mercoledì 10 ottobre 2018

EDGAR ALLAN POE GRECISTA: LA PRONUNCIA DI LIGEIA

Quando un sistema ortografico mostra gravi discrepanze rispetto alla fonetica, è naturale che non sia affatto chiaro quale pronuncia attribuire a nomi di persone e di luoghi che non si conoscono. Questo è precisamente il caso della lingua inglese, la cui ortografia si è formata durante la fase del Middle English, in pieno Medioevo, non aggiornandosi alle drastiche evoluzioni subite dal parlato nel corso dei secoli. Quando si leggono libri scritti da autori anglosassoni questo problema si presenta spessissimo, anche quando si tratta di pronunciare nomi che appartengono a lingue ben note, come quella dell'Ellade. 

È questo il caso dell'antroponimo femminile Ligeia, reso celebre da Edgar Allan Poe, che lo ha utilizzato in due sue opere:

1) Il ben noto il racconto Ligeia, pubblicato per la prima volta nel 1838, in cui il nome in questione è portato dalla moglie del protagonista, una donna bellissima dalla pelle pallida e dai capelli corvini, dotata di intelligenza estremamente acuta e di immensa erudizione. A un certo punto Ligeia viene colpita da una malattia che la consuma, compone la poesia The Conqueror Worm (Il verme conquistatore), quindi spira in preda al delirio. Riesce tuttavia a sconfiggere la morte in un modo molto originale. Anni dopo l'uomo sposa la bionda Lady Rowena Trevanion, ma il ricordo della prima moglie lo perseguita e la sua unica via di scampo è l'oppiomania. Accade però qualcosa di impensabile: Lady Rowena viene colpita da una malattia che noi moderni potremmo interpretare come un massiccio processo di riscrittura del genoma. Viene così riplasmata nei suoi stessi lineamenti, divendo altro da sé. Al termine di questa metamorfosi, la donna agonizzante emerge come Ligeia, dai capelli neri come la tenebra della notte illune, acquistando una nuova vita.
2) La poesia intitolata Al Aaraaf, pubblicata per la prima volta nel 1825, che fa riferimento a una nozione di teologia islamica quasi sconosciuta in Occidente. La fonte dell'ispirazione di Poe è un fatto astronomico molto interessante, anche se svanito dal sapere comune: la comparsa di una supernova nel 1572, che fu visibile per circa sedici mesi, superando per alcuni giorni lo splendore di Giove e incrinando il miti aristotelico dell'immutabilità della volta celeste. Questo astro prodigioso, scoperto e descritto dallo scienziato danese Tycho Brahe, viene identificato da Poe con Al Aaraaf (
الأعراف al-A'rāf), un luogo ultraterreno di cui è scritto nel Corano (Sura 7), come la destinazione delle anime non meritevoli di essere dannate all'Inferno, ma nemmeno di essere accolte in Paradiso, dal momento che le loro cattive azioni erano compensate da buone azioni: è un'evidente reminiscenza della dottrina egiziana della pesatura dell'anima. Ligeia nella poesia Al Aaraaf, la più lunga composta da Poe, è un angelo identificato con l'armonia universale e con la musica più alta. Questi sono i versi a lei dedicati:

Ligeia! Ligeia!
  My beautiful one!
Whose harshest idea
   Will to melody run 
O! is it thy will
 On the breezes to toss?
Or, capriciously still,
 Like the lone Albatros,
Incumbent on night
 (As she on the air)
To keep watch with delight
 On the harmony there?

Ligeia! wherever
  Thy image may be
No magic shall sever
  Thy music from thee:
Thou hast bound many eyes
  In a dreamy sleep —
But the strains still arise
  Which thy vigilance keep —
The sound of the rain
  Which leaps down to the flower,
And dances again
  In the rhythm of the shower —
The murmur that springs
  From the growing of grass
Are the music of things —
  But are modell’d, alas! —
Away, then my dearest,
 O! hie thee away
To springs that lie clearest
  Beneath the moon ray —
To lone lake that smiles,
  In its dream of deep rest,
At the many star-isles
  That enjewel its breast —
Where wild flowers, creeping,
  Have mingled their shade,
On its margin is sleeping
  Full many a maid —
Some have left the cool glade, and
  Have slept with the bee —
Arouse them my maiden,
  On moorland and lea —
Go! breathe on their slumber,
  All softly in ear,
The musical number
  They slumber’d to hear —
For what can awaken
  An angel so soon
Whose sleep hath been taken
  Beneath the cold moon
As the spell which no slumber
  Of witchery may test,
The rythmical number
  Which lull’d him to rest?” 

Fornisco il link a uno studio molto interessante di William B. Cairns sulla poesia in questione (Some Notes on Poe's "Al Aaraaf"):


La questione della pronuncia di Ligeia è ben viva sia in Italia che nei paesi anglosassoni e se ne trova traccia in diversi siti nel vasto Web, segno che è problematica anche per persone la cui lingua nativa è la stessa usata da Poe. Questo è un post sul sito di Daniele Imperi: 


La considerazione fondamentale è che nella poesia Al-Aaraaf, il nome Ligeia viene invece fatto rimare con la parola idea. Ecco i versi, con la rima evidenziata:

Ligeia! Ligeia!
  My beautiful one!
Whose harshest
idea
   Will to melody run

Come giustamente deduce Daniele Imperi, "In inglese la parola idea si pronuncia /aɪˈdɪə/, quindi la parte finale della parola è quasi sicuramente /ɪə/." Mi sento di poter trasformare il "quasi sicuramente" in "sicuramente", invocando la perforazione del mio cranio ad opera di un micrometeorite se quanto affermo si dovesse rivelare falso. Vediamo infatti che Poe non fallisce una sola rima:

one - run;
will - still;
toss - Albatros;
night - delight;
air - there;
wherever - sever;
be - thee;
eyes - arise;
sleep - keep;
rain - again;
flower - shower;
springs - things;
grass - alas;
dearest - clearest;
away - ray;
smiles - isles;
rest - breast;
creeping - sleeping;
shade - maid;
glade, and - maiden;
bee - lea;
slumber - number;
ear - hear;
awaken - taken;
soon - moon;
slumber - number;
test - rest.

Da queste rime si deducono cose molto interessanti. Ad esempio, da "glade, and - maiden" sappiamo per certo che la congiunzione and si pronunciava era pronunciata dall'autore -d finale e che la sua vocale era un semplice schwa. Se i metodi di insegnamento dell'inglese nella scuola italiana valessero più di un mucchietto di escrementi di cane sulla via, si insegnerebbero agli alunni le rime come strumento per combattere le pronunce ortografiche! Tornando a noi, da quanto esposto ne deriva quindi una pronuncia /laɪ'dʒɪə/. Ne deduciamo un'altra cosa molto interessante: all'epoca di Poe - almeno nel suo contesto - il suono /d/ era già retroflesso come nell'inglese attuale, cosa che lo doveva rendere almeno un po' simile a una postalveolare (come nell'italiano getto). La pronuncia seguita dallo scrittore di Boston doveva quindi essere quella accademica inglese del latino, applicata anche alle parole greche, inclusi toponimi, teonimi e antroponimi. La stessa  usata in vocaboli come geography, geometry e via discorrendo. Certamente stride il contrasto con il nome dell'Ade adattato in Aidenn, che sembra invece il frutto di una genuina ricerca filologia, i cui risultati appaiono distantissimi dal sentire comune. 

Una discussione wikipediana

Riporto un thread occurso nella sezione dedicata alle discussioni sulla pagina relativa alla voce Ligeia nella Wikipedia in inglese.  

