domenica 1 ottobre 2017

LONGOBARDO RICOSTRUITO: EDITTO DI ROTARI, LEGGE 224 - SULLE MANOMISSIONI DEI SERVI

Testo in longobardo (ricostruito): 

UMPI ANTPHRIIN. IBU MAN SINAN THEO AINAN AHINON EDO SINA THEURNA GUILI FREE FERLAZAN, MACT SI IMO. THER THAZ GUILI TON INAN FULCFREE ANDI FRAM SIH FRAMIDI, THAZ IST AAMUND, SUA SCAL CATON: AIR SALIE INAN IN ANDERES FREON MANNES ANDON ANDI FASTINO MIT GAIRETHINXE; ANDI ANDER FREO MAN SALIE INAN ZO THRITTON MAN SAMALICHO, ANDI THER THRITTO MAN SALIE INAN ZO FIURDON MAN. ANDI THER FIURDO ZEUHE ZO FIURGUECHE ANDI THINGO IMO AINA GAIDA ANDI AINAN GHISIL, ANDI SUA QUEDE:

"UNDAR THEN FIUGOR GUECON, THARA THU GUILIS GANGAN, THIR IST FREE ANAUALD".

IBU SUA TOT, THANNA ER IST AAMUND IOH IMO CASCULDIT IST FREALS ALAUARI. APTER THES, THER GUALDAND NI MAHI MIT NIGUECTU GUIDERSOCHIAN INGAHIN IMO EDO INGAHIN SUNON SINEN. ANDI IBU THER, THAZ AAMUND CATOT UUARD, STIRPIT FARIGAID, SIN LAIP LIDE ZO CHUNINGES GARDI, NOH NIGUECT ZO GUALDANDON EDO ZO ARPINOMON THES GUALDANDON.
NOH ANDER CHAPITUL (II): 
ANDI SAMALICHO THER IN PANS, THAZ IST IN CHUNINGES ANTAIS, FREE FERLAZAN IST, SAMU GUIZZODU LIBE SUASO THER THAZ AAMUND CATOT UUARD.
NOH ANDER CHAPITUL (III):
NOH THER THAZ MAN FULCFREE CATOT, ANDI FIUGOR GUECOS CHIPIT
IMO, ANDI AAMUND FRAM SIH, THAZ IST FRAMIDI, NI CATOT INAN, THIUS GUIZZODU SIN GUALDAND LIBE MIT IMO, SUASO IBU MIT SINEMO PRODER EDO MIT SINEMO LANGPARDON CASIPPON: THAZ IST, IBU THER THAZ FULCFREE CATOT UUARD SUNIOS EDO TOCTER GUIZZOTLICHO NI FERLEZ, THER GUALDAND THEA LAIBA NEME, SUASO UNDAR CASCRIBAN IST.
NOH ANDER CHAPITUL (IV):
NOH THER THAZ MAN ALDI CATON GUILI, NI CHEPE IMO FIUGOR GUECOS. THEO SIND FIUGOR SLACTAS ANTPHRIINO. SUA MICHIL NAUD IST PI FRAMMORDES TACHIFRISTES CAMUNDI, THAZ ZO GUALICHERU GUISU FREO EDO FREA CATHINGOT UUARD, THIU ANTPHRII IN FREALSES CHARTOLA CAMUNDIGOT SI. ANDI IBU CHARTOLA NI CATOT UUARD, THAUH GUEDARU FREALS IMO ZO STADI STANDE.

Trascrizione fonologica (semplificata): 

/umpi 'antpfri:i:n. ibu 'man 'si:nan 'θeo 'ainan 'a:hinon ɛdo 'si:na 'θeurna 'gwili 'fre: fer'la:tsan, 'makt 'si: imo. 'θer θats 'gwili 'to:n inan 'fulkfre: andi fram 'siç 'framidi, 'θats ist 'a:mund, swa: 'skal ka'to:n: 'air 'salje inan in 'anderes 'fre:on 'mannes 'andon andi 'fastino mit 'gaireθinkse; andi 'ander 'fre:o 'man 'salje inan tso: 'θritton 'man 'samali:ʃʃo, andi θɛr 'θritto 'man 'salje inan tso: 'fiurdon 'man. andi θɛr 'fiurdo 'tseuxe tso: 'fiurgwɛxe andi 'θingo imo 'aina 'gaida andi 'ainan 'gi:sil, andi swa: 'khwɛde :
"undar θe:n 'fiugor 'gwɛkon, 'θara θu: 'gwilis 'gangan, 'θir ist 'fre: 'anawald."
ibu swa: 'to:t, 'θanna 'ɛr ist 'a:mund jɔχ imo ka'skuldit ist 'fre:als 'alawa:ri. apter 'θes, θɛr 'gwaldand ni 'maxi mit 'nigwɛktu gwider'so:xjan in'gaxin imo ɛdo in'gaxin 'sunon 'si:ne:n. andi ibu 'θɛr, θats 'a:mund ka'to:t 'ward, 'stirpit 'farigaid, 'si:n 'laip 'li:de tso: 'khuninges 'gardi, nɔχ 'nigwɛkt tso: 'gwaldandon ɛdo tso: 'arpinɔmon θɛs 'gwaldandon.
nɔχ 'ander 'khapitul (II):
andi 'samali:ʃʃo 'θɛr in 'pans, 'θats ist in 'khuninges 'antais̺, 'fre: fer'la:tsan ist, 'samu 'gwitstso:du 'libe 'swa:so 'θɛr θats 'a:mund ka'to:t 'ward.
nɔχ 'ander 'khapitul (III):
nɔχ 'θɛr θats 'man 'fulkfre: ka'to:t, andi 'fiugor 'gwɛkos 'kipit imo, andi 'a:mund fram 'siç, 'θats ist 'framidi, ni ka'to:t inan, θius 'gwitstso:du 'si:n 'gwaldand 'libe mit 'imo, 'swa:so ibu mit 'si:nemo 'pro:der edo mit 'si:nemo 'lankpardon ka'sippon : 'θats ist, ibu 'θɛr θats 'fulkfre: ka'to:t 'ward 'sunjos ɛdo 'tɔkter 'gwitstso:tli:ʃʃo ni fer'le:ts, θɛr 'gwaldand θea 'laiba 'nɛme, 'swa:so undar ka'skriban ist.
nɔχ 'ander 'khapitul (IV):
nɔχ 'θɛr θats 'man 'aldi ka'to:n 'gwili, ni 'kɛpe imo 'fiugor 'gwɛkos. 'θeo sind 'fiugor 'slaktas 'antpfri:i:no. swa: 'miççil 'naud ist pi 'frammɔrdes 'taxifristes ka'mundi, θats tso: 'gwali:ʃʃeru 'gwi:su 'fre:o ɛdo 'fre:a ka'θingo:t 'ward, θiu 'antpfri:i: in 'fre:alses 'khartola ka'mundigo:t 'si:. andi ibu 'khartola ni ka'to:t 'ward, θauχ 'gwɛdaru 'fre:als 'imo tso: 'stadi 'stande./

Traduzione:

Sulle manomissioni. Se qualcuno vuole lasciare libero un proprio servo o una propria serva, gli sia consentito fare come gli piace. Chi vuole farlo fulcfree(1) e indipendente da sé, cioè aamund(2), deve fare così: lo consegni prima nelle mani di un altro uomo libero e lo confermi tramite gairethinx(3); e il secondo lo consegni ad un terzo allo stesso modo e il terzo lo consegni ad un quarto. E il quarto lo conduca ad un quadrivio e gli doni una gaida(4) e un gisil(5) e dica così: “Per queste quattro vie hai libera facoltà di andare dove vuoi”. Se si fa così allora sarà aamund e a lui spetterà una libertà certa. In seguito il padrone non abbia facoltà di avanzare alcuna rivendicazione contro di lui o contro i suoi figli. Se colui che è stato fatto aamund muore senza eredi legittimi, gli succeda la corte del re, ma non il padrone o gli eredi del padrone.
Inoltre, altro capitolo (II):
In modo simile, chi è in pans(6), ossia nel voto del re, è liberato e viva secondo la stessa legge di colui che è stato fatto aamund.
Inoltre, altro capitolo (III):
Inoltre, chi fa uno fulcfree e gli dà le quattro vie, ma non lo fa aamund da sé, ossia indipendente, il padrone viva con lui secondo la stessa legge, come se <vivesse> con un fratello o con un parente libero longobardo; cioè, se colui che è stato fatto fulcfree non lascia figli o figlie legittime, il padrone gli succeda.
Inoltre, altro capitolo (IV):
Inoltre, chi vuole fare uno aldio(7), non gli dia le quattro vie. Questi sono i quattro tipi di manomissione. Così è necessario per la futura memoria, affinché (si sappia) in che modo è stato affrancato un libero o una libera, che sia ricordata la manomissione nella carta della libertà. E se la carta non è stata fatta, comunque gli rimanga la libertà.

