LAMENTO DI PORTNOY
Titolo originale: Portnoy's Complaint
Autore: Philip Roth
Anno: 1969
Lingua originale: Inglese
Genere: Romanzo
Sottogenere: Flusso di coscienza, pseudo-autobiografia,
propaganda antisemita
1a edizione italiana: 1970
2a edizione italiana: 1989
3a edizione italiana: 2005
Editori:
Bompiani (1970)
Einaudi (1989, 2005)
Traduttori:
Letizia Ciotti Miller (1970)
Roberto C. Sonaglia (1989, 2005)
Codice ISBN (1989, 2005): 978-88-06-17395-1
Titoli tradotti:
Tedesco: Portnoys Beschwerden
Spagnolo: El mal de Portnoy
Francese: Portnoy et son complexe
Portoghese: Reclamação de Portnoy
Catalano: El trastorn de Portnoy
Russo: Случай Портного
Polacco: Kompleks Portnoya
Ceco: Portnoyův komplex
Croato: Portnoyeva boljka
Rumeno: Complexul lui Portnoy
Olandese: Portnoy's klacht
Svedese: Portnoys besvär
Danese: Portnoys genvordigheder
Finlandese: Portnoyn tauti
Estone: Portnoy tõbi
Ungherese: A Portnoy-kór
Turco: Pornoy'un feryadı
Neogreco: Η νόσος του Πορτνόυ
Neoebraico: מה מעיק על פורטנוי
Persiano: شکایت پورتنوی
Trama:
Alexander Portnoy è un giovane ashkenazita, figlio di una famiglia ultraortodossa che abita in uno squallido sobborgo di New York, Newark. I tratti salienti dei suoi genitori sono più insopportabili delle Piaghe d'Egitto, tanto che avrebbero indotto al suicidio persino Giobbe. L'iracondo padre, duramente provato da una stitichezza incallita e incurabile, fa l'assicuratore, faticando come Sisifo per riscuotere le somme dovute da una massa di mandingo illetterati nelle zone più infime della megalopoli. La madre è una mortifera Erinni vendicatrice, una spaventosa Gorgone, un autentico concentrato di ossessione e di iperprotettività, una vera e propria fabbrica di psicosi esiziali. Solo per fare un esempio, tutti i cibi dei Goyim sono da lei etichettati come chazerai, ossia come "porcherie", al punto che persino l'ingestione di un semplice, banale piatto di patatine fritte da parte del ragazzo assume contorni apocalittici. A sentir lei, ingurgitare anche soltanto un boccone di aragosta può portare alla morte, come se il Signore degli Eserciti avesse da perdere una gran quantità di tempo a identificare i trasgressori delle più assurde regole alimentari della cucina kosher, allo scopo di fulminarli.
Nel suo incessante flusso di coscienza, steso sul lettino dello strizzacervelli, il sofferente protagonista non ci risparmia i dettagli più schifosi, abietti e grotteschi di queste esistenze assurde. Essere esposti a una simile mole di aberrazioni farebbe passare la voglia di sopravvivere a chiunque, persino ai più estremi biofili. Quando era piccolo, la madre gli menava il pistolino per farlo orinare meglio. Divenuto adolescente, la madre assumeva con lui atteggiamenti provocanti - quando non era troppo impegnata a massacrarlo e a instillargli sensi di colpa. Si converrà che queste sono cose che renderebbero insano chiunque. Il povero Portnoy, alla ricerca di un impossibile riscatto, escogitava trovate ridicole, come quella di nobilitare il suo cognome in un improbabile Porte-Noir, ossia "Porta Nera" in un fanta-francese sgrammaticato, sperando così di far colpo sulle belle shikse, le ragazze non ebree, di cui sogna giorno e notte le tette; in realtà le deformazioni del suo cognome che meglio lo descrivono sono Portnose, ossia "Portanaso", per via del suo colossale nasone, e Portnoise, ossia "Portarumore", per via del suo continuo lamentarsi di ogni minima cosa, in un rantolo permanente da moribondo.
