domenica 12 febbraio 2017

LONGOBARDO RICOSTRUITO: UNA FORMULA PER GUARIRE IL MAL CADUCO

Testo in longobardo (ricostruito), con introduzione e altre parti in latino:

CONTRA CADUCUM MORBUM
ACCEDE AD INFIRMUM IACENTEM ET A SINISTRO USQUE AD DEXTRUM LATUS SPACIANS, SICQUE SUPER EUM STANS DIC TER:
THONOR THUTIGO, THEUDEUIGO! 
THAU QUAM THES TIUFOLES SUNO, UF ADAMES PRUCCON, ANDI SCHITODA AINAN STAIN ZO GUIDE. THAU QUAM THES ADAMES SUNO, ANDI SLOH THES TIUFOLES SUNO ZO AINERU STUDON. PETRUS CASANTIDA PAULUM SINAN PRODER THAZ ER ADERRUNA ADERON FERPUNDI, FERPUNDI THEN PANDON. FERSTEZ ER THEN SATANAN. ALSUA TON IH THIH UNRAINER ATHMO FRAM THISEMO CHRISTINON LICHAMON. SUA SCAIRO IH MIT THEN ANDON THEA ERDA PIRORIU. POST HEC TRANSILIAS AD DEXTRAM ET DEXTRO PEDE DEXTRUM LATUS EIUS TANGE ET DIC: STAND UF GUAZ GUAS THIR. THER GOD CAPAUT THIR IZ. HOC TER FAC ET MOX VIDEBIS INFIRMUM SURGERE SANUM. 
 

Trascrizione fonologica (semplificata): 

/'kontra ka'dukum 'morbum
ats'tsede ad in'firmum ja'tsentem et a si'nistro 'uskwe ad 'dekstrum 'latus 'spatsjans, 'sikkwe super 'eum 'stans et 'dik 'ter :
'θɔnor 'θu:ti:go 'θeud'e:wi:go
θau 'khwam θɛs 'tiufoles 'suno u:φ 'adames 'prukko:n, andi 'skito:da ainan 'stain tso: 'gwide.
θau 'khwam θɛs 'adames 'suno andi 'slo:χ θɛs 'tiufoles 'suno tso: 'aineru 'stu:do:n
'petrus ka'santida 'paulum si:nan 'pro:der θats er 'a:derru:na 'a:dero:n fer'pundi, fer'pundi θe:n 'pandon. fer'ste:ts 'ɛr θɛn 'satanan. 'alswa: 'to:n iç 'θiç, 'unraine:r 'a:tmo, fram 'θisemo 'kristi:non 'li:ççamon. swa: 'skairo iç mit θe:n 'andon θea 'ɛrda pi'ro:rju. post 'ek tran'siljas ad 'dekstram et 'dekstro 'pede 'dekstrum 'latus 'ejus 'tanje et 'dik : 'stand 'u:φ, gwats 'gwas θir. θɛr 'gɔd ka'paut 'θir its. ok 'ter 'fak et 'moks vi'debis in'firmum 'surjere 'sanum/ 

Per la pronuncia delle parole latine in questo genere di formule rimando a quanto specificato a proposito dell'incantesimo per curare la paralisi del cavallo.   

Traduzione: 

Contro il morbo caduco.
Avvicinati al malato che sta disteso e, protendendo<ti> dal lato sinistro al destro e stando così sopra di lui, di’: 
Donar* Tonante, Eterno del Popolo!
Allora venne il figlio del Diavolo sul ponte di Adamo e spaccò una pietra sul legno. Allora venne il figlio di Adamo e uccise il figlio del Diavolo a un ramo.
Pietro mandò suo fratello Paolo perché legasse la runa delle vene alle vene, <la> legasse con legacci. Egli cacciò fuori Satana. Allo stesso modo faccio io con te, spirito immondo, da questo corpo cristiano, così velocemente come io tocco la terra con le mani. E tocca la terra con entrambe le mani e di’ un Padre nostro.
Dopo questo, passa a destra e tocca il piede destro dal lato destro e di’:
Alzati! Cosa avevi? Dio te lo ordinò! Fai questo per tre volte, e subito vedrai il malato alzarsi sano.

