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domenica 22 marzo 2020

UNA LINGUA NON IDENTIFICABILE

Tornando a casa, per le vie di Seregno mi sono imbattuto in una donna che parlava senza sosta al cellulare in una lingua sconosciuta e del tutto impenetrabile. Era una persona di piccola statura e aveva i capelli biondissimi, direi che dall'aspetto sembrava proprio una giovane inglese. Un bambino procedeva davanti a lei in bicicletta, indossava un berretto rosa e aveva una faccia scialba. Più ascoltavo le parole della donna, più mi sembravano strane. Il punto è che quella non era affatto una lingua europea. Più in generale, direi che non si trattava una lingua ascrivibile ad alcun ceppo noto. La sonorità era bizzarra, a volte sembrava quasi di udire qualcosa a metà strada tra il francese e lo slavo, ma non sembrava che avesse suoni palatali. A quanto pare non aveva nemmeno una rotica. Ho distinto in modo nitido soltanto poche sillabe: la parola “bokùf” e un'uscita con un improbabile gruppo di consonanti, “-imdzki”. Tra l'altro quella sembrava essere l'unica occorrenza di una terminazione in “-ki”. A un certo punto la donna ha richiamato il figlio, che era andato troppo lontano con la bicicletta. Con mia grande sorpresa lo ha chiamato "Papi". Da dove diamine veniva quella strana bionda? Ho sentito in me un forte senso di disorientamento. Ero tentato di fermarla e di chiederle che lingua stava parlando, ma ho provato disagio e non l’ho fatto. 
 
Marco "Antares666" Moretti, marzo 2018 

mercoledì 18 marzo 2020

TURISTI EXTRATERRESTRI?

Sul treno per Seregno mi capitò di imbattermi in tre persone davvero singolari. Un giovane uomo con la barba corvina, una donna sua coetanea, forse sua moglie, e un anziano che aveva l'aspetto di un magherebino. I due giovani avevano invece sembianze tipicamente europee. La pelle dell'uomo attempato era però di una tonalità più scura della media, come se fosse molto abbronzato. Gli abiti del ragazzo erano strani: portava pantaloni corti di colore marrone scuro e di una foggia che non avevo mai visto prima. La ragazza era indistinguibile da una italiana media, quali se ne possono vedere in giro ogni santo giorno. I tre si esprimevano in una lingua incomprensibile che non sono riuscito a identificare, nonostante mi sia scervellato per capirci qualcosa. Nella loro fitta conversazione sono riuscito a isolare le seguenti parole, alcune delle quali ripetute più volte:

nan-diè
sho-bà
kagdòa
mulumìme-bobò
masìta
palète
itta-camicia
sittu-kolèke 
 
Uno di questi morfi mi sembra un chiaro prestito dall'italiano: camicia. Trovo difficile pensare che si tratti di una mera coincidenza. È stato aggiunto un prefisso itta- di cui non so specificare il senso, forse una specie di articolo o un pronome dimostrativo. Il morfo sittu-kolèke potrebbe contenere un prestito dall'italiano "collega", ma non ne sono affatto sicuro. Il prefisso sittu- deve essere affine a itta-, forse una forma declinata.

In che lingua parlavano i tre stranieri? Mi sono fatto una rapida quanto inconcludente mappatura mentale. 

Non si trattava di una lingua romanza. Non si trattava di una lingua germanica. Non si trattava di una lingua slava. Non si trattava di una lingua baltica. Non si trattava di una lingua celtica. Non si trattava di una lingua uralica. Non si trattava di una lingua altaica. Non si trattava di basco. Non si trattava di una lingua nord caucasica. Non si trattava di una lingua kartvelica. Non si trattava di una lingua semitica. Non si trattava di una lingua berbera. Non si trattava di una lingua iranica. Non si trattava di una lingua indiana. I tre non erano Rom e la loro lingua non era una varietà di romani e neppure di para-romani.
Sorge una domanda: che diavolo di lingua era?

Marco "Antares666" Moretti, luglio 2015

domenica 15 marzo 2020

IL TELEPATE

A volte, durante i miei quotidiani viaggi in treno verso il luogo di schiavitù salariata, mi imbatto in un individuo alquanto singolare. Nella maggior parte dei casi lo trovo la mattina presto andando verso Milano sul treno che proviene da Biasca, anche se qualche volta lo incrocio mentre mi dirigo verso Seregno dopo una defatigante giornata di lavoro. È un uomo maturo di statura molto bassa, con pochi capelli grigi, una bella pelata e baffetti esigui. Una fisionomia comune in Inghilterra, ma abbastanza inusuale in Italia. Il suo volto mi ricorda vagamente quello di Vittorio Sermonti, il noto e apprezzato dantista, ma il cranio ha una forma bombata davvero curiosa. Ha uno sguardo tremendo e di fuoco, con occhi chiari che sembrano di brace come quelli di Caronte. Ogni volta che lo vedo sono preso da un disagio insostenibile, e questo per una ragione molto semplice: so per certo che è un telepate. Riesce a scandagliare la mente di tutti i suoi vicini, scavando in profondità, leggendo i pensieri e dicifrando le emozioni. Il punto è che lo sento scavare nella mia anima come se usasse strumenti chirurgici, sono cosciente della reale esistenza dei suoi poteri perché li ho vissuti sulla mia pelle. Me ne sono accorto in occasione di una giornata estiva particolarmente afosa. Una donna bionda e formosa era seduta davanti a me, proprio di fianco al telepate. Guardando le gambe e i piedi di quella bellezza statuaria mi sono messo a fantasticare e ho pensato di strusciarle il fallo sulla pelle di tutto il suo corpo fino ad avere un'eiaculazione. Gli occhi dell'uomo simile a un piccolo Caronte mi hanno incenerito: poteva vedere nella mente ogni mia azione immaginaria e disapprovava fortemente tali fantasie. Mentre nella fantasia il mio fallo accarezzava il volto della maliarda, passandole prima sulle guance, poi sotto il naso, sulle labbra e cominciando quindi ad eruttare il seme, sono stato assalito da una sensazione difficile a definirsi, come una fitta, una scossa, in ogni caso qualcosa di molto fastidioso. Allora ho visto che il telepate mi fissava, pieno d'ira. La sua ostilità era totale, pur rimanendo egli immobile. Sembrava quasi che mi accusasse di aver commesso un atto di violenza! La donna non si è accorta di nulla: sonnecchiava beata senza nemmeno sapere cosa stava accadendo. Ho subito cambiato scompartimento e da allora ho deciso di oppormi ai tentacoli telepatici di quell'essere alieno, rifuggendolo. Non so chi o cosa sia, ma di certo non è un terrestre. Non è l'unico caso di individuo telepatico in cui mi sono imbattuto, ma devo dire che nel corso della mia esistenza ben poche cose sono state per me altrettanto spiacevoli.

Marco "Antares666" Moretti, gennaio 2017

giovedì 12 marzo 2020

DUE INDIANI UN PO' TROPPO GROTTESCHI

Oggi sul treno c'erano due uomini bizzarri e molto scuri di pelle, che sembravano genti dell'India. Avevano addosso un odore stranissimo, intenso, vagamente simile a quello del curry ma nauseabondo; i loro tratti somatici erano marcati, quasi caricaturali. La cosa che mi ha più colpito è che parlavano una lingua che non sono riuscito a identificare. Uno di loro, che era a dir poco obeso, ripeteva di continuo frasi con le seguenti parole: "IKSOS STAIR", "IKSOS SATAIR", "IKSOS SATRA". Qualcosa mi diceva che non erano di questo pianeta. Un pensiero è balenato in me nell'Antica Lingua. Sono uomini della specie che chiamo "TEDHAAR". Probabilmente sono giunti sulla Terra da DZAMBRA o da qualche pianeta di quel tipo. Un pensiero forte, netto, chiarissimo quanto inspiegabile, che nessuno potrà mai cancellare dalla mia memoria. 

Si potrà dire che si trattava semplicemente di cittadini dell'India, terrestri a tutti gli effetti. La lingua sarà stata una delle tante parlate nel Subcontinente, indoeuropea, dravidica o munda. Il problema è che la sonorità dell'eloquio di quegli uomini era chiara, tanto che coglievo le parole distintamente. Non presentavano suoni aspirati e retroflessi tipici delle lingue indiane. In ogni caso il TEDHAAR obeso mi sembrava un idiota. Continuava a fissare uno scontrino che teneva in mano, additando il prezzo e ripetendo sempre quelle stesse parole che evidentemente erano numerali. L'altro cercava di spiegargli qualcosa, anche se non ci riusciva. Il quoziente intellettivo di quegli individui mi sembrava minimo. A Sesto San Giovanni sono scesi dal treno e non li ho mai più rivisti. Per fortuna, non mi hanno fatto una bella impressione. In ogni caso, non è la prima volta che vedo elementi estranei a questo pianeta andarsene in giro allegramente per Milano e per l'hinterland come se nulla fosse. 

