martedì 8 luglio 2014


DE REDITU - IL RITORNO
(Anno di uscita 2003) 

Genere: Drammatico
Durata: 100 - Origine: Italia


Inizio del V sec. d.C., crisi e decadenza dell'Impero. Cinque anni dopo il sacco di Roma ad opera dei Goti di Alarico, avvenuta nel 410 d.C., Claudio Rutilio Namaziano, un patrizio pagano che era stato Praefectus Urbis, decide di tornare nella natìa Tolosa, in Gallia, per verificare le condizioni della sua patria e dei suoi possedimenti dopo il passaggio dei Barbari. Rutilio decide di partire per mare, poiché la via consolare è divenuta impraticabile a causa delle devastazioni subite... 

CAST

Regia: Claudio Bondì 
Attori: Elia Schilton (Claudio Rutilio Namaziano), Rodolfo Corsato
(Minervio), Romuald Andrzej Klos (Socrate), Marco Beretta (Rufio), Caterina De Regibus (Sabina)

Soggetto: Claudius Rutilius Namatianus
Sceneggiatura: Alessandro Ricci, Claudio Bondi'
Fotografia: Marco Onorato
Distribuito da: Orango Film Distribuzione (2004)
Prodotto da: Alessandro Verdecchi per Misami Film


Note  
- Film riconosciuto di interesse culturale.


RECENSIONE 1

Io sono l’impudicizia

Così afferma la sacerdotessa di Elias, il Sole, che definitivamente cala sull’Impero Romano. Essa, questo film è l’impudicizia: immortalando un’epoca – anzi: l’Epoca - ne sviscera le indicibili vergogne, disegnando la fine della stessa. Altro che crollo: DE REDITU (un altro ritorno, ben altra cosa dall’omonimo veneziano) gironzola per le macerie, in punta di piedi per non calpestare frammenti di frammenti di statue, della Storia e del mondo. Ispirato dall’unica opera lasciata dal filosofo Namaziano, la pellicola è un diario di viaggio all’insegna della sottrazione, che si/ci diverte a spezzettare tabù: i gladiatori sono il contrario di Russel Crowe, ragazzini gracilini che si scannano in una fossa (incontri clandestini, in quanto all’epoca erano vietati) per il rivoltante vocio degli spalti – allora: chi sono i veri barbari? Il ritorno via mare di un sovversivo, (pazza?) figura solitaria che vuole rivoltare un declino ormai compiuto ed assimilato: un pagano inascoltato dagli amici e dagli dei, costretto a divincolarsi in una costellazione senza più credenza alcuna (il vecchio Protadio che dice: “mia moglie è cristiana, forse rinascerà”). Egli intraprende un happening decadente ed antiomerico (nonostante il mare…), dove incontrerà soldati sconfitti nell’animo, poveri diavoli come rematori (un ebreo armato dalla sua fede: ma pare un invasato), donne pronte a scoparselo, le truppe pretoriane che lo inseguono. Il film tesse il tranello di una dialettica soltanto immaginaria: il dissidio crollo-salvezza non esiste mai, neanche per un istante, già essendo emessa in partenza la condanna a morte. Ciò che conta è quindi raccontare un riverbero ammattito di esistenza umana, affannata nello spacciare virtù che non possiede (Namaziano cade nella corruzione della carne, se lo rimprovera, vi cade ancora) e millantare uno scopo anch’esso dubbio (ancora rivelatore Protadio: “Quando hai perso la tua donna hai intrapreso questa impresa disperata”). Al suo quarto lungometraggio Claudio Bondì, anche regista televisivo, confeziona un italiano moderno classicheggiante e misurato, relegando a Mel Gibson il sogno di girare in latino: egli conosce l’avvolgimento naturale come unica scenografia, uccidendo per scelta e per budget ogni ricostruzione di sorta (girato prevalentemente in Calabria, ma anche nella provincia laziale). Ne esce fuori un gioco di luci e colori (raggi solari increspati sulla vela dell’imbarcazione) ordinariamente filmato con spruzzate di handycam, che si ingabbia nella prima parte in una prigione dialoghistica da piccolo schermo, sfoderando qua e là qualche stereotipo del genere (il naufragio). Queste ed altre sparute macchioline galleggiano nel film (come la prova di Elia Schilton: perplesso/addolorato, ma alla lunga un po’ uguale a sé stesso), il quale mostra la sua criniera quando entra in scena il solito, immenso Roberto Herlitzka nelle vesti di Protadio (dopo Aldo Moro, un altro cadavere politico): il guizzo d’orgoglio nella desolazione, la sofferente consapevolezza della vecchiaia (i Romani) di fronte all’avanzare del nuovo (i Barbari). Egli distingue nitidamente le macerie ma per (im)pudicizia le nasconde: sotto un telo bianco c’è semplicemente il suo corpo che si suicida (anche le ceneri vanno nell’acqua), mentre il filosofo ed il film tutto sono imbrigliati a metà viaggio, dissolvendosi bruscamente, per regalare alla tetra fantasia un’esecuzione lasciata in omissis. DE REDITU esce nelle sale (si fa per dire, neanche dieci in tutta Italia) appesantito da una distribuzione sparuta e difficile, in picchiata verso un gustosissimo flop; in pochi vedranno questo ammirevole italiano che suona la cetra mentre Roma brucia, ma Protadio spiegherebbe anche questo: “Tutto secondo logica, senza pietà”.