Dopo numerose vicissitudini, alla fine Portnoy conosce la sua Nemesi proprio nella terra di Israele, in cui sperava invece di trovare la propria redenzione. Rimorchia una statuaria soldatessa bionda e senza troppe difficoltà la porta a letto. Lei vuole essere spaccata in due e arata, ma il membro virile del protagonista fallisce completamente. Impotenza assoluta. Non si rizza! L'infelice Portnoy cerca allora di circuire una robusta fanciulla lentigginosa dai capelli rossi come il fuoco, che somiglia alla madre come una gemella. La vicenda si conclude in un modo assurdo quanto inverecondo, in una bettola, con Portnoy che supplica la ragazza tanto simile a sua madre da giovane, strisciando a quattro zampe e implorandola di poterle leccare la fica.
Recensione:
Non possono sussistere dubbi in proposito. Lamento di Portnoy è un testo di un antisemitismo violento, viscerale, addirittura streicheriano. Non credo che Philip Roth se ne sia reso conto quando lo ha scritto. Sono ben consapevole del fatto che lo scrittore ashkenazita è considerato un pilastro della cultura ebraica contemporanea. Eppure Alexander Portnoy non è un personaggio qualunque, non è una semplice caricatura, una macchietta innocua: infatti incarna in ogni dettaglio l'Ebreo della propaganda nazionalsocialista, sia a livello fisico che morale e spirituale. Egli ha tutte le caratteristiche dell'Eterno Ebreo (Der ewige Jude). Tutto in lui è studiato a livello micrometrico per suscitare ripugnanza, esecrazione, disprezzo, rabbia e fantasie omicide. Se il presente romanzo venisse diffuso in modo capillare a vasti strati della popolazione, in Germania come in Italia o in qualsiasi altra nazione dell'Occidente, l'antisemitismo più radicale registrerebbe subito un prodigioso incremento. Il patetico Portnose riuscirebbe di sicuro dove nessun movimento neonazista è finora mai riuscito. L'odio così seminato divamperebbe come un incendio furioso in questa Europa degradata e ingovernabile, fino al punto di scatenare spaventosi pogrom. La lettura di Lamento di Portnoy presenta il rischio di compiere una trasformazione profonda nel lettore incauto, accendendo un odio feroce verso gli ebrei e verso tutto ciò che li riguarda. Si può leggere il Mein Kampf di Adolf Hitler come una testimonianza storica dell'epoca in cui fu scritto, con grande distacco, senza alcun coinvolgimento emotivo: si tratta di un'opera in buona sostanza inattuale. Questo atteggiamento asettico è assolutamente impossibile con il pernicioso libro di Roth. Il meccanismo che scatta è molto semplice. Il lettore sarà portato ad attribuire al Popolo Eletto le cause della propria personale rovina e insignificanza, del proprio fallimento esistenziale, come se il Maligno stesso gli sussurrasse nelle orecchie, soffiando su braci ardenti: "Se sei un fallito è colpa degli ebrei! La famiglia è una loro invenzione!" Nessuno si può dire davvero al sicuro, almeno finché non fa appiglio a un dato di fatto innegabile: non è stato il Popolo di Israele a introdurre nel mondo la famiglia oppressiva. Le madri iperprotettive, proprio come i padri autoritari, predatano di gran lunga qualsiasi contatto dell'Occidente con genti del Medio Oriente. A Roma c'era il pater familias con la patria potestas, tra i Germani c'era il mundio - e dovunque regnava soltanto l'oppressione, in ogni casa, fin dai più remoti tempi della Preistoria.