(1) lett. libero del popolo
(2) lett. senza mundio, ossia senza la tutela di un padrone
(3) assemblea degli uomini liberi in armi
(4) asticella appuntita (pungolo, punta)  
(5) freccia
(6)
voto, ossia ciò che è pronunciato
(7) semilibero 

Testo originale in latino tardo con incorporati alcuni longobardismi:

224 De manomissionibus. Si quis servum suum proprium aut ancillam suam liberos dimettere voluerit, sit licentia, qualiter ei placuerit. Nam qui fulcfree et a se extraneum, id est amund, facere voluerit, sic debit facere. Tradat eum prius in manu alteri homines liberi et per gairethinx ipsum confirmit; et ille secundus tradat in tertium in eodem modo, et tertius tradat in quartum. Et ipse quartus ducat in quadrubium et thingit in gaida et gisil; et sic dicat: de quattuor vias, ubi volueris ambulare, liberam habeas potestatem. Si sic factum fuerit, tunc erit amund, et ei manit certa libertas: postea nullam repetitionem patronus adversus ipsum aut filiûs eius habeat potestatem requirendi. Et si sine heredes legetimûs ipse, qui amund factus est, mortuus fuerit, curtis regia illi succidat, nam non patronus aut heredes patroni.
Item alio kap. (II).
Similiter et qui in pans, id est: in votum regis, demittitur, ipsa lege vivat, sicut et qui amund factus est.
Item alio kap. (III).
Item que fulcfree fecerit et quattuor vias ei dederit, et amund a se, id est extraneum, non fecerit, talem legem patronus cui ipso vivat, tamquam si cum fratrem aut cum alio parente suo libero langobardo: id est, si filiûs aut filias legitimas, qui fulcfree factus est, non demiserit, patronus succidat, sicut supter scriptum est.
Item alio kap. (IV).
Item qui aldium facere voluerit, non illi dit quattuor vias. Haec sunt quattuor genera manumissionum. Tamen necesse est propter futuri temporis memoriam, ut qualiter liberum aut liberam thingaverit, ipsa manumissio in cartolam libertatis commemoretur. Et si cartolam non fecerit, tamen libertas ei permaneat.

Commenti:

Etimologia di aamund "indipendente" (var. haamund, amund):
Il prefisso aa-, poco frequente in antico alto tedesco, è comune in antico inglese. Sbaglia Giovanna Princi Braccini a credere che sia dal proto-germanico *aiwo: "legge". Il suo errore è concettuale. Colui che è aamund è liberato dal suo tutore, quindi è indipendente, come il testo di Rotari spiega in modo ben chiaro. Non è sotto la tutela della legge, come vorrebbe la Princi Braccini: il mundio è sempre detenuto da una persona, non da un concetto astratto. I romanisti sembrano del tutto incapaci di comprendere i concetti fondanti del mondo germanico.

Etimologia di pans "votum regis":
Il vocabolo longobardo è dalla stessa radice dell'antico alto tedesco ban, pan "comando", bannan "fissare il giorno del giudizio" (< "proclamare", "comandare", "richiedere"), con un suffisso -s che si trova anche altrove, ad esempio in gairethinx. Sorprende che la cosa non sia stata compresa. Le etimologie false e macchinose non mancano di certo.  

IN PANS, IN ANTAIS, IN FREALSES CHARTOLA: la preposizione IN regge nella maggior parte dei casi l'accusativo, come anche avviene nel testo latino (in votum, in cartolam). Esistono però contesti in cui questa preposizione regge il dativo, come mostrato dall'uso dell'antico alto tedesco.

Il latino tardo del documento mostra alcune interessanti peculiarità. Si noti quadrubium per quadruvium, quadrivium. Abbiamo accusativi plurali in -us anziché in -os per nomi della II declinazione. I congiuntivi presenti (III sing.) sono spesso in -it anziché in -et per i verbi in -are: es. dit per det; confirmit per confirmet, etc.

giovedì 28 settembre 2017

LONGOBARDO RICOSTRUITO: UN INCANTESIMO PER TROVARE UN LADRO

Testo in longobardo (ricostruito), con introduzone in latino:

DE FURTU. ACCIPE CRIBRUM. NIM AIN SIP ANDI STICH IN IN MITTAN THAR THUR AINA SPINNILON. THAR AN AIN ANASPIN STICH. ANDI CHIP THAZ ZUAINE ZO ABAN UF THEN FINGARON, GAHIN AINANDER. ANDI PISTALLI ALLE THE INNA ZO THANNA THU THIH THEMO THEUPE FERSIHIS. ANDI SPRICH GUIDER IN. "ER IST INNA, THER THAZ FERSTAL." THER ANDER SPRECHE: "ER NI IST." THIU GORD SPRICH THRISTUND. ANDI SPRICH THANNA: "NU SATTZI IZ GOD UF THEN RECTISCOLON ANDI LAHI THANNA AIN SALZ UF THAZ SIP". IN THEMO NAMON THES FADER. IN THEMO NAMON THES SUNIES. IN THEMO NAMON THES AILAGON CAISTES. IN THEMO NAMON ALLERO AILAGONO. IN THEMO NAMON THES AILAGON CRUCES. ANDI SPRICH THANNA THIUS GORD. IN CRUCIS GUISU.   

Trascrizione fonologica (semplificata):

/de 'furtu. 'atstsipe 'kribrum. 'nim ain 'sip andi 'stiç 'i:n in 'mittan 'θar θur 'aina 'spinnilo:n. θar 'an ain 'anaspin 'stiç. andi 'kip θats 'tswaine tso: 'aban u:φ θe:n 'fingaron gaxin ain'ander. andi pi'stalli 'alle 'θe: 'inna tso: θanna 'θu: θiç θɛmo 'θeupe fer'sihis. andi 'spriç gwider 'i:n : "'ɛr ist 'inna, 'θɛr θats fer'stal". θɛr 'ander 'spreççe : "ɛr ni 'ist." θiu 'gɔrt 'spriç 'θri:stund. andi 'spriç 'θanna : "nu: 'satstsi its 'gɔd u:φ θɛn 'rɛkti'skɔlon andi 'laxi 'θanna ain 'salts u:φ θats 'sip". in θɛmo 'namon θɛs 'fader. in θɛmo 'namon θɛs 'sunies. in θɛmo 'namon θɛs 'ailagon 'kaistes. in θɛmo 'namon 'allero 'ailago:no. in θɛmo 'namon θɛs 'ailagon 'kru:tses. andi 'spriç 'θanna θius 'gɔrd. in 'kru:tsis 'gwi:su./  

Traduzione:

Per il furto. Prendi un crivello. Prendi un setaccio infilzaci dentro un fuso poi conficca un altro fuso e fai in modo di averne due sulle dita l’una contro l’altra. e ordinali tutti(1) dentro fino a che non osservi il ladro e pronuncia (l'incantesimo) contro (di loro): "(egli) è dentro, colui che ha rubato."
L’altro dica: "egli non è." Queste parole dille tre volte. E di’: "ora Dio prendi il vero colpevole e metti del sale sul setaccio." Nel nome del Padre nel nome del Figlio, nel nome dello Spirito Santo.
Nel nome di tutti i Santi. Nel nome della Santa Croce. E di’ queste parole facendo la croce.

(1) Si tratta dei sospettati del furto, fatti entrare nella stanza.

Testo di partenza in medio alto tedesco (bavarese, XIII sec.):

De furtu. Accipe cribrum. Nim ein sip vnd stich en miten da durch ein spinnelen. da an ein enspin stech. vnd gib daz zvein ze haben. vf den vingeren gegen ein andr. vde be stelle alle die hinz den dv dich der diube versehest.
vnd spirch wider ein. Er ist hinne der daz hat ver stolen Der ander sprech ern ist. Diu wort sprechen dri stunt. vnd sprich den nv seze ez got uf den reht shvldeger vnd lege den ein salz uf daz sip. in dem namen des vatr.
in dem namen des svns. In dem namen des heiligen geistes.
In dem namen aller heiligen. In dem namen des heilegen cruces. Vnd sprich den disiu worte. In crucis wise.