I think that a pronunciation of the name "Ligeia" would be valuable to fellow wikipedians. But therein lies a problem: a teacher of mine pronounces it Lie-gee-uh (with the second syllable accented), but in the film Vincent Price prounounces it Li-jee-uh, and I've heard it said Li-gay-uh. I need imput!
   Twitterpated. (talk) 16:38, 10 August 2008 (UTC)  

   I recently had a very long discussion about this very same question. I personally pronounce it "Lie-jee-uh", but someone I chatted with insisted it was "Luh-jee-uh" or even "Lee-juh". I'll keep my eyes open for a more definitive answer, whatever it may be.
   --Midnightdreary (talk) 00:57, 11 August 2008 (UTC) 

  Here is what I've compiled: 

  I read that in most classical names, "ei" makes an "ee" sound (like in the lyrics to "Beautiful Dreamer": "Beautiful dreamer, out on the sea / Mermaids are chanting the wild LORELEI"). The double vowel "ei" indicates that the second syllable is accented. 

   In The Tomb of Ligeia it was pronounced Lye-JEE-uh. 

   AND, furthermore, in that Annihilator song, it is pronounced with the J sound. 

  HOWEVER, It's just come to my attention that there was a siren in Greek mythology by the name of Ligeia. According to modern Greek pronunciation, it is pronounced Lye-GEE-uh... That's probably as reliable as we're going to get.
   Twitterpated. (talk) 18:47, 12 August 2008 (UTC) 

 Done The pronunciation you describe is /laɪˈʤi:ə/. Now added to the article.
   Equinox ◑ 05:44, 23 June 2016 (UTC)

Che dire? A quanto pare i dubbi ai navigatori e ai Wikipediani non mancano di certo.

Pronuncia di Ligeia nel cinema 

Ho trovato altre informazioni di estremo interesse in un thread su Englishforums.com: 


A quanto pare, Christopher Lee nella serie TV I racconti del mistero e del terrore (Tales of Mystery and Imagination, 1995-) pronunciava Ligeia come Le Guya, facendo rimare il nome con buyer. Un altro mostro sacro, Vincent Price, nel film La tomba di Ligeia (The Tomb of Ligeia, 1964), pronunciava invece Lie-GEE-er, facendo rimare il nome con beer. In entrambi casi la consonante usata è una velare (dura), come era in greco e nel latino classico. Possibile che diecimila persone abbiano diecimila pronunce tanto diverse tra loro e che manchi un'autorità centrale in grado di imporre una forma standard? Marasma assoluto!

Etimologia di Ligeia

Il nome Ligeia deriva dall'aggettivo greco antico λίγυς (ligys) "risonante, dalla voce chiara, melodioso", femmile λίγεια (ligeia), neutro λίγυ (ligu): è il nome di una delle Sirene e non è stato inventato da Poe. L'origine ultima della parola ellenica non è conosciuta e risale con ogni probabilità al sostrato pregreco. Alcuni, come Chantraine, suppongono che sia un termine onomatopeico, ma per me l'onomatopea è l'ultima risorsa. Ci sono altre forme corradicali, come λιγυρός (liguros) "chiaro, acuto" (detto di vento o di voce) e λιγαίνω (ligaino) "io grido con voce chiara", che non chiariscono il mistero. Il nome mitologico Λίγεια è trascritto in latino e in italiano come Ligea, con l'accento corretto sulla prima sillaba. In italiano troviamo anche la forma rara Lighea, utilizzata da Tomasi di Lampedusa. La sirena in questione, bellissima quanto pericolosa, è raffigurata con testa e volto di donna, corpo di uccello e grandi ali; si raccontava che col suo canto soave attraesse gli uomini, facendoli perire in mare. Virgilio menziona la splendida Ligea nelle Georgiche (libro IV): 

At mater sonitum thalamo sub fluminis alti
sensit. Eam circum Milesia vellera Nymphae
carpebant hyali saturo fucata colore,
drymoque Xanthoque Ligeaque Phyllodoceque,
caesariem effusae nitidam per candida colla,
Nesaee Spioque Thaliaque Cymodoceque,
Cydippeque et flava Lycorias, altera virgo,
altera tum primos Lucinae experta labores,
Clioque et Beroe soror, Oceanitides ambae,
ambae auro, pictis incinctae pellibus ambae,
atque Ephyre atque Opis et Asia Deiopea
et tandem positis velox Arethusa sagittis.

Mi stupisce sempre la capacità mostrata dalla lingua latina classica di assimilare immense quantità di elementi ellenici delle più disparate origini, creando qualcosa di estemamente armonioso. Tutto l'opposto di quanto accade in italiano ai nostri giorni, dove l'assimilazione di masse di termini inglesi e pseudoinglesi dà luogo a risultati che ispirano obbrobrio. Anche da queste cose si vede quanto i tempi siano degenerati.  

Dedico questo articolo alla carissima amica Giusy, che ha scelto Ligeia come nick.

sabato 6 ottobre 2018

EDGAR ALLAN POE GRECISTA: AIDENN 'ADE'

Il toponimo mitico Aidenn compare in due opere di Edgar Allan Poe: la prima attestazione si ha in un racconto breve e poco studiato, La conversazione di Eiros e Charmion (The Conversation of Eiros and Charmion), la seconda nel più famoso componimento Il Corvo (The Raven). Si tratta chiaramente dell'Ade. È una forma derivata dall'accusativo del greco ᾍδης (Hades), che è ᾍδην (Haden)

Questa trascrizione del nome dell'Ade implica che Poe conoscesse la pronuncia erasmiana del greco, essendo Aidenn incompatibile con l'itacismo. Questo ovviamente non significa necessariamente che conoscesse e usasse anche la pronuncia restituta del latino. È davvero strana la consonanza della forma usata da Poe con l'etrusco Aita, Aiθa, Eita, un prestito dal greco, ma anteriore al passaggio del dittongo lungo /a:i/ in /a:/. Sembra quasi che il profetico scrittore avesse chiara nella mente una forma più antica del teonimo greco, con l'antico dittongo integro. L'origine di queste peculiarità fonetiche è presto spiegata: in ultima analisi la protoforma è ricostruibile come *ṇ-wida:s, ossia "Colui che rende invisibili", ed è di chiara origine indoeuropea. Presso gli Etruschi si usava anche una forma nativa per indicare Plutone e gli Inferi, Calu, di cui tratteremo diffusamente in altra occasione.

Con mia grande sorpresa, ho visto che Aidenn è considerato dai critici una mera trascrizione della parola araba عدن‎ (ʕadn) che indica il Giardino dell'Eden e che deriva a sua volta dall'ebraico עדן‎ (éden). Questa è la spiegazione della voce Aidenn data da Wiktionary:


Proper noun

Aidenn

    1. (poetic) Paradise.

In Thefreedictionary.com sono raccolte le traduzioni riportate da diversi dizionari online.


Questa è la prima glossa, a cui ne seguono numerose altre del tutto simili: 

E·den  (ēd′n)
 n.
  1. Bible The garden of God and the first home of Adam and Eve. Also called Garden of Eden.
  2. A delightful place; a paradise.
  3. A state of innocence, bliss, or ultimate happiness.

Il termine esiste nel linguaggio urbano anglosassone. Questo è quanto è riportato dal sito Urbandictionary.com, per giunta facendo riferimento proprio a Poe: 


Aidenn
A name to a guy with a bad temper but sweet heart. Social and loveable. Oh, and girls drool all over him.
Found in Edgar Allen Poe's "The Raven" originally meaning "paradise" ---which is what you get when you look into this soulful man's eyes.
Eventually will be your soul mate.
I have met my Aidenn

Sono consapevole che Aidenn sia stato e sia tuttora usato come forma poetica di Eden. Eppure, che Aidenn sia l'Eden in Poe non è proprio possibile. Infatti Charmion dice:

"You have now suffered all of pain, however, which you will suffer in Aidenn."

Eiros risponde:

"In Aidenn?"

Charmion conferma:

"In Aidenn."

Proviamo a tradurre:

"Tuttavia ora hai sofferto tutte le pene che patirai nell'Ade."

È ovvio che non ha il benché minimo senso tradurre in questo modo:

"Tuttavia ora hai sofferto tutte le pene che patirai nell'Eden."