Uomini nuovi per tempi nuovi
Stupisce l'avversione profonda che la fulva ragazza del Kibbutz nutre verso gli ebrei del ghetto. Disprezza la lingua yiddish e tutto ciò che riguarda la Diaspora, dalle battute sul naso grosso al teatro, perché crede che queste cose esprimano una realtà di autodenigrazione e di miseria umana infinita. In netta opposizione al modo di essere del popolo della Diaspora, sembra che le genti dei Kibbutzim rappresentino l'Uomo Nuovo, puro e pieno di idealismo, non toccato dalle abominazioni del mondo. Un Uomo Nuovo che non soltanto è riuscito a riscattarsi dallo stigma della marginalità: in lui si è prodotta una discontinuità essenziale che ha cancellato il passato, lo ha abraso completamente facendolo piombare nell'Oblio: è come se un essere mai concepito prima da mente umana fosse venuto al mondo, senza alcuna relazione con colui che lo ha preceduto, finalmente privo della sudicia invenzione della coscienza. In pratica siamo di fronte a un modello antropologico più simile alla Gioventù Hitleriana che all'humus famigliare degli ashkenaziti di Newark, vegetanti in un microcosmo ristretto e asfittico, separati dal resto del pianeta come se fossero una colonia di alieni. In questo modo Portnose-Portnoise viene guardato con disgusto e quindi addirittura con odio, come se non fosse un essere umano, bensì uno schifoso verme del terriccio, un lombrico. In altre parole, siamo di fronte a un vero e proprio razzismo: gli ebrei antisemiti non sono affatto una rarità - anzi, sono i più virulenti e aggressivi. Gratta un antisemita furioso e nove volte su dieci troverai un ebreo rinnegato che cerca vendetta contro i propri genitori.
Israele e gli ebrei antisemiti
Trattando questi spinosi argomenti, subito viene in mente il film The Believer (Henry Bean, 2001), di cui ho pubblicato a suo tempo una recensione in questo stesso portale. Il protagonista, l'antisemita ebreo Daniel Balint, affermava in un'intervista la natura non ebraica di Israele, nazione per cui nutriva una certa ammirazione, in netto contrasto con il proprio odio inestinguibile verso gli ebrei dispersi tra le genti. Un paradosso soltanto apparente: dopo l'occupazione della Palestina - che Theodor Herzl definiva "una terra senza un popolo per un popolo senza terra" - si sono formati gli Israeliani come Popolo Nuovo, in un senso assai simile a quello attribuito dai Nazionalsocialisti tedeschi al vocabolo Volk. Un'entità nazionale possente e fiera, che quindi si è conquistata il riscatto dall'umiliante destino diasporico. Ecco la conversazione tra Danny Balint e il giornalista biondiccio Guy Dianielsen:
Balint: "Il popolo vero trae il suo genio dalla sua terra. Dal sole, dal mare, dai campi. È così che impara a conoscere bene se stesso. Ma gli ebrei no, gli ebrei non hanno terra."
Danielsen: "Hanno Israele."
Balint: "Ah... non sono ebrei."
Danielsen: "Certo che lo sono."
Balint: "Osserva bene gli Israeliani. La loro è una società secolarizzata. Non gli serve più l'Ebraismo perché hanno la terra, mentre il vero ebreo è un girovago, è un nomade, non ha radici, non ha nessun legame, perciò universalizza ogni cosa. Non sa piantare un chiodo né arare un campo. L'unica cosa che sa fare è comprare, vendere, investire capitali, manipolare i mercati. Capisci, cose tutte mentali. Lui prende la vita di un popolo, radicato nella terra, e la trasforma in questa cultura cosmopolita, basata sui libri, sui numeri, le idee, capisci, è questa la sua forza. Tu prendi le più grandi menti ebree: Marx, Freud, Einstein. Cosa ci hanno dato? Il comunismo, la sessualità infantile e la bomba atomica. Esattamente in tre secoli, il tempo che hanno impiegato per venire fuori dai ghetti d'Europa, ci hanno strappati da un mondo di ordine e ragione per scaraventarci in un caos fatto di lotta di classe, istinti irrazionali, relatività... dentro un mondo in cui anche l'esistenza stessa della materia è messa in discussione. Perché? Perché l'impulso pù profondo dell'anima ebraica è di tirare il tessuto della vita finché non rimane altro che un filo. Non vogliono nient'altro che il Nulla. Il Nulla senza fine*.