Marco "Antares666" Moretti, ottobre 2012

martedì 10 marzo 2020

IL NOBILUOMO E LA NEVE DELLA MORTE

Una giornata di sole, il cielo sereno e splendente nonostante sia inverno, senza nemmeno l'ombra di una nube. Sono a Milano in Via Melchiorre Gioia, appena uscito dal bar dove ho consumato un pasto scadente durante la pausa pranzo, un input a malapena migliore dell'output. All'improvviso vedo sopraggiungere un uomo quale mai ho visto prima nel corso della mia esistenza. È longilineo, magrissimo e scattante, con la pelle chiara come se non avesse sangue nelle vene, o come se il suo sangue non avesse quasi emoglobina. Somiglia a Sting, il famoso cantante, ma è incredibilmente longilineo, gli occhi sono grigi tanto da sembrare fatti di ghiaccio, i capelli sono rossi come il fuoco o come una varietà metallica di carota. Mi accorgo subito che la fisionomia è del tutto inusuale, non ci si potrebbe imbattere in nulla di simile nel capoluogo lombardo, nemmeno per caso. I suoi abiti sono neri, la sua andatura è sostenuta, il suo portamento è altero, aristocratico. Capisco subito che il lui c'è una nobiltà che non ha mai potuto avere origine su questo pianeta. Forse potrebbe essere un inglese, certo, ma ha comunque qualcosa di diverso, di inesplicabile. Non posso razionalizzare una presenza così incongrua. Se in strada si vedesse un gruppo di uomini di quel tipo, si urlerebbe di certo per lo stupore. Già uno così sfiora quasi l'assurdo, un gruppo sarebbe qualcosa di impossibile, di troppo impensabile per essere reale. A un certo punto sento in me la sua essenza, come se fosse avvenuto un contatto telepatico. Tutto dura pochi istanti, eppure mi cambia la vita. Mi rendo conto che è come se lo avessi riconosciuto, nonostante l'alienità che separa le nostre rispettive condizioni. Un pensiero pulsa nella mia testa: "BONDA GAVALANT!" Quella lingua, che il genere umano ritiene ignota, in realtà la conosco bene. Siamo soltanto in due a parlarla in questo mondo infelice, io e un fraterno amico. Per questo la mia sorpresa è ancora più grande. "BONDA GAVALANT!" significa "NOBILUOMO DI GAVALAN!" L'uomo dai capelli fulvi e lucenti capisce all'istante che ho capito la sua origine. Ha captato i miei pensieri, li ha sentiti in sé, ne sono certo. Mi guarda in preda all'inquietudine e si allontana a passo spedito, come se avesse visto la Morte. Solo allora capisco il perché della sua visita su questo globo terracqueo, proprio a Milano. È venuto a cercare la Neve della Morte, la cocaina!  
 
Marco "Antares666" Moretti, dicembre 2013  

venerdì 6 marzo 2020

INFILTRAZIONI

Mi trovavo alla stazione di Milano Porta Garibaldi, sul treno per Chiasso, in attesa della partenza. Due donne sedevano una di fronte all'altra, su due posti vicino al finestrino, non lontano da me. Erano molto diverse tra loro. Una aveva l'aspetto di una albanese biondiccia, ma con la pelle un po' più scura della media italiana. Aveva un braccio ingessato e vestiva in modo dimesso. Pantaloni sbiaditi e strappati in più punti, anche la camicia non era messa meglio. L'altra donna invece sembrava un'indiana e indossava un lussuoso sari variopinto. Aveva un ornamento nasale ed era molto truccata. I capelli corvini erano raccolti in una acconciatura molto elaborata che non avevo mai visto. Tuttavia la sua pelle non era quella di un'indiana comune: era molto chiara, quasi cadaverica. La donna col braccio ingessato parlava una lingua che non avevo mai sentito prima. Una struttura fonetica stravagante e la presenza di una consonante rotica uvulare molto sgradevole. Non era una semplice erre francese, era un trillo fatto con l'ugola, quasi un ringhio. Con mio grande stupore, la donna che sembrava un'indiana chiara di pelle si è messa a rispondere nella stessa lingua!

Marco "Antares666" Moretti, ottobre 2010

lunedì 2 marzo 2020

UN ALIENO A MILANO

Mi trovavo in Piazza San Babila. Da un po' giravo nervosamente nei pressi di un monumento a forma di piramide che sorge in quel luogo, aspettando il buon Alex "Logos" Tonelli. Intanto la mia attenzione è stata attirata da uno strano uomo che sembrava un sudamericano dai lineamenti grossolani. Forse un colombiano, ma chi poteva dirlo? Per un attimo ho pensato che fosse una specie di Maradona dei poveri. Andava in giro insieme a due prostitute piuttosto appariscenti, che evidentemente aveva rimorchiato in loco. Ecco che a un certo punto lo stravagante puttaniere si è avvicinato a me. In un italiano dalla pronuncia traballante mi ha chiesto quale fosse il nome del monumento. Gli ho risposto che lo ignoravo. Lui è rimasto stupefatto, chiedendomi come fosse possibile che non sapessi dargli una risposta. Dalle sue parti, diceva, se ci fosse stata una simile meraviglia, tutti l'avrebbero conosciuta e il suo nome sarebbe stato famoso. Poi ha pronunciato quella che doveva essere  la parola per indicare la piramide nella sua lingua. Sono rimasto esterrefatto, aveva una sonorità impressionate. Dovendo trascriverla, è qualcosa come T'KHRRYENN. Decisamente non è spagnolo.

Marco "Antares666" Moretti, novembre 2009

domenica 1 marzo 2020

STRANI E SINISTRI PORTENTI

Accadono cose molto strane. Sul treno mi sono addormentato e ho sognato che stringevo la testa di un grosso serpente nella mano sinistra. Questo era un rettile velenosissimo di color bruno verdastro, che ero riuscito ad afferrare senza farmi mordere. Ho preso una lesina e gli ho bucato il cranio, uccidendolo senza difficoltà. Mi sono svegliato di soprassalto e ho sentito qualcosa che mi toccava le gambe, come se un giornale fosse stato portato dal vento e mi fosse finito contro. Solo che non c'era nulla. Pochi posti oltre ho notato un gigantesco mandingo interamente vestito di nero che leggeva un corano giallo non rilegato: in pratica era una collezione di fogli color tuorlo d'uovo scritti in arabo, non senza una certa vena artistica, la parte scritta all'interno di una cornice nera. Avevo già visto qualche anno fa questo soggetto, che come me è sceso a Seregno. Per un attimo ho avuto la netta sensazone che si trattasse di un jihadista e ho accelerato il passo. Nulla può riuscire a togliermi dalla testa l'idea nettissima che ci sia qualcosa che non va in tutto questo. Ancora adesso, se appena ci penso, mi sento come se dentro di me suonasse senza sosta un campanello d'allarme, quasi che il futuro avesse messo radici nel presente.

Marco "Antares666" Moretti, gennaio 2015

lunedì 30 dicembre 2019

UNA STRANA RIMOZIONE

Uno dei casi più singolari di amnesia che mi sia capitato riguarda Nestorio. È successo all'improvviso, anni fa, mentre ero da amici. A un certo punto, ho potuto constatare che il nome del religioso semplicemente non c'era più. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a recuperarlo. Ricordavo le sue dottrine ma non il suo nome. Mi venivano costantemente in mente altri nomi, da cui non riuscivo a ricostruire nulla di sensato. Innanzitutto pensavo a Marcione, che però sapevo non avere nulla a che fare, perché il personaggio dal nome obliato non era dualista. Poi mi veniva in mente Eustorgio, con una certa insistenza, quindi anche Eusebio. Dopo un'ora di intenso malessere, Nestorio finalmente è ritornato a galla, ancora non ho capito come. Forse qualche informazione connessa a quella cercata ha reso possibile il recupero. Evidentemente si era lesionata una microregione cerebrale e la mappa sinaptica locale è stata ridisegnata. Noto che da allora Nestorio non l'ho più dimenticato, con ogni probabilità perché il suo nome è stato stoccato in un'area diversa, con collegamenti nuovi. 

Marco "Antares666" Moretti, febbraio 2018

sabato 28 dicembre 2019

VISIONI DEGLI ULTIMI GIORNI

Martedì 25 settembre 2018: un giorno che definire infernale è ancor poco: se potessi lo depennerei dalle liste del tempo. Dopo una riunione lunga e defatigante a Torino, svoltasi in ambiente anossico, ho passato due ore in treno per tornare a Milano. Ormai le tenebre erano calate. Giunto alla stazione di Porta Garibaldi, subito si è profilata nel mio campo visivo la sagoma di un vagabondo che esibiva le chiappe merdose. Stava fumando tranquillamente, incurante dello stato dei suoi vestiti ridotti a brandelli. Gli mancava la parte posteriore dei pantaloni cenciosi: tutti potevano vedere la pelle sudicia delle sue natiche e delle sue gambe. Mi sono affrettato a raggiungere il treno che mi avrebbe portato a Seregno. Non appena mi sono seduto, una donna bionda in divisa di controllore mi ha detto di procedere verso le vetture di testa, perché avrebbe chiuso la maggior parte del treno, che altrimenti sarebbe stato ingestibile. Così i passeggeri si sono concentrati in due vetture e sono riuscito a stento a trovare un posto a sedere. Una situazione insostenibile e penosa. Il treno era appena partito, quando il controllore donna (nemmeno la Boldrina è riuscita a imporre la forma “controllora”) ha chiuso lo scompartimento. Subito si sono levate urla inumane dal vicino cesso: un gigantesco mandingo era nel loculo a pisciare e si era trovato bloccato nella vettura appena chiusa. La donna si è affrettata ad aprire la porta bloccata, ma il colosso africano le si è subito scagliato contro inveendo, in preda a un’ira belluina. Lei ha cercato di difendersi, senza scomporsi, facendo notare che quando il treno è in stazione non bisogna usare i servizi igienici. Il mandingo, nerboruto e più alto di me, continuava ad apostrofarla: “Modéri le parole! Lei deve moderare le parole e non si deve rivolgere così a me! Modéri le parole!” A parte qualche accento, parlava in un italiano corretto. A un certo punto, come la donna ha osato dire qualcosa, lui è scoppiato, urlando a squarciagola: “IO LE DONNE LE MANDO TUTTE AFFANCULO!” Poi dopo una breve pausa ha ripreso: “LA PROSSIMA VOLTA PISCIO DAVANTI A TUTTI!” Il treno a questo punto si è fermato alla stazione di Milano Greco Pirello e il mandingo è sceso, facendo perdere le sue tracce. La donna era visibilmente scossa. Per un po' il viaggio è proceduto senza incidenti, a parte i continui rallentamenti, che hanno fatto accumulare circa un quarto d’ora di ritardo. Passata la stazione di Desio, ecco che il controllore donna ha avuto la pessima idea di cominciare a chiedere i biglietti ai passeggeri. Le ho mostrato prontamente l’abbonamento. I problemi sono cominciati di lì a poco. Un giovane saraceno in tenuta estiva ha esclamato con grande arroganza: “Io il biglietto non lo pago perché i treni sono sempre in ritardo!” Lei ha cercato di ribattere e lui a un certo punto ha urlato: “SE VUOLE HO QUI IL CAZZO!” E subito dopo: “GLIELO METTO IN BOCCA!” A questo punto il treno si è fermato nella stazione di Seregno e sono sceso, procedendo rapido verso casa. Una giornata apocalittica si era appena conclusa. 