Veniamo ora alla poesia The Raven (versi 91-96): 

“Prophet!” said I, “thing of evil!—prophet still, if bird or devil!
By that Heaven that bends above us—by that God we both adore—
  Tell this soul with sorrow laden if, within the distant Aidenn,
  It shall clasp a sainted maiden whom the angels name Lenore—
Clasp a rare and radiant maiden whom the angels name Lenore.”
   Quoth the Raven “Nevermore.”

Il fatto è che nella teologia cristiana, come in quella ebraica, l'Eden a seguito della cacciata di Adamo e di Eva è uno sterile deserto abbandonato, non la sede delle anime salvate. Questa è la traduzione in italiano di Ernesto Ragazzoni (1870-1920), riportata su Wikisource e a mio avviso erronea:


«O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora!
per il ciel sovra noi teso, per l’Iddio che noi s’adora
di’ a quest’anima se ancora — nel lontano Eden, lassù,
potrà unirsi a un’ombra cara che chiamavasi Lenora!
a una vergine che gli angeli ora chiamano Lenora!»
                           Mormorò l’augel: «Mai più!».

Vediamo che addirittura within the distant Aidenn viene tradotto con nel lontano Eden, lassù. Diabole, è stato inventato un lassù che nel testo originale nemmeno esiste! Riporto una traduzione più letterale, anche se mi rendo conto che non sta nel verso e che non suona particolarmente bene:

"O profeta", dissi io "Cosa del Male! Ancor profeta, che tu sia uccello o diavolo!
Per il Cielo che si estende sopra di noi - per il Dio che entrambi adoriamo -
Di' a quest'anima carica di dolore, se, nel distante Ade,
potrà abbracciare una vergine santa che gli angeli chiamano Eleonora-
abbracciare una rara e radiosa vergine che gli angeli chiamano Eleonora."
    Disse il corvo: "Mai più". 

E infatti, subito nei versi successivi, si a riferimento a Plutone, che dagli Elleni era chiamato Ade: 

“Be that word our sign of parting, bird or fiend!” I shrieked, upstarting
“Get thee back into the tempest and the Night’s Plutonian shore!
  Leave no black plume as a token of that lie thy soul hath spoken!
  Leave my loneliness unbroken!—quit the bust above my door!
Take thy beak from out my heart, and take thy form from off my door!”
     Quoth the Raven “Nevermore.

Simili commistioni tra temi cristiani e pagani sono la norma nel mondo della poesia e non devono stupire più di tanto. Plutone-Ade è una costante in questa poesia di Poe: il corvo è considerato un suo emissario e il regno da cui proviene è ritenuto la destinazione ultima dell'ombra di ogni uomo. Per quanto vengano menzionati Dio e gli angeli, si capisce che sono soltanto parole vuote prive di qualsiasi significato. Siamo in presenza di un'adorazione di Dio affermata per pura convenzione sociale, quando si vede che la destinazione ultima dei morti non dipende dal loro comportamento terreno, essendo tutti quanti destinati a perdersi nella Tenebra. Nella traduzione di Ragazzoni, le menzioni del sovrano del Tartaro si moltiplicano: "o vecchio spettral corvo della tenebra di Pluto" (verso 46), "Quale nome a te gli araldi dànno alla corte del Re Pluto?" (verso 47), "ferale augel di Pluto" (verso 70), "feral, sinistro, magro, triste, infausto augel di Pluto" (verso 71), "torna ai baratri di Pluto!" (verso 98). 

Nella traduzione di Antonio Bruno, vediamo che ogni riferimento diretto a Plutone è stato rimosso, mentre Aidenn viene reso con Eden


Anche Francesca Diano traduce Aidenn con Eden, ma traduce "Night's Plutonian shore" con "lido plutoniano", obliterando il riferimento alla notte:


Paolo Rolleri rende "Night's Plutonian shore" con "sponda nella notte Plutoniana" e con "sponda della Plutoniana notte", avendo il buonsenso di lasciare Aidenn non tradotto:


Su Quora.com in lingua inglese un utente chiede: 


"What is the allusion for Aidenn in the raven by Edgar Allan Poe?" 

Questa è la risposta di Suzanne Spittal, che reputo forzata:

"Aidenn is the poetic spelling of Eden, this indicates the speaker is wishing to return to a time of innocence. He has lost the love of his life and cannot rid himself of the dark sorrow that surrounds him."

Il riferimento non è a un fantomatico ritorno all'età dell'innocenza, ma alla sopravvivenza degradata dalla coscienza umana come ombra nelle Tenebre Esteriori.

Siamo di fronte a un singolare abbaglio preso dai critici letterari, che hanno interpretato The Raven servendosi della traduzione di Aidenn come Eden riportata nei dizionari, ignorando bellamente la decisiva testimonianza di The Conversation of Eiros and Charmion. Se Aidenn è una forma poetica di Eden, è altrettanto vero che Poe, persona coltissima, l'ha usata scientemente per trascrivere il nome di Ade.  

Questo è riportato in una raccolta commentata di poesie di Edgar Allan Poe tradotte in tedesco, pubblicata da e-artnow Editions nel 2017 (non sono riuscito a risalire all'autore):


"Nach Einigen soll das in der drittletzten Strophe des Originalgedichtes vorkommende Wort »Aidenn« die Accusativ-Form des griechischen »Αιδης« sein und daher »Hades« bedeuten. Es scheint uns indessen durchaus nicht wahrscheinlich, daß dem Dichter ein Hades im Sinne der hellenischen Mythologie vorschwebte."

Traduzione:

"Secondo alcuni, la parola «Aidenn» nel terzo verso del poema originale dovrebbe essere la forma accusativa del greco «Αιδης» e quindi dovrebbe significare «Ade». Non ci sembra affatto probabile che il poeta avesse in mente un Ade nel senso della mitologia ellenica."

Devo essere sincero? A me sembra piuttosto vero il contrario.

mercoledì 3 ottobre 2018


THE BELIEVER

Lingua originale: Inglese, ebraico
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2001
Durata: 102 min (secondo altri 98 min)
Dati tecnici: Colore e B/N
Rapporto: 1.66: 1
Genere: Drammatico
Regia: Henry Bean
Soggetto: Henry Bean, Mark Jacobson
Sceneggiatura: Henry Bean
Produttore: Susan Hoffman, Christopher Roberts
Produttore esecutivo:
Daniel Diamond, Jay
    Firestone, Adam Haight, Eric Sandys
Casa di produzione: Fuller Films, Seven Arts
    Pictures
Fotografia: Jim Denault
Montaggio: Mayin Lo, Lee Percy
Effetti speciali: Drew Jiritano, Thomas Viviano,
    Andrew Mortelliti, Andrea Swistak
Musiche: Joel Diamond
Scenografia: Susan Block
Costumi: Alex Alvarez, Jennifer Newman
Trucco: Renee Di Dio, Renee Von Maluski, Angela
     Gallagher, Seth Lombardi
Interpreti e personaggi
    Ryan Gosling: Danny Balint
    Billy Zane: Curtis Zampf
    Theresa Russell: Lina Moebius
    Summer Phoenix: Carla Moebius
    Heather Goldenhersh: Linda
    A.D. Miles: Guy Danielsen
    Natasha Leggero: Valerie
    Joshua Harto: Kyle
    Elizabeth Reaser: Miriam
    Glenn Fitzgerald: Drake
    Sacha Knopf: Cindy Pomerantz
    Henry Bean: Ilio Manzetti
    Jordan Lage: Roger Brand
    Ebon Moss-Bachrach: Priaty
Doppiatori italiani
    Massimiliano Manfredi: Danny Balint
    Massimo De Ambrosis: Curtis Zampf
    Isabella Pasanisi: Lina Moebius
    Barbara De Bortoli: Carla Moebius
Budget: 1,5 milioni di dollari
Incassi al botteghino: 1,3 milioni di dollari, di cui:
    USA: 416.925 dollari
    Italia: 56.786 dollari
    Francia: 56.493 dollari
    Messico: 35.204 dollari
    Spagna: 743.908 dollari
    (Fonte: Box Office Mojo)
Riconoscimenti:   2001 – Courmayeur Noir in festival
    Premio Leone Nero al miglior film
  2001 – Festival cinematografico internazionale di Mosca
    San Giorgio d'oro
  2001 – Sundance Film Festival
     Gran Premio della Giuria