*Traduzione di Ain Sof. Non ci si aspetterebbe una simile conoscenza da un goy. :)
Genesi di un antisemita
Harold Portnoy, cugino del protagonista, incorre in un destino beffardo. Atleta poderoso, si innamora di una bellissima shikse polacca, Alice, che fa la majorette e incanta tutti con i suoi numeri. Ovviamente il padre di Harold prova grande stizza per questa relazione e la avversa, così decide di procedere con la massima viltà. Contatta Alice e confidandole che il fidanzato è affetto da una terribile malattia genetica che non gli permette di avere figli. Non contento, il vecchio Moshe Süss corrompe la giovane polacca offrendole dei soldi perché lasci in pace il ragazzo. Detto fatto, la majorette sparisce dalla vita di Harold che, disperato, se la prende col padre, devastandogli la cantina, dove sono stoccate moltissime bottiglie di gazzosa. Distrutta con la mazza da baseball tutta la merce dell'odioso genitore, il giovane atleta cade nella disperazione, ma a quel punto viene tolto di scena dal malevolo Roth con uno stratagemma ingegnoso e demiurgico: chiamato in guerra, l'innamorato deluso finisce col morire in una lontana battaglia. Immaginiamo cosa sarebbe invece successo se non fosse morto. Ve lo dico io: Harold Portnoy sarebbe diventato un antisemita! Sarebbe ricomparso in un'altra parte dell'America, con l'identità cambiata, cosa non così difficile in quel grande Paese. Avrebbe avuto un nuovo nome e avrebbe iniziato la sua carriera nei movimenti neonazisti. All'apice di questa sua nuova esistenza, si sarebbe guadagnato il grado di Gran Dragone del Ku Klux Klan. Animato da un ferocissimo e inetinguibile odio antisemita, avrebbe istigato al pogrom! Il suo sogno sarebbe stato uno solo: uccidere il padre e tutti i suoi famigliari! Pensate che io stia farneticando? Bene, informatevi sulla storia di Daniel "Dan" Burros, l'ebreo rinnegato divenuto esponente del KKK!
Una storiella morbosa
Alexander Portnoy seduce una Figlia della Rivoluzione Americana. Lei è una timida bionda di ascendenza puritana, che però ama moltissimo il sesso. Lui la penetra con ardore e le lecca la fica, ma si aspetta che le sue attenzioni vengano ricambiate. Si aspetta i pompini. A lei non piace praticare il sesso orale a un uomo, le fa schifo. Non vuole prendere in bocca quell'uccello che pure le ha elargito così tanto godimento. Alla fine l'ashkenazita la riesce a convincere, plagiandola, e lei storcendo il naso china la sua bocca sul glande dell'amante, che immagina sarà il suo futuro marito e padre dei suoi figli. Sempre in preda al disgusto, si accinge a succhiarlo, ma non ci riesce bene: lo fa a denti alti, usando le labbra in modo tale da evitare per quanto possibile il contatto tra la lingua e il glande. Alle fine lui le scarica nel cavo orale getti di fluido seminale dal sapore di merluzzo, cosa che le induce i conati di vomito. Fatto sta che proprio a causa della penosa performance, la coppia si separa. Che atrocità mostruose! Per ogni fibra di piacere che un qualsiasi contatto sessuale può dare, ce ne sono novantanove di afflizione! E non sarebbe meglio se l'intero genere umano abbandonasse una volta per tutte questi squallidi esercizi?
Il mito dei pompini!
Portnoy freudianamente è affetto da “disturbo in cui potenti impulsi etici e altruistici sono in perenne contrasto con una violenta tensione sessuale, spesso di natura perversa. Atti di esibizionismo, voyeurismo, feticismo, autoerotismo e coito orale sono assai frequenti; come conseguenza della “moralità” del paziente, tuttavia, né le fantasie né le azioni si traducono in autentica gratificazione sessuale, ma piuttosto in un soverchiante senso di colpa unito a timore di espiazione, soprattutto nella fantasmatica della castrazione. Gran parte dei sintomi si presume vadano ricercati nei legami formatisi nel rapporto madre – figlio.” Come spesso accade, è proprio Daniel "Danny" Balint a venirci in aiuto per capire meglio il problema che tormenta Portnoy. Ecco come spiega all'occhialuto quanto astuto Danielsen il suo strano punto di vista sul nesso tra ebraismo e sesso orale, testimonianza di echi spettrali in insondabili caverne della mente:
Danielsen: "Danny, che mi dici degli ebrei?"
Balint: "Gli ebrei, l'ebraismo, sono una malattia."
Danielsen: "In che senso l'ebraismo è una malattia?"
