OLOCAUSTO CATARO
CHI ERANO I CATARI
- La parola catari viene dal greco e significa "puri"; tale denominazione fu riservata agli eretici dualisti presenti in Linguadoca, Lombardia e Renania nei secoli XII e XIII, per l'importanza da essi attribuita all'ideale ascetico di purezza. Sono pochissimi i testi catari scampati all'opera di distruzione sistematica condotta dalla Chiesa medievale, fra questi: la cosiddetta Bibbia di Lione; l'Interrogatio Iohannis; il Liber de duobus principiis, attribuito a Giovanni di Lugio. Tuttavia, basandosi su tali documenti e sugli scritti degli inquisitori e dei polemisti cattolici coevi (Bernard Gui e la sua Practica Inquisitionis haereticae pravitatis; Alain de Lille, De fide catholica contra haereticos; Raniero Sacconi, Summa de catharis) è possibile tracciare un quadro sufficientemente accurato della fede catara. Essa si caratterizza innanzitutto come una religione dualista, inserita nel solco di un'illustre tradizione di pensiero che, muovendo dal mondo iranico antico, passa attraverso la gnosi e il manicheismo, sino a intersecarsi con il cristianesimo. Secondo la dottrina catara vi sono nell'universo due divinità contrapposte: una, benevola, sovrana del regno invisibile e spirituale, ed un’altra malvagia, cui va imputata la creazione del mondo materiale, fondato sulla violenza e la sopraffazione. Per i catari l'uomo non è stato creato da Dio, ma dal Diavolo. Secondo la dottrina catara una condotta eticamente impura condanna l'anima a reincarnarsi, a migrare da un carcere corporeo all'altro, prolungando così il proprio esilio sulla terra, regno del Male. Accanto a questo asserto si colloca la negazione catara dell'inferno ultraterreno. La condotta morale è considerata il presupposto della liberazione: di qui discendono le severe norme ascetiche del catarismo (fra cui il rifiuto del matrimonio, della procreazione, e dei cibi ricavati dall'uccisione di animali), l'osservanza rigorosa delle quali incombeva però soltanto sui perfetti, la frangia rigorista della chiesa catara. I comuni credenti erano esentati da tali divieti. Rituali come il martirium e l'endura (pratica affine all'eutanasia), enfatizzati a dismisura dai polemisti cattolici interessati a criminalizzare la religione catara, non costituivano pratiche di massa, bensì la scelta estrema dei più coerenti fra i perfetti catari. "Forse in Europa, all'inizio del XIII secolo, non esisteva regione più vivace e brillante della Linguadoca. (...) Ma il meridione rimaneva ancora indipendente dal potere monarchico". Henri Pirenne, Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo, Roma, Newton Compton, 1991.. E' la notte del 16 marzo 1244: le fiamme di un rogo immenso squarciano le tenebre ai piedi della rocca di Montségur, nei Pirenei orientali. Sulla gigantesca pira innalzata dai francesi al comando di Ugo di Arcis, siniscalco di Carcassonne, perdono la vita oltre duecento fra credenti e perfetti catari, ognuno dei quali, costretto a scegliere fra l'abiura della propria fede religiosa e la morte, aveva consapevolmente optato per il martirio. Nove mesi hanno impiegato le truppe assedianti francesi per piegare la resistenza della guarnigione del castello di Montségur, presso il quale tanti esponenti del catarismo occitano si erano rifugiati a partire dal 1232. Il rogo del 16 marzo rappresenta uno degli episodi più drammatici della "guerra atroce e senza pietà" (Pirenne) condotta ai danni degli eretici dualisti nel Sud della Francia, durante la prima metà del XIII secolo, per volontà della Chiesa cattolica. Volontà espressa, in modo inequivocabile, da papa Innocenzo III nella seconda promulgazione di lettere per la crociata contro i "provinciales haereticos". In esse il pontefice assicura la protezione apostolica ai crociati, cui chiede di muovere in armi "ad exterminandum pravitatis haereticae sectatores" (Epist. XI, 11 ottobre 