Trama:

Daniel "Danny" Balint è un neonazista suburbano, un giovane skinhead fanatico e violento che consuma la sua vita spettrale in una periferia desolata di New York. C'è soltanto un piccolo problema: Daniel Balint è ebreo. Aveva ricevuto un'educazione ortodossa e da bambino era uno studente di una yeshiva, ossia una scuola talmudica. Brillante e dotato di un intelletto molto acuto, si era fin da subito fatto notare per le sue interpretazioni non ortodosse delle Scritture. La sua idea portante era di una logica ferrea. Dio aveva comandato ad Abramo di sacrificare suo figlio Isacco, trattenendo all'ultimo la mano armata pronta ad uccidere. Tuttavia nel momento stesso in cui il patriarca aveva levato il coltello per compiere il sacrificio umano, era come se lo avesse compiuto davvero. Isacco era stato davvero ucciso e subito era resuscitato, dando però origine a una ferita insanabile, che aveva piagato gli Israeliti per sempre. Ogni ebreo mostrava i segni dell'accaduto e li avrebbe portati su di sé fino alla Fine dei Tempi. Ovviamente queste idee non piacevano all'insegnante di Torah, che litigava con il giovane eterodosso ogni giorno in modo furioso. La Verità compresa da Daniel non era colta né compresa dagli altri studenti, tutti stupidissimi e conformisti. Questa Verità possiamo scriverla a caratteri cubitali e incorniciarla. DIO È UN BULLO. Egli ti dice così: "Io sono tutto e tu non sei niente, per questo posso farti tutto ciò che voglio". Sì, il Dio Bullo può anche uccidere ogni persona, mutilarla, renderla invalida, renderla demente, colpirla con una malattia immonda, farla incarcerare, torturarla e perseguitarla in modo atroce. Non c'è scampo, non c'è riparo dall'arbitrio del Boia Cosmico. Come ci si sente a sapere di essere in balia di un mostro sadico? Ecco, Daniel Balint non ha retto a questa consapevolezza e ha iniziato la sua discesa agli Inferi, che lo porterà all'incontro col Mostro della Follia. Incurante dei dolori arrecati a suo padre e a sua sorella, gira per la città con una maglietta con una grande svastica, ricavata da una bandiera del Terzo Reich. Porta bene in evidenza anche un piccolo stemma delle SS su una spalla. La sua vita è violenta. Su un autobus si imbatte in uno studente ebreo, lo segue quando scende, gli tende un'imboscata, lo insulta e lo massacra di botte. Tuttavia qualcosa lo distingue da altri skinhead, la cui brutale esistenza si esaurisce nella mera fisicità, senza alcuna forma di pensiero nel cranio: egli cerca invece di trasmettere le proprie idee, di diffonderle come un virus. In questa sua ricerca Daniel si imbatte nel circolo neofascista guidato da Curtis Zampf e da sua moglie Lina Moebius, così inizia a partecipare alle riunioni. Quando parla delle leggi razziali naziste e della necessità dell'antisemitismo, tutti lo guardano come se fosse un extraterrestre. Il neofascismo di Curtis Zampf è più che altro una forma di politica identitaria, per certi versi simile a quello che oggi viene etichettato come "sovranismo". Questa dottrina auspica la decomposizione degli Stati Uniti d'America nelle comunità etniche che ne formano il tessuto sociale, ognuna sovrana e indipendente. C'è profondo scetticismo sull'odio antisemita, ritenuto una cosa del passato da superare, in grado soltanto di arrecare danni. Eppure i discorsi di Daniel, fondati sulla retorica del Mein Kampf, finiscono con l'affascinare il circolo di Curtis e della sua consorte. Entra in scena la figlia dei due coniugi, Carla Moebius, che è subito colpita dal giovane neonazista: se ne innamora perdutamente. Tutti sono colpiti dall'intelligenza acuta di Daniel nell'esporre i propri argomenti. Quando arriva a proporre l'uccisione del banchiere ebreo Ilio Manzetti, Curtis e Lina si oppongono recisamente. Tuttavia è chiaro che l'antisemitismo cova come brace sotto la cenere ed è tenuto nascosto persino in privato per paura dei delatori e di subire persecuzione. Per questo Curtis e la moglie investono molto nel ragazzo, arrivando a pagare la cauzione per lui e per i suoi compagni quando vengono arrestati per aver scatenato una rissa di strada con alcuni robusti Mandingo. I guai sono appena iniziati: il giornalista biondiccio Guy Danielsen, che sta scrivendo un articolo sui gruppi dell'odio, intervista Daniel e ascolta la sua dettagliata esposizione di rabbiose invettive antisemite, quindi gli rivela qualcosa di traumatizzante: egli ha scoperto la sua vera identità e ha anche contattato il rabbino Stanley Nadelman, l'insegnante che lo ha preparato al Bar Mitzvah. Daniel riesce a cavarsela estraendo la pistola e minacciando il suicidio. A questo punto Daniel viene invitato da Curtis e da Lina nel loro campo, dove numerosi neonazisti si radunano e si esercitano con le armi. Subito sa farsi valere. Accade però qualcosa di decisamente bizzarro. Egli ha una relazione con Carla Moebius, che finisce con dargli appuntamento nella propria stanza a mezzanotte, dicendogli di entrare dal balcone. Quando Daniel si reca all'appuntamento, vede la ragazza che copula con il padre nella posizione della cowgirl. Non ci sono dubbi: lei siede a cavalcioni sull'uomo, impalata dal suo fallo e a un certo punto riceve nella vagina lo sperma che l'ha generata! Sconvolto dall'incesto, il giovane si reca con i suoi compagni in un ristorante kosher, dove inizia ad attaccare briga. Ne scaturisce una rissa: lui e i suoi sodali, dopo aver chiesto di potersi ingozzare di prosciutto e di formaggio, le prendono e finiscono nuovamente in carcere. Il giudice dà loro una scelta tra un mese di carcere e un incontro con sopravvissuti all'Olocausto. I neonazisti scelgono la seconda opzione. Durante questo incontro accade qualcosa di decisivo. Gli anziani superstiti vengono scherniti più volte, tanto che l'assistente sociale minaccia l'interruzione della misura alternativa. A un certo punto uno di loro racconta che un soldato tedesco ha ucciso suo figlio di soli tre anni, trafiggendolo con la baionetta. Daniel è preso dalla furia e si chiede come l'uomo possa essere rimasto immobile, senza tentare di difendere il figlio. La moglie del sopravvissuto afferma che lui al suo posto avrebbe fatto lo stesso, non avrebbe avuto possibilità alcuna, o sarebbe stato annientato. Per il resto della sua vita, Daniel avrà terribili flash mentali, in cui si vedrà sia con le sembienze del soldato che con quelle del padre del bambino ucciso. Qualcosa in lui si sta incrinando. Liberato, Daniel torna dai suoi amici e insieme organizzano un attentato in una sinagoga. Entrano di notte nel tempio per piazzare una bomba sotto il pulpito. Durante il raid, Daniel cerca di impedire la profanazione dei rotoli della Torah, dando prova di conoscere il mondo ebraico. I compagni, che sono stolti bestioni, non riescono davvero a capire. La bomba si rivela un fallimento. Daniel porta a casa la Torah e ripara con cura i danni che ha subìto. Il fanatico Drake coinvolge il giovane nell'attentato al banchiere Manzetti, vantandosi di aver ucciso quattro ebrei. Così viene preparato un agguato, che non va a segno: Daniel manca il colpo. Drake lo accusa di aver fallito apposta e vede qualcosa di strano: un panno con caratteri ebraici che pende dal fianco del compagno. Ne scaturisce una lite e Daniel spara a Drake, pensa di averlo ucciso, quindi fugge nella notte. Anziché sbrogliarsi, la matassa si complica incredibilmente. Il tentativo di Curtis di far uscire alla luce del sole il suo movimento neofascista, l'incontro di Daniel con i suoi ex compagni di scuola, la sua relazione con Carla, che si fa da lui insegnare l'ebraico e arriva a frequentare la sinagoga. L'azione procede tra vari colpi di scena fino all'unico epilogo possibile: la nemesi del protagonista.