Marco "Antares666" Moretti, settembre 2018

giovedì 26 dicembre 2019

RIGURGITI DI UN'UMANITÀ TERMINALE

Dovendo andare a un inutile convegno con un collega, mi è toccato affrontare una stramaledetta macchinetta dei biglietti della metropolitana. Malfunzionante, è ovvio. Il collega cercava di usare il bancomat per acquistare i biglietti per entrambi. Mentre stava digitando il codice, non senza fatica, ecco che un folto gruppo di vecchiacci americani dementi si ammassava su di noi. Quelle spaventose creature ci soffiavano sul collo, ci assillavano. Una carampana isterica continuava a urlarci a squarciagola: "K'HANNOWOGHE!, K'HANNOWOGHE!". Ecco cosa vedevo in quell'abisso ctonio: patetici esemplari di un popolo ridotto a una massa di decerebrati, con un'intelligenza media inferiore a quella di una pecora! Alla fine ho capito che questa esclamazione "K'HANNOWOGHE" si trascrive "COD not working", essendo COD l'acronimo di "Cash on delivery". Un incubo! Questa condizione, che le genti chiamano “vita”, è in realtà la caduta agli Inferi! 
 
Marco "Antares666" Moretti, giugno 2018 

lunedì 23 dicembre 2019

UN GIORNO DI ORDINARIO SFACELO

Sono circa le 7:30, alla stazione di Seregno. Appena arrivato capisco subito che qualcosa non va. C'è un uomo della security. Per terra c'è un marocchino talmente ubriaco da rasentare il coma etilico. Gli occhi opachi sembrano quelli di uno zombie. Non riesce ad articolare una parola e muggisce come un bue. Uno spettacolo raggelante. Accorrono due infermiere con la tuta arancione fluorescente: è arrivata l'ambulanza. Riescono a fatica a far alzare l'ubriaco e a condurlo via. Arriva il treno per Milano, quotidiano mezzo di catabasi, e per un po' non penso all’accaduto. 
 
Al ritorno dal lavoro, sul treno per Seregno. Sono quasi le 17:00. Arrivano i controllori, un uomo e una donna. Mostro loro l'abbonamento, ma quelli hanno in mente altro. Parlottano tra loro e alludono a un ubriaco che ha dato non pochi problemi. Alludono anche al fatto che questo ubriaco è “di colore”. La donna è molto preoccupata. Spera che l'individuo molesto scenda a Seregno. A questo punto vanno nello scompartimento attiguo. Aprono la porta e sento qualcuno che schiamazza. È un mandingo in stato di alterazione, che a un certo punto urla a squarciagola: "MBÙNGU!". Finalmente il treno si ferma e scendo. Il mandingo, gigantesco, scende anche lui, barcollando in modo vistoso. Si avvicina a una ragazza e le urla: "SUCA!". La ragazza rimane di sale come la moglie di Lot. L'energumeno barcolla ancora e si avvia verso la scala, eruttando di nuovo oscenità alle passanti. Resto indietro, come tanti altri: ci sono possibilità che all'ubriaco salti in mente di assestare qualche colpo a caso al primo a portata di mano, oppure che sottoponga qualcuno a una “doccia romana”. Sento che continua a urlare: "FANGULO!". A questo punto si allontana, così riesco finalmente a percorrere il sottopassaggio e a salire in superficie. 
 
Marco "Antares666" Moretti, febbraio 2018

domenica 30 settembre 2018


DELITTO DI STATO
(FATHERLAND)

Titolo originale: Fatherland
Paese: Stati Uniti d'America
Anno: 1994
Formato: Film TV
Genere: Drammatico, fantascienza, thriller
Sottogenere: Fantapolitica, ucronia
Durata: 106 min
Lingua originale: Inglese
Rapporto: 4:3
Crediti
Regia: Christopher Menaul
Soggetto: Robert Harris, dall'omonimo romanzo
Sceneggiatura: Stanley Weiser, Ron Hutchinson
Fotografia: Peter Sova
Musiche: Gary Chang
Costumi: Barbara Lane
Effetti speciali: Syd Dutton and Bill Taylor, a.s.c. of
     Illusion Arts, Inc.
Produttore: Frederick Muller, Ilene Kahn
Prima visione
  Prima TV originale
  Data: 26 novembre 1994
  Rete televisiva: HBO
  Prima TV in italiano
  Data: 20 agosto 1997
  Rete televisiva: Rai 2
Interpreti e personaggi   
    Rutger Hauer: Xavier March
    Miranda Richardson: Charlie Maguire
    Peter Vaughan: Arthur Nebe
    Michael Kitchen: Max Jäger
    Jean Marsh: Anna von Hagen
    John Woodvine: Franz Luther
    John Shrapnel: Odilo "Globus" Globocnik
    Clive Russel: Krebs
    Clare Higgins: Klara
Doppiatori in italiano    
    Paolo Maria Scalondro: Xavier March
    Monica Gravina: Charlie Maguire
    Giorgio Gusso: Arthur Nebe
    Luigi Montini: Max Jäger
    Noemi Gifuni: Anna von Hagen
    Giulio Platone: Franz Luther
    Giancarlo Prete: Odilo "Globus" Globocnik
Budget: 4,1 milioni di sterline inglesi

Trama:

Siamo in un mondo in cui il III Reich ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e domina incontrastato sull'Europa, estendendosi fino agli Urali. L'Inghilterra è stata invasa e tutte le nazioni europee un tempo sovrane sono state incorporate nella Grande Germania, con la sola eccezione della Svizzera e del Vaticano. Soltanto la Russia guidata dall'ottuagenario Stalin continua ad impegnare l'esercito tedesco in una permanente guerriglia oltre gli Urali. La famiglia reale britannica è in esilio in Canada e formalmente governa ancora il Commonwealth, anche se sotto la stretta supervisione del regime nazista. Adolf Hitler, Joseph Goebbels e Reinhard Heydrich governano con pugno d'acciaio, dando al contempo l'impressione di guidare un sistema ordinato e pacifico, in pratica una vera e propria utopia sulla Terra in cui le SS sono impiegate come semplice forza di polizia del tempo di pace. In occasione del settantacinquesimo compleanno di Adolf Hitler, nel 1964, il presidente statunitense John Patrick Kennedy (il padre del più noto John Fitzgerald) è in visita nella Welthaupstadt Germania, la capitale del Reich Millenario nata riplasmando la vecchia Berlino. L'ambizioso progetto è un'alleanza tra gli Stati Uniti d'America e la Germania hitleriana. In questo contesto idilliaco, ecco che un cadavere nudo come un verme emerge dalle acque di un lago in un parco pubblico alla periferia della Nuova Berlino e viene visto da un cadetto che nelle prime ore di luce correva tra i boschi flirtando con la Natura. Xavier March è un agente della Kriminalpolizei (Kripo) incaricato di occuparsi dello spinoso caso. Ha alle spalle una carriera da comandante di U-Boot e un matrimonio fallito da cui ha avuto un figlio. Il cadavere rinvenuto è presto identificato: appartiene a un importante ufficiale in pensione e amico del Führer, Josef Bühler, che anni prima fu il responsabile della "riallocazione" della popolazione ebraica nei territori orientali. Il caso, già di per sé molto delicato, si complica notevolmente con la comparsa in scena di Odilo "Globus" Globocnik, Generale Comandante della Gestapo dal cognome non proprio germanico. Mentre accadono queste cose, arriva in Germania una comitiva di giornalisti americani e tra loro c'è Charlotte "Charlie" Maguire, figlia di un famoso diplomatico. Per lei è un ritorno dopo molti anni, visto che da piccola aveva abbandonato il paese a causa dell'affermarsi della dittatura. A un certo punto la donna viene avvicinata da un anziano signore che le consegna una busta. All'interno c'è una nota che le permette di risalire a Wilhelm Stuckart, un altro ufficiale del Partito, anche lui in pensione come Bühler. Arrivata alla sua dimora, lo trova cadavere. Neanche a farlo apposta, il caso viene assegnato a Xavier March. Ha inizio una girandola di eventi che permettono di classificare questo film come thriller. Nel corso delle sue indagini, l'agente della Krimilalpolizei si imbatte in qualcosa di decisamente scomodo. Nella Grande Germania l'annientamento dei deportati è una cosa di cui pochissimi sono al corrente, persino tra gli stessi membri del Partito. La versione ufficale narra del trasferimento degli Ebrei europei in Ucraina, dove operano persino ufficiali incaricati di smistare la loro fantomatica corrispondenza, mantenendo i loro contatti con i parenti in America. Come l'agente March finisce per scoprire, tutto ciò è falso: gli Israeliti "riallocati" ad Est sono stati distrutti fino all'ultimo feto. L'uomo ne rimane sconvolto e decide di operare per rendere noto al mondo intero questo orrore. Così raccoglie un ponderoso pacco di documenti e lo consegna come una castagna bollente al presidente J.P. Kennedy, saltando sulla sua macchina in corsa, in una scena rocambolesca quanto inverosimile. Il capo di stato americano, che già si sta avviando all'incontro con il Fuhrer, osserva le atroci fotografie allegate alla documentazione e prende una decisione epocale. Ordina all'autista di invertire la marcia e si rifiuta di recarsi all'appuntamento. Tornato negli States, dà inizio all'embargo e al boicottaggio, provocando una spaventosa crisi economica che finirà col portare alla caduta dei Reich Millenario, come se fosse un giocattolo di cartapesta.   