Balint: "Prendi la sessualità."
Danielsen: "La sessualità?"
Balint: "Sì, sì."
Danielsen: "Che vuoi dire?"
Balint: "Ti sei scopato un'ebrea?"
Danielsen: "Cosa?!"
Balint: "Te la sei scopata?"
Danilsen (imbarazzatissimo): "Ah sì, insomma, voglio dire... sono stato con una ragazza ebrea."
Balint: "L'hai fatto. E che cosa hai notato?"
Danielsen: "Di che parli?"
Balint: "Le ragazze ebree adorano fare pompini."
Danielsen (quasi collassato): "---"
Balint: "Vero?"
Danielsen: "Sì, certo, non lo so, è così."
Balint: "E gli uomini ebrei ne vanno pazzi."
Danielsen: "A me sembra che piaccia a tutti..."
Balint: "Certo, è molto piacevole. Ma per gli ebrei è un'ossessione, e vuoi sapere perché?"
Danielsen: "Sì, perché?"
Balint: "Perché l'ebreo dentro è femmina."
Danielsen (pietrificato dall'orrore): "È femmina..."
Balint: "Gli uomini veri, i bianchi, i cristiani, beh, noi ci scopiamo una donna, la facciamo godere con il nostro cazzo! Ma un ebreo invece non penetra, non spinge, non riesce a imporsi in questo modo, perciò fa ricorso a queste perversioni. Il sesso orale è tecnicamente una perversione, questo lo sapevi, no?"
Danelsen (quasi incapace di parlare): "Sì..."
Balint: "Perciò una donna che è stata con un ebreo... è rovinata, non vorrà più stare insieme con un uomo normale."
Danielsen (nuovamente ringalluzzito): "Quindi l'ebreo è un amante migliore..."
Balint: "Non è migliore, non ho detto questo. Ho detto che dà piacere. In realtà è debolezza."
Danielsen: "Ok, il problema non è che gli ebrei controllano i media, o che sono proprietari delle banche, ma che sono sessualmente corrotti..."
Balint: "Senti, lo so, è chiaro che gli ebrei controllano i media e le banche - le banche d'investimento, non quelle commerciali - ma il punto è che operano in quegli ambiti secondo gli stessi principi che esprimono nella sessualità. Minano il modo di vita tradizionale, sradicano tutta la società. La sradicano, le strappano le radici."
Un bel calderone di pus, non trovate? Ebbene, il cervello di Portnoy non è meno torbido.
Colpa, impurità, espiazione, razzismo
A quanto Roth ci descrive nel suo aberrante romanzo, esiste tra i Figli Americani di Ashkenaz una singolare costumanza, che i lettori italiani potranno capire solo con difficoltà estrema. A tutte le manie sulla purezza del cibo, sulle regole minuziose quanto esasperanti della kasherut, esiste un rimedio, una specie di valvola di sfogo. Così se si fa molta attenzione e si usa tutta la propria capacità di indagine, si possono cogliere in fallo rispettabili matrone della comunità ebraica di Newark, intente a recarsi a cena in ristoranti cinesi per ingozzarsi di carne di porco! Se Harold Portnoy - prima di entrare tra gli Incappucciati - era un fanatico della cucina kosher ("Noi prosciutto non mangiam!", esclamava a ogni piè sospinto), la madre del cugino Alexander, pur altrettanto fanatica, si concede esplorazioni approfondite delle bettole cinesi. Solo i crostacei restano un tabù, per via di una sua brutta esperienza di shock anafilattico, che le era capitata in gioventù. L'atteggiamento della signora Pornoy nei confronti dei cuochi orientali è descrivibile con una sola parola: razzismo. Il concetto portante è più o meno esprimibile con queste parole: "I camerieri cinesi non sono esseri umani. Sono una sottospecie di scimmie, quindi non ci dobbiamo curare di loro e di ciò che pensano di noi. Sono persino meno dei Goyim, non valgono neppure quanto i loro escrementi, già tanto vili." Del resto un trattamento non migliore è riservato alla domestica afroamericana, considerata una specie di lebbrosa. Se devo essere franco, trovo moralmente ripugnante una simile doppiezza. Anche ai nostri giorni possiamo fare esperienza di atteggiamenti non troppo dissimili: i Goyim hanno il dovere di accogliere l'umanità intera, anche se in Israele non entra uno spillo. Bella coerenza. Posso dire che tutto ciò mi lascia perplesso?