Recensione:

Un film da vedere e rivedere. Un capolavoro totale, che purtroppo non ha avuto i riconoscimenti che meritava. In fondo non dovrebbe stupire più di tanto se è stato un tale insuccesso. Le genti del mondo non sono in grado di comprendere argomenti troppo complessi. Non capiscono il modo di pensare degli Israeliti proprio come non capiscono la natura del Nazionalsocialismo e più in generale delle ideologie antisemite. Allo stesso identico modo. Banalizzano ogni cosa, proprio perché non è loro impossibile afferrare categorie troppo distanti da quelle che hanno ricevuto dall'ortodossia del pensiero unico politically correct. Per questo motivo l'opera di Henry Ban è andata incontro al disastro economico: un milione e mezzo di dollari spesi per produrre il film, soldi che poi non sono tornati nemmeno tutti indietro. All'appello mancavano duecentomila dollari e non è stato generato alcun nuovo reddito. Un vero peccato. L'ennesima occasione persa per dare fastidio al conformismo vigliacco delle masse acefale. Quando qualcuno è un genio, la vita in genere non gli si presenta facile, mentre è consentito a squallidi speculatori come i neoblogger e gli influencer di accumulare denari manipolando il vuoto assoluto, vendendo pataccate come i loro ridicoli brand. Nel Web anglosassone The Believer è ritenuto una vera e propria patata bollente e rifuggito come un'epidemia di peste. A quanto pare nessun distributore di una certa importanza ha voluto averci a che fare, dopo che una sua proiezione al Centro Simon Wiesenthal ha dato origine a vivaci proteste. Trasmesso qualche volta sulla TV via cavo, è stato cancellato in seguito agli attentati dell'11 settembre alle Torri Gemelle. Certo, non c'entra una cippa col fondamentalismo islamico, ma andatelo a spiegare ai Neocon! 

Daniel Balint e i pompini

Intervistato dal giornalista Guy Danielsen in un bar, il protagonista introduce un argomento che in genere viene taciuto. Comincia a parlare dei pompini! Innanzitutto chiede all'uomo dai capelli ricci color paglia se è mai stato a letto con una ragazza ebrea. Alla risposta affermativa, scava ulteriormente e vuole sapere se lei gli ha fatto un pompino. Ebbene sì, è proprio quello che è accaduto. La ragazza ha preso l'uccello in bocca al suo amante e lo ha succhiato, portandolo a schizzare lo sperma. A questo punto inizia l'astioso trattato di Daniel Balint sul sesso orale, da lui tecnicamente etichettato come una perversione. Egli sostiene che i pompini sarebbero stati inventati dal Popolo Eletto, che ne sarebbe ossessionato. Quindi accusa gli Israeliti di non essere in grado di penetrare e di aver quindi inventato questa forma di sesso, da lui considerata "infantile" e fondamentalmente "omosessuale". Fa l'elogio della copula, che definisce come il mezzo adatto per fare godere una donna. Per contro, i pompini sono in grado di manipolare l'uomo e di compromettere la sua integrità, riducendolo a un essere incapace di affermarsi. Questo pur ammettendo che ricevere il sesso orale è "molto piacevole" - segno che deve averlo sperimentato. A questo punto scatta la rappresaglia del biondo e occhialuto Danielsen, che tira fuori la scomoda faccenda del Bar Mitzvah e del rabbino Nadelman. Tutto ciò sembra essere passato inosservato, nonostante sia ben raro che in un film si arrivi a parlare esplicitamente dei pompini e ancor più raro che li si condanni. Sarebbe il caso di compiere un approfondito studio antropologico sull'argomento "estremisti di destra in USA e pompini". Ci si potrebbe fare una tesi di laurea. Peccato che gli antropologi non ritengano queste cose degne di interesse. Una volta mi è capitato di trovare nel famoso sito Stormfront.org un commento di un tale che in sintesi condannava i pompini perché "piacciono da morire agli ebrei". Non so fino a che punto sia diffuso questo bizzarro pacchetto memetico che associa la cultura ebraica alla pratica del sesso orale. Ogni tanto capita di imbattersi nei forum pornografici americani in narrazioni di uomini che non amano farsi fare i pompini. Per indagare è sufficiente digitare in Google stringhe del tipo "men who don't like blowjobs". Si trovano resoconti davvero molto morbosi. Ricordo di aver letto di una ragazza che si lamentava del fatto che il suo ex la allontanava ogni volta che lei cercava di avvicinare la bocca ai suoi genitali. Sospirava, affermando di non essere riuscita a farglielo nemmeno una volta. Un'altra era una milf che ha raccontato di aver avuto un incontro occasionale in un bar con un uomo che non le ha permesso di prenderglielo in bocca e si è limitato a copulare more ferarum. Come lei ha cercato di convincerlo a farlo spruzzare nella sua bocca, lui l'ha spinta via e ha emesso il seme nel vuoto. In genere nelle comunità online testimonianze di questo tipo destano grande scalpore. Una milf scandalizzata ha paragonato l'uomo che non ama i pompini al bigfoot, ossia a una creatura inesistente. Non so però dire se le motivazioni alla base di questi strani episodi siano collegate in qualche modo all'estremismo di destra. Erano questi uomini neonazisti? Erano membri del Ku Klux Klan? Non ho prove sufficienti per affermarlo. In alcune narrazioni da me rinvenute nel Web, il rifiuto della fellatio era connesso a brutte esperienze con donne inesperte che sfregavano il glande con i denti: queste occorrenze vanno quindi espunte dalla casistica. Nel film di Bean, vediamo la sensuale Carla Moebius con le labbra che le fremono dalla libidine, tanto è presa dalla voglia di succhiarlo a Daniel. Ci sarà riuscita?   

L'ultimo monologo di Daniel Balint

L'atteso discorso dell'agitatore neonazista inizia in un modo assolutamente inatteso, che trasforma ogni astante in una statua di sale come la moglie di Lot. Questo è l'incipit: "SHEMA YISRAEL!" Già alla prima emissione salmodiata di quei fonemi si registrano reazioni di grande sconcerto e di insofferenza tra il pubblico, che reagisce come un gruppo di musulmani riuniti in una moschea in cui fosse trascinato all'improvviso un grosso porco estinto tutto coperto di sterco. C'è persino un afroamericano, che contorce le narici quasi per sfuggire ai lezzi di un fantomatico stronzo. La grande ipocrisia di quella congrega è degna della massima stigmatizzazione. L'incestuoso Curtis Zampf, fottitore della propria figlia, voleva fondare un partito neofascista alla luce del sole e invitare ai dibattiti ebrei come Noam Chomsky, appoggiando al contempo la diffusione dell'antisemitismo. Poi Daniel Balint col suo genio folgorante gli rompe le uova nel paniere! Senza mezzi termini, spiazza tutti dicendo che bisogna amare gli Ebrei, in modo incondizionato e non ipocrita. Dice che bisogna accoglierli, che l'integrazione è la sola arma in grado di neutralizzarli. Poi passa a spiegare le ragioni del suo sentire. L'antisemitismo è ciò che ha permesso nei secoli la conservazione dell'identità ebraica. Senza l'antisemitismo, non esisterebbero più Israeliti da tempo, perché avrebbero contratto matrimoni misti e avrebbero smarrito la propria cultura, il proprio senso di alterità. La peggior maledizione per il Popolo Eletto è proprio questa. "Vi perderete voi tra le genti", minaccia il Signore degli Eserciti, pieno d'ira. Per evitare questo destino di annientamento peggiore della morte stessa, l'ostilità dei Gentili è un prezzo che è necessario pagare, anche se comporta oppressione, omicidi e pogrom. Senza l'Olocausto, lo Stato di Israele non sarebbe mai esistito, le ciance di Theodor Herzl non sarebbero bastate a far tornare gli Ebrei alla Terra Promessa. Questi concetti, perfettamente razionali e corrispondenti alla realtà dei fatti, non sono capiti dal pubblico, che rumoreggia pieno di sdegno. Tutti si aspettavano da Daniel qualcosa di elementare nella sua banalità, un discorso ventrale e crepitante, privo di concetti e ricco di bile. Invece ecco una vera e propria sfinge, in grado di far crollare l'intero edificio su cui si regge l'estremismo di destra.