Recensione:

Una tipica ucronia, tratta dal romanzo Fatherland di Robert Harris. L'opera presenta tutte le piaghe insite in quasi ogni opera ucronica comparsa finora su questo pianeta. La sua natura è talmente naïf e puerile da meritarsi una bocciatura senza appello. Il punto di divergenza, descritto nel prologo, è il fallimento dello Sbarco in Normandia. Presto si capisce che a dispetto di questo diverso corso storico, restano immutati eventi come il bombardamento di Dresda e il lancio delle atomiche sul Giappone. Non si capisce quindi come abbia fatto Hitler a vincere la guerra. Siamo di fronte sempre al solito insidioso errore di coloro che cambiano un evento cruciale ma sono incapaci di comprendere la portata delle sue conseguenze. Manca la comprensione del fatto che il cambiamento di un evento importante altera ogni cosa, impedendo ad altri eventi importanti di accadere e generandone di nuovi quanto imprevedibili. La Storia è Caos. Ogni sistema caotico è sensibilissimo alle condizioni iniziali. Se fosse fallito lo sbarco in Normandia non ci sarebbe stato il bombardamento di Dresda e nemmeno le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. A rigor di logica dovrebbe capirlo anche un poppante, invece a quanto pare non è così. Questo inganno colpisce anche gli storici più preparati, come già evidenziato in altra occasione, nell'articolo John Collings Squire e il Principio di Conservazione della Realtà, in cui ho trattato la raccolta di racconti ucronici Se la storia fosse andata diversamente. L'approccio è sempre lo stesso: ritagliare eventi storici del nostro universo e incollarli tali e quali nel mondo ucronico, senza tenere minimamente conto della loro origine, della loro natura, delle dinamiche della loro formazione.

Die Beatles!

A un certo punto su una parete della Berlino nazionalsocialista plasmata dal genio architettonico di Speer compare un manifesto: si tratta della pubblicità di un concerto di un famoso gruppo musicale inglese. Si vedono, verdi su sfondo nero, le figure di John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison, con sopra l'angosciante scritta DIE BEATLES! A quanto pare, nell'immaginario di Christopher Menaul, il punto esclamativo è tipico di ogni pubblicità del regime hitleriano, che ovviamente non conosce consigli, ma soltanto imperativi categorici. Come a dire: andate a sentire i Beatles o vi spediamo a Dachau! L'ingenuità di tutto questo è disarmante.

Pubblico in questa sede un thread sull'argomento, sviluppatosi il 3 dicembre 2017 su Facebook: 

  Marco Moretti: Ieri sera ho visto Fatherland (1994, diretto da Christopher Menaul, con Rutger Hauer). Se devo essere franco, l'ho trovato una colossale stronzata. Come al solito quando si tratta di ucronie, non si vuole proprio capire che gli eventi propagano. Solo per fare un esempio, in un'Europa dominata da Hitler non si sarebbero formati i Beatles. 

  Giovanni De Matteo: Il film non l'ho visto, ma il libro era notevole. E non mi pare portasse in scena i Fab Four :)

  Marco Moretti:  Nel film compare un manifesto che li mostra, con la scritta "DIE BEATLES!" Non ho letto il libro, ma conto di farlo presto. Immagino che moltissime inconsistenze del film abbiano la loro radice nel romanzo. Non mancherò di recensire sia il film che il libro. Si noterà che Dick aveva gestito meglio l'argomento...

  Giovanni De Matteo: Però in questo caso serve proprio a dare un senso alla pervasività culturale della dittatura. I Beatles magari si sarebbero chiamati così ma non avrebbero fatto le stesse canzoni e sarebbero stati sicuramente asserviti all'agenda del partito.

  Marco Moretti:  I quattro forse sarebbero esistiti comunque come persone fisiche, visto che Lennon e Starr sono nati nel '40, McCartney nel '42 e Harrison nel '43. Tuttavia le condizioni della formazione sono state così delicate che non sarebbe potuta avvenire in un'Inghilterra tanto diversa: troppi eventi delicatissimi in causa.


  Giovanni De Matteo: Questo è senz'altro vero, ne facevo un discorso più generale.

  Roberto Furlani: Posto che le ucronie con il nazismo che ha prevalso hanno letteralmente triturato i cosiddetti, se non si fossero formati i Beatles non sarebbe di certo stata la conseguenza peggiore della tirannia teutonica. Mi avrebbe seccato più rinunciare alla libertà che a "Yellow submarine".

  Giovanni De Matteo: Vera la prima parte, ma in un trittico ideale di letture sul tema The Man in the High Castle, Fatherland e The Plot against America ci stanno tutti. Sono forse le uniche letture veramente necessarie. Però a me i Beatles sarebbero mancati, anche in quanto sinonimo e paladini della liberazione dei costumi.

  Marco Moretti: Se Hitler fosse riuscito a prevalere, o non esisteremmo fisicamente, oppure avremmo un sentire tanto diverso che non sapremmo nemmeno che definizione dare al concetto di "libertà": senza un confronto con il nostro mondo la questione sarebbe di lana caprina. La mia considerazione sui Beatles non riguarda tanto la politica, quanto l'ontologia temporale, ossia la natura del tempo.

  Giovanni Agnoloni: Diciamo, Giovanni, che difficilmente avrebbero potuto fare peggio di obladì obladà :D

  Giovanni Agnoloni: E Across the Universe, e A Day in the Life

  Roberto Furlani: Ho l'impressione che abbiamo le stesse preferenze. ;)

  Marco Moretti: Se lo sbarco in Normandia fosse fallito (presupposto del film), anche il corso della guerra degli USA contro il Giappone non sarebbe stato quello che conosciamo. Tutti gli eventi posteriori al 6 giugno 1944 sarebbero stati molto diversi. Il problema è che non abbiamo elementi per effettuare una ricostruzione attendibile. Non comprendiamo bene le variabili in causa. Per quanto riguarda la trama del film, la trovo raffazzonata. Il finale è a dir poco precipitoso. Ne consiglio comunque la visione.

  Alex Tonelli:  Anche Turtledove si cimento' con una ucronia simile... ah.. Eleonor Rigby is the best! :)

  Marco Moretti: Però nei romanzi di Turtledove il punto di discontinuità era l'invasione della Terra ad opera di una specie di giganteschi lucertoloni, quindi un elemento estraneo alle dinamiche storiche umane. Per quanto riguarda le canzoni dei Beatles, non mi piacciono un granché: quando si sono formati i miei gusti musicali, mi sembravano già obsolete.

  Alex Tonelli: Caro Marco mi riferivo a questo:


  Marco Moretti: Ti ringrazio della segnalazione, non ne ero a conoscenza. Del resto Turtledove non è tra i miei autori preferiti. Interessante la pagina di Fantascienza.com, in cui spicca uno splendido "tré figlie".

Trovo interessante l'intervento di Roberto Furlani sulla natura molesta di questo genere di letteratura e di filmografia. Ribadisco che le ucronie fondate sul Nazionalsocialismo si sono sviluppate in una mala pianta e sono devastanti: equivalgono a mettere i cabbasisi su una grande lastra di marmo e a far gravare su di loro una pila di volumi della Treccani, fino al completo spappolamento! Per quanto mi riguarda, poteva ben bastare il romanzo dickiano La Svastica sul sole (The Man in the High Castle), che pure presenta pecche di non poco conto, come ad esempio il finale inconsistente.

I Beatles nel romanzo di Harris

A dire il vero, nonostante il buon Giovanni De Matteo non lo ricordi, i Beatles sono stati portati in scena nelle pagine del romanzo di scarsa utilità da cui è stato tratta l'opera di Menaul. Vero è che non sono menzionati per nome, tuttavia il riferimento è inequivocabile. Eccolo: 

Un pezzo del critico musicale che attaccava i "lamenti perniciosi e negroidi" di un complesso di giovani inglesi di Liverpool, che aveva suonato di fronte a una folla strabocchevole di giovani tedeschi ad Amburgo.