Emanuele Di Nicola

RECENSIONE 2

Il saccheggio di Roma ad opera dei Visigoti di Alarico, avvenuto nel 410 d. C., secondo alcuni storici, ha provocato nella società romana un disorientamento paragonabile a quello prodotto dall'abbattimento delle Torri Gemelle. Cinque o sei anni dopo, Claudio Rutilio Namaziano, un patrizio pagano che era stato prefetto della città (carica equivalente a quella odierna di sindaco), decide di tornare nella Gallia Narbonese, sua terra d'origine, per verificare i danni delle scorrerie barbariche nei suoi possedimenti.
Siccome la via Aurelia è impraticabile a causa delle devastazioni e
insicura per la presenza di bande di briganti, Rutilio decide di partire per mare, tra autunno e inverno, nel periodo del cosiddetto mare clausum. A piccole tappe, e navigando di cabotaggio, risale lungo un'Italia che attraversa un difficile periodo di transizione, tra rovine, città abbandonate e nuovi stili di vita imposti dalle circostanze politiche (l'economia curtense) e religiose (il monachesimo), sostando presso amici o in locande, talvolta costretto a soste prolungate dal maltempo. Rutilio descrisse la cronaca di quel viaggio in una sorta di diario in versi che fu rinvenuto, incompleto, nel 1400 e chiamato De Reditu: Il Ritorno. Oggi è diventato un film che s'ispira liberamente a quel poemetto per assumere l'aspetto, più che del resoconto nostalgico di un viaggio di addio a un mondo felice, di una fuga dalle persecuzioni di un aristocratico incapace di accettare un mondo in piena trasformazione, un uomo in conflitto con la vitalità e l'arroganza di un potere che si fregia dei simboli della cristianità.
Infatti, lo sceneggiatore Alessandro Ricci e il regista Claudio Bondì,
documentarista già assistente di Rossellini, trascurano la parte più bella e poetica dell'opera, quella comunemente conosciuta come l'Inno a Roma, per privilegiare la dimensione epocale della vicenda, disegnando sì la nutrita galleria di persone, luoghi e ricordi mitologici, ma allo stesso tempo puntando maggiormente su temi come l'intolleranza religiosa e la paura della diversità, la confusione dei linguaggi e la difficoltà della comunicazione da essa generata. Il V secolo rappresenta per l'impero romano l'apice di quella parabola discendente che doveva portarlo alla dissoluzione: questo interessa al regista, il quale affida all'emblematica figura di Protadio (l'intenso Herlitzka), una specie di landlord alla Cincinnato, il compito d'interpretare il crollo delle illusioni. Albino, invece, il generoso ospite di Vada Volterrana, cerca di frenare l'impulso di Rutilio a combattere per "l'utopia di Roma", invitandolo, più realisticamente, all'attesa degli eventi, alla sicurezza di un'agricoltura chiusa e protetta da una milizia privata, preludio vero e proprio alla realtà socio-economica alto medievale.
Non scarseggiano in De Reditu le concessioni allo spettacolo tipiche del
peplum, come la scena del suicidio di Protadio, il combattimento dei gladiatori, praticato in clandestinità, o la sequenza finale dei cavalieri sulla spiaggia; né mancano le sentenze da scolpire sulla pietra, come quella suggestiva, ma anticristiana: "Un solo Dio per la ragione, molti dei per l'immaginazione", alla quale preferiamo di certo i versi di Namaziano (Libro I, vv. 63-67), omaggio a Roma e al valore universale della tolleranza:"Hai fatto di genti diverse una sola patria / la tua conquista ha giovato a chi viveva senza leggi: / offrendo ai vinti l'unione nel tuo diritto / hai reso l'orbe diviso unica Urbe."

Claudio Lugi  

Segnalo l'interessante post dedicato a De Reditu su Lankelot:


Aggiungo a questo punto alcune mie considerazioni:   

Quando ho cominciato ad interessarmi a questo film, nel 2004, non era affatto facile poterlo visionare, come se fosse scomparso in un buco nero. "Un caso di censura silenziosa, ma non per questo meno infame", così avevo scritto in più di un'occasione nella blogosfera di Splinder. La causa di tutto ciò era ovviamente la suscettibilità del Papato, in un'epoca in cui fervevano le polemiche sulle cosiddette radici cristiane dell'Europa. Era in corso una specie di guerra di religione: la Chiesa Romana cercava in tutti i modi di affermare il suo dominio sulle nazioni dell'Europa, operando con ogni mezzo per cancellare ogni traccia del mondo antico. Al Papato premeva infatti di rimuovere in modo chirurgico ogni testimonianza della violenza da cui la sua istituzione è nata e delle atrocità di cui si è macchiata nel corso dei secoli. Per merito degli amici Zoon e Nodens, che intendo in questa sede ringraziare di cuore, è stato alla fine posto in qualche modo rimedio all'oblio che aveva fagocitato l'opera di Claudio Bondì. Su Facebook esiste inoltre un gruppo dedicato al film De Reditu, anche se purtroppo non risulta più essere attivo. 

1 commento:

Antares666 ha detto...

Carissimo Massimo, grazie di cuore del tuo notevole intervento! Buona giornata :)