomini comuni da una fitta trama di elementi apparentemente riconducibili a cause ordinarie. Essa si rivela solo all'occhio di colui che sappia osservare ciò che giace oltre la superficie, in profondità."
Carmello destinò il proprio letto all'antiquario e attrezzò per sé una branda in soggiorno. Il disordine regnante in casa faceva apparire vano ogni tentativo di porvi rimedio.
"Grimshaw, per qualche giorno potrà restare qui. Nel frattempo penseremo al da farsi. Adesso si prepari a conoscere la mia vicina di casa, la signora Adelita Torrejon. E' una brava donna ma molto curiosa. La presenterò come mio zio. Prima sbrighiamo quest'incombenza, meglio è."
L'incontro fu più breve del previsto, la vicina disse di essere indaffarata in cucina e, sia pur con cortesi, liquidò piuttosto sbrigativamente i due visitatori.
"Strano davvero", disse Carmello, "credevo ci trattenesse chissà per quanto sottoponendola a un terzo grado e invece... Beh, meglio così."
"La signora soffre di una singolare forma di strabismo."
"Già."
"Ed è pure claudicante. Ha forse una malformazione?"
"Non saprei. Zoppica, questo sì."
"Trascina la gamba destra in modo assai evidente e penoso."
"Signor Grimshaw, lei è un attento osservatore. Ed ora che ne direbbe se mangiassimo qualcosa? Una frittata le va?"
Conclusa la magra cena, Carmello si stravaccò sul divano con una birra. L'antiquario sedeva sconsolato, i gomiti appoggiati al tavolo della cucina.
"Dobbiamo tornare al negozio e chiudere la porta. L'abbiamo lasciata aperta, uscendo."
"Sta scherzando spero!"
"Niente affatto: metta il caso che dei ragazzini si introducano in casa."
"E allora? Non è rimasto più niente da rubare!"
"Non è quello che mi preoccupa. Pensi a ciò che potrebbero combinare le abominazioni in cantina."
"Senta, l'ultimo autobus parte dal suo quartiere alle undici, se proprio dobbiamo andare, diamoci una mossa."
Nella luce fioca del crepuscolo la casa dell'antiquario sembrava una belva in attesa di presa.
"Direi che è tutto tranquillo, non le pare?"
"Chiudiamo quella benedetta porta."
Tutto si svolse senza incidenti. L'interno del negozio era immerso nel più assoluto silenzio.
"Bene, direi che possiamo andare."
Alla fermata dell'autobus sostava un uomo di mezza età visibilmente ubriaco. Indossava un cappello dalla foggia insolita, un tricorno, rimediato chissà dove. Non smise un istante di parlare da solo, a voce alta.
Carmello non ci fece neppure caso, avvezzo com'era alla presenza di reietti, prostitute, emarginati, alienati di ogni genere.
"Grimshaw, le lascio una copia della chiave di casa, lei vada pure a dormire se vuole, io passo allo store a comprare qualcosa da bere."
"Preferirei accompagnarla."
"Come crede."
Salirono a bordo dell'autobus, semivuoto. L'ubriaco rimase a terra, col suo cappello e le sue conversazioni solitarie.
"Questa città sta perdendo il lume della ragione."
"Ammesso e non concesso che l'abbia mai posseduto."
"Non si rattristi. Lei è giovane, ha tutta la vita davanti a sé."
"E' proprio questo che mi preoccupa."
Lo store, gestito da un coreano, disponeva di un reparto alcolici assai ben fornito.
"Che ne direbbe, già che ci siamo, di prendere qualcosa da mangiare?"
"In effetti non sarebbe una cattiva idea."
Grimshaw si diresse col carrello verso gli scaffali degli alimentari, lasciando Carmello a contemplare estasiato le bottiglie di birra e liquori.
L'antiquario dichiarò di voler pagare personalmente tutto quanto e Carmello oppose una resistenza puramente simbolica.
Non fecero in tempo a varcare la soglia della palazzina che la signora Torrejon uscì di casa in vestaglia da camera e sguardo spiritato.
"Carmello!"
"Che succede?"
"Una cosa terribile! Venga subito!"
"Il tempo di riporre la spesa e sono da lei."
"Porti anche suo zio."
Carmello imprecò sottovoce.
"Grimshaw, è prioritario mettere in frigorifero la birra."
Posate le borse furono immediatamente in balia della vicina.
"Seguitemi in cucina!"
Nell'attraversare il soggiorno Grimshaw osservò con stupore il soffitto di corallo ma non proferì parola.
La signora Torrejon aprì il rubinetto del lavandino: ne sgorgò un getto di acqua color ruggine che emanava un pesantissimo odore salmastro.
"E' così da almeno un'ora!"
Carmello e l'antiquario riconobbero immediatamente quel lezzo e si scambiarono un'occhiata preoccupata.
"Ho provato ad aprire la porta dello scantinato e ne è uscito un puzzo tale che per poco non svenivo. Potreste dare un'occhiata voi?"