*Corrisponde a Thor, teonimo universalmente noto ai lettori. 

Testi di partenza:

1) Testo in antico alto tedesco tardo (francone renano, XII sec.):

Contra caducum morbum.
Accede ad infirmum iacentem et a sinistro vsque ad dextrum latvs spacians. sicque super eum stans dic ter.
Donerdutigo. dietewigo.
do quam des tiufeles sun. uf adames bruggon. unde sciteta einen stein ce wite. do quam der adames sun. unde sluog des tiufeles sun zuo zeinero studon. petrus gesanta. paulum sinen bruoder. da zer aderuna. aderon ferbunde pontum patum. ferstiez er den satanan. also tuon ih dih unreiner athmo. fon disemo christenen lichamen. so sciero so ih mit den handon. die erdon beruere. et tange terram utraque manu. et dic pater noster. Post hęc transilias ad dextram et dextro pede dextrum latus eius tange et dic. stant uf waz was dir. got der gebot dir ez. hoc ter fac. et mox uidebis infirmum surgere sanum.

2) Testo in antico alto tedesco tardo (bavarese, XI sec.):

pro cadente morbo
Doner dutiger
diet mahtiger
stuont uf der adamez prucche schitote den stein zemo Wite.
Stuont des adamez zun. unt sloc den tieules zun. zu der studein.
Sant peter. sante zinen pruder paulen daz er arome adren ferbunte frepunte den paten. frigezeden samath friwize dih unreiner atem. fon disemo meneschen.
zo sciero zo diu hant wentet zer erden.
ter cum pater noster. 

Per approfondimenti rimando al lavoro di Eleonora Cianci (2004).

Commenti: 

Giustamente si è visto nell'incantesimo francone renano e nel suo analogo bavarese un'eredità dell'epoca in cui i missionari cristiani combattevano contro il paganesimo dei Germani. Il tema del duello tra Cristo e Donar (Thor) si trova ben documentato. Tra i Sassoni pagani in guerra contro i Franchi era credenza comune che uno dei passatempi del dio rossochiomato fosse duellare con il dio dei cristiani. In Islanda è riportata la discussione tra un missionario e una valente poetessa, Steinunn Refsdóttir (Brennu-Njáls saga, ossia Saga di Njáll del rogo, cfr. Chiesa Isnardi). Steinunn affermò che Thor aveva sfidato a duello Cristo, chiedendosi con parole di scherno come osasse il nuovo dio confrontarsi con il dio dei Padri.

Esiste però anche un altro tema nel materiale a.a.t., che non è stato finora messo nella giusta evidenza. Nella mitologia scandinava, Thor combatte contro il gigante Hrungnir e riceve nel cranio il frammento di una cote (pietra per affilare). La maga Gróa cerca di estrarre il frammento di selce, ma non ci riesce: come conseguenza quel corpo estraneo continua a causare a Thor forti dolori e periodiche convulsioni. Le coti erano ritenute manufatti magici e pericolosi, tanto che non era permesso ai bambini usarle per giocare. Si deduce quindi che l'epilessia era ritenuta dai Germani il prodotto di questo problema cranico del fulvo figlio di Wotan. Nulla di più naturale quindi di una serie di invocazioni a tale divinità per guarire dal mal caduco. A riprova di questo, nel testo francone renano la divinità pagana viene invocata esplicitamente. Sono perciò indotto a credere che le formule siano rudimentali cristianizzazioni di qualcosa di più antico e che il motivo del duello tra Donar e Cristo sia soltanto un'innovazione successiva sovrapposta al racconto del frammento di cote conficcato nel cranio del dio pagano. Con ogni probabilità il duello originale era tra Donar e un gigante. Se così fosse, sarebbe Donar ad essere chiamato "Figlio di Adamo", mentre il nome del gigante sarebbe finito rimosso e sostituito da "Figlio di Satana". Non dimentichiamo infine che il nome norreno Hrungnir ha la stessa radice del gotico hrugga "bastone" (-gg- suona -ng-): nel materiale tedesco abbiamo una pietra scagliata e un ramo. La studiosa dell'Università di Chieti fa molti interessanti riferimenti a materiale biblico, tuttavia non si cura molto della religione nativa e conclude che non si riesce a giungere a un'interpretazione soddisfacente. 

