In un mio articolo sull'etimologia della parola romanesca burino, pubblicato su questo blog il 09/04/2016, scrissi quanto segue in una confutazione della tradizionale etimologia dal nome della bure:
"In alcune lingue romanze il latino bu:ri(m) ha lasciato discendenti:
piemontese bü "manico dell'aratro"
sardo sa buri "il manico dell'aratro"
sardo sa buri "il manico dell'aratro"
Tuttavia non mi risulta che la parola sia mai stata vitale nell'Italia centrale. Nello stesso italiano, il lemma tecnico bure ha l'aria di essere stato reintrodotto dai letterati. Chi ritiene fondata la derivazione di burino da bure, dovrebbe fornire prove che bure fosse parola viva nelle varietà dialettali di Roma e del Lazio."
Il navigatore Gianni S. in un commento del 09/06/2016 obietta al passo del mio post:
"Non mi pronuncio sull'etimo, ma il tipo BURE (timone dell'aratro non manico) è il tipo dominante nel Lazio e in Umbria ed è presente anche in Toscana,Marche, Abruzzo, Piemonte, Lombardia (basta guardare la carte bure dell'AIS)."
Questa è stata la mia replica a Gianni S.:
"Benvenuto in questo spazio. Ti ringrazio di cuore dell'informazione. In effetti il tipo BURE è decisamente più rappresentato di quanto ricordassi. Di questi tempi è bene non fidarsi mai troppo della propria memoria. Ovviamente accetto la prova da te fornita sulla diffusione di questa parola, ma resta il fatto che la derivazione di "burino" da "bure" è fallace, come tutte le etimologie popolari. Infatti la mia confutazione potrebbe anche concludersi con "Non mi risulta che la formazione abbia alcun parallelo noto nell'intera Romània"."
La carta dell'AIS a cui allude Gianni S. è la numero 1436 e può essere consultata a questo indirizzo url:
Per vederla basta cercare "bure" nell'apposita finestra a tendina in alto, che riporta tutte le voci trattate: non mi è riuscito di ottenere un indirizzo url che punti direttamente ai risultati delle ricerche. In effetti si trovano forme molto interessanti, come ad esempio büròt, biròt (Piemonte).
Vediamo ora alcune utili definizioni riportate da libri prestigiosi.
1) Definizione data dal vocabolario Zingarelli:
bure /'bure/ [vc. dotta, lat. bu:ri(m), di etim. incerta] s.f. . Estremità anteriore dell'aratro che permette l'attacco al giogo o in genere alla forza motrice. SIN. Timone. (Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana)
2) Definizione data dal vocabolario Treccani:
bure s. f. [dal lat. buris]. – Il timone dell’aratro, cui è attaccato anteriormente il giogo.
(http://www.treccani.it/vocabolario/bure/)
(http://www.treccani.it/vocabolario/bure/)
Questo è ciò che la stessa fonte riporta a proposito della voce timone (del carro e dell'aratro):
timóne (ant. temóne; poet. ant. tèmo) s. m. [lat. temo -onis]. – 1. a. La stanga che sporge anteriormente dal carro, a un lato e all’altro della quale si attaccano le bestie per il tiro. Per estens., nei moderni autoveicoli, l’elemento articolato che ha la funzione di tenere agganciato e collegato il rimorchio alla motrice. b. Con riferimento alle costellazioni dell’Orsa, dette popolarmente Gran Carro e Piccolo Carro, l’insieme delle tre stelle corrispondenti al timone del carro. 2. Organo fondamentale dell’aratro, detto anche bure, costituito da un’asta metallica o di legno alla quale viene fissato il coltro, e che all’estremità posteriore viene collegata al vomere e al versoio.
(http://www.treccani.it/vocabolario/timone/)
(http://www.treccani.it/vocabolario/timone/)
3) Nel Web troviamo inoltre questo interessante riscontro:
bure [bù-re] s.f.