1208). La crociata contro gli eretici della Linguadoca si qualifica sin dall'inizio come una vera e propria guerra di sterminio. Gli eccidi e le atrocità di cui la vediamo costellata non sono incidenti di percorso, ma i sanguinosi effetti della direttiva emanata dalla massima autorità ecclesiastica. Sarebbe tuttavia un errore attribuirne la responsabilità all'intransigenza di un singolo pontefice, sia pure eccezionalmente risoluto. Al contrario, essa costituisce l'organica risposta della Chiesa medievale alla sfida del movimento ereticale che minaccia più seriamente sia il suo primato spirituale e temporale, sia la coesione dell'ecumene cattolico. L'opera intrapresa da Innocenzo III viene proseguita infatti dai suoi successori: Onorio III (1216-1227) e Gregorio IX (1227-1241). La politica ecclesiastica in materia di eresie, nei secoli XII e XIII, appare articolata quanto il fronte ereticale che alla Chiesa si oppone. L'epoca che vede la fioritura delle grandi città, parallelamente all'espansione del traffico mercantile, è attraversata da correnti ereticali forti ed eterogenee: da una parte i movimenti pauperistici (arnaldisti, valdesi), dall'altra l'eresia catara. I primi si richiamano ai valori evangelici e negano alla Tradizione ecclesiastica, distinta dalle Sacre Scritture, il valore di auctoritas. Benché fautori di una vibrante polemica nei confronti della Chiesa, tali movimenti si collocano tuttavia nel solco dottrinale del cristianesimo. Su un altro versante pare situarsi, invece, l'eresia catara, filiazione del pensiero dualistico orientale, in cui ritroviamo influenze pauliciane e bogomile. Nei confronti dei movimenti di riforma pauperistica l'azione della Chiesa è energica, sì, ma non assume - se non eccezionalmente, come nel caso dei seguaci di fra Dolcino - il carattere di una cruenta "soluzione finale". In fin dei conti, se essi contestano l'istituzione ecclesiastica è pur sempre in nome della fedeltà al dettato evangelico, non di una dottrina estranea al cristianesimo. I vertici cattolici, coscienti delle ragioni che alimentano il fermento ereticale (non ultima il lassismo di una parte del clero), adottano nei confronti dei movimenti pauperistici una duplice strategia: da un lato organizzano la repressione vera e propria, dall'altro avviano un'azione più duttile volta ad assorbire propaggini eretiche favorendo la creazione di comunità evangeliche ortodosse (Umiliati, Poveri Cattolici), a pieno titolo inserite nel corpo della Chiesa. Né si deve dimenticare che nei primi decenni del XIII secolo nasce e si sviluppa, raccogliendo ampi consensi, la predicazione di Francesco d'Assisi, imperniata sui temi della paupertas, dell'uguaglianza nella povertà in consonanza coi precetti evangelici, il tutto mantenuto, però, entro i limiti dell'ortodossia. Di tutt'altro genere è l'atteggiamento della Chiesa nei confronti dei catari, percepiti come assolutamente estranei e ostili. Nella prima metà del XII secolo, il monaco Hervé de Bourgdieu segnala la presenza nella regione di Agen di eretici che condannano il matrimonio e si astengono dal mangiare carne "col pretesto che Dio non ha creato la materia, opera del diavolo". Nel 1163, al Concilio di Tours, si discute del pericolo rappresentato dagli eretici dualisti "in partibus Tolosae". A quella data la religione catara è già presente nella diocesi di Albi (da cui il nome di "albigesi" usato per indicare gli eretici), Tolosa, Carcassonne e Béziers. A Saint-Felix de Caraman, nei pressi di Tolosa, si svolge nel 1167 un concilio eretico - cui partecipano vescovi catari di Francia e dell'Italia settentrionale, insieme a un illustre esponente della chiesa catara di Bisanzio - che segna l'affermazione in Europa del radicalismo dualistico di matrice orientale. Il "pericolo cataro" allarma le autorità civili non meno di quelle religiose. Il conte di Tolosa, Raimondo V, denuncia