Cfr. Eleonora Cianci, Incantesimi e benedizioni nella letteratura tedesca medievale (IX-XIII sec.), Kümmerle Verlag, Göppingen, 2004.

Commenti: 

Eleonora Cianci ha pubblicato nel 2014 un interessante lavoro sull'incantesimo bavarese: De furtu. Il più antico incantesimo di area tedesca per riconoscere il ladro: identità e contesto culturale («Itinerari» 4). Questo è l'url da cui è possibile consultare e scaricare l'opera in questione:


Si nota che nel lavoro del 2014 l'autrice ha rivisto alcune sue interpretazioni, correggendo tra l'altro l'errata interpretazione di "sprech ern ist".

Nella società degli antichi Germani simili sistemi per individuare i ladri erano molto diffusi. Mi rendo conto che al giorno d'oggi tutto questo può sembrare ridicolo, eppure le cose stavano così. Ancora all'epoca della Riforma Protestante in Islanda erano sopravvissute formule magiche per identificare i colpevoli dei furti e per ritrovare il maltolto, e non di rado in questi rituali ricorrevano ancora i nomi di Odino e di Thor, nonostante si fosse in pieno XVI secolo. La formula bavarese resa in longobardo ricostruito è cristianizzata, pur conservando intatti concetti pagani. Sarà mia cura raccogliere altro materiale di questo genere, tradurlo e pubblicarlo. È un vero peccato che l'interesse del mondo accademico per questi argomenti sia davvero debole.

mercoledì 27 settembre 2017

LONGOBARDO RICOSTRUITO: UN INCANTESIMO PER LE FERITE

Testo in longobardo (ricostruito): 

IN THEMO NAMON THES FADER ANDI THES SUNIES ANDI THES AILAGON CAISTES. AMEN. THRI GODE PRODER GENGUN AINAN GUECH: THAR PIQUAM IN UNSER FRAO IESUS CHRIST ANDI SPRACH: «GUANNA FARET IR THRI GODE PRODER?». «FRAO, GUIR FAREN ZO AINEMO PERGHE ANDI SOCHIEN AIN CHRUT THERO CAUALDES THAZ IZ GOD SI ZO ALLERU SLACTU UNDONO, SIU SI CASLAGAN EDO CASTOCHAN EDO SUA GUARI FONA SIU SI».
THAU SPRACH UNSER FRAO IESUS CHRIST:
«QUEMET ZO MIR, IR THRI GODE PRODER, ANDI SUARIET MIR PI THEMO CRUCE GODON, ANDI PI THERU MILUCH THERO MAGADI SANCTE MARION, THAZ IR IZ NI ELET NOH LAUN ANTPHAHET, ANDI FARET INNA ZO THEMO MONTE OLIVETO ANDI NEMET OLEO THES OLEOPAUMES ANDI SCAPHULLA ANDI LAHIET THIU OBER THEA UNDA ANDI SPRECHET: "AL SUA THER IUDEO LONGINUS THER UNSERAN FRAON IESUM CHRISTUM STACH IN THEN SIDON MIT THEMO GAIRE, THAZ NI AITRIDA NIGUECT, NOH CAUAN ITTZA, NOH NI SUAR, NOH NI PLOTIDA ZO FILE, NOH NI FULIDA; AL SUA TO THIUS UNDA, THIU NI PLOTI NIGUECT NOH NI FULI, THIU IH CASEHINDA. IN THEMO NAMON THES FADER ANDI THES SUNIES ANDI THES AILAGON CAISTES. AMEN. SPRICH THAZ SEHIN THRISTUND ANDI AL SUA MANAGON PATERNOSTER, ANDI TO NIGUECT MAIR ALLAZ ER CASCRIBAN SI"».    

Trascrizione fonologica (semplificata): 

/in 'θεmo 'namon θεs 'fader andi θεs 'sunies andi θεs 'ailagon 'kaistes. 'a:men. 'θri: 'go:de 'pro:der 'ge:ngun 'ainan 'gwεkh : 'θar pi'khwam 'i:n 'unser 'frao 'je:sus 'krist andi 'spraχ : «'gwanna 'faret ir 'θri: 'go:de 'pro:der?». «'frao gwir 'fare:n tso: 'ainemo 'pεrge andi 'so:xje:n ain 'khru:t θεro ka'waldes θats its 'go:d 'si: tso: 'alleru 'slaktu 'undo:no, siu 'si: ka'slagan εdo ka'stɔχan εdo swa: 'gwa:ri 'fɔna siu 'si:». θau 'spraχ 'unser 'frao 'je:sus 'krist : «'khwεmet tso: 'mir, ir 'θri: 'go:de 'pro:der, andi 'swarjet 'mir pi θεmo 'kru:tse 'go:don, andi pi θεru 'miluχ θεro 'magadi 'sankte ma'ri:o:n, θats 'irits ni 'εlet noχ 'laun ant'pha:het, andi 'faret 'inna tso: θεmo 'monte oli've:to andi 'nεmet 'oleo 'oleopaumes andi 'ska:φulla andi 'laxjet θiu ɔber θea 'unda andi 'sprεççet: "'al swa: θεr 'iu:deo lon'gi:nus 'θεr 'unseran 'fraon 'je:sum 'kristum 'staχ in θe:n 'si:do:n mit θεmo 'gaire, θats ni 'aitrida 'nigwεkt, nɔχ ka'wan 'itstsa, nɔχ ni 'swar, nɔχ ni 'plo:tida tso: 'file, nɔχ ni 'fu:lida; 'al swa: 'to: θius 'unda, θiu ni 'plo:ti 'nigwεkt nɔχ ni 'fu:li, θiu iç ka'sexinda. In θεmo 'namon θεs 'fader andi θεs 'sunies andi θεs 'ailagon 'kaistes. 'a:men. 'spriç θats 'sεxin 'θri:stund andi 'al swa: 'managon pater'nɔster, andi 'to: 'nigwεkt 'mair 'allats 'e:r ka'skriban 'si:/   

Traduzione: 

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Tre pii fratelli camminavano su una strada, allora li incontrò nostro Signore Gesù Cristo e disse: “Dove andate, voi tre fratelli pii?”, “Signore, noi andiamo su una montagna e cerchiamo un’erba che sia potente e buona per tutti i tipi di ferite, siano esse colpite o di punta o di qualunque genere esse siano”.
Allora disse il nostro Signore Gesù Cristo: “Venite da me, voi tre pii fratelli e giuratemi sulla santa croce e per il latte della vergine Santa Maria che voi non lo terrete nascosto per voi, né prenderete ricompensa e andate lì al monte Uliveto e prendete olio di olivo e lana di pecora e metteteli sopra la ferita e dite così: così come l’ebreo Longino che colpì il nostro Signore Gesù Cristo nel fianco con una lancia, che non fece pus, non si infiammò, non dolse, non sanguinò molto e non imputridì, così fa’ anche che questa ferita che io ho benedetto non sanguini né marcisca.”
Nel nome del padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Di’ questa benedizione tre volte e altrettanti Padre Nostro e non fare mai più quanto è stato scritto qui.

Testo di partenza in medio alto tedesco (bavarese, XII sec.): 

In dem namen des vater und des suns und des hailigen gaistes. âmen. Drî guot pruoder giengen ainen wech: dâ bechom in unser hêrre Jhêsus Christus und sprach “wanne vart ir dri guot pruoder?” Herre wir varn zainem perge und suochen ain chrût der gewaltes daz iz guot sî zaller slath wnden, si sî geslagen oder gestochen oder swâ von si si”. dô sprach unser hêrre Jhêsus Christ “chomet zuo mir, ir drî guot pruoder, und swert mir bî dem crûce guoten, und bi der milch der maide sanct marien, daz irz enhelt noch lôn emphâhet, und vart hinz zuo dem mont olivêt unde nemt ole des olepoumes und scâphwolle und leget die uber die wndin und sprechet “alsô de Jud longinus der unsern hêrren Jhêsum Christum staech in die sîten mit dem sper, daz eneitert nith, noch gewan hitze, noch enswar, noch enbluotet zevil, noch enfuelt: alsô tuo disiu wnde, diu enbluot nith noch enfuoel, die ich gesent hab. In dem namen des vaters und des suns und des hailigen gaist. âmen”.
sprich den segen drîstunt und alsô manigen pâternoster, und tuo nith mêr, wan als hie gescriben sî.

