giovedì 21 aprile 2016

LA SCOMPARSA DELLE LINGUE DELLA PATAGONIA: I PRESTITI INGLESI IN YAMANA

Il processo di assimilazione linguistica

Vista in generale, la scomparsa delle lingue patagoniche fu una conseguenza diretta della dispersione e dell'estinzione delle loro comunità di parlanti. Tuttavia nel breve lasso di tempo di questa tragedia, dal primo stanziamento permanente degli occidentali nella regione fino alla scomparsa delle società indigene, le lingue hanno avuto il tempo per soffrire un brutale processo di distruzione semantica e funzionale, correlativo linguistico della liquidazione delle forme di vita autoctone. Gli studi sul campo compiuti dai linguisti nel XX secolo raccolgono le lingue in questo stato terminale, non solo per quanto riguarda la loro vitalità in numero di parlanti, ma anche riguardo alle loro caratteristiche strutturali. Molte delle distinzioni semantiche autoctone si erano già perdute, e solo un minuzioso studio etimologico ci permette di ricostruirle oggi a partire dai dati conservati. Il nuovo mondo occidentale era penetrato in tutte le sfere della vita, incluse quelle simbolico-comunicative. Non senza motivo i missionari avevano considerato il lavoro linguistico come una parte sostanziale dell'attività evangelica: non solo per poter comunicare con i nativi, ma anche e soprattutto per introdurre nelle loro lingue (ossia nel loro mondo) i fondamenti della visione cosmologica occidentale della realtà, ciò che Bartolomeu Melià, in un altro contesto sudamericano, ha denominato creazione di lingue cristiane indigene.
Il processo di assimilazione linguistica è il primo passo verso la scomparsa delle lingue in quanto tali. In una prima fase, il parlante indigeno interiorizza nella sua lingua - mediante metafora, calco semantico o prestito diretto - le strutture cognitive della lingua dominante. In una seconda fase, il parlante abbandona progressivamente la sua lingua in favore della lingua che esprime tutto in un modo più coerente e semplice, la lingua dominante, che è anche un importante segno di prestigio del nuovo ordine sociale.
La sua lingua comincia a diventare inutile ai suoi stessi occhi, perché alla fine viene ad esprimere le stesse cose della lingua dominante, però con gravi carenze (le distinzioni non interiorizzate) e con inutili remore (i resti nella grammatica e nel lessico delle antiche distinzioni, che hanno cessato di essere operanti), senza dimenticare le connotazioni sociali che va acquisendo il suo uso preferenziale.
Lo studio di questo fenomeno nel caso delle lingue patagoniche è lungi dall'essere concluso. Per portarlo a termine disponiamo soprattutto, come già detto, di materiale raccolto proprio durante il processo di distruzione culturale e linguistica.
Segnaleremo giusto alcuni aspetti di ciò. In yahgan o yamana, la lingua dei canoisti che soffrirono gli esperimenti missionari degli angliscani nel XIX secolo, il numero di prestiti dall'inglese finì con l'essere molto importante. Sia Guerra (1995) che Poblete y Salas (1997), che fecero indagini linguistiche tra i suoi ultimi parlanti, registrarono un buon numero di termini inglesi incrostati nella lingua, termini che si conservavano anche nell'ambiente ispanofono in cui questi ultimi informatori si muovevano da decenni. Risulta significativa la distribuzione di questi termini inglesi per campo lessicale.
Un certo numero di questi pare inevitabilmente vincolato alle nuove realtà introdotte dagli inglesi: glas ‘vetro’, naif ‘coltello’, nísel ‘ago (di acciaio)’, sit ‘seme’, ti ‘tè’, túra ‘porta’, bred ‘pane’, plánket ‘coperta (di fabbrica)’, powt ‘barca’, kuk ‘cucina’. In questo gruppo sono inclusi i nuovi animali e le loro nuove parti: kiáta ‘gatto’, sip ‘pecora’, xorn ‘corno’. Allo stesso modo le nuove realtà umane derivate dal contatto con gli europei: lam-a ‘ubriaco’ sembra procedere dall'inglese rum, che sarebbe anche la base del gününa küne lam ‘vino’ e del tehuelche lama ‘essere ubriaco’ e laam ‘bevanda alcolica’.
Tuttavia in altri casi l'adozione di elementi inglesi parrebbe superflua, visto che sarebbe logico aspettarsi l'esistenza di termini autoctoni: rótna ‘marcio’, fáta ‘grasso’, mílik ‘latte’, fláwers ‘fiore’, rut ‘cammino’, péipi ‘bebè’. La spiegazione per l'incorporazione di questi elementi può fondarsi solo nel fatto che designavano nuovi usi culturali di queste realtà, ad esempio un nuovo ruolo sociale dei bambini piccoli a partire dal concetto europeo di infanzia, un nuovo uso alimentare del latte e del grasso (a partire dallo sfruttamento del bestiame), etc.
Di particolare interesse è il termine raccolto da Guerra (1995) usato dagli stessi indigeni per designarsi: intjan (dall'inglese Indian), termine integrato con elementi autoctoni in vari vocaboli derivati: intjan-kuta ‘la lingua yahgan’, wata-intjan ‘gli antichi yahgan’. Gli indigeni hanno adottato il termine che gli europei usavano per designarli perché essi stessi già cominciavano a vedersi attraverso nuovi occhi, accettando così in qualche modo il ruolo che era stato loro assegnato nella nuova società bianca.

Miguel Peyró García (Università di Siviglia), La desaparición de las lenguas de la Patagonia, 2005.
Traduzione del sottoscritto, 2016.

2 commenti:

marco raimondo ha detto...

 L'assimilazione linguistica sta avvenendo anche con l'italiano secondo te? Spesso anche nel parlato quotidiano utilizziamo termini inglesi che (a me succede) ci vengono spontaneamente mentre il termine italiano non è più immediato o comunque dobbiamo pensarci

Antares666 ha detto...

Benvenuto in questo spazio! Senza dubbio la lingua italiana non gode di buona salute, come facevo notare in un recente post. Tuttavia nel caso delle lingue della Patagonia il processo distruttivo e è stata più rapido e drammatico a causa del forte divario tecnologico e delle abissali differenze culturali tra le genti native e i colonizzatori.