domenica 18 marzo 2018

NOTE SUL LAVORO DI MOSENKIS

Iurii Leonidovych Mosenkis (Università Nazionale Taras Shevchenko di Kiev, Ucraina) è l'autore del lavoro Paleo-West European Languages, che con molto coraggio tratta quelle lingue considerate paria dal mondo accademico, idiomi antichi e misteriosi che sono tutto ciò che rimane di continenti culturali scomparsi, la sola luce residua che giunge a noi da una preistoria sconosciuta e sprofondata nell'Oblio. Purtroppo la trattazione è poco approfondita e alcune sue ipotesi presentano gravi criticità. Lo studio è consultabile e scaricabile liberamente al seguente link: 


Questo è l'abstract, da me tradotto in italiano:

"Le lingue aborigene delle isole Canarie (Guanche) appartenevano chiaramente alla macrofamiglia afro-asiatica. Tuttavia, in aggiunta all'idea tradizionale delle lingue dei Guanche come berbere-libiche, sono dimostrati legami guanche-chadici.
La lingua pictica potrebbe essere vicina alle lingue siberiane Yenissei, cfr. il possibile sostrato Yenissei in proto-germanico e il proto-hattico come lingua sino-caucasica (di possibile origine indoeuropea occidentale) strettamente imparentata con lo Yenissei.
Resti di sostrato pre-ugrofinnico in Saami/Lappone (connesso all'aplogruppo I1?) mostra somiglianze con il sostrato pre-rumeno (connesso all'aplogruppo I2?). Potrebbe essere una traccia di una lingua d'origine dall'aplogruppo maschile I."
 

Le lingue dei Canari

Da tempo sospettavo che le lingue dei Guanche delle Canarie non fossero semplici dialetti berberi. Esistono sostrati molto difficili da trattare. Se ci sono numerose parole ascrivibili al ceppo berbero, non va nascosto che ne esistono altre che presentano caratteristiche incompatibili con tale origine - anche nel lessico di base. Alcuni dei raffronti proposti da Mosenkis sono fondati e oltremodo interessanti, altri mi lasciano perplesso, altri ancora sono di certo da rigettarsi. A quanto mi è parso di capire, non è stata tentata la ricerca di corrispondenze fonetiche regolari. Talvolta si trovano corrispondenze in antico egiziano, in chadico e in cuscitico, ma non in berbero. In alcuni casi sono riportate anche possibili corrispondenze con il basco, non sempre a proposito. Riporto alcune considerazioni:

1) Guance cel /tsel/ "luna" viene ricondotto al proto-afroasiatico *ṭilVʕ- "sorgere (della luna)", che ha dato esiti in semitico (solo in arabo, col senso di "sorgere del sole"), in chadico occidentale (col senso di "sole") e in chadico centrale (col senso di "luna"). Mosenkis connette a questa radice il cretese talos "sole" (glossa di Esichio) e il proto-basco *hil- "luna" (in realtà è *(h)iL-, con la liquida forte). Si noterà che la forma basca potrebbe essere benissimo un prestito dal proto-afroasiatico *hilal- "luna" (con esiti in semitico e in berbero), ben diverso da *ṭilVʕ-. Al momento, la questione non può essere facilmente risolta.  
2) Guanche tea "pino" sembra derivato dal latino taeda "pino resinoso; torcia" (cfr. berbero taida "pino"). In spagnolo vive ancora la parola tea "torcia", sempre da taeda, così alcuni decostruzionisti hanno ritenuto che la voce Guanche in realtà sia un ispanismo equivocato. A parer mio può ben trattarsi di una mera convergenza fonetica, essendo l'origine ultima la stessa. Non mi sembra necessario ricorrere a un proto-afroasiatico *tVʔal "albero, cespuglio". Esistono antichi prestiti dal latino nelle Canarie (il toponimo Afur a Tenerife, < lat. furnus) e anche iscrizioni rupestri in caratteri romani.
3) Guanche guirre /'girre/ "avvoltoio" a parer mio corrisponde alla perfezione al berbero igider "aquila": il mutamento è stato /*i'gidre//'girre/. L'etimologia data da Mosenkis (proto-afroasiatico ʔac̣ir- "uccello da preda") mi pare vana, non rendendo conto della consonante /g/ iniziale, che ben difficilmente potrebbe risalire a PAA c̣ /tsʔ/. I decostruzionisti vorrebbero ricondurre guirre allo spagnolo buitre "avvoltoio" (esito del lat. vultur), cosa che è impossibile per motivi fonetici e priva di qualsiasi senso. 4) Guanche mayec "madre" viene ricondotto al proto-afroasiatico *maH- "madre". Il paragone con il basco emazte "donna" è da rigettarsi non soltanto per motivi semantici, ma per l'errata etimologia: non è lecito ritagliare da tale parola una radice -ma-, dato che è un composto di eme "femmina" e di gazte "giovane", la protoforma essendo *ema-gazte. A parer mio eme viene da *enbe ed è un termine nativo, anche se la massima parte dei vasconisti lo ritiene un prestito dal guascone hemna "femmina" (< lat. fēmina) - cosa che porrebbe gravi problemi fonetici. 5) Guanche cancha "cane" (Tenerife) è fatto risalire da Mosenkis al proto-afroasiatico *kwVHen-, che ha dato esiti solo in omotico e in chadico. Tuttavia la stessa radice è diffusa in moltissime lingue nostratiche, come ad esempio nel proto-indoeuropeo. È ben difficile capirne il percorso. Si noterà che oltre a cancha è documentato anche cuna "cane", che ipotizzo essere un prestito dal celtiberico < *kunam (acc.). La cosa non è così folle come potrebbe sembrare: è possibile che ci siano state spedizioni dall'Iberia alle Canarie nel corso dei secoli. Esistono anche altre voci che potrebbero essere prestiti: si veda magua, maguada, magada "vergine" (Gran Canaria), che rimanda al proto-germanico *maγaθi- "vergine"

La lingua dei Picti 

La lingua dei Picti è una crux per gli studiosi. I decostruzionisti cercano con ogni mezzo di negarne l'esistenza, servendosi di argomenti derridiani futili e capziosi. Con buona pace di questi propagatori di virus memetici, è chiaro che esiste un residuo di lingua non indoeuropea, un nucleo che non può essere spiegato a partire dal celtico.

1) Il nome dei Picti viene ricondotto al proto-Yenisei *pixe- "essere umano" (-x- è una forte aspirazione), che ha dato in Yug fik. Tuttavia, per quanto ne sappiamo, il nome non era un endoetnico. La spiegazione tradizionale vuole che i Picti siano semplicemente dei "dipinti", per via dei loro tatuaggi, ma questa sembra proprio una falsa etimologia. Per alcuni, la riprova starebbe nel fatto che Picti ha l'aria di essere una traduzione della denominazione gaelica Cruithne e di quella gallese Prydein (< *Pritanī < *Kwritanī). In antico irlandese abbiamo cruith "forma" e in gallese pryd "forma". Da questa fonte sarebbe derivato il nome dei Britanni, pur con una consonante iniziale di difficile spiegazione. Resta poi da colmare la distanza semantica tra "forma" e "dipinto, tatuaggio". Potrebbe anche essere sensata l'ipotesi di una somiglianza col nome della popolazione celtica dei Pictavi (Pictones) della Gallia Transalpina, che potrebbe ben risalire a piχto- "quinto" (sinonimo del più comune pinpetos "quinto", attestato nella forma piχte "come un quinto"). Al momento attuale delle conoscenze, non scomoderei le lingue paleosiberiane.
2) Interessante il tentativo di accostare il nome degli Scotti, donde deriva quello della Scozia, agli etnonimi Yenissei Ket e Kott. La stessa origine avrebbe anche il nome dei misterioso popolo antropofago degli Attacotti (e varianti), sempre formato da una radice *kott-. Va detto che a quanto pare, i nomi paleosiberiani Ket e Kott non avrebbero la stessa etimologia. 
3
) Mosenkis fornisce un'etimologia Yenissei per il termine IPE, con ogni probabilità da tradurre con "figlio". Questa parola enigmatica è attestata in due iscrizioni - la più famosa riporta DROSTEN IPE UORET ETT FORCUS. L'autore fa risalire questo IPE al Ket hyp "figlio". Si noterà però che poi prende Fip (variante Fibe), nome di un figlio di Cruithne, l'antenato mitico dei Picti, e lo correla allo Yug fyp "figlio". Dalla ricostruzione fatta da Starostin, risulta chiarissimo che il Ket hyp e lo Yug fyp risalgono alla stessa protoforma. Quindi è difficile ammettere che nella lingua non indoeuropea dei Picti esistessero entrambe le forme. Per quanto riguarda ETT, Mosenkis l'analizza come un suffisso del genitivo con corrispondenze in Ket. Credo più probabile che si tratti del latino et, preso come prestito. Si tradurrà dunque "Drosten figlio di Uoret, e Forcus". Non sussiste infatti traccia alcuna di un ETT interpretabile come genitivo in altre iscrizioni. Quelli di Mosenkis sembrano voli pindarici. Dal canto suo, Theo Vennemann fa risalire IPE a una protoforma semitica (donde ebraico bēn, arabo ibn). Si noterà che la parola pictica più comune per "figlio" è MAQQ, un evidente prestito dal goidelico.

La scarsità di materiale è un fattore limitante e non è facile capire se queste proposte di Mosenkis hanno un senso. Per quanto mi riguarda, credo che il pictico fosse una lingua imparentata alla lontana con il proto-basco, ma con una fonotassi radicalmente dissimile in quanto ha subìto mutamenti divergenti. Mi propongo di esporre le mie teorie e relative prove in altra sede; posso tuttavia anticipare di aver trovato una certa quantità di materiale interessante nello Shelta, la lingua degli stagnini itineranti irlandesi, che conserva un gran numero di vocaboli finora inspiegabili.

