giovedì 25 gennaio 2018


BLADE RUNNER 2049 

Anno: 2017
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Regia: Denis Villeneuve
Durata: 163 min
Rapporto: 2,35:1
Genere: Fantascienza, noir, avventura, azione,
    drammatico, thriller
Soggetto:
Philip K. Dick (personaggi); Hampton
    Fancher (storia)
Sceneggiatura:
Hampton Fancher, Michael Green
Produttore: Cynthia S. Yorkin, Bud Yorkin,
     Broderick Johnson, Andrew A. Kosove
Produttore esecutivo: Ridley Scott, Tim Gamble,
     Frank Giustra, Yale Badick, Bill Carraro, Val Hill
Casa di produzione: Alcon Entertainment,
     Thunderbird Entertainment, Scott Free
     Productions
Distribuzione (Italia): Warner Bros. Pictures
Fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Joe Walker
Musiche: Hans Zimmer, Benjamin Wallfisch
Scenografia: Dennis Gassner
Interpreti e personaggi   
    Ryan Gosling: Agente K
    Harrison Ford: Rick Deckard
    Ana de Armas: Joi
    Sylvia Hoeks: Luv
    Jared Leto: Niander Wallace
    Robin Wright: Tenente Joshi
    Mackenzie Davis: Mariette
    Carla Juri: Ana Stelline
    Lennie James: Mister Cotton
    Dave Bautista: Sapper Morton
    Barkhad Abdi: Doc Badger
    David Dastmalchian: Coco
    Hiam Abbass: Freysa
    Wood Harris: Nandez
    Edward James Olmos: Gaff
    Sean Young: Rachel
Doppiatori italiani   
    Gianfranco Miranda: Agente K
    Michele Gammino: Rick Deckard
    Joy Saltarelli: Joi
    Alessia Amendola: Luv
    Emiliano Coltorti: Niander Wallace
    Laura Boccanera: Tenente Joshi
    Domitilla D'Amico: Mariette
    Elena Perino: Ana Stelline
    Loris Loddi: Mister Cotton
    Simone Mori: Sapper Morton
    Ludovica Modugno: Freysa
    Alberto Bognanni: Nandez
    Ennio Coltorti: Gaff
Budget: 150-185 milioni di $.
Incassi al botteghino: 259,2 milioni di $.

Trama:

Nel 2049 - anno più vicino a noi di quanto si possa pensare - i replicanti sono schiavi. Soltanto in pochi sono adibiti a mansioni migliori. Uno di loro, K., lavora per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles (LAPD) come Blade Runner, con l'incarico di "ritirare", ossia di terminare, i replicanti vagabondi. In una fabbrica di proteine fecali, K. "ritira" un replicante di nome Sapper Morton e scopre una scatola sepolta sotto un albero. In tale scatola ci sono i resti di una replicante morta di parto cesareo nel dare alla luce un figlio. Questo dimostra una cosa sconvolgente: anche i replicanti possono dare la vita tramite l'atto sessuale - cosa che fino ad allora era sempre stata giudicata impossibile. Il superiore di K., il Luogotenente Joshi, come viene a sapere della scoperta, si sente invadere dal terrore: se i replicanti possono procreare, sarà difficile evitare che insorgano in armi e inizino una guerra, cosa che potrebbe anche portare alla sostituzione del genere umano. Per questo motivo Joshi ordina a K. di rintracciare il figlio della replicante deceduta di parto e di "ritirarlo": è prioritario che nessuno venga mai a sapere di queste cose. K. giunge al quartier generale della Wallace Corporation, succeduta alla famosa Tyrell Corporation, dove la replicante deceduta viene identificata come Rachel. K. apprende anche della relazione di Rachel con il Blade Runner Rick Deckard. Il CEO della Wallace Corporation, Niander Wallace, comprende la potenzialità dei replicanti fecondi nella colonizzazione interstellare, così manda la sua tirapiedi, la replicante Luv, a sottrarre i resti di Rachel e a seguire K. nella sua ricerca. Tornato alla fattoria dell'estinto Morton, K. nota la data 6-10-21 incisa sul tronco dell'albero e ha un flash: tramite quella data recupera la memoria di un giocattolo, un cavallo di legno. La compagna olografica di K., Joi, partendo dal fatto che le memorie dei replicanti sono artificiali, giunge alla conclusione che egli è nato tramite riproduzione sessuale. Procreato, non creato. Il replicante brucia la fattoria, quindi cerca affannosamente negli archivi del Dipartimento, e alla fine trova informazioni su una coppia di gemelli, un maschio e una femmina distinguibili soltanto per il diverso cromosoma sessuale. Stando ai documenti, soltanto il ragazzo sarebbe sopravvissuto. K. riesce a risalire all'orfanotrofio, a riconoscere il luogo e a trovare il giocattolo proprio dove ricordava di averlo lasciato. Giunto dalla dottoressa Ana Stelline, disegnatrice di memorie di replicanti, il Blade Runner riceve la conferma del fatto che i suoi ricordi dell'orfanotrofio sono reali, così giunge alla conclusione di essere proprio il figlio di Rachel. Rientrando al Dipartimento, fallisce un test post-traumatico e solo a fatica riesce a parlare al suo superiore. Mente a Joshi, affermando di aver "ritirato" il replicante bambino nato da copula. Gli viene detto di fuggire entro 48 ore, così si dirige verso le rovine di Las Vegas. L'antica città è ridotta a un mucchio di macerie soffocate dalle sabbie rossicce di un deserto pseudomarziano. In mezzo a tanta desolazione, K. ritrova Deckard, un Harrison Ford ormai pronto per la tumulazione. Il vetusto ex cacciatore di androidi, che all'inizio si mostra molto ostile con il giovane, alla fine lo accoglie e gli rivela molte cose. Gli dice di essere realmente l'uomo che ha ingravidato Rachel e che per proteggere la sua creatura ha manomesso gli archivi, confondendo le acque. Gli eventi precipitano: la perfida Luv, dopo aver ucciso Joshi, raggiunge K. e Deckard, scatenando il finimondo. Gli eventi convulsi che seguono porteranno alla lesione dei protagonisti e all'emergere di una verità del tutto inattesa: il ricordo del cavallo di legno era stato davvero creato da Ana Stelline, che è la figlia di Deckard e di Rachel. K., terribilmente deluso, si accascerà moribondo sui gradini dell'edificio ciclopico in cui abita la creatrice di memorie artificiali, spirando nel nonsenso più totale, in mezzo alla neve, gli occhi vuoti rivolti al Cielo del Nulla. Un finale raffazzonato e precipitoso.


Recensione: 

Se devo essere sincero guardando la pellicola di Villeneuve sono rimasto un po' spiazzato. Se di certo sono eccellenti i paesaggi, le ambientazioni, le riprese, i colori, le musiche e via discorrendo, va detto che ho trovato la trama di questo film abbastanza discutibile e piena zeppa di inconsistenze. Per carità, non voglio togliere Cristo dalla croce a nessuno e rispetto i sentimenti di tutti, ma non posso tacere. Non posso neanche rinunciare a pensare con la mia testa. Intorno a Blade Runner 2049 si è sviluppata una vera e propria latria, un culto che ha connotati prettamente religiosi e non proprio tolleranti. Lo spettatore non è più nel campo della critica pura e semplice, di ciò che può piacere o può non piacere: non resiste alla tentazione di entrare nel periglioso territorio del pensiero magico-superstizioso e della voglia di scatenare linciaggi. Esistono infatti moltissimi fan (id est fanatici) pronti a lapidare qualsiasi persona che non proferisca giudizi pienamente eulogistici sul sequel del film di Ridley Scott. Così, per il solo fatto di non amare in modo viscerale e incondizionato quest'opera, mi pongo nella condizione di un uomo che faccia irruzione in una chiesa gremita nella Brianza ottocentesca urlando bestemmie atroci. Oppure, per rendere ancora più efficace l'idea, verrei a trovarmi nei poco invidiabili panni di un uomo che entrasse in una moschea trascinando la carcassa di un porco, calzando per giunta scarponi sporchi di feci grasse. Questo è un film introspettivo da guardare così, per la sua sublime estetica, senza porsi troppe domande sulla sua sensatezza. Come uno viene meno a questo saggio consiglio, ecco che tutto si sfalda e crolla come un castello di carte. Non avrei mai pensato che in tutta la mia esistenza avrei visto qualcosa di simile, in cui il capolavoro convive la nullità, il genio con la banalità, il tutto in un miscuglio chimerico. Forse un giorno, quando rivedrò il film, riuscirò a guardarlo con occhi meno critici. Quel giorno tuttavia sembra ancora lontano.


Un generatore di paradossi

L'annoso problema della riconoscibilità dei replicanti è stato maldigerito da Villeneuve, che se ne esce con trovate paradossali e intrinsecamente contraddittorie. Quando K. analizza i resti di Rachel, ne riconosce la natura con un semplicissimo sistema ottico: tramite un microscopio riesce a scorgere una sigla incisa su un osso, un marchio di fabbrica, proprio come la firma che un famoso chirurgo britannico ha inciso sui fegati da lui trapiantati. Viene detto qualcosa come "un tempo non era facile riconoscere i replicanti", battuta che il regista ha concepito per pararsi il culo e avere qualche libertà. Vediamo di capirci. Ci sarebbe stato un gigantesco blackout e la società avrebbe subìto un vertiginoso crollo tecnologico - eppure avrebbe saputo concepire un sistema comodo per identificare otticamente i replicanti, quando prima del collasso, con una tccnologia superiore, tutto sarebbe stato più difficile? Sarebbe credibile tutto questo? Inoltre, cosa avrebbe spinto la Tyrell Corporation a incidere quelle lettere sulle ossa dei replicanti, se nessuno avesse saputo individuarle con sistemi ottici? Contraddizioni su contraddizioni, incapacità lampante di gestire il problema. Già nel film di Scott le cose non erano molto chiare, come ho avuto modo di spiegare nella recensione da me pubblicata a suo tempo. Poche idee e confuse. L'inutilità del complesso test di Voight-Kampff era già lapalissiana. Al peggio sarebbe bastata l'ordalia già in uso tra i Germani, dal momento che un replicante può immergere una mano nell'acqua bollente senza scottarsi. Per l'umano che si scotta, sarebbe un male minore da tollerarsi e da curare con un po' di crema PREP. Molto più economico di qualsiasi indagine psicologica dell'ozzac! I paradossi non si fermano qui, con buona pace dei fan. Alla Tyrell Corporation sarebbe stato facilissimo inserire nel corpo dei replicanti una qualsiasi caratteristica per permetterne il riconoscimento istantaneo, e sarebbe stato anche oltremodo conveniente. E c'era bisogno di tutto questo ambaradan? L'intero mondo dei replicanti si poggia sulle sabbie mobili!  