Per maggiori informazioni cfr. Eleonora Cianci, Incantesimi e benedizioni nella letteratura tedesca medievale (IX-XIII sec.), Kümmerle Verlag, Göppingen, 2004. 

Commenti: 

A parer mio la traduzione corretta del brano è “Signore, noi andiamo su una montagna e cerchiamo un’erba che sia potente e buona per tutti i tipi di ferite”. La Cianci traduce erroneamente con “Signore, noi andiamo su una montagna e cerchiamo un’erba che è potente e buona per tutti i tipi di ferite”. Sembra una cosa da nulla, ma non è così. Infatti il testo bavarese implica che i tre fratelli non conoscano l'erba miracolosa e che la stiano cercando. Scondo la traduzione della Cianci, sembra invece che essi sappiano bene di che erba si tratta e che la cerchino con cognizione di causa, venendo quindi dissuasi da Cristo, che li guida verso un altro rimedio, più gradito a Dio. 

Si noti il divieto di reiterare il rituale una volta eseguito, caratteristica che ricorre anche in altri casi. La cosa suona strana ai moderni, ma ha una sua logica. Per i Germani cristiani, quando un rimedio era creduto opera diretta di Dio e proveniente dalle sue stesse parole, ripeterlo implicava mancanza di fede. Si credeva quindi che la violazione provocasse l'ira divina. Occorre sempre astenersi dall'attribuire al passato categorie moderne. Cristo era visto dai popoli germanici come un guerriero, non come lo immagina Bergoglio. 

Mentre diversi testi magici del XI-XII sec. mostrano ancora le caratteristiche dell'antico alto tedesco, qui abbiamo un esempio di una fase successiva della lingua. Il medio alto tedesco è molto evolutivo nella fonetica ed è pieno di contrazioni. Così la forma swâ viene da un precedente svâr, che è a sua volta da sô wâr e non corrisponde quindi al longobardo ricostruito SUA /swa:/, a dispetto della sua omofonia, ma a SUA GUARI, letteralmente "così invero". Occorre fare molta attenzione o si può giungere a conclusioni fuorvianti. La lingua tedesca moderna è cambiata molto rispetto al medio alto tedesco, eliminando un grandissimo numero di forme contratte e assumendo un aspetto più rigido. Il linguaggio dei cantori medievali era più libero e poetico, ma anche più difficile. Non è improbabile che a causare questo mutamento nella fase del tedesco moderno sia stata la necessità di porre rimedio alle ambiguità che pullulavano a causa dell'usura fonetica.

domenica 24 settembre 2017

LONGOBARDO RICOSTRUITO: UNA FORMULA PER BENEDIRE LA CASA CONTRO IL DIAVOLO

Testo in longobardo (ricostruito), con introduzione in latino: 

AD SIGNANDUM DOMUM CONTRA DIABOLUM. GUELA, GUECT, THAZ THU GUAIST, THAZ THU GUECT AISSIST, THAZ THU NI GUAIST NOH NI CHANST QUEDAN CNOSPINCHI. 

Trascrizione fonologica (semplificata): 

/ad sig'nandum 'domum kontra 'djabolum. 'gwɛla, 'gwɛkt, θats 'θu: 'gwaist, θats 'θu: 'gwɛkt 'ais̪s̪ist, θats 'θu: ni 'gwaist 'nɔχ ni 'khanst 'khwɛdan 'knɔspinki/   

Traduzione:

Per benedire la casa contro il diavolo.
Bene, spirito, che tu sappia che sei chiamato spirito.
Che tu non sappia né possa pronunciare incantesimi.

Testo di partenza in antico alto tedesco (alemannico, X sec.), con introduzione in latino:

Ad signandum domun contra diabolum. Uuola, uuiht, taz tu uueist, taz tu uuiht heizist,
Taz tu neuueist noch nechanst chedan chnospinci.

Per maggiori informazioni cfr. Eleonora Cianci, Incantesimi e benedizioni nella letteratura tedesca medievale (IX-XIII sec.), Kümmerle Verlag, Göppingen, 2004.

Commenti:

L'unico termine che presenta notevoli difficoltà nel testo in antico alto tedesco è chnospinci, che è un hapax. Su questa bizzarra parola gli accademici si sono sbizzarriti, riuscendo a produrre una grandissimo numero di inconsistenze. Quasi tutte le interpretazioni identificano in chnospinci un nome del Diavolo, anche se anche un poppante capirebbe che questo non è possibile, dal momento che a reggere questa parola è il verbo chedan "dire", "pronunciare". Quindi lo chnospinci deve essere qualcosa che si pronuncia, come un incantesimo, una formula, una diavoleria.

Poche, confuse e inconsistenti le proposte riportate dalla Cianci. Ho trovato nel Web il lavoro di uno studioso, Giorgio Dolfini, che arriva ad accostare chnospinci alla parola beng, che nella lingua romaní indica il Diavolo, citando come esilissima prova il medio alto tedesco (alemannico) binggis "pene" e un gran numero di altre forme dialettali di simile aspetto ma dalla semantica molto vaga (es. "calcio", "protuberanza", "trascinarsi malato", "zotico", etc.). Il punto è che nel X secolo in Europa non esisteva nemmeno l'ombra di un rom o di un sinti, così chnospinci non può essere accostato a una parola romaní: la proposta implica un anacronismo e va cestinata senza pietà. Questo è l'url del lavoro di Dolfini: 


Analizzate tutte le proposte fatte finora, ne formulo una mia. Partendo dal fatto che esiste un vocabolo knop(p) "coboldo" (mai citato come *chnosp-), e che il nesso -ps- compie spessisimo metatesi in -sp-, come lo stesso Dolfini ammette, arrivo a ricostruire la forma come composto criptico, ormai oscuro, formato da knop- e da singan, sincan "cantare", anche con l'accezione di "incantare". Così da un più antico *chnop-sinci "canto del demonio", "incantamento", sarà derivato chnospinci - per quanto la formazione posa apparire peculiare.

LONGOBARDO RICOSTRUITO: UN INCANTESIMO PER I CANI E PER LE CAGNE

Testo in longobardo (ricostruito): 

CHRIST CAPORAN GUARD AIR ULF EDO THEUP. THAU GUAS SANCTE MARTIN CHRISTES IRDI. THER AILAGO CHRIST ANDI SANCTE MARTIN THER CAUERDO GUALDAN IUTAGU THERO UNDO, THERO ZAUHONO, THAZ IN ULF NOH ULPHA ZO SCADIN GUERDAN NI MAHI, SUA GUARA SUA CALAUFEN GUALDES EDO AIDU. THER AILAGO CHRIST ANDI SANCTE MARTIN THER FRUMIE MIR SE IUTAGU ALLE ERA AIM CASUNDE.

Trascrizione fonologica (semplificata): 

/'krist ka'pɔran 'gward air 'ulf ɛdo 'θeup. θau 'gwas 'sankte 'martin 'kristes 'irdi. θɛr 'ailago 'krist andi 'sankte 'martin θɛr ka'wɛrdo 'gwaldan 'iutagu 'θɛro 'undo, 'θɛro 'tsauho:no, 'θats in 'ulf nɔχ 'ulpha tso: 'skadin 'gwɛrdan ni 'maxi, swa: 'gwara swa: ka'lauφe:n 'gwaldes ɛdo 'aidu. θɛr 'ailago 'krist andi 'sankte 'martin θɛr 'frumje mir se: 'iutagu 'alle 'ɛra 'aim ka'sunde/  

Traduzione: 

Cristo nacque prima del lupo o del ladro. Allora San Martino era il pastore di Cristo. Il Santo Cristo e San Martino si degnino oggi di proteggere i cani e le cagne, in modo che né i lupi né le lupe li possano danneggiare dovunque essi vadano nel bosco o per la strada o nella landa. Il Santo Cristo e San Martino mi concedano che oggi tornino tutti sani e salvi a casa.