A.a.t. Donerdutigo e Doner dutiger: l'aggetivo è una crux per i germanisti. Credo di poterne finalmente offrire una sicura soluzione. Elenchiamo le proposte finora fatte dagli accademici per passare poi a confutarle:

1) A.a.t. dutigo viene tradotto con "del popolo" e ritenuto corradicale di a.a.t. diota "popolo, gente", che è come il gotico þiuda "popolo, nazione", dal protogermanico *θiuðo: id. La Cianci aderisce a questa proposta, seppur obtorto collo.
2) A.a.t dutigo viene tradotto con "pettoruto" e ricondotto ad a.a.t. tutto, tutta "mammella, poppa". Secondo Grienberger, il riferimento sarebbe stato al torace muscoloso dell'Aso dalla barba rossa.
3) A.a.t. dutigo viene tradotto con "valente", riconducendolo a un vocabolo anglosassone *dytig, glossato con lat. valens. La proposta si trova in un testo della Catholic University of America (Studies in German, 1944, vol. 19-21), più vecchio del famoso chinotto di Leone di Lernia. 
4) A.a.t. dutigo viene tradotto con "benigno" e ricondotto al gotico þiuþeigs "buono, degno di lode".

Tutte queste proposte non sono soltanto errate, ma sono anche impossibili per elementari ragioni fonetiche.

1) A.a.t. dutigo non può aver nulla a che fare con diota. In nessuna varietà di germanico la forma protogermanica mostra qualcosa di diverso dal dittongo /iu/ (con l'accento sulla -i-). Se guardiamo anche le altre lingue indoeuropee in cui la radice è rappresentata, vediamo che tutte le forme attestate sono riconducibili a una protoforma IE col dittongo /eu/. Anche il latino totus /'to:tus/ "tutto", l'osco touto "cittadinanza" e tovtix "pubblico", così come le forme celtiche, mostrano regolari esiti di /eu/. Dove sarebbe dunque la variante con una /u/ semplice? Anche l'ittita tuzzi "armata" a parer mio ricade in quanto visto: la sua vocale /u/ è chiaramente il frutto di una monottongazione. Se un celtico *toutikos fosse l'antenato della voce a.a.t. dutig-, per avere /u:/ dovremmo essere in presenza di un prestito tardo e non si spiegherebbe d- iniziale, che viene regolarmente da th-2) Per prima cosa a.a.t. tutto, tutta "poppa" è una forma di origine basso tedesca dovuta a prestito. La forma genuina con II rotazione è documentata dal m.a.t. zutzel, glossato con Sauglappen "panno assorbente". Grienberger non si è accorto che il consonantismo non quadra per nulla e che d- sarebbe impossibile, perché evidentemente era uno studioso scadente. Inoltre tutto, tutta indica solo il seno femminile e non il torace maschile. Giova ricordare che a Thor è attribuita quella che i buonisti oggi chiamerebbero omofobia feroce. Soltanto insinuare che la divinità avesse atteggiamenti femminei o caratteristiche equivoche era un insulto che avrebbe portato i suoi fedeli a uccidere i responsabili della bestemmia. Tra i Germani una simile onta poteva essere lavata soltanto col sangue.   3) L'anglosassone *dytig "valente" non può essere corradicale al nostro dutig-. Non è proprio possibile, visto che la corretta parola anglosassone è dyhtig. In a.a.t. /χt/ non si semplifica mai in /t/. Evidentemente gli studiosi della Catholic University of America erano troppo distratti dalla presenza di bambini nell'ateneo per ricordare correttamente parole in antico inglese. 
4) La soluzione non è soddisfacente per il vocalismo e neppure per il consonantismo. Ci aspetteremmo *diedigo come riflesso di *θiuθi:ɣ- e *dietigo come riflesso di un'eventuale variante *θiuði:ɣ-. Resta il fatto che forme con un'antica /u(:)/ non se ne trovano.