Il sorprendente gelo di Deckard

Quando Niander Wallace offre a Deckard un clone di Rachel per ottenere le informazioni cercate, sperando di mettere in crisi l'ex Blade Runner, questi reagisce in modo implacabile. Osserva la replicante plasmata come colei che ha amato e infine commenta: "Aveva gli occhi verdi". Così la malvagia Luv afferra una pistola, la punta al cranio della pseudo-Rachel e la fulmina, facendo fuoriuscire fiotti di sangue misto a materia cerebrale. Deckard rimane assolutamente impassibile. Nessuna reazione. Ora, pensiamoci per un attimo. Se qualcuno mi presentasse il clone della donna che ho amato, ne rimarrei sconvolto e cadrei in ginocchio, in preda a emozioni devastanti, a una sofferenza acutissima. Potrei anche avere un infarto e rantolare lì ai suoi piedi. Se riuscissi a sopravvivere, e vedessi un'aguzzina carogna fare del male al clone, le salterei addosso anche disarmato e la prenderei a zampate, ruggendo come un leone, anche a costo di beccarmi una pallottola. Direi che dal punto di vista narrativo, questa vicenda incongrua parrebbe un mero pretesto per riesumare la figura di Rachel, quasi un cameo pensato per far contente le torme pressanti di fan in preda all'isteria. Prevengo una possibile obiezione. No, l'impassibilità di Deckard di fronte alla soppressione della pseudo-Rachel non può essere presa come una prova della sua supposta natura di replicante privo di empatia, come si vedrà meglio nel seguito. 


Grotteschi trapianti da Dune 

Siamo franchi, ragazzi: a cosa servirà mai quell'inconsistente movimento messianico di femministe calve e di beduini coperti di stracci che sembra cagato dal culo del Muad'Dib? Tutto ricorda l'abominevole Arrakis (si capirà, il mio è il punto di vista di un genuino Harkonnen): Bene Gesserit frammiste a Matres Onorate, a Fremen e a svariata fauna similare, tutti osannanti alla Replicante Feconda che piacerebbe anche a Jorge Pompeo Bergoglio, il moderno apostolo della produzione illimitata di feti. Villeneuve avrebbe ben potuto fare a meno di evocare simili scenari senza la capacità necessaria alla loro gestione. Si può capire ciò che ha fatto soltanto alla luce della sua notoria ossessione per Dune, il capolavoro di Frank Herbert tradotto in pellicola da David Lynch. La sua è una passione totalizzante, che avrà come frutto un nuovo adattamento cinematografico della ponderosa saga fantascientifica. Spero che questa volta riesca a fare qualcosa di degno, anche se va detto che non sarò soddisfatto finché non avrò visto gli Harkonnen trionfare! Il punto è che tutto ciò non ha nulla a che fare con il film di Scott e ancor meno con l'opera di Phillip K. Dick. Villeneuve fa comparire il movimento di ribellione herbertiano e lo fa scomparire prima ancora che lo spettatore possa riuscire a capire a fondo la portata di ciò che i suoi occhi hanno visto. Per questo motivo si ha la netta sensazione di un elemento estraneo innestato a viva forza in un tessuto che potrebbe dare origine a una reazione di rigetto da un momento all'altro. La parola "xenotrapianto" non potrebbe essere usata in un contesto più adatto di questo!


La scadenza dei replicanti

Come ormai sanno anche i muri, i replicanti prodotti dalla Tyrell Corporation, che abbiamo visto nel film di Scott, avevano una data di scadenza. Tutti, con l'unica eccezione di Rachel. Erano programmati per durare poco e proprio questo rende possibile il pathos che innerva la pellicola. Tutto sommato si trattava di un vulnus non da poco, solo che nessuno se ne rese conto a quei tempi. Il primo a farlo fu il carissimo amico P., che dopo aver rivisto Blade Runner per l'ennesima volta, all'improvviso espresse così le proprie perplessità: "Me c'era proprio bisogno di fare tanto casino? Se tanto i replicanti erano in scadenza, potevano anche lasciarli in pace: sarebbero comunque morti tutti spontaneamente e a breve. Avrebbero potuto almeno rendere drammatica la situazione mostrando replicanti intenzionati a compiere un attentato a una centrale nucleare, tanto per giustificare una simile caccia. Ma così non si capisce che senso possa avere!". Un'obiezione che mi sembra ben fondata, anche se i fan non saranno d'accordo. Lo so, rischio di ritrovarmi con minacce di morte già soltanto per aver riportato l'aneddoto. Però le cose non cambiano, stanno proprio così. Con ogni probabilità Villeneuve lo ha capito e ha cercato di trovare un escamotage in grado di sanare questo vulnus, di nasconderlo come un topo morto sotto al tappeto. Così ha immaginato una nuova generazione di replicanti senza scadenza, che hanno sostituito i vecchi modelli. Non so se sia stata comunque una grande idea, ma penso che sia riuscita almeno in parte nell'intento. La morale di tutto ciò è semplice e diretta: quando si manipolano trame complesse, poi si rischia di perderne il controllo.


Il Demiurgo

Non possiamo tralasciare un personaggio di grande importanza e senza dubbio profetico: Niander Wallace, il creatore dei replicanti. Inquietante e diabolico, questo essere non è senza dubbio un semplice uomo. Egli rappresenta sulla Terra l'intelligenza malvagia che governa l'Universo, ne è un plenipotenziario. Si potrebbe benissimo definirlo Arcidiavolo. Il suo potere è assoluto e masse di schiavi lo servono, consumando le loro vite per edificare il suo impero. Niander Wallace giunge al punto di torturare e uccidere le sue creature per puro divertimento, perché per lui la vivisezione è un genere voluttuario, qualcosa di inebriante da assaporare secondo dopo secondo. La vita di un replicante, come di un umano uscito dall'utero, non vale nulla ai suoi occhi: ne può disporre come meglio crede. Se spezzarla gli porta in tasca anche soltanto un centesimo in più, o se soltanto turba i suoi pensieri, lui la spezza. Le origini di un simile mostro sono proprio sotto i nostri occhi. Il neoliberismo crea l'humus necessario al loro emergere. Certo, personaggi come Mark Zuckerberg ed Elon Musk sembrano distanti mille miglia dal folle Niander Wallace. La gente li adora perché dice che sono ottimisti, gioviali, amanti della vita e soprattutto animati da grandi sogni, in una parola sono "solari". Già il sinistro Jeff Bezos è molto meno simpatico. Freme dalla voglia di introdurre un duro servaggio e non lo nasconde nemmeno. Prima o poi, grazie a simili concentrazioni di potere, si affermerà un carnefice le cui opere aberranti faranno maledire a centinaia di persone il giorno del proprio concepimento. Questo lo posso dire per certo.  


Una perdita irreparabile

Joi, la ragazza olografica, è per K. la sola compagnia, il solo essere con cui interagire. È come una specie di angelo custode, qualcosa che salverebbe dalla disperazione urbana moltissime persone. Capace di dare un immenso sostegno morale, emotivo e persino erotico, è un gran progresso rispetto a un animale da compagnia o alla mano amica. A un certo punto la vediamo addirittura torreggiare sul protagonista come un ologramma gigantesco dai colori sgargianti, una visione che sembra venire dalla zona di confine tra la vita e la morte. Quando viene uccisa, abbiamo l'impressione che si sia consumata un'iniquità spaventosa. K. all'improvviso non ha più nessuno, è diventato un'isola alla deriva nelle profondità cosmiche, come un atomo di idrogeno sperduto in un abisso vuoto lontano da ogni galassia. Nulla potrà rendere un qualche senso alla sua esistenza, che si avvia così al solipsismo, all'agonia e al trapasso. Certo, si dirà, Joi in fondo è soltanto una macchina, una coscienza simulata, una rete neurale in grado di apprendere. Si ha tuttavia l'impressione che sia un essere senziente come una persona fatta di carne, di sangue e di ossa. Una persona che, una volta annientata, non potrà più essere sostituita.   

 

Climax interruptus 

Ho provato una grandissima delusione quando si spezza la tensione e risulta che non è K. il figlio di Rick Deckard. Non che io sia un amante delle trame romantiche e sdolcinate. Ho avuto l'impressione che sia stato fatto un grande investimento sulla figura del Blade Runner del LAPD e sul suo rapporto col presunto padre, Deckard, e questo solo per far finire tutto nello scarico del cesso, proprio dentro allo sterco. Mi si perdonino i ricorrenti francesismi. Ecco che tutto di colpo il nostro K. non è più nessuno e può esser lasciato morire così, di una morte senza senso né costrutto,  con il solo vantaggio di spirare in mezzo alla neve anziché in mezzo agli escrementi. Il punto è che la rivelazione del fatto che il tale è figlio del tal altro è ormai vecchia come il cucù. Quindi si cerca con ogni mezzo di far sospettare una stretta parentela tra personaggi problematici al solo scopo di smentirla nel modo più secco. Può anche sembrare una strategia efficace. Il prezzo da pagare è comunque altissimo. Un film diventa all'improvviso un nulla. Collassa, implode. La stessa figlia di Rachel e di Deckard, la dottoressa Ana Stelline, è un personaggio vuoto, nemmeno abbozzato, futile, poco più di un disegno fatto con lo spray sulle macerie di un palazzo abbandonato da decenni.