No, i Fab Four non sono immaginati mentre cantano testi dettati nell'agenda della NSDAP, ad esempo qualcosa del tipo: "Alle armi, Camerati, per l'ultima battaglia razziale! Il giorno dello sterminio dei subumani è arrivato! La Svastica splende nel cielo come un milione di soli, annunciando il trionfo eterno della Razza Ariana!" Anche perché simili canzoni erano tipiche degli Alte Kämpfer, i vecchi combattenti della NSDAP ai tempi di Weimar, i Protonazisti. Che bisogno ci sarebbe di cantare queste cose in un'epoca in cui l'agenda politica del Partito si è realizzata, in cui si è immanentizzato l'Eschaton? Nessuno. Allo stesso modo, nemmeno si è pensato di far esibire i cantanti di Liverpool con un testo di Imagine in cui anziché "and no religon too" si sente "and not a single jew". Perché mai si dovrebbe, se di fatto - a quanto la gente ne sa - nella Grande Germania non c'è davvero più un solo ebreo? Infatti Harris non arriva a tanto. I Fab Four cantano proprio Ob-La-Di Ob-La-Da, Yellow Submarine, Lucy in the Sky with Diamonds e altri brani del loro repertorio, a cui siamo abituati fin da giovani. Questo pone problemi concettuali molto gravi. Come può credere Harris che nel Reich di Hitler sarebbe possibile anche soltanto qualcosa che va contro i princìpi del Nazionalsocialismo tedesco? Evidentemente Harris non sa nulla del Nazionalsocialismo, come non ne sa nulla Menaul.

Un finale senza senso

Dovrei definirlo "un finale meritevole di irrisione", ma non lo faccio perché non irrido i Morti. Proprio perché rispetto i Morti, penso che quanto concepito dalla mente di Harris e di Menaul sia qualcosa di inverecondo. Trovo molto difficile credere che un agente della Polizia Criminale del Reich possa saltare sulla macchina del presidente John Patrick Kennedy, consegnandogli le prove del Genocidio e convincendolo di colpo a rinunciare all'alleanza con Adolf Hitler. Secondo voi che sarebbe successo? Ecco come sarebbe andata se un evento simile fosse davvero accaduto. Primo: il Presidente degli USA, vedendo Xavier March, si sarebbe subito chiesto: "Chi cazzo è questo minchione?". Secondo: avrebbe gettato via i documenti, sdegnato. Persino di fronte alle foto, avrebbe pensato che fossero il frutto di qualche manipolazione, quindi in sostanza dei falsi. Il finale presuppone che Xavier March coi documenti sull'Olocausto sarebbe stato in grado di trasmettere a J.P. Kennedy tutta la sensibilità sull'argomento che è tipica del nostro corso storico e che è frutto di decenni di martellanti campagne di informazione che raggiungono tutti già fin dalla più tenera età. No. Il vecchio Kennedy non avrebbe fatto nulla nemmeno di fronte a qualche foto di persone morte di stenti e sottoposte a inaudite brutalità. Prima di tutto perché egli stesso proveniva da un paese in cui un feroce antisemitismo era diffuso in modo capillare (Harris ci rammenta che nei club di Boston non era stato ammesso un solo ebreo da cinquant'anni). Inoltre vale il principio della non trasferibilità istantanea di esperienze complesse. J.P. Kennedy non era stato educato in un sistema scolastico fondato sull'antifascismo e sull'antinazismo, in cui Adolf Hitler è giunto ad assurgere a Male metastorico. Non aveva mai letto il Diario di Anna Frank. Non aveva mai visto Schindler's List di Steven Spielberg. Non aveva mai visto Shoah di Claude Lanzmann. Non era mai stato esposto durante l'infanzia a un gran numero di foto in bianco e nero di montagne di cadaveri. Non poteva avere alcuna sensibilità sulle persecuzioni degli Israeliti, proprio perché la sua intera esistenza era il frutto di un mondo molto distante dal nostro. Ancora una volta, gli ucronisti ritagliano qualcosa dalla nostra realtà e lo appiccicano sulle loro costruzioni mentali, facendone qualcosa di incongruo.

Hitler, March e la coscienza

C'è un'altra cosa degna di nota. Il film vuole farci credere che un membro a tutti gli effetti del Partito Nazista, Xavier March, subisca nel corso degli eventi una sorta di sconvolgimento morale, che lo porta ad abbordare il Presidente degli Stati Uniti, con l'intento di metterlo di fronte ai crimini di Hitler. C'è tuttavia un problema in questa narrazione fumettistica. Adolf Hitler riteneva la coscienza, ossia la capacità di distinguere il Bene dal Male, una pura e semplice "invenzione giudaica" e una "sudicia tirannia". Egli affermava di essere venuto per cancellarla. Voleva dare origine a un Uomo Nuovo completamente sprovvisto di coscienza, la cui morale fosse un'emanazione dei princìpi del Nazionalsocialismo, il cui sole radiante era proprio il Führer, incarnazione mistica della Germania. A scuola non lo insegnano, ma si trattava di una religione vera e propria, non di un banale "odio per la diversità". Ecco, in una ventina di anni dopo il trionfo bellico, il Nazionalsocialismo sarebbe riuscito a cancellare il concetto di coscienza dal Reich e a sostituirvi i propri contenuti. Credo che sia impensabile immaginarsi un agente della Polizia Criminale immune da questo condizionamento profondo, da questa educazione religiosa fanatica. Facciamo un esempio concreto ma significativo. Nel sistema morale hitleriano, bere in eccesso era per un membro del Partito un significativo fallimento morale, mentre uccidere un prigioniero durante un interrogatorio era considerato irrilevante. Pensate che un uomo cresciuto in un simile contesto tremerebbe come una gelatina di fronte a qualche fotografia di gente torturata e uccisa? Non gliene importerebbe nulla, e mai arriverebbe anche solo a concepire di tradire la propria Patria per questo. Ovvio, stiamo parlando di concetti fuori dalla portata di Harris e di Menaul, che faticherebbero meno a capire le categorie di un popolo alieno abitante oltre gli ultimi Quasar. Ecco perché le loro opere hanno la stessa credibilità del personaggio di Attila Canarinis interpretato da Totò.

martedì 25 settembre 2018

LA LINGUA OLONETS DI HELLICONIA

Sono sempre stato affascinato dal Ciclo di Helliconia, del grande Brian W. Aldiss (RIP), fin dal primo istante in cui gettai gli occhi sulla copertina del primo volume della saga. Ero ancora uno squallido nerd liceale, quando acquistai La primavera di Helliconia e sprofondai in poltrona immergendomi nella densa lettura, che aveva su di me il potere di annullare i confini stessi dello spaziotempo e di teletrasportarmi sul mirabile pianeta di un sistema stellare doppio, plasmato dalla fantasia dello scrittore britannico. Quella stessa estate mi immersi nel secondo volume, L'estate di Helliconia, quindi l'anno successivo nel terzo, L'inverno di Helliconia, che però mi parve abbastanza sconclusionato e non all'altezza dei primi due. Dal momento che la linguistica e la filologia sono le mie più grandi passioni, la situazione linguistica del magnifico globo terracqueo helliconiano ha destato all'istante il mio profondo interesse. Ogni tanto, nel corso degli anni, prendevo i volumi di Aldiss e me li rileggevo tutti di un fiato, uno dopo l'altro, rimuginando molto e approfondendo i miei studi. Come ben sanno gli estimatori del Ciclo di Helliconia, il pianeta orbita in un sistema di due stelle e possiede tre masse continentali: il continente centrale, storicamente più importante è Campannlat, a settentrione troviamo il glaciale Sibornal e a meridione, isolato e bistrattato, Hespagorat. La lingua più diffusa nei continenti di Campannlat e di Hespagorat è chiamata Olonets, mentre a Sibornal è parlato il Sibish, caratterizzato da parole molto lunghe e da una grammatica assai complessa. Non sussistono somiglianze evidenti tra le lingue Olonets e Sibish. Si noterà che il nome Olonets è identico a quello di una lingua di ceppo uralico parlata in Carelia (Finlandia e Russia). Ci tengo a precisare che questa omonimia non deve ingenerare confusione: si tratta di due idiomi privi di relazione. Non è dato sapere, al momento, se lo scrittore inglese abbia tratto ispirazione dal nome della lingua uralica, dandone una diversa etimologia, o se si tratti di una mera coincidenza.

Filologia helliconiana su Facebook!

Il 16 ottobre 2013 ho pubblicato su Facebook alcuni post sulla lingua Olonets di Helliconia, dando vita a un interessante thread, che riporto in questa sede, aggiungendovi alcune note: 

Marco Moretti: Per rilassarmi mi dedico a un hobby decisamente ozioso: la ricostruzione della lingua Olonets di Helliconia a partire dalle testimonianze sparse nei libri di Brian Aldiss e seguendo una logica rigorosa. Le sue parole sono composte: tutto sta ad identificare il senso dei componenti. Così Mordriat è la terra dei Driat, e c'è anche Morstrual: si deduce che "mor" significa "terra", "paese". Se Akhanaba è Akha di Naab, segue che il genitivo singolare dei nomi propri esce in -a. Ho già un piccolo vocabolario. Essendo "rathel" il kumis e "beethel" l'idromele, conoscendo la tipica struttura delle parole Olonets, deduciamo che "el" è il vino, "rath" è il latte e "beeth" è il miele. Kacol è un fiume che scorre nella terra dei Kaci: ecco dedotto che "ol" è il fiume.

Giusy Rombi:  E Mordor...* 

*In realtà nel tolkieniano Mordor a significare "terra" è l'elemento "-dor".

Marco Moretti: In effetti Aldiss ha preso ispirazione da molte fonti disparate. Così ecco Oldorando, che somiglia a Eldorado; il Pontefice della Chiesa di Akhanaba è definito C'Sarr, senza dubbio ispirato da Zar. Ha persino definito "baranboim" dei giganteschi strumenti musicali, verosimilmente dei piatti di bronzo, ispirandosi al direttore di orchestra Daniel Barenboim. Possiamo dedurre che la prima parte di "baranboim" sia "baran" e significhi "tuono".