La lingua pre-Saami e
la lingua paleobalcanica

L'autore tenta una classificazione delle parole del sostrato pre-Saami, basandosi sulla loro somiglianza con materiale di altre lingue, in particolare cercando connessioni con vocaboli problematici comuni all'albanese e al rumeno. Questo è il riassunto proposto dall'accademico ucraino, in cui le voci trattate sono qui riportate tal quali:

1) Parole di aspetto indoeuropeo comune: viske "giallo", ken'te "uccidere"
2) Parole di aspetto indoeuropeo satem: sar'D' "cuore di cervo"
3) Parole di aspetto iranico: s'avn'e "diventare scuro";
4) Parole di aspetto germanico: ur'm "tafano"
5) Parole di aspetto russo antico: v'arv "cappio, occhiello"*
6) Parole di aspetto basco: niŋgлes' "femminile", nizan "donna"
7) Parole di aspetto urartaico: šuɛn'n' "palude"
8) Parole di aspetto "pre-inglese": odgi "giovane volpe"
9) Parole di aspetto albanese o "carpatico": beaski "passo montano", roahpi montagna rocciosa"
10) Parole che hanno aspetto paleo-balcanico: čearr "vetta", čerr "cresta" (cfr. mediterraneo kar "pietra"); abbr' "pioggia" (pre-rumeno abur, albanese avull "vapore"); k'ed'd'k "pietra" (pre-rumeno codru "foresta densa", albanese kodër, kodrë "collina").

*L'autore riporta "loop" come traduzione, senza specificare altro. Ho cercato senza successo la parola lappone, perdendo tempo senza arrivare a nulla. Non so quindi se il lemma sia corretto. Questo rende l'idea di quanta approssimazione regni nel mondo accademico dei paesi slavi.

Resterebbe da spiegare cosa si intenda per "parola di aspetto pre-inglese". Si dovrebbe anche specificare che la radice kar- è ricostruita a partire da vocaboli residuali di varie lingue e da toponimi, da come viene posta sembra invece che kar- sia "mediterraneo" attestato, cosa ovviamente non possibile. Questa approssimazione può rendere difficile per molti accademici cogliere quanto di interessante c'è nella trattazione, che reputo senza dubbio utile. Per maggiori dettagli rimando ai lavori del finlandese Ante Aikio e alle mie note sull'argomento.

Limiti del lavoro

Non nascondo la mia grande sfiducia nell'archeolinguistica fondata sulla genetica. La storia ci insegna che numerosi gruppi umani possono cambiare lingua nel corso dei secoli: non c'è ragione alcuna per pensare che le cose andassero diversamente nella preistoria. Così come un afroamericano di Harlem si esprime in un bizzarro inglese e non in Yoruba, è possibile che persino un sostrato linguistico antichissimo non fosse in realtà la lingua originale di un dato popolo identificabile dall'analisi degli aplogruppi. Non dimentichiamoci che i Pigmei dell'Africa e i Negritos dell'Indonesia hanno abbandonato le loro lingue d'origine da tempo immemorabile, per adottare quelle dei popoli stanziali con cui vivevano a contatto.

venerdì 16 marzo 2018

NOTE SUL LAVORO DI BEEKES

Robert Stephen Paul Beekes (1937-2017), dell'Università di Leida, è l'autore dello studio Pre-Greek: Phonology, Morphology, Lexicon, ossia "Pre-greco: fonologia, morfologia, lessico". Non è difficile trovare nel Web il file in formato pdf di questo lavoro. 


Il termine pre-greco, traduzione dal tedesco "das Vorgriechische", è usato per indicare la lingua che si parlava nell'Ellade prima dell'arrivo dei Greci indoeuropei, assunta da Beekes come sostanzialmente unitaria. Anche se si è estinto, il pre-greco ha lasciato numerose vestigia nella lingua greca antica, ben riconoscibili per le peculiarità fonetiche, oltre che per il fatto di non avere etimologia indoeuropea credibile.

Riporto il sistema fonemico ricostruito per la lingua pre-greca da Beekes. 

Ogni consonante può essere semplice, palatalizzata o labializzate: 


py
pw

ty tw

ky kw

cy cw

sy sw

ry rw

ly lw

my mw

ny nw

Le vocali originarie sono soltanto tre: 

a     i      u  

I dittonghi  primari sono soltanto due: 

ai     au  

Un sistema fonemico abbastanza semplice. Gli allofoni sono tuttavia numerosi. Dall'analisi dell'opera di Beekes, si deduce che per le occlusive vige una situazione che presenta caratteristiche sorprendenti. 

1) Allofoni delle occlusive labiali:

[p]
[py]
[pw]
[ph]
[phy]
[phw]
[b]
[by]
[bw]
[w]
[wy]


 2) Allofoni delle occlusive dentali: 

[t] [ty] [tw]
[th] [thy] [thw]
[d] [dy] [dw]
[l] [ly] [lw]

3) Allofoni delle occlusive velari:

[k]
[ky]
[kw]
[kh]
[khy]
[khw]
[g]
[gy]
[gw]

Per le vocali, si hanno gli allofoni [a], [e], [o] per la vocale /a/; gli allofoni [i], [e] per la vocale /i/; gli allofoni [u], [o] per la vocale /u/. 

Beekes fonda la sua opera di somma importanza su un concetto molto semplice, che tuttavia riesce incomprensibile a molti indoeuropeisti: il lessico della lingua greca nelle sue diverse varianti è pieno zeppo di prestiti di origine non greca, riconoscibili a causa delle varianti non spiegabili a partire dalle caratteristiche fonetiche del lessico ereditato, indoeuropeo. Queste peculiarità si trovano nel lessico della lingua comune, ma anche in un gran numero di antroponimi e di toponimi, nella maggior parte dei casi oscuri, ossia privi di significato ricostruibile allo stato attuale delle conoscenze. Anche se non è una conoscenza molto diffusa tra il volgo, i nomi di Achille, di Odisseo e di Arianna non sono di origine greca. Anche tra le divinità della religione ellenica, non poche portano nomi antichi e problematici. Esempi: Bacco e Afrodite. 

L'autore discute in dettaglio tutte le variazioni fonetiche nelle parole di origine pre-greca, che sono realmente soprendenti. Riporto una sintetica lista di interessantissime parole greche di origine non indoeuropea, che è ben lungi dall'esaurire l'esistente: 

ἀγέρδα "pero" / ἄχερδος "pero selvatico"
ἅδην "a sazietà"
αἰγωλιός / αἰγώλιος "tipo di gufo" (Strix flammea)
αἴλινος "nenia funebre"
ἀκακαλλίς "fiore di narciso" * / κακαλίς "narciso"
ἄληνον "olio di mandorla"
ἀλήπτωρ "sacerdote"
ἀλισγέω "io inquino" 
ἄλπαρ "amabile" * / ἄλπνιστος "il più amabile"
     (superlativo con suffisso IE)
ἀμαράσαι (pl.) "scrofe" / μαράσσαι (pl.) "cani,
     uccelli" (da ingrasso)
ἄμπελος "vite" (Vitis vinifera)
ἀμυγδάλη / ἀμυσγέλα "mandorla"
ἀμφίας / ἄμφης "un vino cattivo"
ἄναξ "principe" (< ϝάναξ)

ἀπήνη / ἀμάναν (acc.) / καπάνα "carro" (a quattro
      ruote)
ἀρβύλη / ἀρμύλη "scarpa forte"
ἅρπεζα "bordo" / ἅρπισαι (pl.) "muri" 
ἀρύβαλλος "borsa; fiasco globulare da olio"
ἀτμήν "schiavo"
ἄφαρ "all'istante"
ἄχνυλα "noci" *
ἄχωρ "forfora" / ἄχυρον "crusca"
βασιλεύς "re"
βέρκιος "cervo"
βήλα "vino"
βόθρος / βόθυνος "buco"
βρένθος "tipo di uccello acquatico";
     "arroganza"; "tomba"
βριτύ "dolce" *
βροῦκος / βερκνίς "locusta"
γέφυρα / δέφυρα / βέφυρα "ponte"
δάμαρ "moglie"
δάφνη / λάφνη / δαύχνα "alloro"
δίβαν (acc.) / δίφατον "serpente" * 
δορύκνιον "convolvolo, piretro" (Convolvulus
     oleafolius)
ἐρέβινθος "cece" / ὄροβος "veccia" (Vicia ervilia)
ἔνυστρον / ἤνυστρον "quarto stomaco dei
     ruminanti"
θάλαττα / θάλασσα / δαλάγχαν (acc.) "mare"
θάμνη "vino d'uva pressata"
θάπτα / λάπτα "mosca" *(1)
θρινία "vite" (Vitis vinifera) *
θρῖον "foglia di fico"
ἴαμβος "giambo" (tipo di verso poetico)
ἴβηνα "vino" *
ἴκταρ "vulva"; "tipo di pesce"
ἴον "viola, violetta" (Viola odorata)
κάβασος / κάβαισος "ghiottone, persona ingorda" /
     καμασός "abisso" (< *"senza fondo")
καίπετος "ascia di guerra"
καλαῦροψ / κολλόροβον "bastone del pastore"
καλυβός / κολυβός / κόλυβος "fattoria" / καλύβη
     "capanna"
καμασήν "pesce"
κάμπος / κέμπορ "mostro marino"
κασαλβάς / κασσαλβάς "prostituta"
κίλλιξ "bue dalle corna curve"; "tipo di vaso" 
κίναδος / κίδαφος "volpe"
κίνδυν "pericolo"
κνώψ / κινώπετον "serpente, colubro"
κοάλεμος "idiota" / καυαλός "discorso stupido"
κόβαλος "ragazzo impudente" (cfr. κοάλεμος)

κορυδός / κορύδαλος / κορυδαλλίς "allodola" 