 

Risolto il problema della natura di Deckard

Possiamo dirlo per certo: Rick Deckard non è un replicante. Partiamo da un fatto molto semplice: egli è riuscito a ingravidare Rachel, un evento ritenuto estremamente improbabile. Se così non fosse, la gravidanza delle replicanti femmine sarebbe stata una cosa normale e osservata tutti i giorni. I replicanti sono descritti come sterili. Se è già eccezionale che un umano naturale possa mettere incinta una replicante femmina, le probabibilità che possa riuscirci un replicante maschio sono quindi enormemente minori. Infatti le probabilità si moltiplicano e numeri piccolissimi, compresi tra 0 e 1, una volta moltiplicati tra loro diventano ancora più piccoli. Così 0,5 (1/2) moltiplicato per 0,5 (1/2) dà 0,25 (1/4). Non siamo lontani dal vero dicendo che possiamo considarare in pratica impossibile che lo sperma di Deckard avrebbe potuto fertilizzare Rachel, se entrambi fossero stati umani artificiali. Come se non bastasse, un Deckard replicante sarebbe stato un vecchio modello... e sarebbe scaduto. Questo solleva una questione a mio avviso non trascurabile. In una delle tante versioni del film di Scott era emersa una memoria singolare, il sogno di un unicorno bianco, che trovava riscontro nel ritrovamento di un origami a forma di unicorno, suggerendo proprio la possibilità che il famosissimo Blade Runner interpretato da Harrison Ford fosse a sua volta un replicante. Infatti è risaputo che negli umani non si registrano simili fenomeni. Potremmo pensare che Villeneuve abbia abbandonato questa traccia per inserire la vicenda grottesca e improbabile di una messianica Rachel procreatrice. L'idea di una discontinuità biologica che avrebbe segnato l'avvento di nuove tipologie di replicanti, questa volta fecondi, deve essergli parsa più promettente. Per concludere, l'idea di un Deckard replicante inconsapevole proprio non si sarebbe retta in piedi. Un replicante ha una forza considerevole e poteri straordinari, come quello di non ustionarsi. Una persona che fosse un replicante se ne accorgerebbe per necessità constatando di cosa il proprio corpo è capace e facendo qualche calcolo. 

Altre recensioni e reazioni nel Web: 

Consiglio innanzitutto di leggere i fondamentali articoli del carissimo amico Giovanni De Matteo, apparsi sul sito Fantascienza.com:




Giovanni è rimasto molto colpito da questo film e riesce a irradiare un immenso entusiasmo, dando vita a scritti che sono una vera miniera di informazioni e di riflessioni profonde. Li ho letti con molto piacere, anche se non sono rimasto folgorato sulla via di Damasco guardando le sequenze di Villeneuve.

Si possono trovare alcune considerazioni di un certo interesse nella recensione negativa Blade Runner 2049 o dell'insostenibile pesantezza dell'irrilevanza, di Roberto Recchioni, apparsa su Screenweek.it:


Purtroppo il testo di Recchioni ha attirato l'ira di alcuni commentatori fanatici, adoratori incondizionati dell'opera di Villeneuve, tanto aggressivi da far sembrare miti come agnelli persino i Talebani. In fondo siamo in Italia: pur di linciare moralmente qualcuno, si inalberano con prontezza le più bizzarre e impensabili bandiere.

Questa recensione di Simone Stefanini è apparsa su Dailybest.it:


Come si può vedere, è più che altro incentrata sui risvolti tecnici e sugli attori. Di certo potrà soddisfare i feticisti dei dettagli, anche se i contenuti filosofici e antropologici sembrano fare un po' difetto.

Decisamente più positiva è la recensione di Luca Liguori, apparsa su Movieplayer.it:


Interessante è anche quest'altro articolo di Giuseppe Grossi, Blade Runner: 10 intuizioni di un capolavoro non replicabile, sempre su Movieplayer.it


Il tema portante è lo scetticismo sostanziale sulla stessa possibilità di realizzare un sequel di un qualche valore dell'opera di Ridley Scott. 

lunedì 22 gennaio 2018

LA CONTROVERSIA SUL CATARISMO 

Prenderò spunto da un articolo di Marco Meschini apparso sul quotidiano il Giornale del 2 giugno del 2006, intitolato “Maledetti catari, eretici «perfetti»”. Vi si legge: “gli storici di mezzo mondo si arrovellano da decenni intorno a un punto: gli eretici ci furono davvero, oppure furono il parto di un «discorso» ecclesiastico? Non fu cioè la Chiesa a «creare» gli eretici, accusandoli a bella posta di crimini e misfatti per poi farli fuori secondo il proprio tornaconto? Negli ultimi mesi il dibattito si è parecchio surriscaldato, specie in Francia: qualcuno sostiene addirittura che i catari non siano mai esistiti, portando come prova le poche fonti a nostra disposizione... Tuttavia quest’ultimo elemento prova solo l’efficacia della repressione. Ma soprattutto lo slittamento fatale in cui si incorre così è il seguente: scivolare cioè dall’analisi della storia a quella dei ragionamenti degli storici. Di decostruzione in decostruzione - più che in «ricostruzione» - si giunge cioè allo svuotamento totale e alla risignificazione del senso originario: poiché fu la Chiesa a chiamarli eretici, essi non solo non lo furono, ma esistettero solo funzionalmente nei piani - diabolici, verrebbe da dire - di quella. Ma, a parte il fatto che di testi catari ne conosciamo a sufficienza, e che gli enormi sforzi ecclesiastici ed ecclesiali indicano una realtà piuttosto che un discorso», il problema dei catari si pose in maniera davvero ardua per i medievali: giacché essi pensarono in buona fede a un’eresia, ma non si resero conto di affrontare una religione «altra», diversa in essenza dal cristianesimo, anche se di questo aveva alcune movenze. E fu proprio questa alterità profonda la crisi ultima del catarismo, estintosi sì per la pressione esterna ma, anche e soprattutto, per l’esaurirsi del proprio fuoco interno.”
Ed eccoci al tema che mi preme affrontare: l’affacciarsi, nell’ambito del dibattito storiografico, della tesi relativa all’«inesistenza dei catari».
In un saggio dal titolo “Cathars in question” curato da Antonio Sennis, (York: York Medieval Press, 2016), si riassumono i termini della questione. Si vedano i seguenti estratti dall’Introduzione del curatore:  

At the heart of this volume is the aspiration to tackle in a comparative perspective an issue which is highly controversial and hotly debated among scholars: the existence of a medieval phenomenon which we can legitimately call 'Catharism'. Traditionally regarded as the most radical challenge to the orthodox Catholicism in the medieval West, Catharism proposed that marriage is evil, just as the God of the Old Testament was evil and indeed different from the one of the New Testament, and that Christ never died in flesh.
   One of the main issues at stake is the question of whether what the inquisitors called 'the heresy' was an entity with a continuous existence over the years and with international dimensions spreading from the Balkans to Italy, and to Southern France. Historians are more or less in agreement that phenomena those repressing authorities described were largely localized, both geographically and chronologically. Was heresy, therefore, just a multiplicity of local, unconnected unorthodoxies? Or, on the contrary, can we indeed find a historically grounded connection between Catharism and a Balkan heresy such as Bogomilism, so that is actually possible to talk of dualist dissent as a distinct movement in the central Middle Ages?
(pag. 1)

   As is well known, R. I. Moore's book The War on Heresy argued that a structured 'Cathar Church' did not exist before the early thirteenth century and that, as a consequence, Catharism as a phenomenon - and, indeed, the activity, even the very identity, of its followers and the specificities of its creed - were largely the product of medieval inquisitors, on the one hand, and of modern historians, on the other. According to this view, Cathars and Catharism were a construct, and the radical views attributed to them are no more than a myth. The inquisitors, who were obviously far from neutral in their observation of local realities, imposed a rigid set of preconceived labels on what in reality was a dynamic and complex amalgamation of local practices (religious and other). They did so in order to establish the conditions for, and legitimation of, repression and persecution. A corollary of this has been the calling into question of the Balkan influence of Bogomilism in western Europe, and the reconsideration of some key aspects of the political, cultural, religious and economic relatonships between the Balkans and more western regions of Europe in the Middle Ages.
(pag. 2) 

Questions about the Cathars 

  Reduced to its essentials, the argument of those who reject the early existence of a series of organized, interrelated, mutually aware groups of dualist heretics (Cathars) is that what we are actually talking about is a very dynamic, fluid and diverse cosmos of dissidence (religious, social and political), devoid of any structured and uniform system of thought, with no shared texts or recognizable doctrines. As such, these groups of dissidents were very difficult to fight. The persecutors, so the argument goes, therefore constructed and categorized those dissident beliefs in a structured and fairly rigid way, so that it would be easier to refute them.
(pag. 3)

Come potete notare, Sennis menziona Robert Ian Moore, professore emerito di Storia all’università di Newcastle. Ebbene, Moore è forse l’esponente di punta di una corrente di pensiero che ha conosciuto ampia diffusione.
Vi propongo alcuni passaggi dell’intervista a Moore apparsa sulle pagine della rivista l’Histoire nel dicembre del 2016, dal titolo: Entretien avec Robert I. Moore: les Cathares ont-ils existé?

D'où vient alors cette idée d'une Église cathare solidement implantée dans l'Occident du XIIe siècle?  