Testo di partenza in antico alto tedesco (bavarese, X sec.):

Christ uuart gaboren er uuolf ode diob. do uuas sancte Marti Christas hirti.
Der heiligo Christ unta sancte Marti der gauuerdo uualten hiuta dero hunto, dero zohono, daz in uuolf noh uulpa za scedin uuerdan nemegi, se uuara se geloufan uualdes ode uueges ode heido. Der heiligo Christ unta sancte Marti de frumma mir sa hiuto alla hera heim gasunta. 

Per maggiori informazioni cfr. Eleonora Cianci, Incantesimi e benedizioni nella letteratura tedesca medievale (IX-XIII sec.), Kümmerle Verlag, Göppingen, 2004.

Commenti:

Questa formula è spesso ritenuta di origine pagana. Si può trovare un indizio a favore di un'antica origine poetica dalla presenza di assonanze e di allitterazioni - seppur imperfette - che la Cianci evidenzia (Marti / hirti, etc.). Si può rimarcare tuttavia un fatto ben più concreto: come tutti sanno, ladri e lupi esistevano ben prima della nascita di Cristo e di San Martino. La possibilità che nel testo bavarese Christ abbia sostituito Uuotan (Godan in longobardo) deve essere presa in considerazione, anche se dobbiamo comunque sospettare l'origine cristiana della semantica di hirti "pastore". Infatti per i Germani pagani "pastore" non poteva essere attributo di una divinità. Nel sito di una comunità odinista, è riportata una versione rimaneggiata in cui in luogo di Christ si trova Uuotan e in luogo di Sancte Marti si trova Hirmin.


Il sito ha come fondamento l'opera di Theodor Georg Von Karajan, risalente al Reich Millenario, epoca in cui gli autori erano molto approssimativi e si prendevano qualche libertà di troppo nel riportare i testi. I gestori di Wodanserben.de hanno riportato anche un grave refuso dovuto alla cattiva lettura della lettera s, che è stata resa erroneamente con f: *gafunda anziché gasunda. Non mancano altre discrepanze nella trascrizione, che in alcuni casi si ripercuotono nell'interpretazione. Questi errori risalgono sempre allo stesso Von Karajan, che non conosceva molto bene l'antico alto tedesco.

Tornando al testo bavarese, tra le forme notevoli spesso fraintese notiamo le seguenti:

1) der gauuerdo uualten "che si degni di proteggere". Chiaramente gauuerdo è un verbo, per la precisione un ottativo, III pers. sing., di cui il pronome der è soggetto. Inoltre uualten è un infinito, non un ottativo III pers. pl. come invece voleva il Von Karajan. Si noti che Cristo e San Martino hanno una concordanza singolare in questa frase.

2) za scedin "al danno". Questo scedin è il dativo singolare di scado "danno" (tedesco moderno Schaden), che mostra una peculierità eccezionale: l'Umlaut, che di solito non è prodotto dalla desinenza -in del dat. sing. dei maschili deboli. Questo è un notevole arcaismo. Il longobardo ha sostituito quasi sempre questo -in con -on per livellamento (es. Lupecinon), ma in alcuni casi come questo supponiamo che abbia conservato la desinenza originale. A parer mio erra la Cianci a ritenere scedin una forma verbale. La locuzione verbale è za scedin uuerdan, alla lettera "al danno divenire", ossia "danneggiare".

3) se uuara se "dovunque". Ha ragione la Cianci e ha torto Von Karajan. La forma più attestata con questo significato è sô uuara sô. Si noterà che Von Karajan restituisce sô uuara siu, interpretando il secondo se come forma atona del pronome siu "essi". Non credo che sia necessario, anche perché bisognerebbe provare che la forma sô uuara possa reggere da sola col senso di "dovunque". Tuttavia, mentre sô uuara sô è glossato con "quocumque, ubicumque", sô uuara è glossato con "posteriora"

4) alla "tutti". Una forma di una banalità sconcertante, che sta per il più comune alle. Erra gravemente il Von Karajan a risolverlo in alsô, peccando di fantasia eccessiva (cosa assai comune nel suo contesto).

Altra cosa interessante è Sancte Marti (scritto Sce Marti nel manoscritto): è evidente che Sancte è tratto dal vocativo latino, poi cristallizzato. Notevole è anche Marti senza alcuna traccia della nasale finale.

venerdì 22 settembre 2017


SOMMO PONTEFICE:
UN EPITETO PAGANO PER IL CAPO
DELLA CHIESA DI ROMA 

Un interessante caso di sincretismo 

Ormai da tempo immemorabile i termini Pontefice, Papa e Vescovo di Roma sono sinonimi. Eppure la loro origine è diversa. La parola Pontefice (in latino Pontifex), alla lettera 'Costruttore di Ponti', ha la sua origine nella religione tradizionale dell'antica Roma, che tanto fu debitrice nelle sue forme e nella ritualità alla cultura degli Etruschi. L'interpretazione è chiara: un Pontifex costruiva idealmente ponti tra l'Umano e il Divino. Il Pontifex Maximus era a capo del Collegio dei Pontefici. Aveva il compito di normare la dimensione del sacro in ogni suo dettaglio, secondo la concezione di un popolo giunto in occidente dal lontano Caucaso. Questo era il nucleo della società dei Rasenna. Infatti le parole di Tarquinio il Superbo esprimono con nitidezza un'analoga concezione applicata all'ambito politico, quando definì la monarchia "straordinario istituto a mezza strada tra il divino e l'umano" (Tito Livio, 2, 9).
Come è stato possibile che questo arcaico epiteto pagano sia passato a designare quello che i cattolici credono il successore di Pietro e il rappresentante di Cristo in terra?

Dopo aver vinto la battaglia di Ponte Milvio contro gli eserciti di Massenzio, Costantino emanò il famoso Editto di Milano (313 d.C.). Questo editto assicurava piena libertà religiosa ai Cristiani. Costantino però non fece richiesta di essere battezzato. Visse al di fuori dalla Chiesa di Roma continuando a commettere crimini inauditi. Si suppone infatti che agli occhi di chiunque siano crimini inauditi azioni come costringere propria la moglie a entrare in un bagno di acqua bollente, ordinare l'esecuzione del proprio figlio primogenito o obbligare un proprio zio a strangolarsi con le proprie mani. Pur proclamandosi protettore della Cristianità, Costantino mantenne il titolo di Pontifex Maximus, che veniva automaticamente conferito ad ogni imperatore romano.

Dieci anni dopo l'Editto di Milano, Costantino pubblicò un documento in cui esprimeva il suo desiderio che tutti i suoi sudditi seguissero la sua stessa religione, pur garantendo libertà ai seguaci del politeismo tradizionale. Eppure l'Imperatore addusse sempre capziose argomentazioni per posticipare il battesimo. Il sacramento gli fu somministrato solo quando era in agonia, e per giunta da un vescovo che professava l'Arianesimo. La sua ammirazione per gli Aruspici era stata resa manifesta quando aveva fondato Costantinopoli sul luogo della più antica Bisanzio, seguendo tutte le prescrizioni rituali dettate dai libri sacri degli Etruschi.

Se Costantino non aveva cercato in alcun modo di imporre con la forza le sue dubbie convinzioni, i suoi figli Costante e Costanzo II furono più fanatici e determinati. Diedero inizio a una tradizione che avrebbe conosciuto grande fortuna nei secoli. Anche se ci è noto un editto di Costanzo II che dichiara illegali i sacrifici agli Dei, abbiamo motivo di sospettare che non fu applicato. Nonostante il suo zelo, neppure lui ebbe qualcosa a che ridire nel ricevere il titolo di Pontifex Maximus. Le cose cambiarono soltanto con l'Imperatore Graziano, che fece una scelta radicale: rinunciò a quell'onorificienza antica e la attribuì al Vescovo di Roma, che fu ben lieto di accettare quel residuo del vecchio mondo, incorporandone la forma esteriore nella tradizione cattolica. Facendo questo, la Chiesa di Roma operò un astuto sincretismo che contribuì ad attrarre nell'orbita del suo potere molti incerti pagani della decadenza.