in una lettera del settembre 1177 al Capitolo di Citeaux il diffondersi dell'eresia dualistica nei suoi domini. Mossa inopportuna quant'altre mai, che si rivelerà fatale, come vedremo, per il suo casato, la sua contea e per tutta la Linguadoca. Allertata da queste segnalazioni, la Chiesa di Roma assume le prime contromisure. Nel 1179 papa Alessandro III invia una "crociata di predicazione" nel Mezzogiorno di Francia. Vi prende parte l'abate di Clairvaux, Enrico de Marcy, che nella relazione poi inoltrata al pontefice definisce la città di Tolosa "mater haeresis" e "caput erroris". Constatata la sostanziale inefficacia della crociata pacifica, al Concilio Laterano III il papa dichiara colpiti da anatema gli eretici di Guascogna, di Albi e di Tolosa insieme "con i loro protettori e fiancheggiatori". Fa inoltre appello ai prìncipi, ovvero al braccio secolare, "affinché il timore di un supplizio temporale obblighi gli uomini a servirsi del rimedio spirituale". Negli Atti del Concilio, al Canone 77, leggiamo: "Tutti i fedeli devono opporsi energicamente a questa peste, e prendere anche le armi contro di loro. I beni di questi eretici saranno confiscati e sarà concesso ai prìncipi di ridurli in schiavitù. Chiunque, secondo il consiglio dei vescovi, prenderà le armi contro di loro avrà condonati due anni di penitenza e, esattamente come un crociato, sarà posto sotto la protezione della Chiesa". I grandi signori feudali della Linguadoca temporeggiano, cosa che non deve stupire, visto che la Chiesa cattolica non gode di particolari simpatie in terra occitana, specie presso i nobili desiderosi di mettere le mani sui beni ecclesiastici. Tuttavia, nel 1181, il legato del papa riesce a radunare un certo numero di cavalieri cattolici e a cingere d’assedio la località eretica di Lavaur, che subirà un secondo e ben più tragico assedio nel 1211. Innocenzo III sale al soglio di Pietro nel 1198, e nei primi anni del suo pontificato gioca nel Sud della Francia la carta della predicazione. Dopo l'infruttuosa missione del legato Pietro di Castelnau, monaco cistercense, il compito di ricondurre al cattolicesimo mediante l'esempio e la parola gli eretici occitani viene affidato, nel 1205, a Domenico di Guzman. Questi percorre a piedi scalzi la Linguadoca vivendo di elemosine e ovunque predicando, ma senza successo. Ciò non fa che aumentare l'esasperazione delle gerarchie ecclesiastiche. Ormai non occorre altro che un casus belli per giustificare il ricorso alle armi. A dar fuoco alle polveri è, nel gennaio 1208, l'assassinio di Pietro di Castelnau, legato apostolico in Linguadoca, da parte di un ufficiale del conte di Tolosa. La Chiesa ha buon gioco nell'attribuire a quest'ultimo la responsabilità dell'omicidio. Che Raimondo VI, succeduto al padre nel 1194, potesse nutrire motivi di risentimento nei confronti del legato è cosa più che comprensibile, se si pensa che, sul finire del 1207, Pietro di Castelnau aveva pronunciato contro di lui l'anatema e la scomunica, sobillando per di più i signori di Provenza a ribellarsi alla sua autorità. Ciò a causa della mancata adesione del conte a una lega di baroni costituita per estirpare l'eresia. La morte di Pietro di Castelnau offre a Innocenzo III, da tempo ostile al conte di Tolosa, il pretesto per scatenare la guerra di religione. Il papa si appella al re di Francia, Filippo Augusto, affinché nomini un capo "che conduca in battaglia (...) i campioni della causa santa". Il sovrano autorizza i suoi vassalli a partire per le terre della lingua d'oc, ma non partecipa alla crociata né in prima persona, né attraverso un proprio delegato. I "campioni della causa santa" muovono da Lione nel luglio 1209 agli ordini del legato del papa, Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux. Si aggrega all'armata dei pellegrini-guerrieri lo stesso Raimondo VI, reduce dalla cerimonia di riconciliazione