On touche ici à la deuxième manière dont le mot a été employé. Son usage moderne et l'idée de « catharisme » ont été lancés par un historien strasbourgeois, Charles Schmidt, dans son Histoire et doctrine de la secte des cathares ou albigeois parue en 1849. Schmidt désignait par là une Église qui aurait été fondée dans les Balkans puis implantée par la suite parmi les populations de tout l'Occident chrétien. Cette Église aurait été dotée de structures institutionelles, avec une hiérarchie et des rituels spécifiques. Sa théologie aurait eu pour trait essentiel le dualisme (cf. Michel Tardieu, p. 50), l'opposition manichéenne entre un principe du mal recouvrant toute matérialité en cet bas monde et un principe du bien purement spirituel. Ce sont les adeptes de cette Église qui auraient été les principales victimes de la croisade contre les albigeois (1209-1229), puis de l'Inquisition, des années 1230 au début du XIVe siècle.

Ainsi est née la vision traditionnelle, qui à connu son apogée dans les années 1950, avec notamment l'ouvrage de l'historien allemand Arno Borst Die Katharer (1953, traduit en français en 1974), et les recherches d'un érudit domenicain, le Père Antoine Dondaine, auteur d'études sur « la hiérarchie cathare en Italie ». Cette tradition demeure bien vivante aujourd'hui encore, aussi bien chez les littérateurs de tout poil qu'auprès de nombreux chercheurs universitaires.

Les chose changent au milieu des années 1990 lorsqu'un groupe d'historiens français réuni par Monique Zerner, de l'université de Nice, une élève de Georges Duby, se penche de plus près, avec un méthode beaucoup plus rigoreuse, sur le sources du XIe-XIIe siècle qui étaient jusque-là cencées étayer la vision dominante du « catharisme ».  Les doutes qui avaient déjà été émis sur les origins balkaniques de l'hérésie se sont transformés en contestation radicale de cette version. Il n'existe aucune preuve solide de la diffusion d'une théologie dualiste par des prédicateurs bulgares dans l'Occident latin. L'hypothèse se fondait sur le seule observation de prétendues similitudes entre les thèses des bogomiles et celles prêtées aux hérétiques d'Occident dans les sources produites essentialment par l'Église.

Allant plus loin, Monique Zerner et ses confrères ont suggéré que l'idée que nous nous faisont des « cathares » et de leur dualisme repose uniquement sur le discours developpé par les ecclésiastiques médiévaux pour discréditer les mouvements contestataires. Dans une large mesure, l'hérésie a été « inventée » par l'Église pour criminaliser ceux qui en étaient accusés, rendre leur discours évangélique et anticlérical inaudible, de façon à les éliminer plus facilement.

Le « catharisme » n'avait-il donc aucune réalité?

Je ne nie pas du tout la réalité d'un phénomène particulier qui l'est possible de désigner sous le nom de « catharisme » dans l'Italie du XIIIe siècle. Le laïc de Plaisance Salvo Burci, par exemple, proche des Domenicains et auteur en 1235 d'un traité anti-hérétique, appelle « cathares » des habitants de Plaisance qui croient en deux principes antithétiques. Et les documents laissés par des enquêtes de l'Inquisition dans les années 1260 à Orvieto, aux confins de Latium et de la Toscane, livrent des preuves substantielles de l'existence d'une communauté de personnes connues localement comme « cathares ». On retrouve d'autres exemples parmi les nombreuses sectes dissidentes qui existaient alors dans les villes d'Italie centro-septentrionale.    

Quelle est alors votre vision du phénomène?

J'essaie d'expliquer dans mon dernier livre, Guerre à l'hérésie. Son object principal, ce n'est pas les cathares. Et c'est ne pas non plus l'hérésie elle-même. Cette dernière, à mon sens, est secondaire. Vous comprendrez sans dout pourquoi avec cette analogie: si je devais écrire sur la « guerre aux drogues » lancée aux États-Unis par Richard Nixon en 1971 et assidûment poursuivie jusqu'à nos jours, je ne centrerais pas mon propos sur les differences entre cocaïne, héroïne, crack et marijuana. Je m'interésserais beaucoup plus, en revanche, aux raisons qui ont avivé, exacerbé et entretenu dans l'opinion le sentiment de danger représenté par les drogues, au point d'en faire, sans discussion possible, la plus grande menace interieur pésant sur la société américaine.

Le tesi di Moore sono state accolte oserei dire con entusiasmo.


Ciò nonostante, il professore nordirlandese lamenta, nell'intervista a l'Histoire, di essere stato osteggiato:

On a reproché aux tenants de la nouvelle approche de faire du « négationnisme ». Comment expliquer une telle résistance?

C'est vrai! En 2005, des tenants du « catharisme » occitan sont allés jusqu'à rapprocher la démarche d'historiens comme Monique Zerner ou Jean-Louis Biges de celle des négationnistes qui contestent la réalité du génocide des Juifs... En remettant en cause le récit traditionnel, nous serions en somme des falsificateurs qui assassineraient la mémoire occitane du génocide cathare ! Aux États-Unis et en Grande-Bretagne, Mark C. Pegg, qui travaille sur la repression de l'hérésie, a lui aussi été couvert d'opprobre.

Cette hostilité est liée dans une large mesure à des enjeux culturels, politiques ou même commerciaux. Dans le Midi de la France il est évident que le mythe du catharisme a servi de support identitaire, depuis les années 1960, au combat occitaniste contre le jacobinisme parisien. Et, depuis 1992, « Pays Cathare » est une marque déposée, propriété du conseil départemental de l'Aude, utilisée par de nombreux professionnels des secteurs touristiques et agroalimentaire... L'enjeu dépasse la vérité historique !

La résistance de certains historiens est d'une autre nature. Beaucoup renâclent à voir remise en cause l'existence d'une religion autonome et unifié, incarnée dans une contre-Église organisée. Car s'en trouvent bouleversés des pans entiers du tableau habituel de l'histoire du Moyen Age central. En particulier l'histoire du développement général de l'Église catholique et celle de l'expansion du pouvoir capétien au sud de la Loire. L'histoire de l'hérésie « cathare » s'accompagne de celle de sa répression : croisade albigeoise de 1209-1229 qui se traduit finalement par l'affirmation de la couronne capétienne sur les terres du comte de Toulouse et de ses vassaux, puis création de l'Inquisition. Or l'idée que le renforcement istitutionnel de l'Église, et notamment le consolidement de l'absolutisme de la papauté, aurait été une réponse à la menace représentée par l'essor spontané de mouvements hérétiques ne tient plus. Ni celle qui explique la croisade par la nécessité objective de defendre la pureté de la foi. Ma ces idées ont la vie dure... Les historiens, tout comme le grand public, n'apprécient d'être dérangés dans leurs certitudes ! 

Eppure non si direbbe, vista l'ampia eco che le tesi di Moore hanno avuto.


Moore non è peraltro solo: a sostenere una tesi simile è Mark Gregory Pegg.

La rivista Religions & Histoire, nel numero 46 (settembre/ottobre 2012), intitolato Hérésies et Inquisition, pubblicò diversi interventi di carattere negazionista: Uwe Brunn, L'invention des cathares; Alessia Trivellone, Pour une histoire renouvelée de l'hérésie médiévale. Quest’ultimo articolo è consultabile su Academia:



Vi invito a leggere la replica di Michel Roquebert, studioso autore di svariati testi sul catarismo nonché presidente della Association d'études du catharisme - René Nelli, a M.G. Pegg:


Una replica invero piuttosto debole, quella di Roquebert. L’unico passaggio degno di nota è il seguente:

«Sta a noi meditare ora su questo nuovo metodo, quello della nouvelle histoire, che consiste nel:
1) squalificare a priori la prova, in modo da non dedurre nulla da essa, se non è l'opposto di ciò che sembra dire.
2) forgiare una tesi che si pone non come ipotesi ma come verità oggettiva, così coerente da sembrare una conclusione dedotta dalle fonti, mentre è pura solo a priori.
3) sforzarsi di versare in questo stampo prefabbricato (la non esistenza dell'eresia, se non come mero effetto del discorso clericale) il dato storico, fonti incluse, anche se resiste come un gatto che si voglia far entrare in una scatola da scarpe, e questo è il caso delle fonti inquisitorie.
Questo metodo sembra derivare da una curiosa manipolazione del linguaggio.
La base è la tesi originale e giudiziosa di Robert Moore secondo cui ogni potere, specialmente se è assoluto, deve, per mantenere e/o rafforzarsi, inventare un dissenso per perseguitare. Questo modello di "società della persecuzione" è perfettamente illustrato dai processi di Mosca ordinati dal potere sovietico negli anni '30.
Ma da allora in poi la tesi che "tutto il potere inevitabilmente inventa una dissidenza da perseguitare" è stato rovesciato in "ogni dissenso è necessariamente inventato dal potere persecutorio".
Da qui il credo della scuola decostruzionista: "l'eresia è un puro prodotto del discorso clericale".»

Ed ecco un filmato che recepisce le tesi di R.I. Moore:


Una replica molliccia alle tesi negazioniste è apparsa sul sito Catharisme d'aujourd'hui, sotto il titolo Du déconstructionnisme au négationnisme:

Donc, pour annoncer que le Catharisme n’a jamais existé et qu’il ne s’agissait que d’une dissidence catholique, il faut en connaître finement la doctrine pour la comparer à d’autres groupes dissidents et vérifier qu’il n’y a pas incompatibilité entre cette hypothèse et la réalité. En effet, un dissident en matière de religion se pose en contradiction du courant principal sur la base d’une critique ou d’un apport doctrinal jugé indispensable. C’est le cas de plusieurs schismes comme l’Orthodoxie qui refusait certains éléments doctrinaux catholiques, comme la Réforme qui considérait que les responsables catholiques avaient eux-mêmes déviés de la droite doctrine, comme le firent avant eux de nombreuses dissidences au Moyen Âge comme les Vaudois notamment. Mais les Cathares ne déviaient pas d’un corpus doctrinal dont les fondamentaux demeuraient les mêmes. Quand on dit que celui qui est considéré comme Dieu le père créateur du ciel et de la terre est le diable, on est loin d’une dissidence. Quand on dit que nul n’ira en enfer et qu’il ne sert à rien d’œuvrer pour son salut car il nous est acquis, on est loin de la différence d’appréciation.
Alors, messieurs les grands intellectuels, les surdiplômés de l’histoire, commencez donc par apprendre les bases nécessaires à la maîtrise du Catharisme et ensuite, nous discuterons des détails historiques.