Wooden e Thunder, un apologo
per illustrare il concetto di continuità

In una regione rurale dell'Inghilterra, capitò a un etnologo, William P., di avere un guasto alla macchina e di dover chiedere ospitalità a una famiglia di contadini. Alloggiando in questa comunità agricola per qualche giorno, l'etnologo ha avuto occasione di ascoltare qualche strana storia che spesso veniva ripetuta dopo cena, davanti al fuoco del camino. Si parlava di un uomo di nome Wooden, che vagava di notte per i boschi, dando saggezza a chi lo incontrava. Wooden era descritto come privo di un occhio e dotato di lunga barba bianca. Un anziano saggio che trasmetteva anche il dono di comporre poesie. I contadini dicevano anche che Dio è un giovane robusto con barba e capelli rossi, che percorre il cielo in carro brandendo una grande mazza. Dicevano che Dio in realtà si chiamava Thunder e che creava i temporali, ma che non bisognava dire queste cose in presenza del Pastore per non farlo arrabbiare. Quando macellavano un animale, essi con poche e semplici parole lo davano in dono a Thunder e a Wooden. Nel loro dialetto rustico, il verbo per designare l'atto di uccidere l'animale era "to bloot", parola mai sentita prima dall'etnologo.

Una narrazione di pura fantasia, che ho concepito di getto. Tuttavia mi pare significativa per il fine che mi sono prefisso. Reputo un vero peccato che di simili resoconti non ce ne siano poi molti. Innanzitutto, non risulterebbe facile allegare una documentazione valida. In secondo luogo, non sembra che ci sia interesse a scoprire casi come quello di Wooden e di Thunder, anche ammesso che ne sussistano nella realtà dei fatti.

Si legge spesso di rinascita del Paganesimo in Inghilterra e altrove, ma a parer mio si tratta di una grande bufala. Il Neopaganesimo non è assimilabile al Paganesimo per molte ragioni. Intanto, il termine Paganesimo è di origine cristiana. Un autentico nostalgico del politeismo dovrebbe definire quello che il mondo chiama Paganesimo con il termine "Costume degli Antichi". Ma su questo possiamo soprassedere.

Cosa distingue forme di religione posticcia e costruita come la Wicca dal Costume degli Antichi? Innanzitutto il modo di porsi. I contadini inglesi che descrivono Dio in modo tanto pittoresco e che parlano del vagabondo Wooden, sono un esempio (per quanto non attestato) di autentica continuità. Il nome anglosassone Woden (corrispondente allo scandinavo Odino), passando attraverso il mutamento fonetico verificatosi nei secoli, sarebbe divenuto proprio Wooden - e dotato di falsa etimologia per connessione con "wood", ossia "bosco". Allo stesso modo, il nome anglosassone Thunor (corrispondente allo scandinavo Thor), sarebbe regolarmente divenuto Thunder - termine ancor oggi usato nella lingua comune con il senso di "tuono". In modo del tutto analogo, in Germania avremmo Wuten come regolare evoluzione di Wotan (o meglio Uuotan), e Donner come regolare evoluzione di Donar.

L'artificio e l'inganno, essendo spesso operati da ingenui, lasciano sempre una traccia di sé, e noi possiamo rilevarla. Quando nel XIX secolo cominciarono a nascere in Germania e in Austria sette che si auspicavano il ritorno agli antichi culti politeistici precristiani, i nomi delle antiche divinità furono estratti di forza da documenti scritti.

Non esisteva continuità, non esisteva alcun passaggio ereditario di generazione in generazione, neanche di un paio di racconti folklorici. Ecco perché Wotan è stato preso tal quale, anche se in tedesco tutte le antiche uscite in -an sono state indebolite in -en e la vocale -o- era in realtà un dittongo -uo-, che si sarebbe evoluto in -u- se la parola fosse stata tramandata oralmente.

Quanto esposto non toglie la possibilità di sopravvivenze molto tarde del Costume degli Antichi in Germania da parte di contadini che chiamavano il loro dio Wuten. Ma se questi pagani sono esistiti, come penso, essi non hanno nulla a che fare con Guido von List, con l'Ariosofia e con l'humus culturale che ha poi dato origine a svariate forme di Neopaganesimo tuttora viventi. Si tratta dunque di religioni diverse, del tutto prive di collegamenti.

Capite ora la differenza? La Wicca è un'impostura totale, filologicamente priva di qualsiasi credibilità, in quanto mescola vocaboli irlandesi antichi come Imbolc e Samhain (sempre mal pronunciati, è ovvio) con forme anglosassoni come Litha. Il termine Litha è attestato da Beda il Venerabile. Se fosse davvero sopravvissuto nella tradizione, sarebbe scritto Lithe, letto con il dittongo -ai- e con la -th- sonora di "together". Non sarebbe giunto fino a noi tal quale. E che ci farebbero questi termini irlandesi intatti nella grafia e pronunciati male nella supposta tradizione stregonica inglese? Poi c'è Mabon, che è gallese antico e che avrebbe potuto sopravvivere, ma non senza mutamenti. Perché questo miscuglio di irlandese, gallese e anglosassone? Semplice: perché chi l'ha creato non aveva l'idea di avere a che fare con culture diverse e ha preparato un bel pastone.

Quanto fin qui sostenuto a proposito dei culti politeisti dell'antichità, vale a maggior ragione per la Fede dei Buoni Uomini. La storia dei miei Padri consiste in qualcosa di molto simile alla sostanza del racconto di Wooden e Thunder, ossia ad elementi di Catarismo trasmessi di generazione in generazione. Ciò purtroppo è insufficiente a rifondare una religione, anche se ha per me un valore immenso. Ecco perché rifiuto ogni commistione, mi mostro insofferente verso elementi posticci e sincretismo con svariate forme di occultismo. Non voglio nel modo più assoluto imposture tipo culto del Merovingi e della Maddalena, Santo Graal e altre cose che la gente erroneamente attribuisce ai Catari, per ingoranza. Gran parte del Neocatarismo consiste in creazioni posticce analoghe alla Wicca. Possiamo fissare questa proporzione concettuale:

Catarismo : Neocatarismo = Paganesimo anglosassone : Wicca

Così come mostro il massimo rispetto per i politeisti autentici, che potrebbero benissimo non esistere più, e disprezzo quelli posticci e nati dalla cattiva lettura di testi volgari, allo stesso modo sono convinto che una religione creduta estinta possa rivivere, riorganizzarsi e tornare a crescere soltanto attraverso genuine sopravvivenze. Ogni discontinuità è una morte. Deve sussistere un seme per piantare un albero e far continuare la sua specie. Cerco un seme capace di germogliare anche in questo terreno ostile, e vedo intorno a me tanta gente che pianta semi di piante aliene ed infestanti spacciandoli per semenza antica. 

mercoledì 20 settembre 2017

NOTE SUL LAVORO DI FACCHINI

Riccardo Facchini (ricercatore indipendente) è l'autore del lavoro Il neocatarismo. Genesi e sviluppo di un mito ereticale (secoli XIX-XXI), apparso su Società e storia, n. 143. L'opera è liberamente consultabile e scaricabile al seguente url:


Avvertenza: Se la visualizzazione del documento non funziona, procedere senza esitare allo scaricamento servendosi dell'apposito pulsante verde.

Facchini riduce essenzialmente il Neocatarismo a una forma di medievalismo, dove «‘Medievalismo’ è un concetto che individua la rappresentazione, la ricezione e l’uso postmedievale del medioevo in ogni suo aspetto, dai revival, alle attualizzazioni in senso politico. Lo studio del medievalismo comprende dunque tutte le forme in cui il medioevo è stato rappresentato dal quattrocento a oggi, comprese la storiografia, l’archeologia e la storia dell’arte di argomento medievistico precedenti il XX secolo» (Di Carpegna Falconieri, 2011).

Mantenendosi fedele a questa impostazione, l'autore procede a fare una sintesi del processo di formazione del "mito dell'eretico" con riferimento al Catarismo, elencando, passando al vaglio e discutendo tutto ciò che è stato detto e pensato in epoca moderna sulla religione dualista medievale. Si parte dai Catari usati strumentalmente, impugnati come arma nella guerra tra Chiesa Romana e Massoneria, per arrivare a più moderne aberrazioni. 