Giusy Rombi: Con un cognome così, si può pensare solo a qualcosa di grande :-)

Marco Moretti: Di certo fa il suo effetto, ha un che di onomatopeico.

Giovanni De Matteo: Sul resto posso concordare con la tua dotta ricostruzione, ma sull'ultima mi permetto di dissentire: Kacol potrebbe essere la forma primitiva e Kaci l'appellativo derivato da essa, sul modello dei rapporti tra regioni e popolazioni nel latino. 

Marco Moretti: Lo credo estremamente improbabile, dato che l'Olonets è una lingua chiaramente agglutinante, in cui le parole si formano aggiungendo suffissi o prefissi alle radici, o tramite composizione di più radici. Esiste un suffisso -i con funzione aggettivale che designa nazionalità, così Uskuti indica le genti di Sibornal. Allo stesso modo Kaci è formato dal nome della regione Kace, ben documentato e non analizzabile. La capitale di Kace è Akace, con un prefisso a-. Inoltre in latino esistono due tipi di formazione. La prima permette di ottenere nomi di popoli tramite suffissi a partire da nomi di luogo, come Romani da Roma, Albani da Alba, etc. La seconda dà origine a nomi di nazioni e di terre a partire da nomi di popolo non analizzabili, come Gallia da Galli, Aquitania da Aquitani, Celtica da Celti, etc. In entrambi i casi non si sottrae, ma si aggiunge in modi diversi. Il latino era comunque una lingua flessiva molto diversa come logica dall'Olonets.

Marco Moretti: Un rampicante che cresce vicino alle acque è detto "olvyl": anche se non ho ancora identificato il secondo membro del composto, il primo è "ol", ossia "fiume". Esiste poi un secondo "ol", derivato da "olle", che significa "dieci", come nel nome della lingua, che l'autore ci dice derivare da "olle" e da "onets", ossia "Dieci Tribù".

Marco Moretti: Pannoval è un toponimo composto da "panno", che significa "tenebra", e da "val", che significa "grande". E' infatti il nome di una città sotterranea. Ora, sapendo che "slanje" significa "idiota" e che un funzionario del Re JandolAnganol si chiama Slanjival, personaggio grottesco che l'autore presenta per destare ilarità, si trova conferma del fatto che "val" significa "grande"**. Il continente glaciale di Hespagorat annovera Hespateh tra le sue terre: "hespa" significa "ghiaccio". Aldiss glossa "poop" come "ponte", con diverse varianti volgari come "pup", "pu", ma anche "poo-", etc. Così ci sono due città costiere del distretto di Throssa che si chiamano Popevin e Pegovin, da cui si estrae "vin", che significa "costa". Popevin è dunque la Costa del Ponte. Vi sono regioni che hanno nomi anteriori alla diffusione dell'Olonets, derivati quindi da sostrati poi scomparsi. Lo si capisce dal singolare aspetto fonetico. Così Ponpt sembra Olonets come "pizza" sembra inglese: in epoche tarde il nome è stato assimilato in Ponipot per esser reso pronunciabile.

**La semantica è assai chiara: slanje "idiota" ha il significato centrale di "membro virile". Così Slanjival, il Grande Idiota, è letteralmente il Cazzone. 

Marco Moretti: Posso anche provare che le teorie evoluzionistiche di Aldiss sono posticce e che la versione che lui stesso ricostruisce della storia di Helliconia è fallace. Se l'Olonets si fosse originato nel continente di Hespagorat, come mai le genti di quel luogo avrebbero antroponimi chiaramente non Olonets e di una sonorità che ricorda quella dello spagnolo? Semplice: basta trascrivere tutti gli antroponimi di Campannlat e di Hespagorat contenuti nei libri di tale autore e classificarli per struttura fonotattica, per trovare così conferma di non poche anomalie.*** 

***In realtà le cose non sono sempre così tranquille: sembra che ogni persona su Helliconia porti un nome unico e irripetibile. 

Un intensissimo senso dell'ironia

Un brano molto importante de L'estate di Helliconia, che è stato per me il punto di partenza su cui fondare la filologia helliconiana, è il seguente:

– Senti, Sartori – aveva detto la donna, dandogli una piccola pacca su una spalla, – sono convinta che avremmo potuto dimostrare che i due continenti un tempo erano uniti, semplicemente studiando le vecchie mappe conservate in sala nautica. C’è Purporian sulla costa di Radado, ed un porto chiamato Popevin su quella di Throssa. «Poop» significa ponte in olonets puro, e «pup» o «pu» significa la stessa cosa in olonets locale. Il passato è racchiuso nel linguaggio, se si sa dove guardare.

E ancora:

Ci avvicineremo presto a Keevasien, una città costiera. Come sai, «ass» o anche «as» in olonets puro significa mare… l’equivalente di «ash» in pontpiano.

Ebbene, soltanto a distanza di anni mi sono accorto della salacità delle glosse. Ponte è "poop", mare è "ass". In inglese queste parole significano rispettivamente "merda" e "culo"

Glossario Olonets

Raccogliamo qui le voci da me studiate nel corso degli anni, che possono essere glossate in modo certo o comunque altamente probabile, proponendoci di riuscire in futuro ad ottenere un dizionario più esteso. Il principio di base che ho seguito è quello della natura composta e analizzabile della maggior parte delle parole con più di una sillaba. Mi sono astenuto dal riportare casi reputati ancora molto incerti. Credo che questa sia in assoluto la prima raccolta di parole della lingua Olonets in tutto il Web.

afram "un'erba usata per tingere di rosso" 
Akha
"Divinità Ctonia" 
albic
"un rampicante con cappucci rossi e
     arancioni" 

arang "capra"
asien "luogo marino"
asokin "cane cornuto"
ass "mare"
assat "lucertola; freccia"
assatassi "pesce lucertola"
assi "pesce di mare"
at "alto"
bag "immenso, gigantesco"
bar "rumore"
baral "crepitante, rumoroso"
baran "tuono"
baranboim "voce di tuono" (strumento musicale)
Bardol "Chiassoso" (n. pers. m.)
Batalix "il Sole Fioco" (una nana rossa)
beeth "miele"
beethel "idromele"
biyelk "grande bufalo necrogeno"
boim "voce, suono"
brassim "arbusto produttore di tuberi"
brassimip "tubero amaro"
breg "bue"
brooth "spina, tribolo"
casp "oro"
caspiarn "foglie d'oro"
char "petali"
charfrul "tonaca"
childrim "sogni a occhi aperti"; "una creatura
     aerea del Grande Inverno" 
creaght "giovane maschio di phagor"
C'Sarr "Pontefice"
denniss "sicomoro"
eddre "cuore, spirito"
ej "frutto"
el "bevanda inebriante"
dundar "torre"(1)
fessup "ombre dell'Ade"
fillock "giovane femmina di phagor"
flam "icore, sangue giallo"
flambreg "bovino dal sangue giallo"
flugg "trillo"
fluggel "sfera del trillo" (strumento musicale)
fral "veste"
Freyr "il Sole Lucente" (una gigante azzurra)
gillot "femmina adulta di phagor"
glee "gobba"
Gleeat "Gobba Alta" (nome di un'isola)
glossy "crisalide"
gor "testa; cima, punta"
gorat "vetta"
gossie "ombre dell'Ade"
grav "roccia, scoglio"
grava "di roccia"
gravabag "roccaforte"
Gravabagalinien "Luogo sul Golfo della Rocca"
greeb "coccodrillo"
gunnadu "antilope necrogena"
gwing-gwing "un frutto a grappoli"
harney "cervello"
hel "globo, sfera"(2)
Helliconia "Globo Terracqueo"(3)
hespa "ghiaccio"
Hespagorat "Vette Ghiacciate"
hoxney "cavallo"
hrattock "idiota; ano"
hurdhu "lingua franca"
idront "edera"
jass "neve"
jassikla "bucaneve"
jeodfray "un rampicante con fiori rossi e arancioni"
jonnik "ardente"
kaidaw "animale simile all'alce"
keedrant "mantello, veste lunga sul davanti"
keev, kee- "davanti"
Keevasien "Luogo Davanti al Mare"
khmir "lussuria"
lin "baia, golfo"
Madi "un popolo di ominidi"
Madura "Deserto dei Madi"
mel "lana"
mor "terra, paese" 
 
myllk "pesce a due braccia" 
myrk
"luce fioca"
Myrkwyr "apparizione della luce fioca"
Naab "Profeta"
Naba "del Profeta"
Nondad "un popolo di ominidi"
ol "fiume"
olle "dieci"
olvyl "tipo di rampicante"
onets "tribù"
os "città"(4)
Osoilima "la Città di Oilim"
pan "re"
pandum
"regno" 

panno
"tenebra"
Pannoval "Grande Tenebra" (nome della Città
     Santa)
pauk "trance"
pecubea "un uccello canoro"
peete "zampogna"
pha "due"
phagor "ancipite" (lett. "che ha due punte")
Phar "Doppio" (n. pers.)
Ponptpandum "Regno di Ponpt"
 

poop "ponte"
preet "pappagallo"
raige "un'erba aromatica dolciastra"
ram "scuro, nero"
raj "tronco"
rajabaral "tronco crepitante"
rath "latte"
rathel "bevanda alcolica di latte di scrofa"
roon "orso"
rumbo "copula, scopata"
rungeb "cresta"
rungebel "sciroppo oppiaceo"
runt "bambino di phagor"
rusty "cenere"
Rustyjonnik "Cenere Ardente" (nome di vulcano)
Sataal "Arciere" (n. pers. m.)
scant "aroma"
scantiom "erba aromatica"
slanje "pene; idiota"
snoktruix "guaritrice"
squaan "piccola spina"
squaanej "frutto spinoso"
stallun "maschio adulto di phagor"
stam "orina"
stammel "lana grezza tinta con l'orina"
stung "bruco"
stungebag "bruco immenso" (un animale del Grande
     Inverno)
tenner "mese"(5) 
tether "annientamento" (stato di dissolvimento dei
     phagor)
timo "strisce bianche e nere"
timoroon "tasso, orso striato"
trittom "sesso orale"
uct "sentiero migratorio"
ura "deserto"
val "grande"
veronika "tabacco"
veronikane "pipa"
vin "costa"
vispard "tipo di arbusto"
vrach "cembalo"
Weyr "Grande Inverno"
with "notte"
Withram "Notte Oscura" (dio della tenebra)
Wutra "Splendore Diurno" (divinità uranica)
 
yad (-iad) "libro"
yarn (-iarn)
"foglia" 

yarrpel "tipo di rampicante"
yelk "bufalo necrogeno" 
yelk-yob
"fellatore di bufali" (insulto)
yob "fellatore, succhiacazzi"
yom (-iom) "erba"
yoodhl "liquore di alghe" (< Sibish yadahl)
zadal "tipo di arbusto" 