In ultima analisi, si può affermare quanto segue: è in atto un tentativo articolato di negare l’esistenza stessa della religione dualista che va sotto il nome di Catarismo; le tesi dei negazionisti trovano ampio spazio sulla stampa e sulle pubblicazioni specializzate; le associazioni e i gruppi che, in Francia, dicono di richiamarsi al Catarismo non hanno saputo opporre alcuna valida e risoluta forma di contrasto a questo inaudito assalto da parte di accademici le cui reali motivazioni sarebbero tutte da indagare.
È opportuno ricordare qui quanto apparve sul Blog Dragovitsa – Dualismo Assoluto il 2 luglio del 2016:
“Le contestazioni che gli emissari delle diocesi e delle logge sono soliti muoverci sono sempre le stesse. Vado qui ad enunciarle in estrema sintesi:
1) la mancanza di fonti medievali che attestino l'esistenza di una dottrina dualista propriamente detta (i più accaniti fra i nostri oppositori giungono a negare l'esistenza stessa del dualismo radicale, ravvisandovi una "invenzione degli Inquisitori" tesa a screditare il "catarismo autentico");
2) le contraddizioni esistenti fra il dettato dei Vangeli e i princìpi dualisti - sulla base di questo argomento essi sostengono che il dualismo non sarebbe una religione cristiana;
3) la preclusione nei confronti del dialogo e del confronto con altre fedi;
4) un atteggiamento persistentemente negativo;
5) l'eccessiva attenzione agli aspetti truci e/o disgustosi della realtà.”

Ebbene, i negazionisti si sono spinti oltre: “L'hérésie était largement une invention des pouvoirs ecclésiastiques et princiers”. Rimuovere il dato dell’esistenza storica della religione dualista rappresenta il tentativo estremo di sradicare, una volta per tutte, una dottrina che non soltanto il potere costituito ma il mondo contemporaneo nel suo complesso avvertono come intollerabile ed inconcepibile.