κύβαβδα "sangue"
κύδαρ "funerali, sepoltura"
κύμηχα "fava"
λαῖφα / λαίβα "scudo" / λαίας (acc. pl.) "scudi"
λάσταυρος "cinedo, uomo effeminato"
λατμενεία "schiavitù" (cfr. ἀτμήν)
λωρυμνόν "abisso, profondità"
λύγδη "pioppo bianco"
λυκαψός / λύκοψος / λυκοψίς "erba della
      vipera" (Echium italicum) (2)
λυπτά "prostituta"
μαλάχη / μολόχη "malva"
μαρίν (acc.) "maiale" 
μάρτυρ / μάρτυς / μαῖτυς "testimone"
μάταιος "vano, inutile; vuoto"
μέριμνα "preoccupazione, sollecitudine; ansietà"
μηλολόνθη / μηλάνθη "maggiolino"
μόλυβδος / βόλιμος "piombo"
μόσσυν "casa di legno"
μυελός / μυαλός "midollo"
ὄαρ "moglie"
ὄβριμος / βρίμη "forza, potenza" / βριμός "grande;
     difficile"
ὄθρυν (acc.) "monte" *
ὄλονθος "frutto del fico selvatico" / ὄλυνθος "fico
      invernale"
ὄμπνη "grano; cibo"
ὀμφύνειν "esaltare, magnificare"
ὄνθος "sterco, escremento"  
πέλλα "pietra" / φελλεύς "suolo roccioso"
πέλωρ "mostro, mostruosità"
πλίνθος "mattone"
σαλάμβη / σαλάβη "camino"
σέλας "luce, splendore" / σελήνη "luna"
σίδη / σίβδα / ξίμβραι (pl.) "fiore di melograno"
σίδηρος / σίδαρος "ferro"
σίμβλος "alveare"
σκίναρ "corpo" / σκῆνος "corpo, carcassa; tenda"
σμίνθος "topo" 
σπέλεθος / πέλεθος "sterco"
ταλῶς "sole" *
τερέβινθος / τέρμινθος / τρέμινθος "terebinto"
      (Pistacia terebinthus)
τράμπις "nave" / τράφηξ "trave; maniglia del remo"
τύραννος "tiranno"
ὑάκινθος / ϝάκινθος "giacinto"
φαλακρός "calvo"
χάλις "vino puro"
χλούνης "cinghiale"
χρέμψ / χρέμυς / κρέμυς "tipo di pesce"

* Parola attribuita ai Cretesi.

(1) Non "topi", come ha erroneamente inteso Facchetti. Rimando alla mia confutazione.
(2) Non significa "occhio di lupo", come si può vedere dalle alternanze fonetiche problematiche: è una falsa etimologia.

Trovo soltanto pochi limiti nell'opera di Beekes:

1) Nella massima parte dei casi sono riportate le parole di origine pre-greca senza traduzione né glossa. Se alcune voci sono note a tutti, in altri casi un lettore deve andare a spulciare nei vocabolari, dato che si tratta di termini molto particolari, rari e ben poco noti. Le fonti sono spesso i glossari di autori come Esichio. Se questi singolari lessemi fossero stati trattati in modo approfondito, ne sarebbe scaturito un lavoro enciclopedico.
2) Si dà per scontata l'esistenza di un'unica lingua pre-greca, sostanzialmente unitaria, quando potrebbero essercene state varie e non necessariamente tra loro imparentate. Il problema deve essere vagliato con attenzione, anche se è molto plausibile che la principale fonte di prestiti sia stata la lingua cretese. 
3) Non è avanzata nessuna ipotesi concreta sulla concreta origine del materiale pre-greco e sulle sue possibili parentele - anche se va detto che l'autore in più occasioni menziona la somiglianza con la lingua etrusca, ad esempio trattando i suffissi -rn- e -mn-. Aggiungo che in questo materiale non sono rari i prestiti da lingue semitiche non identificate.

Per fortuna è disponibile nel Web lo splendido Etymological Dictionary of Greek, dello stesso Beekes con la collaborazione del suo assistente Lucien van Beek. Il vocabolario è messo a disposizione gratuitamente per lo scaricamento dal Forum di Sant'Isidoro, un portale davvero bizzarro: un sito di teologia cattolica fuori tempo massimo, addirittura post mortem. Per poter scaricare una copia del prezioso volume basta seguire questo link: 


Si vede subito che l'opera comprende il trattato di Beekes sul pre-greco come prefazione. Con la funzione "Trova" non è difficile raggiungere i lemmi desiderati nel corpo del vocabolario, che ha centinaia di pagine: basta selezionarli a partire e copiarli nella finestra di ricerca, anche se convertiti in geroglifici informatici, il sistema li sa riconoscere. Ogni vocabolo è fornito di note etimologiche di grandissima utilità, anche quelli che sono di origine indoeuropea. Consiglio senz'altro il testo al professor Facchetti, credo che gli sarebbe di grandissima utilità nei suoi studi. 

Lo stesso Beekes ha affermato di lasciare ad altri il problema dell'origine del pre-greco. Raccolgo volentieri la sfida. In effetti, sono anni che mi dedico alla questione. Conto di pubblicare numerosi contributi sull'argomento, dissertando su ogni vocabolo.

mercoledì 14 marzo 2018

NOTE SUL LAVORO DI ADIEGO LAJARA

Ignasi-Xavier Adiego Lajara, dell'Università di Barcellona (Universitat de Barcelona) è l'autore dello studio Lenguas anatolias y protoindoeuropeo (in inglese Anatolian Languages and Proto-Indo-European), pubblicato sulla rivista archeologica e filologica Veleia (n. 33, 2016, codice DOI: 10.1387/veleia.16819). Il lavoro, che si trova sul sito Academia.edu, è consultabile e scaricabile liberamente seguendo questo link:


Riporto l'abstract, tradotto dal sottoscritto:

"Questo articolo è un rapporto sullo stato dell'arte sulla posizione dialettale del gruppo anatolico (che comprende l'hittita, il luvio, il palaico, il licio, il milio, il cario, il pisidio e il sidetico) all'interno della famiglia linguistica indoeuropea. Valuta le due principali posizioni con cui finora si sono cercate di spiegare le forti divergenze tra le lingue anatoliche e lo stadio linguistico ricostruito di proto-indoeuropeo: da una parte, c'è l'ipotesi che assume un generale processo di perdita di categorie linguistiche in anatolico a partire dalla lingua comune; dall'altra, abbiamo l'ipotesi che assume una precoce separazione dalla lingua comune. A questo proposito, evidenzio alcune opinioni di parte sul cambiamento linguistico, che hanno condizionato questa discussione. Inoltre enfatizzerò il progresso nello studio delle lingue anatiliche diverse dall'hittita e il loro contributo alla questione sulla posizione dialettale dell'anatolico nel gruppo indoeuropeo. La conclusione è che la presente situazione rende difficile decidere quale delle due posizioni sia giusta."

Ricostruzione di Brugmann (morfologia nominale):

1) Un sistema con tre categorie, genere, numero e caso. Queste categorie consistevano in tre generi (maschile, femminile, neutro), tre numeri (singolare, duale, plurale) e otto casi (nominativo, vocativo, accusativo, genitivo, ablativo, dativo, strumentale, locativo).
2) Da un punto di vista formale, è stato assunto un sistema di temi caratterizzato dal suono finale del tema stesso. È stata assunta una generale opposizione tra temi in -o e temi atematici. I temi in -o, chiamati anche temi tematici, sono caratterizzati da una vocale tematica -o/e-, accento fisso o non mobile e assenza di alternanze apofoniche o ablautiche, mentre i temi atematici sono caratterizzati da alternanze apofoniche e in molti tipi da accento mobile. Tra i temi atematici, un'importante sottoclasse è quella delle radici in -a:, che per lo più esprimono il genere femminile e che hanno sviluppato un particolare insieme di uscite flessive.
3) Per gli aggettivi, l'espressione di gradazione è ottenuta tramite specifici suffissi. Nel caso del grado comparativo, un suffisso *-ies-/-ios- può essere ricostruito con sicurezza.

Ricostruzione di Brugmann (morfologia verbale):

1) Un sistema di tre temi (tritematismo), ossia presente, aoristo, perfetto, basato principalmente - ma non esclusivamente - sull'espressione dell'aspetto. Ogni tema era formata dalla radice verbale per mezzo di diverse procedure caratteristiche con una varità di costruzioni per il tema del presente (radicale, raddoppiata, con infisso nasale, con diversi suffissi), contro una varietà  più limitata per il tema dell'aoristo (radicale, sigmatico, raddoppiato) e una formazione praticamente esclusiva del tema del perfetto (il perfetto raddoppiato). È notevole anche l'esistenza di una differenziazione chiaramente definita tra i temi tematici e atematici, con caratteristiche simili ai corrispondenti temi nominali (invariabilità delle forme nella flessione tematica rispetto alla variabilità apofonica e di accento nella flessione atematica).
2) L'esistenza della distinzione di voce tra attivo e medio-passivo, la distinzione di numero tra singolare, duale e plurale, così come la distinzione tra prima, seconda e terza persona, tutte espresse tramite uscite personali.
3) L'uso di diverse uscite personali aggiunte al tema del presente indicativo come mezzo per distinguere tra presente e passato (il cosiddetto imperfetto).
4) L'esistenza dei modi indicativo, congiuntivo e ottativo, gli ultimi due espressi tramite suffissi aperti aggiunti al tema.
5) L'esistenza di un modo imperativo caratterizzato dall'uso di specifiche uscite personali.
6) L'uso di un insieme di uscite per il tema del perfetto.
7) La presenza di aumento in alcune lingue come tratto del tempo passato, opposto all'uso senza aumento per il cosiddetto modo ingiuntivo.
8) L'assenza di ogni espressione formale del tempo futuro, rimpiazzato dall'uso del presente pro futuro.

Ecco invece ciò che emerge dal terremoto anatolico:

La morfologia nominale è molto diversa da quella proposta per il proto-indoeuropeo prima dell'interpretazione della lingua hittita:

1) L'hittita ha due generi (comune e neutro) senza alcuna traccia del femminile, sia nei sostantivi che negli aggettivi.
2) Non c'è il duale.
3) Un unico insieme di uscite dei casi è usato per tutti i temi nominali, cosicché non possiamo propriamente parlare di temi "tematici" e di temi in -a: come flessioni differenziate dal resto delle flessioni atematiche.
4) Non si possono osservare tracce di gradazione aggettivale.