Daniel Balint e Daniel Burros

Il regista-sceneggiatore e il suo collaboratore Mark Jacobson hanno preso spunto da una storia vera, quella di Daniel Burros. Questa è la sintesi apparsa sul Jerusalem Report:

"The film has its roots in a true story. Daniel Burros was a nice Jewish boy from Queens who somehow went from being his rabbi's star pupil to a hotheaded proponent of the long-defunct Third Reich. After a stint in the Army, he became involved with the American Nazi Party and the Ku Klux Klan. In 1965, following Burros' arrest at a KKK event in New York City, the New York Times disclosed that he was Jewish. Hours after the paper hit the stands, Burros took his own life."

Questa è una traduzione per coloro che ancora non hanno nozione alcuna della lingua inglese:

"Il film ha le sue radici in una storia vera. Daniel Burros era un bravo ragazzo ebreo del Queens che per qualche motivo divenne da pupillo del suo rabbino a impetuoso proponente del Terzo Reich, da tempo defunto. Dopo un periodo nell'esercito, venne coinvolto nel Partito Nazista Americano e nel Ku Klux Klan. Nel 1965, in seguito all'arresto di Burros a una manifestazione del KKK a New York, il New York Times ha rivelato che egli era ebreo. Qualche ora dopo l'uscita del quotidiano, Burros si è tolto la vita."

La vicenda terrena di Daniel Burros non è un infetto parto della mia fantasia. Vien voglia di sbattere l'accaduto in faccia a coloro che reputano impensabile che un ebreo possa essere al contempo un antisemita viscerale. Al momento non mi è dato sapere se il bravo ragazzo del Queens odiasse i pompini come il protagonista del film di Bean, salvo poi farseli fare ugualmente.

La sindrome dell'ebreo che odia se stesso

C'è una cosa molto singolare che Daniel Balint riporta ai suoi stupidissimi compagni appartenenti al White Trash. Adolf Eichmann conosceva bene la Torah e il Talmud. Conosceva perfettamente la lingua ebraica e si districava nella complessa terminologia, che disorienterebbe chiunque. Eichmann sapeva tutto. Come spiegarsi questa cosa? Semplice: il genocida, poi rapito dal Mossad e processato in Israele, era un ebreo rinnegato, proprio come Daniel Burros. La cosa non deve stupire: vi erano numorosi Mischlinge in posti chiave del Partito. Sappiamo che Eichmann è un cognome nobiliare tedesco, di per sé non tipico di discendenti di Abramo. Probabilmente è il ramo materno a riservare grandi sorprese. Anche se Daniel non lo menziona, possiano analizzare in breve anche il caso di Reinhard Heydrich, rimandando a una successiva e più approfondita trattazione. Colui che fu chiamato "La Bestia Bionda" o "Un giovane e crudele Dio della Morte" in un'occasione si ubriacò e fu sentito inveire davanti a uno specchio, maledicendo il suo "ebreo interiore". Suo padre parlava alla perfezione lo Yiddish e in più occasioni raggelò in presenti, che iniziarono a domandarsi chi fosse realmente. A scuola era bullizzato in modo pesante: lo soprannominavano "Moshe Heydrich" e "Süss l'Ebreo". Tra gli stessi membri del Partito era noto come "Mosè biondo". Chiaramente il mondo è pieno di persone pronte a fare l'impossibile per screditare chi menziona questi dati di fatto. Quella del bullismo subìto è stata un'esperienza comune ad Adolf Eichmann. Si vede quanto il bullismo sia devastante. Anziché essere combattuta con la massima severità, questa piaga è sempre stata tollerata da insegnanti che sono anche complici. I nodi però alla fine vengono al pettine. Gratta un uomo che ha subìto bullismo e potresti trovare un potenziale genocida. Non esito a dichiarare che se per uno scherzo del destino avessi davanti a me la fatidica valigetta del Presidente degli Stati Uniti d'America, darei immediato avvio alle procedure per il lancio di tutto l'arsenale nucleare, senza nemmeno un istante di esitazione.

Ain Soph, il Nulla senza confini

In un'intervista trasmessa sui canali televisivi all'indomani del fallito attentato alla sinagoga in cui era stata collocata una bomba inesplosa, il rabbino afferma che Dio è intervenuto per salvare la comunità. Le sue parole sono sorprendenti, perché chiama Dio con l'epiteto Ain Soph, spiegato come "Il Nulla senza confini". Si converrà che è una cosa ben strana. Come può un capo religioso assimilare Dio a una condizione che legenti reputano essere sinonimo di non esistenza? La locuzione Ain Soph (varianti ortografiche Ayin Sof, Ein Sof, etc.) la tradurrei più propriamente come "Senza confini", anche se la glossa "Il Nulla senza confini" è frequentemente riportata. L'argomento rabbinico è molto sofisticato: Dio è inassimilabile a qualsiasi cosa concepibile da mente umana, quindi persino allo stesso concetto di esistenza. Sarebbe impossibile riassumere qui la complicatissima teologia che sta alla base di queste definizini. Perché Bean e Jacobson hanno voluto fare menzione di questo aspetto di certo incomprensibile alla maggior parte degli spettatori? Bisogna arrivare al finale del film per capirlo. 

Visione di pre-morte

Poco prima di morire a causa dell'esplosione della bomba collocata sotto il pulpito della sinagoga durante lo Yom Kippur, Daniel Balint ha una visione molto significativa. Sale le scale dell'edificio della yeshiva e a ogni piano incontra il suo insegnante. L'uomo gli dice che ha riflettuto sulla teoria eretica di Isacco morto e resuscitato, giungendo ad accettarla. La sequenza sembra quella di un loop infinito: Daniel, il cui corpo è quello che aveva al momento della morte - non è più il bambino ribelle - è intrappolato negli stessi fotogrammi ad ogni piano. Questo finché a un certo punto il circuito temporale chiuso sembra rompersi. Egli arriva a un piano in cui qualcosa cambia: filtra dall'alto una strana luce. L'insegnante lo avverte che là in alto non c'è nulla. C'è il Nulla.