In protogermanico abbiamo la radice verbale *θiutanan "fare rumore, tuonare", donde è formata una variante ablautica *θu:tanan, documentata ad esempio nel gotico wulfiliano þuthaurn /'θu:t-hɔrn/ "tromba" e nel norreno þútr "rumore", "frastuono". Noi ipotizziamo che in gotico esistesse un derivato *þuteigs /'θu:ti:xs/ "tonante", che sarabbe entrato in longobardo come prestito, a causa della forte influenza del germanico orientale su tale lingua. Così la forma longobarda si espanse nell'area bavarese e francone renana in un tempo in cui il mutamento da /t/ a /ts/ e a /s̪/ non era più attivo, ma in cui restava vivo l'adattamento di /θ/ con /d/. Questo portò alle forme dutigo (flessione aggettivale debole) e dutiger (flessione aggettivale forte). Tutto ciò è ben plausibile, vista la natura magica delle formule. La genuina forma a.a.t. del verbo è diozan "fare frastuono". Le forme corrispondenti in longobardo ricostruito sono THUZAN /'θu:tsan/ e THEUSSAN /'θeus̪s̪an/

A.a.t. zuo zeinero studon è una grave crux. Cianci traduce con "al suo ramo", come fanno molti altri accademici. La parola per dire ramo in questo testo è studa, con la flessione debole, gen. e dat. studon. Il problema, ben grave, è che c'è un errore marchiano. Tradurre zuo zeinero con "al suo" (dat. f.) è una palese assurdità. C'è un anacronismo, perché l'aggettivo possessivo sarebbe sinero! Potremmo supporre una traduzione errata. Qualche studioso avrebbe confuso zeinero col la forma moderna dittongata, interpretando incredibilmente z- iniziale come la s- sonora del tedesco moderno sein "suo"! L'errore si sarebbe poi propagato e nessuno se ne sarebbe accorto, nemmeno la Cianci. Il problema è che un aggettivo a.a.t *zein o *zeini non sembra esistere. Non c'è alcuna connessione con a.a.t. zein "ramo", che corrispondente a gotico tains "ramo" ed è di genere maschile. Infatti zuo zeinero è una contrazione di un più antico zuo zi einero. Tutto è iniziato da zi einero contratto in zeinero, rafforzato quindi con zuo. Reduplicazioni di questo tipo non sono rare.

A.a.t aderuna aderon: a quanto pare la corretta traduzione era finora impossibile. C'è chi etichetta il termine aderuna come ungedeutet, ossia "non interpretato". C'è chi considera la parola ostica come un nome proprio e non lo traduce, lasciando Aderun. C'è chi lo vede come semplice plurale della parola ādra, ādara "vena", cosa che dal punto di vista morfologico è impossibile. Cianci sorvola su aderuna, limitandosi a parlare di aderon, che è un dativo plurale. A parer mio sta per *āderrūna, un antico composto formato da ād(a)ra "vena" e da rūna "segreto, mistero", i.e."formula magica" o "segno magico".  

A.a.t. pontum patum: un altro passaggio difficile. Per alcuni sarebbe una fantasiosa abbreviazione di Pontium Pilatum (acc.), che non ha il minimo senso nel contesto. Il testo bavarese ha invece frepunte den paten, che potrebbe spiegarsi bene se paten stesse per panten "ai legacci". Senza il minimo senso è la proposta di vedere patum come voce del verbo beiten "spingere, impellere" non quadra assolutamente il vocalismo, oltre al fatto che è un verbo debole. Sbagliare è certo una cosa normale, ma questi sono errori che difficilmente uno si aspetta di trovare tra gli accademici. 

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