Questo è l'indice dell'opera:

1. Da precursori di Lutero a custodi del Graal: i catari dal XVI al XIX secolo
  1.1. I catari e il protestantesimo
  1.2. Catarismo e romanticismo: una «quadrupla occultazione» all’origine del mito
2. Il Neocatarismo tra XIX e XX secolo: un revival sincretista
  2.1. La componente dialettica del mito alla fine dell’ottocento
  2.2. Poligenia del Neocatarismo
  2.3. Antonin Gadal e Otto Rahn: i catari e il Graal
  2.4. Catari, templari e croci uncinate
3. Catarismo e occitanismo nella prima metà del XX secolo
  3.1. Il catarismo, mito fondativo dell’identità occitana
  3.2. «Vous êtes en pays Cathare»: catarismo e turismo
4. Il Neocatarismo nella seconda metà XX secolo: una via gnostico-cristiana
  4.1. Déodat Roché, Simone Weil e René Nelli
5. Pop-catarismo: i catari nell’immaginario popolare contemporaneo
  5.1. Gli anni cinquanta e sessanta del XX secolo
  5.2. La narrativa neocatara oggi
6. Riflessioni conclusive

Va notato che il Facchini non è molto interessato alla teologia del Catarismo in quanto tale, in nessuna delle sue formulazioni: in sostanza è una religione i cui princìpi fondanti sembrano lasciarlo del tutto indifferente. La considera alla stregua dei dinosauri, come qualcosa di completamente superato dal corso degli eventi. La sua attenzione è puramente antropologica e si focalizza sul pensiero dei moderni nell'atto di riscrivere la Storia, etichettando come Catarismo forme di pensiero che con la Buona Dottrina non hanno nulla a che fare. In quest'ottica, le baggianate pseudostoriche del fantomatico "medaglione d'oro dei Catari" assumono un'importanza molto maggiore della disputa dottrinale tra Dualismo Assoluto e Dualismo Mitigato. Del resto la storia del Neocatarismo è in massima parte storia della disinformazione e della memetica più distorcente. Le complessità dottrinali non toccano il volgo, che è alla costante ricerca di sensazionalismo.

Se devo essere sincero, la scoperta dell'opera di Facchini mi ha sorpreso non poco, e questo per un motivo molto semplice: cita espressamente il blog Rinascita Catara, che risulta incluso nella bibliografia - sezione Enti, associazioni, istituzioni. Oltre a ciò, si parla anche della mia petizione per la soppressione dell'Ordine Domenicano, ormai vecchia di anni, che ancora fluttua nell'oceano del Web come una bottiglia lasciata alle onde da un naufrago, dispersa nell'immensità eppur contenente un messaggio importante. Ecco quanto è riportato nell'articolo: 

"Il cataro del terzo millennio sembra quindi preferire il web, piuttosto che i cenacoli intellettuali, come mezzo per diffondere il pensiero dei propri padri nobili e per avvicinare curiosi o simpatizzanti. Di fronte al fenomeno della diffusione in rete di suggestioni neocatare è giusto però proseguire con le dovute cautele, cercando di non sopravvalutare realtà poco diffuse164 e concentrandosi invece su quelle in qualche modo collegate a interpretazioni e pensatori già studiati finora165."

Mentre la nota 165 consiste in un lungo elenco di siti - tutti a me ben noti - la nota 164 mi riguarda più da vicino. Come viene specificato con cura, è relativa alle "realtà poco diffuse" che sarebbero da "non sopravvalutare". Il testo è il seguente: 

164. Ad esempio, può sorprendere constatare l’esistenza di una pagina internet, promossa da un presunto “discendente dei catari”, volta a promuovere “la soppressione dell’Ordine Domenicano”, reo di aver annientato “la Fede dei Buoni Uomini”. Questa però contava, al 25 luglio 2012, solo 67 iscritti.

Si noti che il Facchini evita con cura di linkare la petizione, che è stata lanciata da me medesimo. Rimedio alla sua mancanza:


Dedurre le dimensioni di una realtà online dal numero di firmatari di una petizione è cosa alquanto fallace e azzardata. Non mi aspettavo che uno studioso serio ci potesse cascare. Dirò dunque questo a proposito dei 67 firmatari nel 2012 (che sono ancora tali nel 2017): siamo soltanto in due ad essere credenti genuini. Ci sono pochi simpatizzanti, oltre ad alcuni ex simpatizzanti (tra cui uno scismatico). Diverse persone hanno aderito alla petizione per pura e semplice avversione nei confronti della Chiesa di Roma. Basti pensare che tra i firmatari ci sono diversi atei, un neopagano, un estimatore di Crowley e un satanista della Chiesa di LaVey, tutte persone che con il Catarismo hanno poco in comune. Alcuni addirittura sono completi sconosciuti: non ho la benché minima idea di quale sia il loro pensiero. Quello che Facchini non immagina è questo: se davvero fossimo in 67 credenti del Dualismo Assoluto della Chiesa di Dragovitsa, i poteri del mondo si sarebbero già mossi per annientarci. L'irrilevanza numerica, ben più marcata di quanto il Facchini immagini, non ci preoccupa affatto. Essendo il mondo creazione diabolica, se una religione ottiene il favore delle genti ed è ben vista dalle moltitudini, si può essere ben certi che non viene dallo Spirito. Per quanto pochi, ci teniamo a precisare che non ci dichiariamo "Neocatari". Siamo Credenti dei Buoni Uomini. Il nostro scopo è preservare e tramandare la Fede di Niceta e di Peire Autier nella sua purezza, senza compromissioni con il mondo e col suo pensiero.

lunedì 18 settembre 2017

NOTE SUL LAVORO DI BARTOLUCCI

Chiara Bartolucci (Soprintendenza Archeologia della Toscana) è l'autrice del lavoro De lingua origineque Etruscorum, in cui cerca di far luce sulla provenienza dell'inclito popolo tirrenico. Il testo è liberamente consultabile e scaricabile al seguente url:


L'autrice riassume le opinioni sull'origine allogena degli Etruschi già enunciate dagli autori dell'Antichità:

   - Erodoto (Storie, I, 94) riporta una teoria secondo la quale gli Etruschi provenivano dalla Lidia. Essi giunsero in Italia sotto la guida del re eponimo Tirreno a causa di una carestia poco prima della guerra di Troia (XII sec. a.C.),
   - Ellanico di Mitilene (in Dion. Hel., I, 28) teorizza che gli Etruschi giunsero in Italia a seguito della migrazione dei Pelasgi (misterioso popolo migratore del Mediterraneo orientale). Tale tesi è stata avvalorata, secondo la ricerca moderna, da alcune fonti egizie ovvero i resoconti da Amenophis III a Merneptah (1413-1220 a.C.). All'interno di tali documenti vengono trattate le scorrerie di diversi popoli, alcuni di essi di facile identificazione mentre altri di dubbio, se non impossibile riconoscimento. Tra i tanti nomi spicca /Trš.w/ che alcuni identificano con il termine greco Tyrsenoi/Tyrrenoi (Tirreni/Tusci), quindi gli Etruschi.

    - Anticlide (in Strab., V, 2-4): secondo lui Tirreno colonizzò prima le isole dell'Egeo (Lemno e Imbro) e poi l'Italia.
(cit.)

Lampante è la natura politica e ideologica delle opinioni di Dionigi di Alicarnasso sugli Etruschi come popolo autoctono. L'autrice fa notare che la testimonianza di Dionigi di Alicarnasso non è propriamente attendibile, in quanto viziata da argomenti politici tipici del Principato di Augusto. Difendendo l'origine greca di Roma e covando stizzosi sentimenti antietruschi, l'autore non poteva che ritenere i Rasenna indigeni, al preciso scopo di sminuirli, di rubare loro la gloria. Questa confutazione è di somma importanza, perché indebolisce la posizione dogmatica della Setta degli Archeologi, che di tutte le testimonianze degli autori antichi ne fanno prevalere una assolutamente minoritaria per sostenere il pilastro portante del Pallottinismo: l'idea del "farsi" degli Etruschi sul suolo italico, con totale inconoscibilità delle componenti d'origine, considerata una prosecuzione diretta dei Villanoviani.

Etruschi e genetica

Il complesso problema del DNA degli Etruschi porta a considerazioni che possono lasciare sgomenti. Com'è noto, le analisi genetiche sui resti di Etruschi e su moderni abitanti della Toscana non hanno dato esiti conclusivi. Si rimarca la fallacia e la fragilità logica dei tentativi di dimostrare la continuità genetica tra gli Etruschi e gli attuali toscani. La Bartolucci descrive lo scibile sull'argomento, anche se non mi pare che giunga a enunciare una teoria capace di fare chiarezza. A mio avviso è ben possibile che siano state le linee nobiliari dell'antico popolo a estinguersi e che siano sopravvissute numerose linee plebee o servili - il che renderebbe conto dei risultati marasmici delle indagini. Questa confusione potrebbe avere molteplici cause. La lingua etrusca avrà finito con l'accomunare un certo numero di genti di diversa origine, sebbene in origine sarà stata parlata soltanto da una minoranza giunta dal mare. Se le cose stanno così, smantellare il nocivo tabù pallottiniano che vieta l'indagine sul "farsi" degli Etruschi diventa una necessità prioritaria. 