(1) La parola è un prestito dall'antica lingua di Ponpt. Gal-Dundar "Mille Torri". L'interpretazione è mia. 
(2) Dalla lingua dei Phagor hrl.
(3) Dalla lingua dei Phagor Hrl-Ichor Yhar.
(4) In Olonets volgare è osh.
(5) Dalla lingua dei Phagor T'Sehn-Hrr, glossato "Decimo", ossia "decima parte dell'anno".

Per quanto riguarda i nomi degli animali, come arang "capra", la glossa è ovviamente una semplificazione concettuale, indicando l'animale helliconiano più simile per aspetto a quello terrestre, pur potendo sussistere significative differenze biologiche. Così il simil-equino detto hoxney è glossato come "cavallo", anche se la sua riproduzione comporta una fase invernale di ibernazione allo stato di crisalide, che non si riscontra nei nostri mammiferi. Si noteranno alcune interessantissime consonanze col semitico:

casp "oro" - ebraico keseph "argento"
     < protosemitico *KASPU "argento" 
Naab "Profeta" - ebraico nabhi "profeta", arabo Al Nabi "Il Profeta"
     < protosemitico *NABI:'U "profeta" 

Sarebbe interessante capire il motivo di queste assonanze, se siano dovute al caso o a una possibile conoscenza di qualche lingua semitica da parte dell'autore. In altri casi sembra invece che le parole Olonets siano state coniate a partire a partire dall'inglese o da altre lingue europee. Ad esempio scantiom "erba aromatica" è stato forse ispirato dall'inglese scent "odore", mentre lo strumento musicale denominato fluggel è forse stato ispirato dal tedesco Flügel "pianoforte a coda", anche se descrive qualcosa di completamente dissimile. Il fluggel è infatti uno strumento che sta nel palmo di una mano.

Tre falsi vocaboli Olonets

A distanza di anni mi sono reso conto che alcune parole, riportate come Olonets nella versione italiana de L'estate di Helliconia, hanno in realtà un'altra e più banale origine. Si tratta dei seguenti vocaboli: tabor, un tipo di strumento musicale; alcanna, un tipo di erba; coz, evidentemente un termine di rispetto usato tra nobili. Innanzitutto tabor è una parola... inglese! Significa "tamburo" e ha anche la stessa etimologia. Non si usa più molto, essendo stata rimpiazzata da drum, eppure esiste. Non riconosciuto, questo tabor è rimasto non tradotto nella versione in italiano. La parola alcanna in inglese significa henné ed è di origine araba. Anzi, è proprio una variante di henné con l'articolo arabo al. Nella versione spagnola del romanzo è correttamente tradotta con "henna". La parola coz non è altro che una forma colloquiale dell'inglese cousin "cugino". Ancora una volta, mentre nella traduzione in italiano la parola resta immutata e viene evidenziata in corsivo, come se fosse Olonets, nella traduzione in spagnolo compare correttamente come "primo", ossia "cugino". Evidentemente il traduttore in spagnolo si è dimostrato più competente del traduttore in italiano! 

Un falso toponimo Olonets

Vediamo che nel Ciclo di Helliconia è conosciuta come Veldt un'area di grandi pascoli. In realtà esiste in inglese la parola veldt, solitamente scritta veld e traducibile con "pascolo aperto o prateria". In genere è usata per descrivere il paesaggio del Sudafrica e di alcune nazioni limitrofe. Infatti si tratta di un prestito dall'olandese veld, veldt "campo", la cui origine è proprio la stessa dell'inglese field. A quanto pare Brian Aldiss non aveva piena fiducia nelle sue capacità di glottopoiesi e introduceva in modo insidioso nella sua opera vocaboli peculiari quanto appartenenti a lingue terrestri, beandosi del fatto che non sempre ne è agevole il riconoscimento.

Nuove parole composte 

Con i vocaboli sopra riportati è possibile coniare numerosi composti, non attestati nell'opera di Aldiss, che obbediscono però a una logica rigorosa:

assos "città di mare"
asval
"oceano" (lett. "grande mare")
beethip "miele amaro"
Borlienos "le città di Borlien"
Borlienpan "Re di Borlien"
Borlienpandum "Regno di Borlien"
caspel "globo d'oro, sfera d'oro"
caspiad "libro d'oro"
eddrival "magnanimo" (lett. "dall'anima grande")
eddrivaldum "magnanimità" 

elip "aceto" (lett. "vino aspro")
elram "vino rosso" (lett. "vino nero")
gorram "testa nera"
gorval "grande testa"
keemor "davanti al paese"
keevass "davanti al mare"
keevol "davanti al fiume"
keevonets "davanti alla tribù"
keevos "davanti alla città"
khmirval "grande lussuria"
Morden "la terra dei Den"
Mortal "la terra dei Tal"
Oldorandpan "Re di Oldorando"
Oldorandpandum "Regno di Oldorando" 
olram
"fiume scuro"
olval "grande fiume"
osval "grande città"
Pannovaliad "il Libro di Pannoval"
Pannovalos "le città di Pannoval"
Pannovalpandum "Regno di Pannoval"
phardum "dualità"
Ponptos "le città di Ponpt"
popeval "grande ponte"
rathip "latte acido"
slanjidum "stoltezza"
valdum "grandezza"
yobix "fellatrice"

Sarebbe stato bellissimo discutere di questi argomenti con Brian Aldiss. Purtroppo non è più possibile farlo, dato che si è spento nel 2017 e che non sono disposto a ricorrere a pratiche necromantiche per evocare la sua ombra.

giovedì 12 luglio 2018

ABITUDINI ALIMENTARI AGGRESSIVE TRA I PASSERIFORMI

In Facebook frequento numerosi gruppi dedicati alla fauna, in particolare a rettili, uccelli, insetti e altri artropodi. Ogni tanto mi imbatto in interventi di estremo interesse. Il 16 maggio 2018 nel gruppo ERPETOLOGIA: Official Group - Rettili, Anfibi, Aracnidi ed Insetti è comparso un post di Flavio Brand sulle raccapriccianti abitudini dell'avèrla, un simpatico passeriforme che compie spaventose opere di tortura e di macelleria ai danni delle proprie vittime, che possono essere lucertole, rospi, topi, insetti e persino altri uccelli. In realtà non si tratta di un'unica specie, bensì di una numerosa famiglia, i Laniidae. Il nome scientifico di questi uccelli deriva dalla parola latina lanius, di origine etrusca, che significa "macellaio", "sacrificatore", "carnefice".


Riporto in questa sede il post che ha attratto la mia attenzione, seguito dai commenti degli utenti. Errori e refusi sono degli autori. 

Flavio Brand:
Chi potrebbe essere così spietato da impalare una povera ed innocua lucertola? Fortunamente l'uomo non c'entra nulla in questo caso... colui che commette questi efferati crimini é l'avérla, un uccello passeriforme denominato Falconcello.
Questo passerotto molto carino ma sanguinario, é lungo circa 18 cm e pesa dai 35 ai 70 grammi. Uno dei tanti uccellini che si sentono cinguettare sulle colline e sui centri a più di 2000 metri sul livello del mare.
Anche in Italia si trova in quasi tutti i boschi o nei campi del paese, tranne in Sicilia e nel Salento. L’avrete quindi visto durante una gita in campagna e ne avrete lodato la simpatia, perché probabilmente non sapete che l’avèrla è uno degli assassini più spietati in natura. È chiamato anche uccello macellaio per la sua abitudine tutta particolare di puntare le prede da una postazione di avvistamento e poi di infilzarle su di un rovo o su qualcosa di acuminato e mangiarle piano piano qualora le prede siano di grosse dimensioni.
Una rarità nel regno animale, in cui solitamente i predatori uccidono alla svelta, solo per sopravvivenza.
L'averla si nutre di piccoli topi, di lucertole, di cavallette, di insetti e persino di altri uccelli, mangiandoli un po’ alla volta dopo che li ha impalati sullo spiedo, che può essere il rovo di un roseto o il filo spinato.
L'avèrla uccide anche quando non ha fame, impalando le vittime per poi tornare in seguito a nutrirsene.
Ovviamente la tecnica di caccia dell'averla, per quanto spietata possa sembrare é un espediente trovato per sopperire alla mancanza di artigli che hanno i predatori piu grandi ed assicurarsi pasti sostanziosi.

Marco Moretti:
Che non sia un "espediente" lo dimostra il fatto che tali costumi non sono affatto comuni tra i passeriformi.