• Stanga dell'aratro a cui è attaccato il giogo; timone dell'aratro
• sec. XVI
(http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/B/bure.shtml)
• sec. XVI
(http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/B/bure.shtml)
4) Abbiamo infine un antiquato dizionario online, pieno di inconsistenze e di paretimologie pacchiane:
"búre o búra lat. BÚRA e BÚRIS, che vuolsi composto del gr. BOÛS bove e OURÀ coda. - Il manico, ossia la parte posteriore e curva dell'aratro, la quale si unisce al ceppo: così detto perché fatto a foggia di una coda di bue."
Questa definizione è incompatibile, si noterà, con quelle date dagli altri dizionari, più sopra riportate: anziché il timone designa il manico. Il tentativo di analizzare la parola come un composto greco col sensi di "coda di bue" è chiaramente fallace.
Conclusioni sulla bure
1) Non si può dubitare della natura dotta della voce bure. Torno a ribadire che si tratta di un dottismo restaurato dai letterati e non di una voce giunta nelle parlate moderne attraverso genuina usura popolare del latino volgare. Il dizionario del Corriere ci riporta anche una cronologia: la voce sarebbe attestata a partire dal XVI secolo.
2) Il termine dal toscano dotto si è diffuso nei dialetti del Centro Italia, finendo col sostituire i termini precedenti in Lazio, in parte della Toscana, in Umbria, nelle Marche e giungendo ad avere propaggini persino in Campania. La voce è giunta anche in Emilia, in Lombardia e in Piemonte: è a questo punto probabile che gli unici esiti davvero genuini si trovino in Sardegna - cosa che non dovrebbe stupire.
3) Attualmente il termine bure indica per lo più il timone e non il manico dell'aratro. Si è avuto uno slittamento semantico rispetto al latino, dove buris è il manico. Questo potrebbe essere dovuto a una diversa struttura degli aratri antichi, anche se a quanto ho potuto apprendere manico e timone erano già ben distinti in epoca remota. In ogni caso questo slittamento semantico è una prova in più della falsità della derivazione del lemma burino da questa voce. Ammesso che il burino sia stato davvero un aratore (vedi l'articolo precedente per le mie obiezioni), è il manico dell'aratro che si impugna: il contadino vi passa molte ore attaccato. Il timone dell'aratro non si impugna. Pensare che l'aratore prenda il nome da una parte dell'aratro che non si impugna è pura follia. Nessuno chiamerebbe un aratore *vomerino, *versorino, *gioghino o *coltrino, ma neppure *stanghino e *pertichino. Queste formazioni sono insane, come insana è la paretimologia di burino.
I dottismi nei dialetti
Non tutte le parole attestate in un dialetto italiano sono per necessità genuine evoluzioni del latino volgare. Così vediamo che in romanesco l'autunno era chiamato avoturno: si tratta di un ipercorrettismo costruito a partire da autunno. La stessa voce autunno è un chiaro dottismo, come provano il dittongo au- e la vocale -u- da -u- breve latino. La voce genuina è invece utonno, che si trova nella lingua più antica e che è poi uscita dall'uso. Allo stesso modo, vediamo che nel piemontese dell'Alto Monferrato (es. Ponzone e frazioni), sùbito si dice sìbit o sibi. La parola latina subitus "improvviso", da cui l'avverbio subito: "repentinamente", ha una -u- breve, che sarebbe dovuta diventare una -o- chiusa: lo stesso italiano sùbito è un dottismo, o si sarebbe avuto *sóvito. Così dall'italiano sùbito è stata formata la voce sübit, con -ü- bemollizzata dettata dalla corrispondenza tra italiano -u- e piemontese -ü- in molte voci popolari (es. fumo - füm; mulo - mü, etc.). In seguito questa -ü- è divenuta regolarmente -i- (füm è diventato fim; mü è diventato mi, etc.). Questi pochi esempi forniscono la prova di quanto capillare sia la diffusione dei dottismi, che una volta incorporati in una lingua di uso corrente non sempre sono riconoscibili dal parlante.