Riflessioni conclusive

In nessun modo il giovane ebreo che odia se stesso è riuscito a superare il monoteismo, a lasciarsi alle spalle l'idea secondo cui tutta l'esistenza risale a un unico principio, a un unico Creatore. Se avesse compiuto questo salto, sarebbe diventato un Manicheo. A volte si ha l'impressione che mancasse poco, ma questa trasformazione gli era impossibile a causa della sua educazione teologica, che lo ha spinto in un vicolo cieco.

domenica 30 settembre 2018


DELITTO DI STATO
(FATHERLAND)

Titolo originale: Fatherland
Paese: Stati Uniti d'America
Anno: 1994
Formato: Film TV
Genere: Drammatico, fantascienza, thriller
Sottogenere: Fantapolitica, ucronia
Durata: 106 min
Lingua originale: Inglese
Rapporto: 4:3
Crediti
Regia: Christopher Menaul
Soggetto: Robert Harris, dall'omonimo romanzo
Sceneggiatura: Stanley Weiser, Ron Hutchinson
Fotografia: Peter Sova
Musiche: Gary Chang
Costumi: Barbara Lane
Effetti speciali: Syd Dutton and Bill Taylor, a.s.c. of
     Illusion Arts, Inc.
Produttore: Frederick Muller, Ilene Kahn
Prima visione
  Prima TV originale
  Data: 26 novembre 1994
  Rete televisiva: HBO
  Prima TV in italiano
  Data: 20 agosto 1997
  Rete televisiva: Rai 2
Interpreti e personaggi   
    Rutger Hauer: Xavier March
    Miranda Richardson: Charlie Maguire
    Peter Vaughan: Arthur Nebe
    Michael Kitchen: Max Jäger
    Jean Marsh: Anna von Hagen
    John Woodvine: Franz Luther
    John Shrapnel: Odilo "Globus" Globocnik
    Clive Russel: Krebs
    Clare Higgins: Klara
Doppiatori in italiano    
    Paolo Maria Scalondro: Xavier March
    Monica Gravina: Charlie Maguire
    Giorgio Gusso: Arthur Nebe
    Luigi Montini: Max Jäger
    Noemi Gifuni: Anna von Hagen
    Giulio Platone: Franz Luther
    Giancarlo Prete: Odilo "Globus" Globocnik
Budget: 4,1 milioni di sterline inglesi

Trama:

Siamo in un mondo in cui il III Reich ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e domina incontrastato sull'Europa, estendendosi fino agli Urali. L'Inghilterra è stata invasa e tutte le nazioni europee un tempo sovrane sono state incorporate nella Grande Germania, con la sola eccezione della Svizzera e del Vaticano. Soltanto la Russia guidata dall'ottuagenario Stalin continua ad impegnare l'esercito tedesco in una permanente guerriglia oltre gli Urali. La famiglia reale britannica è in esilio in Canada e formalmente governa ancora il Commonwealth, anche se sotto la stretta supervisione del regime nazista. Adolf Hitler, Joseph Goebbels e Reinhard Heydrich governano con pugno d'acciaio, dando al contempo l'impressione di guidare un sistema ordinato e pacifico, in pratica una vera e propria utopia sulla Terra in cui le SS sono impiegate come semplice forza di polizia del tempo di pace. In occasione del settantacinquesimo compleanno di Adolf Hitler, nel 1964, il presidente statunitense John Patrick Kennedy (il padre del più noto John Fitzgerald) è in visita nella Welthaupstadt Germania, la capitale del Reich Millenario nata riplasmando la vecchia Berlino. L'ambizioso progetto è un'alleanza tra gli Stati Uniti d'America e la Germania hitleriana. In questo contesto idilliaco, ecco che un cadavere nudo come un verme emerge dalle acque di un lago in un parco pubblico alla periferia della Nuova Berlino e viene visto da un cadetto che nelle prime ore di luce correva tra i boschi flirtando con la Natura. Xavier March è un agente della Kriminalpolizei (Kripo) incaricato di occuparsi dello spinoso caso. Ha alle spalle una carriera da comandante di U-Boot e un matrimonio fallito da cui ha avuto un figlio. Il cadavere rinvenuto è presto identificato: appartiene a un importante ufficiale in pensione e amico del Führer, Josef Bühler, che anni prima fu il responsabile della "riallocazione" della popolazione ebraica nei territori orientali. Il caso, già di per sé molto delicato, si complica notevolmente con la comparsa in scena di Odilo "Globus" Globocnik, Generale Comandante della Gestapo dal cognome non proprio germanico. Mentre accadono queste cose, arriva in Germania una comitiva di giornalisti americani e tra loro c'è Charlotte "Charlie" Maguire, figlia di un famoso diplomatico. Per lei è un ritorno dopo molti anni, visto che da piccola aveva abbandonato il paese a causa dell'affermarsi della dittatura. A un certo punto la donna viene avvicinata da un anziano signore che le consegna una busta. All'interno c'è una nota che le permette di risalire a Wilhelm Stuckart, un altro ufficiale del Partito, anche lui in pensione come Bühler. Arrivata alla sua dimora, lo trova cadavere. Neanche a farlo apposta, il caso viene assegnato a Xavier March. Ha inizio una girandola di eventi che permettono di classificare questo film come thriller. Nel corso delle sue indagini, l'agente della Krimilalpolizei si imbatte in qualcosa di decisamente scomodo. Nella Grande Germania l'annientamento dei deportati è una cosa di cui pochissimi sono al corrente, persino tra gli stessi membri del Partito. La versione ufficale narra del trasferimento degli Ebrei europei in Ucraina, dove operano persino ufficiali incaricati di smistare la loro fantomatica corrispondenza, mantenendo i loro contatti con i parenti in America. Come l'agente March finisce per scoprire, tutto ciò è falso: gli Israeliti "riallocati" ad Est sono stati distrutti fino all'ultimo feto. L'uomo ne rimane sconvolto e decide di operare per rendere noto al mondo intero questo orrore. Così raccoglie un ponderoso pacco di documenti e lo consegna come una castagna bollente al presidente J.P. Kennedy, saltando sulla sua macchina in corsa, in una scena rocambolesca quanto inverosimile. Il capo di stato americano, che già si sta avviando all'incontro con il Fuhrer, osserva le atroci fotografie allegate alla documentazione e prende una decisione epocale. Ordina all'autista di invertire la marcia e si rifiuta di recarsi all'appuntamento. Tornato negli States, dà inizio all'embargo e al boicottaggio, provocando una spaventosa crisi economica che finirà col portare alla caduta dei Reich Millenario, come se fosse un giocattolo di cartapesta.   

Recensione:

Una tipica ucronia, tratta dal romanzo Fatherland di Robert Harris. L'opera presenta tutte le piaghe insite in quasi ogni opera ucronica comparsa finora su questo pianeta. La sua natura è talmente naïf e puerile da meritarsi una bocciatura senza appello. Il punto di divergenza, descritto nel prologo, è il fallimento dello Sbarco in Normandia. Presto si capisce che a dispetto di questo diverso corso storico, restano immutati eventi come il bombardamento di Dresda e il lancio delle atomiche sul Giappone. Non si capisce quindi come abbia fatto Hitler a vincere la guerra. Siamo di fronte sempre al solito insidioso errore di coloro che cambiano un evento cruciale ma sono incapaci di comprendere la portata delle sue conseguenze. Manca la comprensione del fatto che il cambiamento di un evento importante altera ogni cosa, impedendo ad altri eventi importanti di accadere e generandone di nuovi quanto imprevedibili. La Storia è Caos. Ogni sistema caotico è sensibilissimo alle condizioni iniziali. Se fosse fallito lo sbarco in Normandia non ci sarebbe stato il bombardamento di Dresda e nemmeno le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. A rigor di logica dovrebbe capirlo anche un poppante, invece a quanto pare non è così. Questo inganno colpisce anche gli storici più preparati, come già evidenziato in altra occasione, nell'articolo John Collings Squire e il Principio di Conservazione della Realtà, in cui ho trattato la raccolta di racconti ucronici Se la storia fosse andata diversamente. L'approccio è sempre lo stesso: ritagliare eventi storici del nostro universo e incollarli tali e quali nel mondo ucronico, senza tenere minimamente conto della loro origine, della loro natura, delle dinamiche della loro formazione.

Die Beatles!

A un certo punto su una parete della Berlino nazionalsocialista plasmata dal genio architettonico di Speer compare un manifesto: si tratta della pubblicità di un concerto di un famoso gruppo musicale inglese. Si vedono, verdi su sfondo nero, le figure di John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison, con sopra l'angosciante scritta DIE BEATLES! A quanto pare, nell'immaginario di Christopher Menaul, il punto esclamativo è tipico di ogni pubblicità del regime hitleriano, che ovviamente non conosce consigli, ma soltanto imperativi categorici. Come a dire: andate a sentire i Beatles o vi spediamo a Dachau! L'ingenuità di tutto questo è disarmante.