Morfologia verbale:

1) Non c'è tritematismo: c'è soltanto una forma tematica da cui tutta la coniugazione è creata per ogni verbo. Contro il sistema presente-aoristo-perfetto del proto-indoeuropeo di Brugmann, l'hittita mostra un sistema monotematico.
2) Cosa ancor più interessante, non ci sono affatto chiare tracce di tutti i marcatori dei temi dell'aoristo e del perfetto.
3) Ci sono soltanto due modi, l'indicativo e l'imperativo. Non esistono tracce di ottativo e di congiuntivo.
4) Ogni verbo appartiene a una delle due classi di coniugazione, dette coniugazione in -mi e coniugazione in -hi, e queste classi sono caratterizzate da insiemi di uscite flessive in parte diverse. I criteri secondo cui i verbi primari e derivati sono assegnati a una o all'altra classe restano non chiari. Mentre le uscite della coniugazione in -mi si confrontano facilmente con le uscite primarie e secondarie del proto-indoeuropeo di Brugmann, le uscite singolari della coniugazione in -hi mostrano evidenti connessioni con le uscite del perfetto e del medio del proto-indeuropeo brugmanniano - ma è formalmente impossibile pensare che la classe in -hi sia un semplice esito di una "riconversione" dei perfetti e dei medi proto-indoeuropei in una classe di coniugazione.
5) In modo simile al modello brugmanniano, l'hittita distingue tra presente e passato tramite uscite personali.
6) L'esistenza di due voci espresse tramite uscite personali è anch'essa comune al modello brugmanniano.
7) L'hittita mostra particolari mezzi per esprimere il modo e l'aspetto: ha sviluppato un perfetto perifrastico, usa suffissi come -ske-/-ska per derivare temi con significato di imperfetto o ricorre a particelle per esprimere sfumature modali (potenziale, irreale, ottativo).
8) L'hittita non ha né duale né aumento.

È notevole che un tipo di formazione di temi nominali considerata residuale nel proto-indoeuropeo di Brugmann, i temi eteroclitici in -r-/n-, fosse pienamente produttiva in hittita e in luvio.

Prova della natura arcaica delle lingue anatoliche

Sono uno strenuo sostenitore della tesi della natura arcaica delle lingue anatoliche: esse non presentano traccia alcuna di molte caratteristiche morfologiche indoeuropee perché non le hanno mai sviluppate. Se le lingue anatoliche fossero derivate da una protolingua affine all'indoeuropeo brugmanniano o a quello ricostruito dai laringalisti, sarebbero di certo rimasti residui della situazione più antica. Ad esempio, non è possibile che l'usura fonetica sia stata così radicale da far scomparire ogni traccia di un'ipotetica antica distinzione del genere femminile nei sostantivi e negli aggettivi, e neppure di certe caratteristiche della flessione verbale (raddoppiamento, pluralità dei temi, etc.): sarebbe rimasta in ogni caso qualche reliquia. Non va dimenticato che tali lingue non hanno avuto un'erosione quasi completa dell'apparato grammaticale, paragonabile a quella che possiamo constatare nell'inglese. Hanno mantenuto una grammatica abbastanza complessa. Dovremmo quindi immaginare una perdita selettiva, che avrebbe fatto sparire certe caratteristiche brugmanniane ma conservando tutto il resto, come se ad agire fosse stato un diavoletto di Maxwell, un genietto maligno con in mente un progetto ben definito. Inutile dire che cose simili non accadono nell'evoluzione delle lingue.

Per quanto possa rendermi impopolare, non esiterò ad affermare una verità scomoda. Tecnicamente parlando, le lingue anatoliche non sono lingue indoeuropee vere e proprie. Sono lingue preindoeuropee derivanti da una protolingua geneticamente imparentata con il protoindoeuropeo: il punto di divergenza è da collocarsi ben a monte dell'indoeuropeo ricostruito da Brugmann. In altre parole, la teoria a parer mio più vicina alla realtà è quella dell'indohittita. Il nome è brutto e sarebbe il caso di modificarlo, ma per comodità può andar bene.

Le invereconde baggianate di Renfrew

Noto una certa tendenza nel Web ad associare l'ipotesi indohittita con le deliranti teorie pseudoscientifiche dell'indoeuropeizzazione neolitica enunciate da Colin Renfrew, che respingo con fermezza. È chiaro che le lingue anatoliche hanno avuto origine più a nord, fuori dall'Anatolia e che si sono espanse in Asia minore solo in un secondo momento. Ritenere che l'Anatolia sia l'origine dell'indoeuropeizzazione è semplicemente folle, anche perché ancora in epoca storica persistevano in quelle terre lingue non indoeuropee. Lo stesso nome degli Hittiti deriva da quello della terra di Hatti, abitata anticamente da genti non indoeuropee poi assorbite e assimilate. Com'è ovvio che sia, la radice in questione non ha alcun parallelismo nelle lingue indoeuropee e non può essere spiegata tramite la ricostruzione brugmanniana. Va ricordato inoltre che la lingua delle antiche genti di Hatti ci è attestata, perché gli Hittiti se ne servivano per scopi religiosi: era una lingua non indoeuropea, chiamata proto-hattica dagli studiosi, appartenente alla molteplicità nord-caucasica (con somiglianze soprattutto con le lingue caucasiche nordoccidentali). Per usare un paragone rozzo che renda l'idea, la differenza tra l'hittita e il proto-hattico sembra quella che passa tra il latino e il cinese. A complicare il quadro, bisogna ricordare che lo stesso lessico dell'hittita è molto composito e in buona parte di origine oscura per non dire ignota - non necessariamente con corrispondenze in proto-hattico. I seguaci di Renfrew ignorano che anche parole con la stessa radice di termini indoeuropei possono gettare un po' di luce sulla lontana preistoria. Così apprendiamo molto dall'uso di un termine hittita, hartagga- "orso" (parente dell'IE *ṛkθo- "orso"), che indica anche un tipo di sacerdote: il ministro di culto doveva indossare la pelle dell'animale e impersonarlo, e questo ci appare come un lampante residuo di sciamanesimo, correlabile a un'origine settentrionale della popolazione.

È evidente che l'Anatolia non può essere stata a maggior ragione il luogo d'origine dell'indoeuropeo di Brugmann. Non è in quella terra che sono derivate le lingue indoeuropee moderne, come appare chiaro già analizzando la sua situazione linguistica nell'antichità, in cui dominano le lingue anatoliche. Ma forse Renfrew, che NON È un linguista, crede che un diavoletto di Maxwell abbia fatto evolvere la protolingua indohittita nelle lingue indoeuropee moderne in Europa e nelle lingue anatoliche in Asia Minore, postulando assurdi meccanismi selettivi.

Epilogo

L'articolo di Adiego Lajara non prende posizione in modo netto. Si limita a fare un riepilogo dei fatti conoscibili, per affermare che non si può giungere in alcun modo a conclusioni certe. Questo è in un certo qual senso l'ammissione di una sconfitta. Posso capire la sua sfiducia. La discussione è dominata da posizioni preconcette, che rallentano e ostacolano gli studi, complice anche l'estrema frammentarietà del mondo accademico. Uno studioso che segue il metodo scientifico deve raccogliere dati e far passare sotto il loro giogo le proprie teorie. Non può e non deve in alcun caso manipolare la realtà documentabile e accertabile per piegarla alle proprie idee preconcette. Se lo fa, è un falso uomo di Scienza e un malfattore. Ci sono neogrammatici e laringalisti che adorano con feticismo estremo le proprie teorie, al punto di costringere le lingue anatoliche nel letto di Procuste delle loro ricostruzioni, considerate assolute e definitive.

sabato 10 marzo 2018


FANTASMI DA MARTE

Titolo originale: Ghosts of Mars
Paese di produzione: USA
Lingua: Inglese
Conlang(s): Paleomarziano
Anno: 2001
Durata: 98 minuti
Genere: Fantascienza, azione, orrore, thriller
Sottogenere: Fantawestern
Regia: John Carpenter
Soggetto: John Carpenter, Larry Sulkis
Sceneggiatura: John Carpenter, Larry Sulkis
Produttore: Sandy King
Fotografia: Gary B. Kibbe
Montaggio: Paul C. Warschilka
Effetti speciali: Lance Wilhoite
Musiche: John Carpenter
Colonna sonora:   1. Ghosts of Mars
  2. Love siege
  3. Fight train
  4. Visions of earth
  5. Slashing void
  6. Kick ass
  7. Power station
  8. Can't let you go
  9. Dismemberment blues
 10. Fightin' mad
 11. Pam grier's head
 12. Ghost poppin'
Scenografia: William A. Elliott
Trucco: Robert Kurtzman, Greg Nicotero, Howard
    Berger
Interpreti e personaggi   
    Natasha Henstridge: Tenente Melanie Ballard
    Ice Cube: James "Desolation" Williams
    Jason Statham: Sergente Jericho Butler
    Clea DuVall: Bashira Kincaid
    Pam Grier: Comandante Helena Braddock
    Joanna Cassidy: Dottoressa Arlene Whitlock
    Richard Cetrone: Big Daddy Mars
    Rosemary Forsyth: inquisitore
    Liam Waite: Michael Descanso
Doppiatori italiani   
    Tiziana Avarista: Tenente Melanie Ballard
    Simone Mori: James "Desolation" Williams
    Vittorio De Angelis: Sergente Jericho Butler
    Eleonora De Angelis: Bashira Kincaid
    Isabella Pasanisi: Comandante Helena Braddock
    Stefanella Marrama: Dottoressa Arlene Whitlock

Trama:

Seconda metà del XXII secolo. Marte è stato quasi completamente terraformato: è possibile per un essere umano aggirarsi per le sabbie rosse senza bisogno di scafandro. La società coloniale è governata da donne ed è multietnica, anche se prevale la tipologia caucasica. L'agente di polizia Melanie Ballard è inviata in una desolata regione mineraria per prelevare e deportare il prigioniero James "Desolation" Williams, di ascendenza afroamericana. Una volta giunta con un treno speciale nel remoto avamposto, la bionda Melanie si rende subito conto che la popolazione locale sembra essere scomparsa nel nulla. Le uniche tracce degli abitanti dello stanziamento sono alcuni resti umani mutilati in modo atroce. Presto l'agente viene a conoscenza della realtà. I minatori di un avamposto vicino hanno trovato un ambiente ctonio costruito da un'estinta civiltà marziana, e con più audacia che senno un'archeologa incompetente ha sfondato la parete d'ingresso. L'evento si è rivelato subito luttuoso come la rottura del Vaso di Pandora. In quelle cripte erano imprigionati gli spiriti degli antichi marziani, che in preda alla furia si sono riversati all'esterno, causando una devastante epidemia di possessione. Coloro che sono stati presi da questi spettri demoniaci, hanno cominciato a incidersi le carni, ad affilarsi i denti e a commettere orrendi atti di morte. Hanno ucciso chi non era posseduto, facendone a pezzi i cadaveri e spesso conficcando su pali appuntiti le teste mozzate. Si sono raggruppati in bande e hanno cominciato a parlare una lingua sconosciuta. Di colpo hanno smesso di appartenere al genere umano: con loro è tornato su Marte qualcosa che era scomparso da tempi immemorabili. Quando il capo della squadra, Helena Bradock, è uccisa dai posseduti, l'impavida Melanie Ballard assume il comando della missione. Subito l'agente si rende conto che uccidere questi minatori indemoniati non serve assolutamente a nulla, in quanto lo spirito maligno trasmigra prontamente in un nuovo corpo. È l'inizio di un incubo spaventoso, fatto di sequenze di grande tensione, fino al finale inquietante.


Recensione: 

Un ottimo film di fantascienza robusta, unico nel suo genere. Il pianeta Marte ricostruito da Carpenter è quasi sempre immerso nella tenebra notturna e ha un aspetto singolare che ricorda l'ambientazione di un western, al punto che potremmo definire questa pellicola un fantawestern. Le riprese hanno avuto luogo in una cava del Nuovo Messico, il cui pietrisco gessoso è stato colorato con immense quantità di polvere rossa per simulare le desolazioni marziane. Inizialmente doveva intitolarsi Fuga da Marte (Escape from Mars) e avere come protagonista il famoso Jena Plissken (Snake Plissken) del celeberrimo 1997 Fuga da New York (Escape from New York, 1981). Visto lo scarso successo del sequel Fuga da Los Angeles (Escape from L.A., 1996), l'idea fu abbandonata. Il regista affermò che era sua intenzione creare un "B-movie a tutti gli effetti, con molta azione, poco cervello e tanto splatter". Credo con fermezza che il suo prodotto sia superiore alle aspettative, qualcosa che non liquiderei come banale. Si segnala la colonna sonora, firmata dallo stesso Carpenter e interpretata da diversi artisti, tra cui gli Anthrax e il chitarrista polistrumentista Buckethead (nato Brian Patrick Carroll). 

I marziani carpenteriani e la logo lingua

Forse Carpenter e Larry Sulkis non ne sono al corrente, ma di certo sono due grandi filosofi, che hanno introdotto un concetto davvero unico: quello di una civiltà estinta formata da individui che sopravvivono in spirito alla morte fisica, restando coerenti e portando in sé la conoscenza della loro esistenza corporea, avendo modo di propagarla tramite gli involucri carnali di una specie ospite. Questo pone un grande dilemma. Se ciò potesse accadere, una lingua estinta da millenni, o addirittura da milioni di anni, potrebbe ritornare ad essere parlata, risolvendo una discontinuità ontologica e biologica in apparenza ineliminabile. Come definire il fenomeno? Un singolare caso di xenoglossia o di glossolalia? Se ci si imbattesse in un qualcosa di simile, forse sarebbe entrambe le cose: sarebbe glossolalia, perché la lingua parlata è sconosciuta al genere umano, ma al contempo sarebbe anche xenoglossia, perché tale lingua un tempo era parlata realmente. Inutile dirlo: finora non si è mai trovato nulla di assimilabile alla creazione carpenteriana. Questo pone anche un ultreriore problema: quello della conservazione di informazioni oltre la morte fisica da parte di un essere incorporeo in grado di interagire con la materia e con l'energia di cui questo universo è composto. Gli spiriti evocati da Carpenter conservano per breve tempo la forma dell'ultimo corpo che hanno posseduto, e come tali sono persino visibili agli occhi dei viventi. Senza dubbio un'idea di una potenza inconcepibile, che non è stata valutata appieno dal pubblico! Gli antichi marziani sono dipinti come strani e tozzi rettili bipedi dalla pelle maculata. Sono mostrati nel corso delle visioni patite dalla protagonista, Melanie Ballard, mentre uno spirito immondo cerca di entrare in lei. Non si riesce a ricostruire molto della lingua marziana parlata dai posseduti, anche perché non credo che ci fosse uno specifico progetto da parte del regista e dello sceneggiatore. In ogni caso, solo una parola mi è parsa di una chiarezza sconvolgente: l'imperativo goom-taah! "uccidiamo!".

Non è un remake

In genere questo film è considerato un remake strutturale di Distretto 13 - Le brigate della morte (Assault on Precinct 13), dello stesso Carpenter, uscito nel 1976. Con buona pace della critica, a parer mio le analogie sono soltanto apparenti e non si può parlare in alcun modo di un rifacimento, per quante analogie formali possano essere enumerate. Nella pellicola carpenteriana del '76 non si parlava affatto di antichi spiriti in grado di trasmigrare provocando una pandemia di odio assoluto. La causazione degli eventi era del tutto dissimile. Certo, c'erano gang di una ferocia spaventosa, ma nessun principio metafisico era presentato come fondamento di tanta malvagità. L'origine ultima di Fantasmi da Marte e di Distretto 13 viene da molti ricondotta a viva forza al film western Un dollaro d'onore (Rio Bravo), di Howard Hawks (1959) - un classico interpretato da un eccellente John Wayne e da Dean Martin nel ruolo di un intramontabile ubriacone. Il problema è che i cinefili e i recensori del tipo più comune sono fossilizzati fino alla monomania con dettagli tecnici e non dedicano alcuna attenzione a contenuti antropologici e filosofici. Anzi, sono ciechi a qualsiasi contenuto che non sia pura e semplice materialità, ritenendo tutto ciò che appartiene allo spirito umano come un'insopportabile "pippologia". Forse nemmeno un'invasione di alieni come i marziani di Carpenter potrebbe liberarci da un simile flagello.

CAPRICORN ONE 

Titolo originale: Capricorn One
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 1978
Durata: 123 min.
Rapporto:
2,20 : 1
Genere: Fantascienza, thriller
Sottogenere: Fantapolitica, propaganda complottista
Regia: Peter Hyams
Soggetto:
Peter Hyams
Sceneggiatura: Peter Hyams
Produttore: Paul N. Lazarus III
Fotografia: Bill Butler
Montaggio: James Mitchell
Effetti speciali: Bruce Mattox
Musiche: Jerry Goldsmith
Scenografia:
Rick Simpson
Costumi: Patricia Norris
Trucco:
Michael Westmore; Emma DiVittorio
Interpreti e personaggi   
    Elliott Gould: Robert Caulfield
    James Brolin: Charles Brubaker
    Brenda Vaccaro: Kay Brubaker
    Sam Waterston: Peter Willis
    Lee Bryant: Sharon Willis
    O.J. Simpson: John Walker
    Denise Nicholas: Betty Walker
    Hal Holbrook: James Kelloway
    Karen Black: Judy Drinkwater
    Telly Savalas: Albain
    Robert Walden: Elliot Whittier
    David Huddleston: Hollis Peaker
    David Doyle: Walter Loughlin
    Norman Bartold: Presidente Usa
    James Karen: Price, vice presidente Usa
    Alan Fudge: Tecnico sala controllo
    Barbara Bosson : Alva Leacock
Doppiatori italiani   
    Pino Locchi: Robert Caulfield
    Pino Colizzi: Charles Brubaker
    Rita Savagnone: Kay Brubaker
    Cesare Barbetti: Peter Willis
    Luciano De Ambrosis: John Walker
    Giorgio Piazza: James Kelloway
    Maria Pia Di Meo: Judy Drinkwater
    Glauco Onorato: Albain
    Sergio Fiorentini: Hollis Peaker
    Renato Mori: Walter Loughlin
    Manlio De Angelis: Elliot Whittier
    Renato Mori: Direttore del giornale
    Sergio Graziani: Presidente Usa
    Sergio Rossi: Price
Achtung! Warning! Prodotto decostruito: trasmette il virus Derrida!