Pietro Ferrari

venerdì 19 gennaio 2018


OLOCAUSTO CATARO 

CHI ERANO I CATARI 

- La parola catari viene dal greco e significa "puri"; tale denominazione fu riservata agli eretici dualisti presenti in Linguadoca, Lombardia e Renania nei secoli XII e XIII, per l'importanza da essi attribuita all'ideale ascetico di purezza. Sono pochissimi i testi catari scampati all'opera di distruzione sistematica condotta dalla Chiesa medievale, fra questi: la cosiddetta Bibbia di Lione; l'Interrogatio Iohannis; il Liber de duobus principiis, attribuito a Giovanni di Lugio. Tuttavia, basandosi su tali documenti e sugli scritti degli inquisitori e dei polemisti cattolici coevi (Bernard Gui e la sua Practica Inquisitionis haereticae pravitatis; Alain de Lille, De fide catholica contra haereticos; Raniero Sacconi, Summa de catharis) è possibile tracciare un quadro sufficientemente accurato della fede catara. Essa si caratterizza innanzitutto come una religione dualista, inserita nel solco di un'illustre tradizione di pensiero che, muovendo dal mondo iranico antico, passa attraverso la gnosi e il manicheismo, sino a intersecarsi con il cristianesimo. Secondo la dottrina catara vi sono nell'universo due divinità contrapposte: una, benevola, sovrana del regno invisibile e spirituale, ed un’altra malvagia, cui va imputata la creazione del mondo materiale, fondato sulla violenza e la sopraffazione. Per i catari l'uomo non è stato creato da Dio, ma dal Diavolo. Secondo la dottrina catara una condotta eticamente impura condanna l'anima a reincarnarsi, a migrare da un carcere corporeo all'altro, prolungando così il proprio esilio sulla terra, regno del Male. Accanto a questo asserto si colloca la negazione catara dell'inferno ultraterreno. La condotta morale è considerata il presupposto della liberazione: di qui discendono le severe norme ascetiche del catarismo (fra cui il rifiuto del matrimonio, della procreazione, e dei cibi ricavati dall'uccisione di animali), l'osservanza rigorosa delle quali incombeva però soltanto sui perfetti, la frangia rigorista della chiesa catara. I comuni credenti erano esentati da tali divieti. Rituali come il martirium e l'endura (pratica affine all'eutanasia), enfatizzati a dismisura dai polemisti cattolici interessati a criminalizzare la religione catara, non costituivano pratiche di massa, bensì la scelta estrema dei più coerenti fra i perfetti catari. "Forse in Europa, all'inizio del XIII secolo, non esisteva regione più vivace e brillante della Linguadoca. (...) Ma il meridione rimaneva ancora indipendente dal potere monarchico". Henri Pirenne, Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo, Roma, Newton Compton, 1991.. E' la notte del 16 marzo 1244: le fiamme di un rogo immenso squarciano le tenebre ai piedi della rocca di Montségur, nei Pirenei orientali. Sulla gigantesca pira innalzata dai francesi al comando di Ugo di Arcis, siniscalco di Carcassonne, perdono la vita oltre duecento fra credenti e perfetti catari, ognuno dei quali, costretto a scegliere fra l'abiura della propria fede religiosa e la morte, aveva consapevolmente optato per il martirio. Nove mesi hanno impiegato le truppe assedianti francesi per piegare la resistenza della guarnigione del castello di Montségur, presso il quale tanti esponenti del catarismo occitano si erano rifugiati a partire dal 1232. Il rogo del 16 marzo rappresenta uno degli episodi più drammatici della "guerra atroce e senza pietà" (Pirenne) condotta ai danni degli eretici dualisti nel Sud della Francia, durante la prima metà del XIII secolo, per volontà della Chiesa cattolica. Volontà espressa, in modo inequivocabile, da papa Innocenzo III nella seconda promulgazione di lettere per la crociata contro i "provinciales haereticos". In esse il pontefice assicura la protezione apostolica ai crociati, cui chiede di muovere in armi "ad exterminandum pravitatis haereticae sectatores" (Epist. XI, 11 ottobre 1208). La crociata contro gli eretici della Linguadoca si qualifica sin dall'inizio come una vera e propria guerra di sterminio. Gli eccidi e le atrocità di cui la vediamo costellata non sono incidenti di percorso, ma i sanguinosi effetti della direttiva emanata dalla massima autorità ecclesiastica. Sarebbe tuttavia un errore attribuirne la responsabilità all'intransigenza di un singolo pontefice, sia pure eccezionalmente risoluto. Al contrario, essa costituisce l'organica risposta della Chiesa medievale alla sfida del movimento ereticale che minaccia più seriamente sia il suo primato spirituale e temporale, sia la coesione dell'ecumene cattolico. L'opera intrapresa da Innocenzo III viene proseguita infatti dai suoi successori: Onorio III (1216-1227) e Gregorio IX (1227-1241). La politica ecclesiastica in materia di eresie, nei secoli XII e XIII, appare articolata quanto il fronte ereticale che alla Chiesa si oppone. L'epoca che vede la fioritura delle grandi città, parallelamente all'espansione del traffico mercantile, è attraversata da correnti ereticali forti ed eterogenee: da una parte i movimenti pauperistici (arnaldisti, valdesi), dall'altra l'eresia catara. I primi si richiamano ai valori evangelici e negano alla Tradizione ecclesiastica, distinta dalle Sacre Scritture, il valore di auctoritas. Benché fautori di una vibrante polemica nei confronti della Chiesa, tali movimenti si collocano tuttavia nel solco dottrinale del cristianesimo. Su un altro versante pare situarsi, invece, l'eresia catara, filiazione del pensiero dualistico orientale, in cui ritroviamo influenze pauliciane e bogomile. Nei confronti dei movimenti di riforma pauperistica l'azione della Chiesa è energica, sì, ma non assume - se non eccezionalmente, come nel caso dei seguaci di fra Dolcino - il carattere di una cruenta "soluzione finale". In fin dei conti, se essi contestano l'istituzione ecclesiastica è pur sempre in nome della fedeltà al dettato evangelico, non di una dottrina estranea al cristianesimo. I vertici cattolici, coscienti delle ragioni che alimentano il fermento ereticale (non ultima il lassismo di una parte del clero), adottano nei confronti dei movimenti pauperistici una duplice strategia: da un lato organizzano la repressione vera e propria, dall'altro avviano un'azione più duttile volta ad assorbire propaggini eretiche favorendo la creazione di comunità evangeliche ortodosse (Umiliati, Poveri Cattolici), a pieno titolo inserite nel corpo della Chiesa. Né si deve dimenticare che nei primi decenni del XIII secolo nasce e si sviluppa, raccogliendo ampi consensi, la predicazione di Francesco d'Assisi, imperniata sui temi della paupertas, dell'uguaglianza nella povertà in consonanza coi precetti evangelici, il tutto mantenuto, però, entro i limiti dell'ortodossia. Di tutt'altro genere è l'atteggiamento della Chiesa nei confronti dei catari, percepiti come assolutamente estranei e ostili. Nella prima metà del XII secolo, il monaco Hervé de Bourgdieu segnala la presenza nella regione di Agen di eretici che condannano il matrimonio e si astengono dal mangiare carne "col pretesto che Dio non ha creato la materia, opera del diavolo". Nel 1163, al Concilio di Tours, si discute del pericolo rappresentato dagli eretici dualisti "in partibus Tolosae". A quella data la religione catara è già presente nella diocesi di Albi (da cui il nome di "albigesi" usato per indicare gli eretici), Tolosa, Carcassonne e Béziers. A Saint-Felix de Caraman, nei pressi di Tolosa, si svolge nel 1167 un concilio eretico - cui partecipano vescovi catari di Francia e dell'Italia settentrionale, insieme a un illustre esponente della chiesa catara di Bisanzio - che segna l'affermazione in Europa del radicalismo dualistico di matrice orientale. Il "pericolo cataro" allarma le autorità civili non meno di quelle religiose. Il conte di Tolosa, Raimondo V, denuncia in una lettera del settembre 1177 al Capitolo di Citeaux il diffondersi dell'eresia dualistica nei suoi domini. Mossa inopportuna quant'altre mai, che si rivelerà fatale, come vedremo, per il suo casato, la sua contea e per tutta la Linguadoca. Allertata da queste segnalazioni, la Chiesa di Roma assume le prime contromisure. Nel 1179 papa Alessandro III invia una "crociata di predicazione" nel Mezzogiorno di Francia. Vi prende parte l'abate di Clairvaux, Enrico de Marcy, che nella relazione poi inoltrata al pontefice definisce la città di Tolosa "mater haeresis" e "caput erroris". Constatata la sostanziale inefficacia della crociata pacifica, al Concilio Laterano III il papa dichiara colpiti da anatema gli eretici di Guascogna, di Albi e di Tolosa insieme "con i loro protettori e fiancheggiatori". Fa inoltre appello ai prìncipi, ovvero al braccio secolare, "affinché il timore di un supplizio temporale obblighi gli uomini a servirsi del rimedio spirituale". Negli Atti del Concilio, al Canone 77, leggiamo: "Tutti i fedeli devono opporsi energicamente a questa peste, e prendere anche le armi contro di loro. I beni di questi eretici saranno confiscati e sarà concesso ai prìncipi di ridurli in schiavitù. Chiunque, secondo il consiglio dei vescovi, prenderà le armi contro di loro avrà condonati due anni di penitenza e, esattamente come un crociato, sarà posto sotto la protezione della Chiesa". I grandi signori feudali della Linguadoca temporeggiano, cosa che non deve stupire, visto che la Chiesa cattolica non gode di particolari simpatie in terra occitana, specie presso i nobili desiderosi di mettere le mani sui beni ecclesiastici. Tuttavia, nel 1181, il legato del papa riesce a radunare un certo numero di cavalieri cattolici e a cingere d’assedio la località eretica di Lavaur, che subirà un secondo e ben più tragico assedio nel 1211. Innocenzo III sale al soglio di Pietro nel 1198, e nei primi anni del suo pontificato gioca nel Sud della Francia la carta della predicazione. Dopo l'infruttuosa missione del legato Pietro di Castelnau, monaco cistercense, il compito di ricondurre al cattolicesimo mediante l'esempio e la parola gli eretici occitani viene affidato, nel 1205, a Domenico di Guzman. Questi percorre a piedi scalzi la Linguadoca vivendo di elemosine e ovunque predicando, ma senza successo. Ciò non fa che aumentare l'esasperazione delle gerarchie ecclesiastiche. Ormai non occorre altro che un casus belli per giustificare il ricorso alle armi. A dar fuoco alle polveri è, nel gennaio 1208, l'assassinio di Pietro di Castelnau, legato apostolico in Linguadoca, da parte di un ufficiale del conte di Tolosa. La Chiesa ha buon gioco nell'attribuire a quest'ultimo la responsabilità dell'omicidio. Che Raimondo VI, succeduto al padre nel 1194, potesse nutrire motivi di risentimento nei confronti del legato è cosa più che comprensibile, se si pensa che, sul finire del 1207, Pietro di Castelnau aveva pronunciato contro di lui l'anatema e la scomunica, sobillando per di più i signori di Provenza a ribellarsi alla sua autorità. Ciò a causa della mancata adesione del conte a una lega di baroni costituita per estirpare l'eresia. La morte di Pietro di Castelnau offre a Innocenzo III, da tempo ostile al conte di Tolosa, il pretesto per scatenare la guerra di religione. Il papa si appella al re di Francia, Filippo Augusto, affinché nomini un capo "che conduca in battaglia (...) i campioni della causa santa". Il sovrano autorizza i suoi vassalli a partire per le terre della lingua d'oc, ma non partecipa alla crociata né in prima persona, né attraverso un proprio delegato. I "campioni della causa santa" muovono da Lione nel luglio 1209 agli ordini del legato del papa, Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux. Si aggrega all'armata dei pellegrini-guerrieri lo stesso Raimondo VI, reduce dalla cerimonia di riconciliazione con la Chiesa celebrata a Saint-Gilles nel giugno precedente. La città di Béziers, nella viscontea dei Trencavel, rifiuta di consegnare ai crociati gli eretici i cui nominativi compaiono nell'elenco compilato dal vescovo locale. Posta sotto assedio, la città viene espugnata il 22 luglio con un colpo di mano reso possibile dall'imprudenza dei difensori. Non si sa se, in tale occasione, il legato Amalrico abbia effettivamente pronunciato la celeberrima frase attribuitagli da Cesare di Eisterbach: "Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi". E' certo però che quella che seguì la presa di Béziers fu un'autentica strage, un massacro di proporzioni spaventose. A testimoniarlo è lo stesso Amalrico, che così dichiara nella relazione ufficiale inviata a Innocenzo III nel 1212: "Poiché i nostri non guardarono né a classe sociale, né a sesso né a età, quasi ventimila persone morirono di spada, e fu fatta una grandissima strage di nemici". La notizia dell'eccidio si sparge per tutta la Linguadoca. Gli abitanti di Carcassonne abbandonano la città prima dell'ingresso delle truppe nemiche e il visconte Raimondo Ruggero Trencavel viene fatto prigioniero. Private del loro signore legittimo le contee di Béziers e Carcassonne necessitano di un nuovo dominus. Amalrico attribuisce il titolo al conte di Leicester, Simone di Montfort, vassallo del re di Francia. Ritiratisi i grandi baroni del Nord dopo aver assolto il loro dovere di crociati, è il Montfort a condurre con i propri cavalieri le operazioni militari in Linguadoca. L'obiettivo è duplice - estirpazione dell'eresia, colonizzazione del Mezzogiorno - ma lo strumento è uno solo: la violenza. L'elenco delle atrocità commesse dai crociati è impressionante. A Minerve, nel 1210, vengono arsi vivi 140 catari. Nello stesso anno, la guarnigione del castello di Alayrac viene massacrata; a Bram, oltre cento uomini della guarnigione vengono ferocemente mutilati e lasciati in vita perché servano da esempio. Nel maggio del 1211, a Lavaur, caduta dopo due mesi di assedio nelle mani delle truppe del Montfort, 400 catari muoiono sul rogo, il più grande di tutta la crociata; altri 90 a Cassès. Parallelamente alle stragi si procede alla distruzione sistematica dei raccolti e del bestiame. E' la tattica della terra bruciata. Gli appelli di Innocenzo III per lo sterminio dei provinciales haereticos stanno trovando piena attuazione. Per i francesi, la Linguadoca è terra di conquista. Con gli statuti di Pamiers (1212), il Montfort impone le usanze e le leggi del Nord.Sollecitato dal conte di Tolosa, il cattolicissimo re d'Aragona Pietro II - "campione della cristianità nella lotta contro l'Islam" (Oldenbourg) - interviene nel 1213 in difesa dei suoi diritti di sovrano dei conti di Trencavel, di Foix e di Comminges. Lo scontro fra i cavalieri aragonesi e le truppe crociate avviene nella piana di Muret, presso Tolosa, e si risolve in una disfatta per gli spagnoli. Vi perde la vita anche Pietro II. In questa mattanza fra cristiani prevale alfine la parte gradita al clero. Con la sconfitta di Pietro II la sorte della Linguadoca è segnata. Simone di Montfort si vede assegnare dai prelati riuniti in concilio a Montpellier (1215) la contea di Tolosa sottratta a Raimondo VI, e le altre terre conquistate dai crociati. Il Concilio Laterano IV non fa che ratificare questa decisione. Il re di Francia, dal canto suo, concede solennemente l'investitura al conte di Montfort nel 1216. Il 12 luglio dello stesso anno muore Innocenzo III. La Provenza insorge contro gli occupanti francesi e l'arroganza ecclesiastica: Tolosa è l'epicentro della resistenza. Ma il nuovo papa, Onorio III, è deciso a seguire le orme del suo predecessore. Concessa la sua approvazione all'ordine domenicano (ordo fratrum praedicatorum), milizia religiosa che si rivelerà assai efficiente nell'esercizio della repressione ai danni dell'eresia, egli lancia una nuova crociata contro la Linguadoca. Nel giugno 1218, durante l'assedio di Tolosa, rimane ucciso Simone di Montfort. La guida della crociata passa nelle mani del re di Francia, Luigi VIII, che interviene dietro ripetute sollecitazioni da parte di Onorio III. Il sovrano acconsente ad eseguire la volontà del pontefice, ma a precise condizioni: la corona di Francia mira all'annessione della Linguadoca ed esige un congruo sostegno finanziario da parte della Chiesa. Ancora una volta un esercito scende in campo su mandato della Chiesa e, addirittura, con il suo diretto finanziamento. La crociata di Luigi VIII sancisce la fine dell'indipendenza occitana. Il trattato di Meux, imposto al conte di Tolosa nel 1229, assesta il colpo di grazia alla Linguadoca. Nello stesso anno viene fondata l'università di Tolosa, "su domanda espressa del papa, per lottare contro l'eresia" (Jacques Le Goff, Gli intellettuali nel Medioevo, Milano, Mondadori, 1981). La religione catara, nonostante tutto, sopravvive. La crociata non è bastata a estinguerla. Per ottenere questo risultato occorre mettere in campo una vera e propria "forza speciale". A tale scopo papa Gregorio IX istituisce nel 1231 l'Inquisizione, affidando all'ordine domenicano il compito di esercitare l'inquisitio, ovvero la ricerca degli eretici. I domenicani eseguono con zelo l'incarico loro assegnato, instaurando in Linguadoca un vero e proprio clima di terrore. Le misure repressive adottate contro i catari dai Concilii di Tolosa, Béziers, Arles e Narbonne sono la testimonianza più eloquente dell'accanimento estremo con cui la Chiesa ha condotto la lotta contro l'eresia. Il Terrore domenicano suscita malcontento e resistenze, persino fra gli stessi cattolici: ad Avignonet, nel 1242, alcuni inquisitori vengono assassinati. Il Concilio di Béziers, nel 1243, decide la distruzione della piazzaforte di Montségur, presso cui si sospetta che abbiano trovato rifugio gli autori del delitto. Nessun mezzo viene risparmiato pur di giungere al totale annientamento dell'eresia e dei suoi seguaci. Nel 1246 il re di Francia ordina la costruzione di carceri speciali per gli eretici nelle contee di Carcassonne e Béziers. L'Inquisizione, assommata alla violenza degli eserciti reali, determina la definitiva scomparsa dell'eresia catara. Desta qualche perplessità l'affermazione dello storico Laurent Albaret secondo cui: "Tra il 1324 e il 1325 gli inquisitori Pierre Brun e Jean Duprat non fanno che perseguitare, arrestare e condannare al rogo gli ultimi superstiti di una religione moribonda che si estinguerà da sola, non sotto i colpi dell'Inquisizione". Tesi quantomeno discutibile, ma che non deve stupire: benché siano trascorsi secoli da quegli avvenimenti, il catarismo seguita ad essere oggetto di controversie. Studiosi di chiara fama perdono la loro abituale compostezza e si fanno prendere la mano dal fervore polemico. Perché un fenomeno culturale estinto da così lunga data suscita passioni tanto accese? Si pensi soltanto all'insistenza, oserei dire all'accanimento, con cui Raoul Manselli, autore di un'opera fondamentale sulla "eresia del male", rimarca taluni aspetti del credo cataro. Qualche esempio? "Questo martirium rimane tuttavia un fatto importante, perché ci permette di precisare che, pur trattandosi di un rito relativamente raro, fu tuttavia fenomeno comune a tutto il movimento cataro, esprimendo in una pratica inumana la sua visione del mondo incentrata in un odio preciso alla vita, in quanto esistenza nella corporeità" (p.168). Altrove Manselli parla di "odio cataro alla vita ed alla propagazione dell'esistenza umana", di "crudele" negazione della vita, e, ancora, di "morale crudelmente negatrice di vita". La scelta degli aggettivi e l'iterazione di certe formule appaiono tutt'altro che casuali. Alla fine del XIII secolo, ben poco rimane della religione dualista ("damnanda haeresis") che "infettava" la Provenza. Insieme con essa perisce l'indipendenza occitana: nel 1271, la Linguadoca viene definitivamente annessa alla corona di Francia. Osserva Franco Alessio: "una lingua (il provenzale) e una religione (la manichea) scompaiono, stroncate da una forza militare impetuosa". E aggiunge: "In tutto, si calcola che le crociate abbiano fatto un milione di vittime, catare e no" (Filosofie e società, vol.I, Bologna, Zanichelli, 1976). Ma la caccia all'uomo continua: "tra il 1302 e il 1314, i catari che erano sfuggiti alla repressione in Linguadoca finiscono sui roghi aragonesi" (Albaret). Non meno accanita sarà la persecuzione ai danni degli eretici insediatisi in Italia settentrionale. Non si vede come, alla luce di questi dati, si possa parlare di estinzione del catarismo per cause naturali... Sarebbe come dire che le comunità ebraiche polacche, ucraine e bielorusse, durante la Seconda Guerra Mondiale, si siano estinte "spontaneamente", e non sotto i colpi degli Einsatzgruppen. Resta da capire, infine, perché mai accadimenti di tale portata siano stati ricoperti da una fitta coltre d'oblio, al di fuori dei circoli accademici. La spiegazione più plausibile appare quella indicata da Fernand Niel in un saggio del 1970: per la Chiesa e per la Francia era ed è, tuttora, difficile ammettere che "la loro grandezza ed unità furono ottenute (...) per mezzo di massacri e di roghi". Con grande acutezza, Niel sottolinea come, rispetto al "problema cataro", le agenzie culturali dominanti abbiano adottato, accanto alla "politica del silenzio", una seconda strategia, più subdola ma non meno efficace: essa consiste "nel giustificare la violenza, beninteso velatamente" presentando il catarismo "come una dottrina, non solamente semplicistica, ma pericolosa, immorale e antisociale", contro la quale pertanto, si suggerisce implicitamente, fu doveroso assumere energici provvedimenti. Eppure, nonostante tutto, quei tragici eventi, per quanto lontani nel tempo, continuano a far discutere. Scrisse, all'epoca dei fatti, Guillaume de Tudèle nel suo "La Chanson de la croisade albigeoise", a proposito del secondo assedio di Lavaur (15 marzo-3 maggio 1211): "Un tale massacro, che se ne parlerà fino alla fine del mondo". Non si può negare che sia stato buon profeta.