"Domattina provvederemo senz'altro, signora", tagliò corto Carmello, "mio zio è piuttosto stanco per il viaggio. Le auguro la buonanotte."
Un minuto dopo aver varcato la soglia di casa, Carmello stava già tracannando birra a garganella.
"Giovanotto, non è certo bevendo che risolveremo i nostri problemi."
"Se è per quello, non li risolveremo nemmeno da sobri. Quelle cose ci hanno seguito sin qui, vero?"
"Temo proprio di sì."
"E allora mi sa tanto che siamo fottuti."
"Vado a coricarmi un poco. Non sarò suo zio ma stanco lo sono davvero."
Carmello, che soffriva di insonnia, si scolò altre due birre seduto sul divano, rimuginando intorno agli eventi di quel giorno. Alle tre esatte, un suono cupo e distante si levò dallo scantinato della palazzina. Lo si sarebbe potuto descrivere come l'incrocio fra un muggito e la sirena di una nave lontana. Carmello scattò in piedi come una molla.
Il suono si ripeté a distanza di qualche minuto, questa volta con maggiore intensità. La porta della camera da letto si aprì. Grimshaw, che doveva aver vegliato a sua volta, rivolse a Carmello uno sguardo che esprimeva più afflizione che spavento.
Un grido di donna acutissimo, proveniente dall'appartamento vicino, richiamò l'attenzione di entrambi. Vi si diressero senza indugio. La porta era chiusa. Dall'interno provenivano invocazioni disperate d'aiuto.
"Si sposti Grimshaw, provo a sfondare la porta."
Carmello, pur essendo persona mite, possedeva una certa energia: con alcune vigorose spallate fece saltare il chiavistello. Le luci nell'appartamento della signora Torrejon erano spente, eppure la casa era percorsa da uno strano chiarore azzurrino. Le urla provenivano dal salotto. Carmello si arrestò sulla soglia, atterrito da quanto vide oltre.
Era come se la stanza fosse ruotata su sé stessa ed il soffitto e il pavimento si fossero scambiati di posto. La signora Torrejon giaceva al suolo, distesa su un vero banco di coralli fra i quali serpeggiavano creature simili a murene, che, con fulminei assalti, infliggevano alla povera donna morsi crudeli.
Grimshaw si precipitò all'interno, dimostrando un'agilità insospettata e, facendo attenzione a non scivolare sui coralli, afferrò la donna per le ascelle, nel tentativo di trascinarla all'esterno. Carmello, ripresosi, intervenne a sua volta e sollevò la signora Torrejon da terra guadagnando in tutta fretta l'uscita.
Deposta la signora sul divano, corse in bagno a prendere una boccetta di Mercurocromo e delle garze. Le ferite sulle gambe e le braccia della signora Torrejon non erano profonde, ma la donna appariva in forte stato di choc.
"Chiamiamo subito un'ambulanza!" esclamò Grimshaw.
"Provveda lei, io come vede ho da fare."
"Il telefono è fuori uso."
"Come sarebbe a dire a fuori uso?"
"Non funziona! Non ha un cellulare?"
"Sì, è lì vicino al televisore ma temo abbia la batteria scarica."
"Lei, piuttosto, non ne ha uno?"
"Purtroppo no."
"Vada in casa della signora, telefoni da lì."
"Facciamo così: io bado alla signora e lei telefona."
Carmello, non senza qualche sommessa imprecazione, tornò nella casa della messicana. Il telefono era in cucina e, fortunatamente, a questa si poteva accedere dal corridoio senza dover attraversare il soggiorno.
Compose il 911. Dal ricevitore gli giunse quella che tutto pareva fuorché una voce umana. Si sarebbe detto che, dall'altro capo del filo, qualcuno stesse cercando di sturare un lavandino otturato.
"E che cazzo!"
Carmello riagganciò rudemente il telefono. Il corridoio sfavillava di luce azzurra come l'ingresso di una discoteca di Brooklyn.
"Niente, non funziona manco quello!" esclamò una volta rientrato in casa.
Grimshaw seduto accanto alla signora Torrejon il cui deliquio pareva in via di attenuazione, scosse il capo sconsolato.
"Come sta la signora?"
"Meglio direi, si è acquietata, respira senza affanno."
"Esco a chiedere aiuto."
Non fece in tempo a dar corso alla sua intenzione: l'edificio fu scossa da quella che sembrava una scossa sismica.
"Via di qui, subito!". Prese in braccio la signora - che grazie al cielo era minuta - e intimò all'antiquario di seguirlo.
"Non prenda niente, tantomeno quel fottuto libro!"Non si fermò finché non giunse ad alcune decine di metri di distanza dalla palazzina.
"Carmello, la casa!" gridò l'antiquario.
Carmello, sudato fradicio, si volse a guardare. Sulle prime credette di essere vittima di un'allucinazione: l'edificio stava sprofondando nel suolo, come se quest'ultimo si fosse tramutato in fanghiglia. Metro dopo metro, con sconvolgente rapidità, ne fu del tutto inghiottito, sino a scomparire alla vista.
Pietro Ferrari, 2015