con la Chiesa celebrata a Saint-Gilles nel giugno precedente. La città di Béziers, nella viscontea dei Trencavel, rifiuta di consegnare ai crociati gli eretici i cui nominativi compaiono nell'elenco compilato dal vescovo locale. Posta sotto assedio, la città viene espugnata il 22 luglio con un colpo di mano reso possibile dall'imprudenza dei difensori. Non si sa se, in tale occasione, il legato Amalrico abbia effettivamente pronunciato la celeberrima frase attribuitagli da Cesare di Eisterbach: "Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi". E' certo però che quella che seguì la presa di Béziers fu un'autentica strage, un massacro di proporzioni spaventose. A testimoniarlo è lo stesso Amalrico, che così dichiara nella relazione ufficiale inviata a Innocenzo III nel 1212: "Poiché i nostri non guardarono né a classe sociale, né a sesso né a età, quasi ventimila persone morirono di spada, e fu fatta una grandissima strage di nemici". La notizia dell'eccidio si sparge per tutta la Linguadoca. Gli abitanti di Carcassonne abbandonano la città prima dell'ingresso delle truppe nemiche e il visconte Raimondo Ruggero Trencavel viene fatto prigioniero. Private del loro signore legittimo le contee di Béziers e Carcassonne necessitano di un nuovo dominus. Amalrico attribuisce il titolo al conte di Leicester, Simone di Montfort, vassallo del re di Francia. Ritiratisi i grandi baroni del Nord dopo aver assolto il loro dovere di crociati, è il Montfort a condurre con i propri cavalieri le operazioni militari in Linguadoca. L'obiettivo è duplice - estirpazione dell'eresia, colonizzazione del Mezzogiorno - ma lo strumento è uno solo: la violenza. L'elenco delle atrocità commesse dai crociati è impressionante. A Minerve, nel 1210, vengono arsi vivi 140 catari. Nello stesso anno, la guarnigione del castello di Alayrac viene massacrata; a Bram, oltre cento uomini della guarnigione vengono ferocemente mutilati e lasciati in vita perché servano da esempio. Nel maggio del 1211, a Lavaur, caduta dopo due mesi di assedio nelle mani delle truppe del Montfort, 400 catari muoiono sul rogo, il più grande di tutta la crociata; altri 90 a Cassès. Parallelamente alle stragi si procede alla distruzione sistematica dei raccolti e del bestiame. E' la tattica della terra bruciata. Gli appelli di Innocenzo III per lo sterminio dei provinciales haereticos stanno trovando piena attuazione. Per i francesi, la Linguadoca è terra di conquista. Con gli statuti di Pamiers (1212), il Montfort impone le usanze e le leggi del Nord.Sollecitato dal conte di Tolosa, il cattolicissimo re d'Aragona Pietro II - "campione della cristianità nella lotta contro l'Islam" (Oldenbourg) - interviene nel 1213 in difesa dei suoi diritti di sovrano dei conti di Trencavel, di Foix e di Comminges. Lo scontro fra i cavalieri aragonesi e le truppe crociate avviene nella piana di Muret, presso Tolosa, e si risolve in una disfatta per gli spagnoli. Vi perde la vita anche Pietro II. In questa mattanza fra cristiani prevale alfine la parte gradita al clero. Con la sconfitta di Pietro II la sorte della Linguadoca è segnata. Simone di Montfort si vede assegnare dai prelati riuniti in concilio a Montpellier (1215) la contea di Tolosa sottratta a Raimondo VI, e le altre terre conquistate dai crociati. Il Concilio Laterano IV non fa che ratificare questa decisione. Il re di Francia, dal canto suo, concede solennemente l'investitura al conte di Montfort nel 1216. Il 12 luglio dello stesso anno muore Innocenzo III. La Provenza insorge contro gli occupanti francesi e l'arroganza ecclesiastica: Tolosa è l'epicentro della resistenza. Ma il nuovo papa, Onorio III, è deciso a seguire le orme del suo predecessore. Concessa la sua approvazione all'ordine domenicano (ordo fratrum praedicatorum), milizia religiosa che si rivelerà assai efficiente nell'esercizio della repressione ai danni