La fallace testimonianza di Xanto 

Dionigi di Alicarnasso riporta quanto segue a sostegno delle sue tesi: "Xanto di Lidia, uno degli storici più autorevoli per quanto attiene alle antichità della sua patria, che non fa allusione in nessun passo dei suoi scritti a un capo lidio a nome Tirreno, o alla migrazione dei Tirreni in Italia, sottolineando come i due popoli presentino usanze e lingue diverse. Di conseguenza “l’opinione secondo me più verosimile è quella secondo la quale i Tirreni sono una nazione autoctona, vista l’originalità dei loro costumi e della loro lingua. Non c’è alcuna ragione per cui i Greci non avrebbero dovuto chiamarli Tirreni, dalle torri in cui vivono e dal nome di uno dei loro governanti." Il fatto che la anatolica lingua dei Lidi non somigli affatto a quella degli Etruschi non deve stupire: i Lidi sono sopraggiunti nella terra che da loro ha poi preso il nome soltanto quando i Tirreni erano già migrati. Una realtà lapalissiana, a cui tuttavia sembrerebbe che nessuno abbia seriamente pensato.

La lingua di Lemno

La Bartolucci cita un argomento che Pallottino ha cercato con ogni mezzo di tenere nascosto, ma che ha un potere devastante, in grado di far implodere la teoria autoctonista. Si tratta dell'attestazione di una lingua simile all'etrusco in un'iscrizione trovata nell'isola egea di Lemno, in un luogo lontanissimo dall'Etruria. Alcuni autori hanno tentato di far passare la lingua lemnia per un "rigurgito" provenuto dall'Italia, senza portare evidenze plausibili e fondandosi su ragionamenti di una fragilità logica molto spinta, forgiate cum dolo allo scopo di salvare il Pallottinismo. Riporto un passaggio del De lingua origineque Etruscorum"Come ogni testimonianza autoctonista, anche quella di Pallottino è incapace di spiegare in maniera convincente la testimonianza lemnia. Per Pallottino il contributo egeo alla lingua degli Etruschi storici va spostato al passato più remoto che si possa immaginare, e cioè verso l’inizio del II millennio a.C., il che rende la somiglianza tra lemnio ed etrusco inspiegabile." Aggiungerò che esistono alcune innegabili consonanze tra il lessico di base dell'etrusco e quello del sostrato preindoeuropeo della lingua greca. L'esempio dato dall'etrusco puia "moglie" e dal greco ὀπυίω "prendo in moglie" non può essere attribuito al caso. Tutto ciò dovrebbe porre fine una volta per tutte alle inveterate pastoie dogmatiche, lasciando libero il campo alla Scienza.

NOTE SUL LAVORO DI LAKARRA

Joseba Lakarra della University of Basque Country (Euskal Herriko Unibertsitatea, Universidad del País Vasco) è un importante vasconista. La sua pagina su Academia.edu permette di consultare e di scaricare liberamente numerosi suoi lavori sulla lingua basca (Euskara), mentre di altri è riportato soltanto il titolo. Questo è l'url:


Come tutti ormai sapranno, il basco è una lingua isolata, che non presenta somiglianze evidenti con nessun'altra lingua del pianeta. Il problema della sua origine, che si perde nella notte dei tempi, è dunque cruciale. È l'unico superstite delle lingue preromane parlate nella penisola iberica. La sua differenza con le lingue di ceppo indoeuropeo è stridente, nonostante nel corso dei secoli abbia preso a prestito numerosissime parole dalle lingue finitime, a iniziare dal latino dell'epoca imperiale, per poi continuare con il latino tardo e con le lingue romanze che sono derivate dalla sua decomposizione.

La ricostruzione delle protoforme del basco è stata fondata da Koldo Michelena della Universidad del País Vasco (1915-1987) e portata avanti sugli stessi princìpi fondanti dall'inglese Robert Lawrence "Larry" Trask (University of Sussex), deceduto nel 2004 a causa di una terribile malattia neurologica. Michelena è riuscito a ottenere grandi risultati confrontando tutte le varietà dialettali note e le alternanze grammaticali, riuscendo così a recuperare le forme originali, che trovano conferma in molte parole del lessico di base dalla testimonianza delle iscrizioni acquitane, contenenti antroponimi in una lingua che doveva essere assai simile all'antenato del basco parlato tuttora. Anche i prestiti dalla lingua latina hanno dato un grande contributo a quest'opera di ricostruizione, aiutando a comprendere certe trasformazioni dei fonemi che sono avvenute nel tempo. 

Una volta ricostruite le protoforme, si arriva a radici che in genere non sono ulteriormente etimologizzabili. Joseba Lakarra tenta di andare oltre questo stadio della protolingua, cercando di isolare monosillabi in grado di spiegare le radici polisillabiche come composti preistorici. Evidenzia anche numerosi esiti di quella che ricostruisce come un'antica reduplicazione. Questi sono alcuni esempi:

protobasco *adaR "corno" < *da-daR
protobasco *anaR "verme" < *na-naR
protobasco *edeR "bello" < *de-deR
protobasco *odol "sangue" < *do-dol
protobasco *onol "tavola" < *no-nol
protobasco *unuR "nocciola" < *nu-nuR 

L'autore parla di questi metodi di analisi nel suo articolo Teoría de la raíz monosilábica y reconstrucción del protovasco: algunos aspectos y conseguencias


Esiste anche la versione in inglese, che forse risulterà di lettura più agevole per i pochi internauti interessati: 


Passiamo ora ad alcune sintetiche considerazioni. Si evidenzia innanzitutto la diversità di approccio in Lakarra e nei comparativisti.

1) Lakarra
Tende a spiegare Omero con Omero, cercando unicamente comparazioni interne, riducendo tutte le forme polisillabiche a composti di monosillabi un tempo indipendenti.
Es. labur "corto" < *la- + -*buR, con lo stesso elemento di samur "tenero" < *san- + -*buR.

2) I comparativisti
Tendono a separare una radice di tipo CVC- (consonante + vocale + consonante) e interpretare come suffisso tutto ciò che segue, cercando assonanze nel mondo mediterraneo.
Es. labur "corto" < *lab-uR, confrontato con il greco labrys "ascia bipenne", Labyrinthos "Labirinto", e via discorrendo. La semantica sarebbe la seguente: "corto" < "reciso" < "ascia".

Chi ha ragione?

Limiti della posizione 1): Tende a ritenere la lingua un isolato assoluto, negando ogni confronto esterno. È soggetta a rischio di metanalisi (false etimologie).

Limiti della posizione 2): Tende a proiettare una forma presente tal quale nel passato e a non curarsi della ricostruzione di una protoforma a partire dai dati disponibili. È soggetta a rischio di metanalisi (false etimologie).

A parer mio non esiste una regola assoluta: occorre procedere caso per caso e discutere ogni singola parola, verificando e riverificando le evidenze. Si noterà che la teoria della reduplicazione introdotta da Lakarra trova una notevole corrispondenza in paleosardo, come mostrato con grande merito Eduardo Blasco Ferrer, deceduto nel gennaio 2017 per arresto cardiaco. Infatti abbiamo nei toponimi paleosardi le forme DOL- e DO-DOL- "rosso, color sangue" (es. DODOLIAI, DOLAI), che sono in perfetto accordo con le protoforme pre-protobasche ricostruite da Lakarra. Anche alcune ricostruzioni di parole composte nel protobasco, poi semplificatesi nel basco storico, sono di grande aiuto nell'indagine del materiale toponomastico paleosardo e lo stesso Blasco Ferrer ne ha tratto grande giovamento. Ad esempio è molto utile l'analisi di hibai "fiume"  come *hur "acqua" + *ban- "tagliare" + i, che trova corrispondenza nell'idronimo di origine paleosarda baku ORBAI, anche se permangono alcune difficoltà fonetiche e semantiche. Non va però taciuto che ci sono non pochi casi in cui Lakarra ha preso cantonate spaventose. Un esempio paradigmatico è zauri "ferita", assurdamente ricondotto al latino sanguine(m) tramite tutta una serie di passaggi estremamente improbabili che non possono essersi verificati nel basco storico.