Pietro Ferrari

Per approfondire:

Albaret, Laurent, L'Inquisizione. Baluardo della fede?, Torino, Electa/Gallimard, 1999.

Brenon, Anne, I catari: storia e destino dei veri credenti, Firenze, Convivio, 1991.

Duvernoy, Jean, La religione dei Catari. Fede-dottrine-riti, Roma, Ed.Mediterranee, 2000.

Ereddia, Francesco, I servi dell'Anticristo, Milano, Mursia, 1986.

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martedì 16 gennaio 2018


SILENCE

Titolo originale: Silence
Lingua originale: Inglese, giapponese, latino
Paese di produzione: Stati Uniti, Taiwan, Messico,
     Italia, Regno Unito, Giappone
Anno: 2016
Durata: 161 min
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Rapporto: 2.35: 1
Genere: Drammatico, storico
Regia: Martin Scorsese
Soggetto: Shūsaku Endō (romanzo)
Sceneggiatura: Jay Cocks, Martin Scorsese
Produttore: Barbara De Fina, Randall Emmett,
    Vittorio Cecchi Gori, Martin Scorsese, Irwin
    Winkler, Emma Tillinger Koskoff, Gaston
     Pavlovich
Casa di produzione: Cappa Defina Productions,
    Cecchi Gori Pictures, Corsan, Emmett/Furla/
    Oasis Films, Sikelia Productions, AI-Film,
    Fábrica de Cine, SharpSword Films, IM Global
Distribuzione (Italia): 01 Distribution
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Musiche: Kim Allen Kluge, Kathryn Kluge
Scenografia: Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo
Costumi: Dante Ferretti
Interpreti e personaggi:    
    Andrew Garfield: Padre Sebastião Rodrigues
    Adam Driver: Padre Francisco Garupe
    Liam Neeson: Padre Cristóvão Ferreira
    Tadanobu Asano: interprete
    Ciarán Hinds: Padre Alessandro Valignano
    Shinya Tsukamoto: Mokichi
    Yōsuke Kubozuka: Kichijiro
    Issei Ogata: Inoue Masahige
    Yoshi Oida: Ichizo
    Nana Komatsu: Monica (Haru)
    Ryo Kase: Juan (Chokichi)
    Yasunari Takeshima: Haku
    Tetsuya Igawa: gesuita
    Béla Baptiste: Dieter Albrecht
Doppiatori italiani:   
    Davide Perino: Padre Sebastião Rodrigues
    Gianfranco Miranda: Padre Francisco Garupe
    Alessandro Rossi: Padre Cristóvão Ferreira
    Niseem Onorato: interprete
    Stefano De Sando: Padre Alessandro Valignano
    Taiyo Yamanouchi: Mokichi
    Simone D'Andrea: Kichijiro
    Oliviero Dinelli: Inoue Masahige
    Hal Yamanouchi: Ichizo
    Jun Ichikawa: Monica (Haru)
    Raffaele Carpentieri: Haku
    Massimiliano Manfredi: gesuita
    Alessandro Budroni: Dieter Albrecht

Trama:

Il film inizia con un prologo che mostra il missionario Cristóvão Ferreira deportato assieme a un gran numero di convertiti in una valle piena di sorgenti termali, la cui acqua bollente e caustica è usata come strumento di tortura. Egli è impotente di fronte alle autorità giapponesi, impossibilitato a fornire qualsiasi assistenza ai convertiti. Qualche anno dopo, a Macao, il gesuita italiano Alessandro Valignano riceve una notizia ferale: sottoposto a torture raccapriccianti, Padre Cristóvão Ferreira ha abiurato. I giovani gesuiti portoghesi Sebastião Rodrigues e Francisco Garupe non vogliono crederci e decidono di partire per il Giappone alla ricerca del loro padre spirituale. In una taverna trovano un giapponese, il pescatore alcolizzato Kichijiro, che su compenso accetta di guidarli nell'arcipelago. Arrivati di notte nel villaggio costiero di Tomogi, i due preti sono sorpresi di trovare una comunità di miseri pescatori di fede cristiana che vivono nel terrore, nascosti come topi per sfuggire ai persecutori. Presto i due preti rimangono sconvolti nel vedere che un anziano samurai, conosciuto come "Inquisitore" dai villici, ne cattura alcuni e li fa crocifiggere su una scogliera, in modo che finiscano soffocati dall'alta marea. I martiri affrontano la morte cantando, e quando sono morti, i loro corpi vengono cremati per impedire che i loro resti ricevano esequie cristiane e diventino oggetti di culto. A questo punto Garupe e Rodrigues, credendo che sia stata la loro presenza a sppingere lo Shogunato a terrorizzare le genti di Tomogi, decidono di separarsi. Garupe si reca nell'isola di Hirado (nota ancor oggi per la presenza di albini dai capelli rossi), mentre Rodrigues si reca nell'isola di Goto, dove Ferreira è stato visto per l'ultima volta prima di apostatare. Quando Rodrigues giunge a destinazione, scopre che il villaggio di Goto è stato distrutto. Dopo varie peripezie, il prete viene tradito da Kichijiro, imprigionato e condotto a Nagasaki. Si ritrova in cella con altri convertiti e viene condotto davanti all'Inquisitore, il terribile e potentissimo Inoue Masashige, con cui ha un lungo dialogo. La sua sola possibilità è abiurare la sua fede calpestando una lastra di bronzo con l'immagine di un crocefisso, detta fumi-e in giapponese. Viene sottoposto a crudeli pressioni ed è costretto a vedere il suo compagno Garupe mentre viene affogato, senza poter fare nulla per aiutarlo. Kichijiro, avvezzo al tradimento come all'ubriachezza e al gioco d'azzardo, viene catturato e presto rilasciato dopo aver calpestato senza troppi problemi la fumi-e. La resistenza di Rodrigues è spezzata quando gli vengono mostrati alcuni cristiani che soffocano negli escrementi, appesi a testa in giù. L'Inquisitore gli spiega che essi hanno già rinnegato Cristo più e più volte, e che soltanto la sua apostasia li salverebbe da morte atroce quanto certa. A questo punto il gesuita sente la voce di Cristo che gli dice di cedere, di calpestare l'immagine. "Calpesta pure! È per essere calpestato da voi che sono venuto in questo mondo, è per condividere i vostri dolori che mi sono caricato della croce". Rodrigues viene condotto da Ferreira, che ha cambiato nome e ora si chiama Sawana Chūan. L'ex padre spirituale lavora in un tempio e compone confutazioni della dottrina cattolica. Prende con sé quello che fu il suo allievo e gli spiega l'arcano. Gli dimostra la futilità di ogni tentativo di cristianizzare il Giappone. Passano molti anni. Rodrigues ha sposato la vedova di un samurai, ereditando il nome del defunto, Okada San'emon. Assieme a Ferreira è incaricato di riconoscere gli oggetti cristiani: quelli che mostrano disegni a forma di croce o altre peculiarità usate dai fedeli per testimoniare in modo criptico la loro religione. Alla fine, quando l'ex gesuita muore, viene cremato. Proprio alla fine, prima che il suo corpo sia divorato dalle fiamme, si vede che in una mano tiene un minuscolo crocefisso, proprio quello che gli era stato donato quando era stato accolto a Tomogi.

Recensione: 

Questo film, che considero un capolavoro, è basato su Silenzio (沈黙 Chinmoku), un romanzo dello scrittore giapponese Shūsaku Endō, pubblicato nel 1966. Il tema su cui è incentrata la narrazione è quello di un Dio silenzioso, che non risponde alle invocazioni del credente nelle avversità, pur accompagnandoli. Endō fu influenzato in questo dalle sue dolorose esperienze di discriminazione religiosa in Giappone, di razzismo subìto in Francia e di consunzione causata dalla tubercolosi. Il regista, che pure ha ammesso qualche difficoltà nel rendere i temi spirituali più profondi del romanzo dello scrittore giapponese, riesce a rappresentare bene un Cristo che si annulla per amore degli esseri umani, delle loro debolezze e della loro natura fragilissima. Anche per amore di Giuda e di Kichijiro, pronto a tradire infinite volte e a chiedere con somma sfacciataggine l'assoluzione. Contenuti che di certo stridono con l'arroganza che la Chiesa Romana ha dimostrato nel corso dei secoli dovunque ha avuto il potere.  

Incomunicabilità 

Le difficoltà che le genti del Giappone hanno sempre avuto nel comprendere la natura del Cristianesimo sono ben spiegate da Ferreira a Rodrigues. All'inizio i missionari utilizzarono il termine dainichi per tradurre "Dio", perché pensavano che la parola nipponica esprimesse tale concetto. Il punto è che si sono inganati, in quanto i Giapponesi non comprendevano l'esistenza di un'entità corrispondente a Dio. Il nome dainichi indicava soltanto una personificazione del sole, identificato con Buddha nel corso di un complesso processo di sincretismo. Così fu abbandonato e sostituito con Deusu, adattamento alla fonetica giapponese del latino Deus. Il problema è che per un giapponese il nome Deusu non ha significato alcuno, è soltanto un'etichetta straniera applicata a un contenitore vuoto, come sarebbe per noi il nome Xenu. All'inizio i due gesuiti si illudono di vivere in una comunità paleocristiana dei tempi di Nerone, ma presto si rendono conto che in tutto questo c'è qualcosa di strano. Il loro mondo di illusioni comincia a incrinarsi quando una giovane sposa sostiene di essere in "paraiso", e padre Garupe smentisce seccamente. Il termine "paraiso" non era inteso come una fumosa destinazione ultraterrena, ma come uno stato di estasi puramente terrena provata durante la celebrazione della messa, in presenza del prete, che era considerato un essere soprannaturale.

Cristo, il Buddha dell'Occidente

Il buddhista Zen Sessō Sōsai nella sua opera Taji jasu ron "Repressione della fede nociva" (1648), argomenta che Cristo sarebbe stato un eretico occidentale che operò una sistematica sostituzione lessicale, cambiando Brahma in Deusu; i devas del Cielo di Brahma in anjos (angeli); il Palazzo Celeste (tentō) in Paraiso; il Regno degli Umani (nindō) in Purgatorio; l'Inferno (jigoku) in Inferno; l'unzione (kanjō) in Bautismo; la contrizione (sange) in Confissão; le Dieci Buone Leggi (jūzenkai) nei dieci Mandamentos; le monache (bikuni) in virgem; il bastone del prete (shakujō) in excomungado; il cibo originale (jihi-rintō) in maçã (mela); i grani del rosario buddhista (juzu) in contas. Certo, Sōssai doveva essere molto ingenuo per pensare che Cristo parlasse portoghese; tuttavia, per paradosso, proprio le argomentazioni del monaco anti-kirishitan dimostrano quanto fosse facile per un giapponese dotto assimilare il Cristianesimo al Buddhismo. Quando i missionari sbarcarono nell'arcipelago, la loro religione fu subito considerata una setta buddhista occidentale. Prima che si sviluppasse una feroce reazione alla fede straniera, in Giappone era normale pensare che Cristo fosse semplicemente un Buddha vissuto in terre sconosciute e remote. 

Non è nutella! 

L'unico difetto da me trovato in questo splendido film è relativo alla tortura spaventosa chiamata ana-tsurushi. Non è infatti mostrato chiaramente in cosa consisteva. Le cavità in cui i cristiani venivano messi ad agonizzare erano profonde, ma Scorsese le dipinge come superficiali, appena in grado di contenere la testa. La cosa più importante, tuttavia, è che non si mostra bene il contenuto di tali fosse, che rendeva quella tortura così temuta. In una scena del film si intravede per pochi istanti una sostanza marrone, insolitamente uniforme, cremosa e mantecata, tanto da sembrare golosa nutella. No, ragazzi miei, quella cosa non era nutella: era merda! Nonostante Scorsese si sia adoperato per evitare agli spettatori la scabrosa vista di una massa di sterco e di altre immondizie, ricordo ancora cosa accadde quando vidi il film al cinema: un'anziana signora brianzola rimase comunque inorridita, perché comprese che lì dentro c'erano le feci.

Un'assurda accusa da parte di Ferrara

Cercando recensioni nel Web, appena visto il film, mi sono subito reso conto che Giuliano Ferrara era sul piede di guerra. Sul suo quotidiano online, che evito come la peste, esprimeva opinioni confuse e rabbiose, affermando che nel film i preti avrebbero seguito "logiche mondane". Non ho potuto approfondire la cosa, essendo la piena lettura del quotidiano disponibile solo a pagamento e non avendo la benché minima intenzione di dare a un tale personaggio nemmeno il fantasma di un centesimo forato. Evidentemente la causa di tutto ciò è molto semplice: né Ferrara né i cattolici-belva hanno la benché minima idea di cosa significhi subire una persecuzione feroce. Essi sono forse convinti, credo per un'intossicazione ideologica, che un ecclesiastico non possa in alcun modo rinunciare alla propria fede cattolica. Beh, che dire? Possono strepitare quanto vogliono, ma l'abiura di Ferreira è realtà storica, non opinione. I preti perduti sono realtà storica: la figura di Rodrigues è ispirata al missionario siciliano Giuseppe Chiara. Come è realtà storica l'efficacia dell'opera dei Tokugawa nell'eradicazione della Chiesa Romana dal Giappone.

Il film di Scorsese è un remake

L'opera di Endō era già stata trasposta in pellicola nel lontano 1971. Guardando questo film, a quanto pare disponibile soltanto nell'edizione originale, si ha come l'impressione di vedere una copia "diminuita" e "contratta" del remake del 2016. Tuttavia si nota che molte riprese e ambientazioni devono essere state usate proprio da Scorsese come fonte di ispirazione.


SILENCE (1971)

Titolo originale: Chinmoku (沈黙)
Anno: 1971
Paese: Giappone
Lingua: Giapponese, inglese(1), latino(2)  
Sottotitoli: Giapponese
Regia: Masahiro Shinoda
Soggetto: Sh
ūsaku Endō
Durata: 129 min
Musica: Tōru Takemitsu
Fotografia: Kazuo Miyagawa
Distribuzione: Toho
Interpreti e personaggi:    
    David Lampson: Padre Rodrigues
    Don Kenny: Padre Garrpe(3)
    Tetsuro: Tamba
    Shima Iwashita

(1) Sono in inglese (sottotitolati in giapponese) i dialoghi di Padre Rodrigo con Padre Garrpe, che a rigor di logica avrebbero dovuto essere in portoghese.
(2) Le formule in latino hanno una pronuncia che ricorda quella accademia inglese.
(3) Anche nel romanzo di End
ō si ha Garrpe, che poi Scorsese ha saggiamente mutato in Garupe. La forma Garrpe viola la fonotattica della lingua portoghese ed è possibile che alla sua origine ci sia un refuso ormai non identificabile, che Endō avrebbe propagato.