Razzismo anti-italiano
La specialità di Roth consiste nell'inscenare teatrini della vergogna. Schifosi, indigeribili, tanto che neanche un porco di Gerasa si ciberebbe di simile vomito. Questo scempio non risparmia nemmeno noi Italiani. Alexander Portnoy fu iniziato al sesso da una diciottenne, certa "Bubbles" Girardi, figlia di un italiano che faceva l'autista per il Sindacato. Il fratello, un energumeno impegnato nella boxe, non badava troppo ai costumi dissoluti dell'esuberante sorella, visto anche che le permettevano di portare a casa qualche spicciolo. Ora, il detestabile Portnoy aveva un amico sommamente venereo, Arnold "Ba-ba-lu" Mandel, che assieme ad altri figuri - tra cui uno Smolka pieno di gonorrea - lo aveva condotto dalla "Bubbles" affinché lo svezzasse. Episodi di questo genere dovevano essere comunissimi negli States. Così leggiamo le gesta di questo gruppo di giovani ashkenaziti libidinosi. Si trovano a casa della ragazza italiana, ma la cosa va per le lunghe. Riuscito finalmente ad essere accolto dalla prosperosa "Bubbles", Portnose ha difficoltà estreme con l'erezione, di solito tanto pronta. Lei lo masturba pesantemente, gli strizza i genitali e la cosa non aiuta. Dopo penosissimi minuti di manipolazioni incessanti, il povero ragazzo ha un'eiaculazione improvvisa, con getti impetuosi di sburra che imbrattano il divano, i muri, persino il soffitto. Un bolo gli finisce in un occhio, causandogli grande bruciore e folli paranoie. La manipolatrice di genitali si adira per tutto quello sporco spermatico, che dovrà giustificare al suo babbo mafioso. "Brutto giudìo figlio d'una mignotta!", urla a squarciagola. Si assiste alla fuga precipitosa di Portnose, che si caga addosso temendo una vendetta e già si vede con l'addome bucato da uno stiletto (oltre che col fallo corrotto caduto per la sifilide e con gli occhi resi ciechi dalla sburra). Il giorno dopo, ecco che Arnold "Ba-ba-lu" Mandel lo trova per strada, gli dà dello Schmunk e gli dice serafico che sarebbe dovuto restare: dopo pochi minuti dalla vigliacca fuga, lui era già con la spada sfoderata, con l'italiana che se ne stava "accovacciata sulle fottute ginocchia terrone e gli leccava l'uccello". L'epiteto "terrone" è ancora un eufemismo che rende in qualche modo l'originale dago, termine slang americano il cui significato letterale è "sicario": è una semplice alterazione di dagger "pugnale". Per quanto riguarda all'aggettivo "fottute", in altre traduzioni al suo posto compare un più esplicito "di merda", mentre al posto di "gli leccava l'uccello" troviamo un più volgare "gli succhiava il cazzo". Tutto molto edificante, vero?
Etimologia di shikse
La lingua yiddish è eminentemente germanica, ma è caratterizzata al contempo da una massiccia presenza lessicale di vocaboli di origine ebraica - oltre che di moltissime voci di origine sconosciuta. Tra le parole ebraiche in yiddish possiamo includere senz'altro shikse (שיקסע), vocabolo cruciale per il monomaniaco sessuale Alexander Portnoy. All'inizio si trattava di un epiteto fortemente abusivo, col significato centrale di "cosa abominevole", "detestabile"; il corrispondente maschile è shegetz (שייגעץ, in scrittura ebraica vocalizzata שֵׁיְגֶּץ; plurale shkotzim o shgatzim שקאצים). Cosa abominevole? Detestabile? Oh bella, non lo si sarebbe mai detto, data l'adorazione dimostrata dal giovane Portnoy per queste creature sensuali! Dal disprezzo iniziale, la parola iniziò ad assumere significati di satira e d'irrisione, per poi passare ad esprimere l'oggetto principe del più cocente desiderio carnale. La shikse era infatti l'idolo di quei Figli Americani di Ashkenaz, gangster animati dalle più lubriche pulsioni, malfattori che il Signore Geova pensò bene di risparmiare da ogni afflizione mentre si divertiva ad infierire sui devoti adoratori che abitavano negli shtetlekh della Polonia, destinati ad essere annichiliti dagli Einsatzgruppen!