dell'eresia, egli lancia una nuova crociata contro la Linguadoca. Nel giugno 1218, durante l'assedio di Tolosa, rimane ucciso Simone di Montfort. La guida della crociata passa nelle mani del re di Francia, Luigi VIII, che interviene dietro ripetute sollecitazioni da parte di Onorio III. Il sovrano acconsente ad eseguire la volontà del pontefice, ma a precise condizioni: la corona di Francia mira all'annessione della Linguadoca ed esige un congruo sostegno finanziario da parte della Chiesa. Ancora una volta un esercito scende in campo su mandato della Chiesa e, addirittura, con il suo diretto finanziamento. La crociata di Luigi VIII sancisce la fine dell'indipendenza occitana. Il trattato di Meux, imposto al conte di Tolosa nel 1229, assesta il colpo di grazia alla Linguadoca. Nello stesso anno viene fondata l'università di Tolosa, "su domanda espressa del papa, per lottare contro l'eresia" (Jacques Le Goff, Gli intellettuali nel Medioevo, Milano, Mondadori, 1981). La religione catara, nonostante tutto, sopravvive. La crociata non è bastata a estinguerla. Per ottenere questo risultato occorre mettere in campo una vera e propria "forza speciale". A tale scopo papa Gregorio IX istituisce nel 1231 l'Inquisizione, affidando all'ordine domenicano il compito di esercitare l'inquisitio, ovvero la ricerca degli eretici. I domenicani eseguono con zelo l'incarico loro assegnato, instaurando in Linguadoca un vero e proprio clima di terrore. Le misure repressive adottate contro i catari dai Concilii di Tolosa, Béziers, Arles e Narbonne sono la testimonianza più eloquente dell'accanimento estremo con cui la Chiesa ha condotto la lotta contro l'eresia. Il Terrore domenicano suscita malcontento e resistenze, persino fra gli stessi cattolici: ad Avignonet, nel 1242, alcuni inquisitori vengono assassinati. Il Concilio di Béziers, nel 1243, decide la distruzione della piazzaforte di Montségur, presso cui si sospetta che abbiano trovato rifugio gli autori del delitto. Nessun mezzo viene risparmiato pur di giungere al totale annientamento dell'eresia e dei suoi seguaci. Nel 1246 il re di Francia ordina la costruzione di carceri speciali per gli eretici nelle contee di Carcassonne e Béziers. L'Inquisizione, assommata alla violenza degli eserciti reali, determina la definitiva scomparsa dell'eresia catara. Desta qualche perplessità l'affermazione dello storico Laurent Albaret secondo cui: "Tra il 1324 e il 1325 gli inquisitori Pierre Brun e Jean Duprat non fanno che perseguitare, arrestare e condannare al rogo gli ultimi superstiti di una religione moribonda che si estinguerà da sola, non sotto i colpi dell'Inquisizione". Tesi quantomeno discutibile, ma che non deve stupire: benché siano trascorsi secoli da quegli avvenimenti, il catarismo seguita ad essere oggetto di controversie. Studiosi di chiara fama perdono la loro abituale compostezza e si fanno prendere la mano dal fervore polemico. Perché un fenomeno culturale estinto da così lunga data suscita passioni tanto accese? Si pensi soltanto all'insistenza, oserei dire all'accanimento, con cui Raoul Manselli, autore di un'opera fondamentale sulla "eresia del male", rimarca taluni aspetti del credo cataro. Qualche esempio? "Questo martirium rimane tuttavia un fatto importante, perché ci permette di precisare che, pur trattandosi di un rito relativamente raro, fu tuttavia fenomeno comune a tutto il movimento cataro, esprimendo in una pratica inumana la sua visione del mondo incentrata in un odio preciso alla vita, in quanto esistenza nella corporeità" (p.168). Altrove Manselli parla di "odio cataro alla vita ed alla propagazione dell'esistenza umana", di "crudele" negazione della vita, e, ancora, di "morale crudelmente negatrice di vita". La scelta degli aggettivi e l'iterazione di certe formule appaiono tutt'altro che casuali. Alla fine del XIII secolo, ben poco rimane della religione dualista ("damnanda haeresis") che "infettava" la Provenza. Insieme con essa perisce l'indipendenza occitana: nel 1271, la Linguadoca viene definitivamente annessa alla corona di Francia. Osserva Franco Alessio: "una lingua (il provenzale) e una religione (la manichea) scompaiono, stroncate da una forza militare impetuosa". E aggiunge: "In tutto, si calcola che le crociate abbiano fatto un milione di vittime, catare e no" (Filosofie e società, vol.I, Bologna, Zanichelli, 1976). Ma la caccia all'uomo continua: "tra il 1302 e il 1314, i catari che erano sfuggiti alla repressione in Linguadoca finiscono sui roghi aragonesi" (Albaret). Non meno accanita sarà la persecuzione ai danni degli eretici insediatisi in Italia settentrionale. Non si vede come, alla luce di questi dati, si possa parlare di estinzione del catarismo per cause naturali... Sarebbe come dire che le comunità ebraiche polacche, ucraine e bielorusse, durante la Seconda Guerra Mondiale, si siano estinte "spontaneamente", e non sotto i colpi degli Einsatzgruppen. Resta da capire, infine, perché mai accadimenti di tale portata siano stati ricoperti da una fitta coltre d'oblio, al di fuori dei circoli accademici. La spiegazione più plausibile appare quella indicata da Fernand Niel in un saggio del 1970: per la Chiesa e per la Francia era ed è, tuttora, difficile ammettere che "la loro grandezza ed unità furono ottenute (...) per mezzo di massacri e di roghi". Con grande acutezza, Niel sottolinea come, rispetto al "problema cataro", le agenzie culturali dominanti abbiano adottato, accanto alla "politica del silenzio", una seconda strategia, più subdola ma non meno efficace: essa consiste "nel giustificare la violenza, beninteso velatamente" presentando il catarismo "come una dottrina, non solamente semplicistica, ma pericolosa, immorale e antisociale", contro la quale pertanto, si suggerisce implicitamente, fu doveroso assumere energici provvedimenti. Eppure, nonostante tutto, quei tragici eventi, per quanto lontani nel tempo, continuano a far discutere. Scrisse, all'epoca dei fatti, Guillaume de Tudèle nel suo "La Chanson de la croisade albigeoise", a proposito del secondo assedio di Lavaur (15 marzo-3 maggio 1211): "Un tale massacro, che se ne parlerà fino alla fine del mondo". Non si può negare che sia stato buon profeta.
Pietro Ferrari
Per approfondire:
Albaret, Laurent, L'Inquisizione. Baluardo della fede?, Torino, Electa/Gallimard, 1999.
Brenon, Anne, I catari: storia e destino dei veri credenti, Firenze, Convivio, 1991.
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Hamilton, Bernard, The Albigesian Crusade, London, Historical Association, 1974.
Lambert, Malcolm, I Catari, Casale Monferrato, Ed.Piemme, 2002
La cena segreta. Trattati e rituali catari, a cura di F. Zambon, Milano, Adelphi, 1997
Les Cathares, a cura di J.Roux - A.Brenon, Vic-en-Bigorre, MSM, 2000.
Manselli, Raoul, L'eresia del male, Napoli, Morano, 1963.
Markale, J., Santi o eretici? L’enigma dei Catari. Una storia persa nel tempo finalmente svelata, Milano, Sperling & Kupfer, 1999.
Marquès-Riviere, Jean, Storia delle dottrine esoteriche, Roma, Ed.Mediterranee, 1984.
Medioevo ereticale, a cura di O. Capitani, Bologna, Il Mulino, 1983.
Merlo, Grado Giovanni, Eretici ed eresie medievali, Bologna, Il Mulino, 1993.
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Paolini, Lorenzo, L’eresia catara alla fine del Duecento, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1975.
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Savini, Savino, Il catarismo italiano ed i suoi vescovi nei secoli XIII e XIV: ipotesi sulla cronologia del catarismo in Italia, Firenze, Le Monnier, 1958.
Testi per lo studio della eresia catara /a cura di Raoul Manselli, Torino, S.Gheroni, 1963.
Weis, René, Gli ultimi catari. La repressione di un’eresia: Montaillou, 1290-1329, Milano, Mondadori, 2002 (Le Scie).