Trama:

Capricorn One, la prima missione umana su Marte, è prossima alla partenza. Tutto sembra andare a gonfie vele, quando proprio all'ultimo i tre uomini dell'equipaggio, Brubaker, Willis e Walker, in gran segreto sono rimossi dall'abitacolo e condotti nel deserto. Senza alcuna spiegazione, si ritrovano confinati in un edificio isolato. Il lancio avviene senza che nessuno abbia il minimo sospetto sull'accaduto: il razzo parte senza nessuno a bordo, nell'eccitazione generale. A questo punto gli astronauti vengono a sapere dall'ufficiale della NASA, Kelloway, che è stato rilevato un guasto ai sistemi vitali che li avrebbe uccisi in breve volgere di tempo. Tutto è accaduto così: la società che forniva i materiali per la costruzione del Capricorn One era corrotta. La sua dirigenza ha dilapidato immensi capitali in droga e in puttane, facendo faville come all'osteria numero mille! Stante una simile dissipazione di risorse, in pratica il missile è stato costruito con la cartapesta e con l'attack. A questo punto Kelloway propone agli astronauti di simulare lo sbarco su Marte. Tutto si svolgerebbe in uno studio cinematografico, all'insaputa del mondo intero. I tre all'inizio rifiutano, ma presto vengono a più miti consigli, dato che l'ufficiale li ricatta in modo vilissimo: se non acconsentiranno, le loro famiglie saranno annientate in un tremendo schianto aereo. Hanno così inizio i preparativi per lo sbarco fittizio. Ovviamente le vittime del ricatto sono costrette a una rigidissima reclusione, per non rischiare che qualcuno possa vederli anche per un caso remoto. La cospirazione resta nota soltanto a pochi ufficiali, ma un giorno accade che un tecnico si rende conto della strana natura dei segnali del Capricorn One, che sembrano provenire da una distanza ravvicinata e non dallo spazio. Questo tecnico confida i suoi sospetti al suo amico, il giornalista Robert Cauffield, prima di scomparire nel nulla. Ben presto Cauffield, deciso ad indagare, si accorge di aver toccato qualcosa di molto pericoloso, al punto che si verificano attentati alla sua vita. Intanto, dopo aver organizzato l'atterraggio finto su Marte e aver trasmesso le immagini in mondovisione, la NASA si prepara al rientro del Capricorn One. Un surriscaldamento improvviso, dovuto al cedimento degli scudi termici all'impatto con l'atmosfera terrestre, è la causa della distruzione del veicolo spaziale. Agli occhi del mondo, Brubaker, Willis e Walker sono morti! Naturalmente non potranno mai più essere rilasciati. Anzi, il modo migliore di gestire la cosa, per la NAFIA, è senz'altro sopprimerli. Sospettando questo, i tre astronauti evadono e cercano scampo. Purtroppo si trovano ad affrontare il deserto, così scelgono di separarsi per rendere più difficile la cattura. Inseguiti dagli elicotteri governativi, i tre uomini versano in condizioni disperate. Uno solo di loro riuscirà a scamparla e dopo mille peripezie apparirà al proprio funerale, svelando al mondo l'inganno.

Recensione:

Tecnicamente parlando, mettendo da parte ogni animosità, direi che è una pellicola mediocre. Si segnala un Telly Savalas selvatico e aggressivo, che svolge abbastanza bene il ruolo dell'abitante semibarbaro di un distretto desertico. Attore bilioso e bisbetico, si trova a suo agio nel ruolo. Per contro, il detective improvvisato, interpretato da Eliott Gould, lo trovo insostanziale. Non male James Brolin nel deserto, che trova modo di sopravvivere mangiando crudo un serpente a sonagli. Per il resto, ci sono incoerenze à gogo. Il finale è ridicolo. Il padre di famiglia creduto morto dai suoi cari che se ne sbuca fuori in tuta da astronauta, saltellando giulivo, è una figura troppo imbarazzante per essere credibile. Mi pare inoltre che sia qualcosa di incongruo. Ma come, prima gli danno la caccia per mare e per monti, giurando di abbatterlo perché nessuno deve vederlo, e chissà come questo appare proprio alla posticcia e farisaica cerimonia del suo funerale? Alla presenza dell'intera classe politica della nazione? Forse il regista pensa che in una situazione simile i cattivi sarebbero sconfitti e tutto si aggiuterebbe per incanto? Bah!  

Analisi del patogeno

Se questo film fosse visto da un pubblico di sole persone intelligenti e obiettive, sarebbe un'opera di fantascienza e di fantapolitica come tante altre. Non potrebbe arrecare alcun danno. Tuttavia un inghippo c'è di sicuro. Si può individuare un tenue filamento di RNA memetico appartenente al temibile virus Derrida, in grado di decostruire il pensiero delle persone infettate e di propagarsi anche attraverso semplici contatti verbali in apparenza innocui. Il corredo concettuale del virus si nasconde sotto uno spesso strato proteico, più duro e compatto del solito, cosa che lo rende invisibile a molti. Eppure i memi infettivi sono tutti lì, pronti a colpire gli incauti. L'involucro che li nasconde alla vista è costituito interamente da scorie di politicume spicciolo raccattate qua e là per poi essere agglutinate. 

Una grave fallacia logica 

Analizzando la fabbricazione del virus memetico, si vede che è estremamente insidioso. Molti prodotti decostruiti sono a dir poco grossolani e li si riconosce all'istante. Questo invece è stato progettato a bella posta per non essere notato dalla maggior parte degli osservatori, anzi, può passare per qualcosa di diverso e di legittimo. Cerco di tratteggiare il pensiero dei progettisti. Prima disegnano con grande abilità uno scenario a dir poco desolante, con un governo corrotto oltre ogni limite, sovrapposto alle organizzazioni mafiose al punto da riuscire quasi indistinguibile. Rendono evidente il marciume più immondo, lo fanno venire a galla e lo mettono sotto il naso di tutti. Farlo è qualcosa di sacrosanto, tanto che nessuno può dire nulla in contrario. In questo modo scatta la trappola. Se giova alla nazione corrotta, un complotto è possibile. Quindi, se è possibile, allora è vero. Deve essere vero per necessità. Hai dei dubbi? Allora sostieni i malfattori del governo americano. Addirittura, se insisti, è perché sei pagato da loro per far credere che il complotto non esista. Non si scappa, è un vicolo cieco. 

L'aporia della censura 

Quando ebbi a dire in un gruppo FB di fantascienza che sarebbe meglio se non si facessero film nocivi come Capricorn One, un pubblico di fanatici è insorto, dandomi del censore, oltre che - ovvio - del talebano e del nazista. Ormai ci sono abituato. A sentire questi fantascientisti aggressivi, la pellicola di Hyams sarebbe addirittura un capolavoro. Facendo sfoggio di lievi manie di persecuzione, sostengono anche che è un capolavoro purtroppo sottovalutato. Secondo uno di loro, il film non sarebbe tra le cause dell'epidemia di negazionismo lunare, ma al contrario sarebbe stato ispirato dai complottisti già imperversanti negli USA degli anni '70. Affermazione opinabile. Certo, quello della censura dei contenuti pericolosi è un problema grave. Si inizia a censurare qualcosa per la più giusta delle cause e si finisce a non poter più esprimere alcuna idea. Questa è la tesi corrente, e di certo ha in sé una fibra di verità. A chi piacerebbe una censura occhiuta? A nessuno. Tuttavia, si noterà anche che partendo da questo presupposto si dovrebbe allora permettere la libera diffusione di ogni abominio, come ad esempio gli snuff movies o la pedopornografia, e tutto per difendere la "libertà di espressione artistica". Coloro che strepitano e urlano alla censura, come se ogni obiezione loro rivolta fosse il babau, a quanto pare non sembrano capirlo. Certo, finché si continuerà con questi sofismi, l'aporia non si risolverà di sicuro. Irrido e schernisco i dogmi dei popperiani, che in modo ipocrita e capzioso definiscono "tolleranza illimitata e universale" tutto ciò che le leggi permettono, dando invece una diversa definizione a ciò che è vietato perché nemico della cosiddetta "società aperta". Non c'è nulla da fare. Comunicare con un popperiano è impossibile. Si prostrerà sempre davanti alle feci rinsecchite della sua divinità, Karl Popper. Se è d'accordo con te, afferma che le stesse cose le aveva già dette Popper. Se non è d'accordo con te, dice che quanto sostieni è da rifiutarsi perché Popper aveva a riguardo una diversa opinione. Forse sarebbe meglio se questi fanatici si dedicassero a un altro popper, quel solvente che annusano gli uranisti. Mi rendo conto di essere ripetitivo come Catone il Censore, ma lo affermo una volta di più: l'unico modo per venirne a capo è instaurare un meccanismo in grado di provvedere alla rimozione del virus Derrida facendo uscire dall'inventario ontologico i suoi portatori. In un certo qual senso, è a dir poco frustrante conoscere una medicina in grado di debellare ogni forma di cancro e saperla irrealizzabile al presente stato delle cose.

Memorie

Ricordo ancora il giorno in cui mi resi conto dell'esistenza del problema, in epoca pre-Web. Mentre ero con amici a casa della bella M., un ospite che non avevo mai visto prima intavolò uno strano discorso. Era un lattoniere delirante, il cui livello di istruzione poteva essere paragonato a quello di un babbuino. Ebbene, costui affermò senza mezzi termini che gli astronauti non erano mai stati sulla Luna e che era tutto un imbroglio ordito dalla NASA. Fino a quel momento avevo creduto che tali opinioni fossero proprie soltanto della setta dei Testimoni di Geova. Con mio grande stupore mi accorsi che il lattoniere non apparteneva a tale congrega religiosa. In lui il pensiero complottista era già formato appieno e aveva motivazioni unicamente politiche. Essendo antiamericano - la menava senza sosta con i bambini palestinesi massacrati da Israele - riteneva del tutto normale che il governo yankee avesse inscenato una simile colossale frode ai danni del genere umano. Certo, che gli USA non siano governati da stinchi di santo è abbastanza palese a tutti. Su questo non ci piove. Pensare tuttavia che lo sbarco sulla luna non fosse mai avvenuto mi apparve subito come un'assurdità sesquipedale. L'amico P. mi parlò della presenza di alcuni retroriflettori sull'argenteo satellite, portati dagli astronauti. Aggiunse che quegli apparecchi abbandonati nelle vastità lunari erano stati utilizzati più volte in esperimenti di misura della distanza Terra-Luna tramite invio di raggi laser dalla Terra - tutte cose ben documentabili. Mi disse anche che è ancora visibile il "ragno" del LEM e che poteva essere osservato con un telescopio: lui stesso lo aveva fatto. Lì per lì non diedi grande importanza a queste cose e pensai ad altro. Qualche mese dopo venni a sapere che il lattoniere complottista era caduto da un tetto mentre lavorava, si era fracassato la schiena, era andato in agonia ed era infine spirato. Il problema tuttavia non si risolse con la scomparsa di quell'uomo. Dopo anni, quando ormai l'accesso al Web si era diffuso largamente, mi imbattei di nuovo nei complottisti negatori dello sbarco sulla luna, accorgendomi che erano più numerosi degli spiriti immondi di Gerasa. Con sgomento realizzai che molti di loro erano anche terrapiattisti, ossia settari convinti per articolo di fede che la Terra sia piatta. Un giorno riversai la mia rabbia sull'informatico M., esile e biondiccio, che mentre ero al lavoro parlò proprio di Capricorn One. Sentivo nominare il film per la prima volta. Reagii con furia al negazionismo lunare, eruttando in un torrente di imprecazioni e improperii. Tremante come un budino, M. disse balbettando: "Veramente non è quello che penso io, è solo la trama del film Capricorn One". La cosa finì lì, ma intanto cominciai a cercare informazioni su quell'opera deleteria.