La vera etimologia del cognome Portnoy
Ebbene, il cognome Portnoy ha origini russe. Il termine russo портной significa "sarto" ed è connesso con портки "pantaloni". La radice è l'antico slavo orientale пъртъ (pŭrtŭ) "pezzo di stoffa". Nonostante l'aspetto fonetico assai simile, questo termine non ha nulla a che vedere con порт "porto", voce originata in ultima analisi dal latino portus, che ritroviamo nell'italiano porto e nell'inglese port, per via di una complessa catena di prestiti culturali. Non si può quindi sostenere che портки significasse in origine "(abiti) marinareschi" e che in ultima analisi esista un nesso etimologico proprio con порт "porto". Il cognome yiddish che traduce Portnoy è Nadelman, con la variante Nudelman ("sarto", alla lettera "uomo dell'ago"). E pensare che ero tentato di ritenere Portnoy un anagramma satirico di *Porntoy, ossia "Giocattolo Porno"!
La perversione di Portnoy!
Il giovane Portnoy aveva elaborato una crudele vendetta contro sua madre e suo padre: si masturbava in modo veemente usando una bistecca per sfregare l'asta turgida, ricoprendo la carne di fiotti spermatici. La faceva così "marinare", dopodiché la madre ignara la cucinava e se la mangiava assieme al marito. Sì, i genitori ingoiavano entrambi la sburra del figlio, la digerivano e trasformavano gli spermatozoi in sterco! Al confronto di Alexander Portnoy le genti di Sodoma e Gomorra erano una compagnia di anime belle! Queste trovate raccapriccianti hanno dato persino origine a un termine gergale:
The Portnoy
Having sexual intercourse with and ejaculating into any raw cut of meat (e.g. liver, porterhouse steak, pork roast), and then preparing and serving said meat (colloq. 'marinated') as a meal for one's immediate family or close friends.
(Origin: Portnoy's Complaint, by Philip Roth)
I was horrified when Andrew told me he'd done the Portnoy on the steak tartare I'd just enjoyed so heartily.
Se il genere umano durerà abbastanza a lungo, i dettagli etimologici andranno perduto e l'evoluzione fonetica porterà i parlanti a pensare che questo vocabolo sia derivato da porn!
Stereotipi
Roth ha contribuito in modo importante quanto colpevole a rinfocolare stereotipi nocivi sugli Israeliti, caratterizzati come gobbi distorti e rachitici con un nasone così sviluppato da richiedere un porto d'armi, ovviamente tutti con capelli neri come la pece e con la pelle olivastra, magari anche avvolti in un sudicio caftano. Tutti pronti ad avventarsi su ogni shikse sexy proprio perché bionda e con gli occhi cerulei! Certo, certo, sono tutti gobbi, rachitici, malformati, nasoni e scuri... come Kirk Douglas, Paul Newman e Bar Refaeli! Capite cosa intendo? Non si vedeva nulla di simile dai tempi di Jud Süss!
Un grottesco teatrino social
Nel marasma di Facebook mi accadde un fatto strano. Quando feci notare il ruolo di prim'ordine di Mark Zuckerberg nella diffusione capillare dell'antisemitismo a livello globale, fui aggredito da due navigatori, l'idealista G. e l'ostile S., che mi ritenevano in buona sostanza un coglione privo di cultura politica. Perché, vedete, nei loro modi di pensare abbastanza asfittici e figli del sistema scolastico, non è possibile che qualcuno accusi di antisemitismo un appartenente al Popolo Eletto come Montagna di Zucchero. Semmai mi viene da dubitare un po' dell'acume di G., borghese ma apostolo del neocomunismo (patrimoniale sui soldi altrui, sodomia col buco del culo altrui, travaso del Terzo e del Quarto Mondo in Italia, etc.), che nemmeno ha mai capito che S. è... un fascista! Proprio lui, che ostenta tanto fideismo nell'ideologia futurologica delle macchine pensanti, coscienti per via della loro potenza di calcolo, non sembra capire che un algoritmo dell'Intelligenza Artificiale, dopo aver macinato il romanzo di Roth senza altri elementi, restituirebbe questo sorprendente responso sull'identità più intima dell'autore: "SUPREMATISTA BIANCO".