Davide Noviello:  
La definizione di passerotto è davvero fuori luogo per un'averla, visto che appartiene al genere Lanius, famiglia Lanidi e non ha alcuna parentela con i passeri. Il fatto che appartenga all'ordine dei passeriformi non la accomuna ai passeri, del resto anche i corvidi sono passeriformi, ma nessuno chiamerebbe passerotto una cornacchia.

Stefano Piccioli:
Anche Cince e Cinciarelle non scherzano in fatto di aggressività alimentare, specie durante il freddo delle stagioni invernali. Queste due specie non esitano ad attaccare e ad uccidere altri Passeracei, come gli Organetti, per perforarne il cranio e nutrirsi del loro cervello, organo ricchissimo in lipidi, utili a questi piccoli "assassini" per difendersi dal freddo...

Gianfranco Zrcadlo Russo:
ho visto molte foto in cui le cince d'inverno ripuliscono le ossa spolpate dei cervi abbandonate dai lupi... rosicchiano i resti di grasso...

Google, come tutti i poteri del mondo, cerca con ogni mezzo di nascondere tutto ciò che è scomodo, così non è agevole reperire materiale fotografico sulle azioni scellerate dei sadici volatili. Ovviamente, se ci si mette d'impegno, si riesce a trovare il modo di superare gli ostacoli. Per contemplare cose davvero truci, suggerisco questi link: 



Stupisce la foto di un'avèrla che ha impalato un pettirosso, ridotto a un batuffolo di piume. Per non parlare di una lucertola trafitta da una lunga spina, con gli occhi pietrificati dalla sofferenza, come se in pochi secondi avesse incontrato un fato peggiore di mille morti. Davanti a questi orrori, i materialisti non sono in grado di fornire una risposta convincente. Cercano di razionalizzare le peggiori atrocità, pretendendo ogni volta di ridurle a qualcosa di accettabile che esenti la Natura da ogni colpa e che impedisca alle genti di vedere nell'esistenza qualcosa di negativo. Una simile propaganda, che per decenni ha avuto in Piero Angela il suo apostolo, si potrebbe definire banalizzazione del Male. La sua matrice, mi sembra utile farlo notare, poggia sulle dottrine evoluzionistiche di Darwin. Tanto si è dimostrato pervasivo il martellamento mediatico e scolastico, che ne vediamo all'opera i frutti anche in persone che non si definiscono materialiste. Così ecco che Flavio Brand nega innanzitutto la natura crudele delle avèrle aguzzine, quindi attribuire le loro attitudini a qualcosa di futile: non avendo questi uccelli artigli sviluppati, eccoli costretti ad evolvere raffinate tecniche di tortura per potersi nutrire. L'assurdità di una simile opinione è di per sé evidente. Sarebbe come affermare che avendo Ted Bundy i nervi delle mani un po' deboli, si è visto costretto ad assassinare decine di ragazze, sodomizzandole da vive e da morte, seppellendole nei boschi e andando di notte ad aspirare i lezzi della loro putrefazione!

Questo è riportato nel Compendio del Dualismo Anticosmico (cap. 5) a proposito dei materialisti che si affannano a far cozzare nelle categorie del Darwinismo aspetti della realtà non riducibili alla mera biologica: 

«Essi agitano davanti a noi lo spettro di un Rasoio di Occam utilizzato male, ossia di uno pseudo-Rasoio di Occam, e poi forniscono per ognuna delle evidenze da noi mostrate una spiegazione diversa e del tutto inverosimile, negando alla radice proprio quello strumento concettuale che dicono di utilizzare. Essi balbettano di “educazione all’istinto di caccia” di fronte alla crudeltà delle orche e di “conseguenze di un’epidemia di peste bovina” o di “mal di denti” di fronte ai Mangiatori di Uomini di Tsavo. Biascicano di “conseguenze di una malattia virale” di fronte alle vespe parassitogene e di “schizofrenia” di fronte ai cannibali. Una data aberrazione sessuale sarebbe dovuta a una “strategia riproduttiva”, mentre una data altra sarebbe dovuta a “parestesia”, ossia a “errata interpretazione dei dati sensoriali”. Un dato fenomeno naturale è per loro dovuto a qualcosa di completamente dissimile da ciò che muove un fenomeno diverso: non hanno alcuna visione di insieme. Così biasimano noi perché ammettiamo Due Princìpi in quanto mossi dalla necessità effettiva, mentre loro si fanno beffe di ogni principio di economia di pensiero e sciorinano enciclopedie di teorie per spiegare quelle che sono soltanto le conseguenze di un’unica causa: il Male Metafisico

Su Quora il problema della definizione del Bene e del Male desta ancor più inquietudine che su Facebook, specialmente in rapporto alla Natura. C'è chi nega la validità di questi concetti: essi semplicemente non esisterebbero, sarebbero creazioni umane. Altri cercano con ogni mezzo di abbattere i loro confini definitori, affermando che ci sarebbe un po' di Bene nel Male e un po' di Male nel Bene. Però uno stiletto di ferro, piantato nel cranio, che folgora il cervello di una persona uscendo da un'orbita oculare e spaccando un occhio, non è possibile definirlo come qualcosa di buono. Non serve un atto di fede nel soprannaturale per definire il concetto di demone: è un essere che esiste al solo scopo di infliggere dolore ad altri esseri, chiamati vittime.

Note etimologiche:
i nomi vernacolari dell'avèrla

In italiano il nome avèrla presenta alcune varianti: avèlia, vèlia, vèrla. La regione da cui queste forme si sono irradiate è la Toscana, ove è presente anche la forma ghièrla. Ovviamente l'etimologia è ritenuta incerta dai romanisti. Stando al dizionario Treccani, l'avèrla cenerina è chiamata ghièrla gazzina. La connessione di questi bizzarri uccelli con le gazze è assai popolare, forse per via della livrea e del carattere vivace. Questo ci suggerisce anche il vero etimo della parola, che è dall'etrusco. Il prenome etrusco Vel, da un più antico Venel, nelle iscrizioni bilingui etrusco-latine è tradotto in modo quasi sistematico con Gaius (cfr. Facchetti, 2000). Lo stesso professor Facchetti ha pensato di tradurre il prenome Gaius con "Felice", dato che in italiano esiste il ben noto aggettivo gaio (dal provenzale gai "vivace"). Anche se nella lingua di Roma non è attestato un aggettivo con questo significato, è assai possibile che dovesse esistere tra il volgo, essendo riconducibile alla stessa radice di gaudeo "gioisco, godo" e di gaudium "gioia" (*gaw-, presente anche in greco). A parer mio Vel (arc. Venel) è da una parola etrusca con lo stesso senso. Non è improbabile che avesse anche il significato di "gazza": lo stesso italiano gazza è da un più antico gaia. Così Velia, usato come antroponimo femminile (la forma arcaica è attestata come Velelia su un vaso trovato a Tragliatella), potrebbe essere realmente il nome etrusco dell'avèrla. Sono convinto che si tratti di un vocabolo etrusco sopravvissuto in Toscana.

In inglese l'avèrla è detta shrike /ʃraɪk/, dall'anglosassone sċrīc /ʃri:k/. Il vocabolo è verosimilmente di origine onomatopeica, avendo poi perso questa caratteristica per via della naturale evoluzione fonetica. Risultano alcuni paralleli in altre lingue germaniche (svedese skrika "ghiandaia; urlare", tedesco Schrei "grido").  

La grande avèrla grigia (Lanius excubitor) è nota in Germania con vari nomi di supposta origine cristiana, come Warkangel, Werkengel, Wurchangel (una variante Werkenvogel è rifatta con Vogel "uccello"). Il significato dovrebbe essere quello di "angelo sterminatore", "angelo assassino", preferibile all'improbabile "angelo soffocante" riportato nella Wikipedia in inglese e altrove. In tedesco standard Wu¨rg(e)engel significa proprio "angelo sterminatore". Anche in Inghilterra, nello Yorkshire, ricorrono forme dialettali derivate dalla stessa fonte che ha dato origine ai composti tedeschi: war(r)iangle e weirangle (che indicano l'avèrla piccola, Lanius collurio). Un tempo questa denominazione era più diffusa: in Chaucer waryangle è un termine offensivo e l'avèrla è descritta come "piena di veleno". Il primo membro di queste parole è chiaro: antico alto tedesco warag, warg, warch "fuorilegge", anglosassone wearg "fuorilegge; lupo". Dato che le forme inglesi corrispondono a quelle tedesche, come possono avere origine cristiana? Dovrebbero essere state importate in Britannia dai Sassoni pagani, in un'epoca ben anteriore a quella della cristianizzazione della Germania! L'associazione al concetto di "angelo" sarà quindi dovuta a falsa etimologia. Percorrendo la Germania troviamo interessantissime vestigia pagane. Lungo il corso superiore del Reno è attestato l'epiteto Linkenom, forse "Sinistro Prenditore", per quanto si possa trattare di un'etimologia popolare. Le forme più interessanti sono tuttavia quelle che coinvolgono il numero nove: basso tedesco Neghendoer e medio alto tedesco Nünmörder, documentato attualmente nella variante Neuntöter, che è usato per designare Lanius collurio. Il significato è "che uccide nove (tipi di vittime)". Questo è un dettaglio della massima importanza, a quanto pare ignorato dagli studiosi, che fa riferimento alla somma importanza del numero nove nella religione pagana germanica. Si deve ricordare che nove erano i tipi di legno usati per celebrare i sacrifici (blót) nell'antica Scandinavia (cfr. poesia di Trollkyrka). In Germania l'avèrla (di qualsiasi specie) doveva essere sacra a Wotan per via della sua ferocia.