Reazioni nel Web:

Il contagio decostruzionista è riuscito talmente bene che in tutta la rete si trovano a stento un paio di recensioni negative, tutte molto timide. Per rendersi conto del fanatismo imperante, basti analizzare gli interventi dei navigatori sulle pagine dei principali siti di cinema. C'è da restar basiti. Ecco un elenco di opinioni eulogistiche quanto grottesche raccolte nel Web: 

Capricorn one alimenta il forte dubbio !!
(weach)

avvincente thriller sulla "ragione di stato" 
(vic fontaine)

Straordinario
(fabio1957)

Film molto interessante.
(Furetto 60)

Grandissimo film!
(Ramses72)

intrattenimento intelligente e non vacuo, attualissimo anche ai nostri giorni...
(movieman)

Forse, e mica tanto forse, il miglior film di sci-fi mai girato fino ad oggi.
(ds2k2)

"Capricorn One" è un film...fantastico, per certi versi sottovalutato, sicuramente tra i migliori di (falsa)fantascienza degli anni '70.
(George Smiley)

Buon film di fantapolitica, ben girato e senza momenti di stanca.
(Baliverna)

E se lo sbarco sulla luna fosse stato un bluff???E se la Nasa ci avesse preso in giro???
(Ezio)

Gran bel film che miscela bene una buona dose di azione e tensione e tematiche sociali sempre attuali e forti.
(Alfatocoferolo)

E' un film che ho visto almeno dieci volte e che rivedo sempre con piacere.
(capricorn one)

Mi colpì moltissimo la prima volta che lo vidi e rimane uno dei miei preferiti.
(ioperplesso)

Bisogna dire che è un gran film, e ci vuole coraggio a farne uno così, che di fatto denuncia il falso arrivo sulal Luna [...]
(Axeroth)

Uno dei miei film preferiti di sempre. La storia è molto originale e mi ha fatto dubitare anche del viaggio sulla Luna.
(Rambo90)

Lungo, solido ed eccellente: bastano tre parole per sintetizzare quest'opera di fanta-space-thriller (poi neanche tropo fanta) di Peter Hyams.
(Tomastich)

Solo sporadicamente si trovano opinioni più decenti e critiche, soprattutto da fonti più autorevoli dell'internauta medio politicizzato:

"Assolutamente inverosimile, anche se avvincente intrigo fantapolitico che si scatena con evidente livore contro il Palazzo americano. Cia, Nasa, Casa Bianca, tutti corrotti, sostiene Peter Hyams, sceneggiatore e regista ideologicamente prevenuto. Insomma un film che è un po' come il radar di Ustica: vede soltanto ciò che gli fa comodo".
(Massimo Bertarelli, 'Il giornale', 28 settembre 2001)

"Un film potenzialmente interessante, trasformato dalle esigenze commerciali, in uno spettacolo professionale ma poco credibile."
(Magazine tv).

"Il film, nasconde l'abbastanza scontate tematiche del cinismo assassino, delle persone e degli organismi condizionati dalle 'ragioni di stato', nonché dalla non meno cinica possibilità di imbastire macroscopiche mistificazioni mediante i grandi mezzi di comunicazione sociale."
(Segnalazioni Cinematografiche, vol. 85, 1978).

Dopo lunga preparazione, la NASA sta per lanciare verso Marte navicella spaziale. Per un guasto la spedizione viene simulata, ma non tutti credono all'inganno. Tipico frutto della paranoia americana dopo lo scandalo Watergate, acquista nella seconda parte la sua vera fisionomia di apologo contro il potere, pur mantenendo le cadenze di un thriller d'inseguimento. Nel 1975 era uscito il bestseller Non siamo mai andati sulla Luna di Bill Kaysing, pubblicato anche in Italia.
(Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli)

mercoledì 7 marzo 2018


AELITA

Titolo originale: Аэлита (Aelita)
Aka: Aelita: Queen of Mars
Paese di produzione: URSS
Anno: 1924
Release americana: Aelita: Revolts of the Robots
     (1929), editing di Benjamin De Casseres.

Durata: 111 min - 81 min
Colore: B/N
Sonoro: Film muto
Tipologia narrativa: Colossal
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Space opera; propaganda comunista   
Regia: Jakov Aleksandrovič Protazanov
Soggetto: Aleksej Nikolaevič Tolstoj, dall'omonimo
     romanzo (1923)
Sceneggiatura: Aleksej Fajko, Fëdor Ozep
Fotografia: Emil Schünemann,
     Jurij Željabužskij
Musiche: Aleksandr Rannie su tema di Prokof'ev
Scenografia:
Sergej Kozlovskij, Isaak Rabinovič,
     Victor Simov
Interpreti e personaggi   
    Julija Solnceva: Aelita
    Nicolaj Ceretelli: Los / Spiridonov
    Valentina Kuindži: Natasha
    Nikolaj Batanov: Gusev
    Jurij Zavadskij: Gor
    Igor' Il'inskij: il detective Kravtsov
    Konstantin Eggert: Tuskub, il re di Marte e padre
       di Aelita
    Vera Orlova: Masha
    Pavel Pol': Ehrlich
    Aleksandra Peregonets: Ikhoshka, la fedele
       servitrice di Aelita

Trama:

A Mosca, nel 1921, varie stazioni radio ricevono una misteriosa trasmissione, il cui testo è una frase intraducibile: "Anta Odeli Uta". I colleghi istigano Los, uno scienziato ossessionato dall'idea di raggiungere Marte, suggerendogli che il messaggio possa provenire dal Pianeta Rosso. Questo è sufficiente a provocare nel povero Los uno stato onirico in cui ha visioni ad occhi aperti e fantastica sulla bizzarra civiltà marziana. Vediamo la regina Aelita e il vero detentore del potere, suo padre Tuskub. Gor è il Guardiano dell'Energia e capo dei militari, mentre Ikhoshka è la maliziosa ancella di Aelita. La società, rigidamente aristocratica, è in precario equilibrio: la regina non è amata dai militari e dalla casta degli scienziati. Questi ultimi hanno in loro potere un telescopio che permette di osservare la Terra e cercano di negarne l'accesso alla curiosissima sovrana. La maggior parte della popolazione marziana è costituita da schiavi che vivono in condizioni abiette nel sottosuolo, lavorando nelle miniere. Durante il turno di riposo vengono congelati e stipati nelle caverne come merce. Intanto, sulla Terra, le giornate di Los trascorrono nel misero e meschino contesto della Russia dei Soviet. Sua moglie, Natasha, è tampinata da uno squallido burosauro dal cognome ben poco russo, Ehrlich. Prima della Rivoluzione era stato un donnaiolo, ora è un ufficialetto che abusa del suo potere per far sparire grandi quantità di zucchero con cui corrompe le donne, cercando di ottenere i pompini o qualche scopata. Anche se Natasha rifiuta le avances di Ehrlich, Los è convinto del contrario e quindi è roso da una funesta gelosia. Tutto procede nello squallore più assoluto e deprimente. Spiridonov, uno scienziato amico di Los, progetta di fuggire all'estero, mentre il grottesco segugio Kravtsov si occupa di scoprire l'autore dei furti di zucchero, notoria causa di crolli di imperi nella storia del mondo. Intanto Los continua a sognare Marte. La regina Aelita, venuta a conoscenza della sua esistenza, lo desidera segretamente. Vorrebbe che lui fosse con lei e che accostasse le labbra alle sue, come fanno gli amanti sulla Terra. Intanto la situazione precipita. Colto da un raptus, Los uccide la moglie, si traveste in modo tale da passare per Spiridonov, che nel frattempo ha disertato ed è sparito dalla Russia. Incredibilmente, in tutto questo trambusto, Los riesce a costruire un razzo in uno stabilimento nella periferia di Mosca. Mentre si imbarca assieme al rivoluzionario Gusev, un soldato dell'Armata Rossa e fondatore di diverse repubbliche socialiste sovietiche, viene raggiunto dal segugio Kravtsov, che non riesce tuttavia a fermarlo. A questo punto il razzo parte e in brevissimo tempo lascia la Terra con i tre a bordo. In brevissimo tempo la navicella arriva su Marte. Qui avviene un miracolo: i terrestri e i marziani sono in grado di intendersi alla perfezione, senza alcuna barriera linguistica! Tuskub ordina di uccidere gli invasori, ignorando le suppliche della figlia Aelita. Kravtsov, maldestro e dal cervello minuscolo, cade subito prigioniero dei soldati. Il capo degli Astronomi raggiunge la regina, dicendole dove la nave è atterrata. L'ancella Ikhoshka cerca di ucciderlo pugnalandolo alle spalle, ma viene catturata e spedita nelle miniere. Gusev si è invaghito della fantesca e ha persino inscenato una pantomima esplicita per convincerla a fellarlo, così la segue, pensando di salvarla e di sfogare i propri impulsi. Nel frattempo Los incontra Aelita e se ne innamora, anche se a volte la vede sotto le sembianze della moglie. Le guardie arrivano e li arrestano, inviando anche loro nel sottosuolo, dove Gusev sta arringando gli schiavi, organizzando un soviet marziano! Aelita, nonostante la diffidenza di Gusev, che non vede di buon occhio gli aristocratici, riesce a farsi scegliere come capo del movimento. Scoppia il finimondo. Gusev, armato di un gigantesco martello, sembra un improbabile Thor comunista mentre assesta poderosi colpi a chi cerca di fermarlo. Quando i soldati di Tuskub riconoscono la sconfitta, Aelita svela il suo vero volto e comanda loro di ricondurre gli schiavi nelle loro caverne. Los, preso dal disgusto, fa precipitare la regina in un baratro, uccidendola. A questo punto si capisce la vera natura di tutte queste vicende tumultuose: si tratta di sogni a occhi aperti di Los, che è sulla Terra, non ha ucciso la moglie e non ha costruito alcun razzo. Così si riconcilia con Natasha. Il messaggio marziano "Anta Odeli Uta" si rivela soltanto una trovata pubblicitaria e tutti vissero felici e contenti.