Correlazione o causazione?
Ogni volta che in America avviene un attentato contro una sinagoga, ogni volta che qualcuno spara a un fedele con la kippah, mi sorge un dubbio fortissimo. Esiste la possibilità concreta che nella casa dell'attentatore sia trovata una copia di Lamento di Portnoy. "Aveva letto il romanzo di Roth", mi viene da pensare ogni volta. Sarebbe interessante fare studi di correlazione. Il problema è che gli investigatori e i criminologi non si aspettano di certo una cosa simile, quindi non fanno ricerche appropriate. Continuano a cercare il Mein Kampf, macinando a vuoto. Come se i nomi di Schlageter e di Lueger significassero qualcosa nel XXI secolo, in una terra che nutre verso la Germania un odio informe per via di qualche vaga reminiscenza scolastica sui mercenari Assiani assoldati dai Britannici all'epoca di Giorgio Washington!
Gli insulsi giudizi dei media
Abbiamo appurato che il romanzo di Roth ha fatto all'intero mondo ebraico danni ingentissimi, quali non si vedevano dai tempi di Julius Streicher. Una ponderosa raccolta di numeri della rivista Der Stürmer faticherebbe ad eguagliare la mole di veleno contenuta in Lamento di Portnoy, e questo è un dato di fatto. Eppure i diretti interessati amano Roth e i mass media ne dicono mirabilia! Ecco alcuni capolavori eulogistici (non li linko per pigrizia, lascio al lettore l'onere di reperirli nella discarica del Web):
Philip Roth ha raccontato così bene Philip Roth che ci ha fatti diventare tutti Philip Roth.
(Corriere della Sera, 31 maggio 2018)
I 5 libri di Philip Roth che chiunque dovrebbe leggere.
(Panorama, 23 maggio 2018)
10 cose di Philip Roth che valgono più del Nobel.
(Vanity Fair, 23 maggio 2018)
Gli anticorpi liberali che ci difendono contro la censura.
(Correre della Sera, 26 gennaio 2015)
Non sono più riuscito a trovare, nonostante i miei sforzi, un incredibile titolo comparso come risultato di una ricerca, qualcosa che suonava così:
Philip Roth fa bene al popolo ebraico.
Certo, certo, fa proprio bene. Se qualcuno scrivesse che la retorica di Goebbels fa bene al popolo ebraico, sarebbe ritenuto subito un folle. Per contro, se qualcuno scrive che Philip Roth fa bene al popolo ebraico, i radical chic subito applaudono. L'intero mondo della cultura applaude. Che ironia! L'opera di Roth come cura all'antisemitismo? Un inclito autore di Science Fiction descrisse in un suo romanzo un popolo primitivo che aveva un ben singolare costume: l'applicazione di sterco di capra sulla pelle nel tentativo di curare la scabbia. Ecco, qui siamo di fronte a qualcosa di molto simile. Comune è la folle, delirante idea di contrastare qualcosa proprio con ciò che ne è la causa! La verità è che Roth è osannato dalla sua stessa gente proprio perché è colpita da cecità e da gravissima incoerenza. Lo innalzano su un altare, nonostante abbia commesso quello che in Israele è considerato il crimine più grave: dare ad Adolf Hitler una vittoria postuma.
Una soluzione semplice
Cosa avrebbe dovuto fare il Popolo di Israele, se avesse compreso il pericolo? Per essere franchi, avrebbe dovuto prendersi una pausa dalle sue geremiadi per abbattere Philip Roth servendosi del Mossad. Ormai è troppo tardi: l'autore è spirato e il malefico Portnoy continua a scavare come un fiume carsico.