Recensione:

Una chicca imperdibile. Si può dire che Aelita sia il primo colossal prodotto dall'Unione Sovietica. Quando uscì divenne rapidamente popolarissimo, al punto che a un gran numero di bambine russe fu dato il nome Aelita. In seguito, la pellicola cadde in disgrazia e fu bandita dal governo sovietico, tanto che non fu facile poterla visionare prima della fine della Guerra Fredda. 

Il film di Protazanov è stato proiettato al celebre Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 12 settembre 2009, ma in quell'occasione purtroppo non ho potuto essere presente. Sul sito Fantasymagazine.it esiste ancora traccia di tale evento:


Ho avuto occasione di vedere Aelita soltanto otto anni dopo. Le sue sequenze, immensamente ingenue, grottesche, a tratti comiche, mi hanno messo di buon umore, come un raggio di luce nelle compatte tenebre di una depressione profonda. Si può quindi dire che Protazanov e Aleksej Tolstoj abbiano fatto del bene. Certo, siamo lontani anni luce dalla sensibilità dei nostri tempi, ma penso che quest'opera vada conosciuta. 


Contenuti politici del film 

Su Fantasymagazine.it si sostiene che Aelita sarebbe un film di "denuncia sociale". Non ho assistito al dibattito sull'argomento nella sede in cui è avvenuta la proiezione, ma posso immaginare che questa sia stata la tesi sostenuta dagli astanti. A me pare piuttosto che si cerchi di proiettare nel passato degli anni '20 dello scorso secolo le categorie mentali moderne e il sentire moderno, un rischio gravissimo su cui non smetterò mai di mettere la massima enfasi. All'epoca in cui fu prodotto Aelita non si faceva "denuncia sociale", si rimuovevano gli ostacoli abbattendo le persone. Gli omicidi politici erano all'ordine del giorno e nessuno ci trovava alcunché di strano. La propaganda politica era più semplice, più diretta. Quando Gusev trasforma gli schiavi marziani in rivoluzionari decisi ad instaurare la dittatura del proletariato, subito partono in crescendo le note dell'inno dell'Unione Sovietica. Si vede un uomo barbuto che plasma a mani nude una falce e un martello, accendendo il fuoco della Rivoluzione. Il messaggio è semplice: Gusev, servendosi soltanto delle sue parole, per magia comprensibili al suo pubblico, riesce a impiantare su Marte il marxismo. Qualcosa che è nato e germogliato sulla Terra, in un ben preciso contesto, attecchisce in un ambiente del tutto dissimile, senza alcuna difficoltà. Oggi tutto questo ci sembra decisamente naïf, com'è ovvio che sia. Ci appare come una burletta e ci desta ilarità. Tutto sembra fuorché propaganda politica, somiglia di più a un Godzilla di gomma. Nel 1924 la gente la pensava in modo diverso: di certo quelli erano mezzi adatti alle necessità del contesto. 

 

Il frenetico Gusev e il sesso in bocca

Alcune sequenze del film costituiscono un inatteso quanto incontestabile riferimento alla fellatio. Gusev, esagitato e in preda alla libidine come un bonobo, afferra l'ancella Ikhoshka per un braccio e mima il coito orale, dando prova di ignorare il concetto stesso di pudore. Si indica i genitali ripetutamente, quindi punta con il dito la bocca della donna e lo preme nell'aria più volte, facendole capire dove desidera infilarle il fallo eretto. Lei non raccoglie l'invito, non dice nemmeno l'equivalente marziano di un "ma anche no", sottraendosi subito alla presenza dell'importuno corteggiatore. Tutto questo mi ha destato grande meraviglia come l'ho visto, perché mi è parso un elemento incongruo. Il punto è questo: negli anni '20 del XX secolo, il sesso orale era tabù, tanto in Oriente quanto in Occidente. Chissà se gli amici del Cineforum Fantafilm si sono accorti di tutto questo! Un giorno dovrò decidermi a chiederlo ad Andrea "Jarok", sperando che rammenti qualcosa della lontana serata di discussione. 


Il vecchio mondo

Alcuni uomini si assicurano di non essere disturbati e si riuniscono per una festicciola, se così si può dire. Consumando del vino acidulo, di pessima qualità, si lasciano andare a ricordi del mondo prima della Rivoluzione. Com'erano le loro vite? Indubbiamente migliori, è la loro conclusione. Si fanno prendere da voli pindarici. Uno scienziato baffuto fabbrica fantasie su come sarebbe stato riverito: un servo in livrea lo avrebbe accompagnato ovunque, stappando una bottiglia di champagne ad ogni occasione. Un suo collega invece si vedeva nell'atto di dare ordini a un servo adorante, prontamente obbedito come se fosse un re. Forse questa è una delle cause della caduta in disgrazia della pellicola? Un altro residuo del mondo prerivoluzionario è la menzione della religione. La moglie di Gusev gli nasconde gli abiti per impedirgli di andare su Marte. Il soldato si traveste da donna e si cala dalla finestra, camminando così per le vie di Mosca. Una vecchia lo vede e in preda all'orrore si fa il segno della croce. Si consideri che per la Chiesa Ortodossa la sodomia era un peccato molto grave, che comportava l'esclusione dai sacramenti per diciotto anni. Agli occhi dell'anziana signora, un uomo in vesti da donna non era uno scherzo dovuto a circostanze eccezionali, ma senza dubbio un sodomita passivo.


Un abbozzo di lingua marziana 

La frase "Anta Odeli Uta" non può essere analizzata, né è possibile comprendere da essa alcunché di utile su una forma larvata di conlang marziana. Anche se alla fine viene rivelato che si tratta di un vacuo messaggio commerciale, volutamente senza senso (pubblicità nella Russia dei Soviet?), è comunque interessante speculare sulla questione. In fondo, sono parole fatte della materia di cui sono fatti i sogni. Pochi sanno che alcuni quotidiani sovietici hanno riportato, in seguito alla proiezione di Aelita, che la trasmissione "Anta Odeli Uta" è stata realmente captata e che è stata persino decifrata! Se non ci credete, il riferimento è Nicky Jenner, 4th Rock from the Sun: The Story of Mars, pag. 48. In ogni caso non si arriva da nessuna parte. Allo stesso modo non si hanno elementi per dedurre il significato dei peculiari antroponimi marziani Aelita, Tuskub (Tuscoob), Gor, Ikhoshka. Si noterà che Ikhoshka ha la fonotassi e la morfologia di un nome slavo, con un tipico suffisso diminutivo -oshka. Anche Aelita ha una terminazione in -a, che nell'immaginario comune è un marcatore del genere femminile, indipendentemente dall'origine terrestre o meno di una lingua. Fateci caso: si trovano poche opere di fantascienza in cui qualche protagonista maschile abbia un nome terminante in -a, mentre le occorrenze di nomi femminili in -a sono innumerevoli. Tutto questo nonostante in molte lingue reali esistano antroponimi maschili in -a. Allo stesso modo, non ci si aspetta che una nobildonna abbia un nome terminante in -o o in -u. Una regina Namora è convincente, una regina Namoru non lo è. Perché? Spiegare le convergenze nelle creazioni di numerosissimi autori è abbastanza difficile. L'ipotesi più convincente è che la natura delle lingue fantascientifiche possa avere le proprietà di un meme e diffondersi tramite contagio memetico, favorendo un certo tipo di caratteri fonotattici e sfavorendo ogni deviazione da questo standard.


La lingua marziana nel romanzo di Aleksej Tolstoj 

Aleksej Tolstoj (da non confondere con Lev) è meno avaro di Protazanov: un libro riesce a comunicare molte più cose di un film muto. Quando ho avuto accesso al romanzo Aelita, ho potuto constatare che vi erano riportate diverse parole nella lingua di Marte. Un soldato marziano, vedendo Los e Gusev, dice loro: "Taltsetl". Quando i due russi tentano di spiegare che vengono dalla Terra, il marziano enuncia una strana parola: "Soatsre". Quindi il marziano indica il suolo estendendo le braccia e dice: "Tuma". Si può essere certi che Tuma fosse il nome che gli indigeni davano a Marte, e che significasse anche "terra, suolo". Sono riportate anche frasi ben articolate. Un soldato enuncia: "Aieeoo utara shokho, datsia Tuma ragheoh Taltsetl". Sembra possibile dedurre che Taltsetl è il nome dato Terra. In effetti nel corso della narrazione questa intuizione risulta confermata: è proprio la Terra, ritenuta una stella maligna. A quanto pare, Gusev apprende rapidamente la lingua marziana, e anche Los arriva in qualche modo non soltanto a capirla, ma addirittura a parlarla. Un'altra frase oltremodo interessante, pronunciata da un marziano indicando una nave volante nel cielo: "Tao hatskha ro khamagatsitl". Col nome Magatsitl vengono indicate antiche genti migrate su Marte da Atlantide, il cui sangue viveva nell'aristocrazia. Sembra che le finali in -tl fossero abbastanza comuni. Una frase pronunciata da Aelita e tradotta da Los è "Oheo, kho suah", ossia "Concentrati e cerca di ricordare". Il nome Aelita viene analizzato come composto di AE "vista per la prima volta" e LITA "luce stellare". Si capisce anche il mistero del nome Ikhoshka e del suo aspetto slavo: nel libro è spiegato che in realtà l'ancella si chiamava Ikha e che Gusev l'aveva ribattezzata aggiungendovi il suffisso diminutivo russo -oshka. Non posso fare a meno di notare che nel romanzo non si fa nessun accenno alla storia del sesso in bocca chiesto da Gusev a Ikha. Egli si limita a estorcere un bacio sulla bocca e in un'altra occasione ad accarezzarle le braccia nude. Non si riesce a tracciare da dove sia giunta l'idea di un Gusev bonobo arrapato.