Pubblico in questa sede un thread sull'argomento, sviluppatosi il 3 dicembre 2017 su Facebook: 

  Marco Moretti: Ieri sera ho visto Fatherland (1994, diretto da Christopher Menaul, con Rutger Hauer). Se devo essere franco, l'ho trovato una colossale stronzata. Come al solito quando si tratta di ucronie, non si vuole proprio capire che gli eventi propagano. Solo per fare un esempio, in un'Europa dominata da Hitler non si sarebbero formati i Beatles. 

  Giovanni De Matteo: Il film non l'ho visto, ma il libro era notevole. E non mi pare portasse in scena i Fab Four :)

  Marco Moretti:  Nel film compare un manifesto che li mostra, con la scritta "DIE BEATLES!" Non ho letto il libro, ma conto di farlo presto. Immagino che moltissime inconsistenze del film abbiano la loro radice nel romanzo. Non mancherò di recensire sia il film che il libro. Si noterà che Dick aveva gestito meglio l'argomento...

  Giovanni De Matteo: Però in questo caso serve proprio a dare un senso alla pervasività culturale della dittatura. I Beatles magari si sarebbero chiamati così ma non avrebbero fatto le stesse canzoni e sarebbero stati sicuramente asserviti all'agenda del partito.

  Marco Moretti:  I quattro forse sarebbero esistiti comunque come persone fisiche, visto che Lennon e Starr sono nati nel '40, McCartney nel '42 e Harrison nel '43. Tuttavia le condizioni della formazione sono state così delicate che non sarebbe potuta avvenire in un'Inghilterra tanto diversa: troppi eventi delicatissimi in causa.


  Giovanni De Matteo: Questo è senz'altro vero, ne facevo un discorso più generale.

  Roberto Furlani: Posto che le ucronie con il nazismo che ha prevalso hanno letteralmente triturato i cosiddetti, se non si fossero formati i Beatles non sarebbe di certo stata la conseguenza peggiore della tirannia teutonica. Mi avrebbe seccato più rinunciare alla libertà che a "Yellow submarine".

  Giovanni De Matteo: Vera la prima parte, ma in un trittico ideale di letture sul tema The Man in the High Castle, Fatherland e The Plot against America ci stanno tutti. Sono forse le uniche letture veramente necessarie. Però a me i Beatles sarebbero mancati, anche in quanto sinonimo e paladini della liberazione dei costumi.

  Marco Moretti: Se Hitler fosse riuscito a prevalere, o non esisteremmo fisicamente, oppure avremmo un sentire tanto diverso che non sapremmo nemmeno che definizione dare al concetto di "libertà": senza un confronto con il nostro mondo la questione sarebbe di lana caprina. La mia considerazione sui Beatles non riguarda tanto la politica, quanto l'ontologia temporale, ossia la natura del tempo.

  Giovanni Agnoloni: Diciamo, Giovanni, che difficilmente avrebbero potuto fare peggio di obladì obladà :D

  Giovanni Agnoloni: E Across the Universe, e A Day in the Life

  Roberto Furlani: Ho l'impressione che abbiamo le stesse preferenze. ;)

  Marco Moretti: Se lo sbarco in Normandia fosse fallito (presupposto del film), anche il corso della guerra degli USA contro il Giappone non sarebbe stato quello che conosciamo. Tutti gli eventi posteriori al 6 giugno 1944 sarebbero stati molto diversi. Il problema è che non abbiamo elementi per effettuare una ricostruzione attendibile. Non comprendiamo bene le variabili in causa. Per quanto riguarda la trama del film, la trovo raffazzonata. Il finale è a dir poco precipitoso. Ne consiglio comunque la visione.

  Alex Tonelli:  Anche Turtledove si cimento' con una ucronia simile... ah.. Eleonor Rigby is the best! :)

  Marco Moretti: Però nei romanzi di Turtledove il punto di discontinuità era l'invasione della Terra ad opera di una specie di giganteschi lucertoloni, quindi un elemento estraneo alle dinamiche storiche umane. Per quanto riguarda le canzoni dei Beatles, non mi piacciono un granché: quando si sono formati i miei gusti musicali, mi sembravano già obsolete.

  Alex Tonelli: Caro Marco mi riferivo a questo:


  Marco Moretti: Ti ringrazio della segnalazione, non ne ero a conoscenza. Del resto Turtledove non è tra i miei autori preferiti. Interessante la pagina di Fantascienza.com, in cui spicca uno splendido "tré figlie".

Trovo interessante l'intervento di Roberto Furlani sulla natura molesta di questo genere di letteratura e di filmografia. Ribadisco che le ucronie fondate sul Nazionalsocialismo si sono sviluppate in una mala pianta e sono devastanti: equivalgono a mettere i cabbasisi su una grande lastra di marmo e a far gravare su di loro una pila di volumi della Treccani, fino al completo spappolamento! Per quanto mi riguarda, poteva ben bastare il romanzo dickiano La Svastica sul sole (The Man in the High Castle), che pure presenta pecche di non poco conto, come ad esempio il finale inconsistente.

I Beatles nel romanzo di Harris

A dire il vero, nonostante il buon Giovanni De Matteo non lo ricordi, i Beatles sono stati portati in scena nelle pagine del romanzo di scarsa utilità da cui è stato tratta l'opera di Menaul. Vero è che non sono menzionati per nome, tuttavia il riferimento è inequivocabile. Eccolo: 

Un pezzo del critico musicale che attaccava i "lamenti perniciosi e negroidi" di un complesso di giovani inglesi di Liverpool, che aveva suonato di fronte a una folla strabocchevole di giovani tedeschi ad Amburgo.

No, i Fab Four non sono immaginati mentre cantano testi dettati nell'agenda della NSDAP, ad esempo qualcosa del tipo: "Alle armi, Camerati, per l'ultima battaglia razziale! Il giorno dello sterminio dei subumani è arrivato! La Svastica splende nel cielo come un milione di soli, annunciando il trionfo eterno della Razza Ariana!" Anche perché simili canzoni erano tipiche degli Alte Kämpfer, i vecchi combattenti della NSDAP ai tempi di Weimar, i Protonazisti. Che bisogno ci sarebbe di cantare queste cose in un'epoca in cui l'agenda politica del Partito si è realizzata, in cui si è immanentizzato l'Eschaton? Nessuno. Allo stesso modo, nemmeno si è pensato di far esibire i cantanti di Liverpool con un testo di Imagine in cui anziché "and no religon too" si sente "and not a single jew". Perché mai si dovrebbe, se di fatto - a quanto la gente ne sa - nella Grande Germania non c'è davvero più un solo ebreo? Infatti Harris non arriva a tanto. I Fab Four cantano proprio Ob-La-Di Ob-La-Da, Yellow Submarine, Lucy in the Sky with Diamonds e altri brani del loro repertorio, a cui siamo abituati fin da giovani. Questo pone problemi concettuali molto gravi. Come può credere Harris che nel Reich di Hitler sarebbe possibile anche soltanto qualcosa che va contro i princìpi del Nazionalsocialismo tedesco? Evidentemente Harris non sa nulla del Nazionalsocialismo, come non ne sa nulla Menaul.

Un finale senza senso

Dovrei definirlo "un finale meritevole di irrisione", ma non lo faccio perché non irrido i Morti. Proprio perché rispetto i Morti, penso che quanto concepito dalla mente di Harris e di Menaul sia qualcosa di inverecondo. Trovo molto difficile credere che un agente della Polizia Criminale del Reich possa saltare sulla macchina del presidente John Patrick Kennedy, consegnandogli le prove del Genocidio e convincendolo di colpo a rinunciare all'alleanza con Adolf Hitler. Secondo voi che sarebbe successo? Ecco come sarebbe andata se un evento simile fosse davvero accaduto. Primo: il Presidente degli USA, vedendo Xavier March, si sarebbe subito chiesto: "Chi cazzo è questo minchione?". Secondo: avrebbe gettato via i documenti, sdegnato. Persino di fronte alle foto, avrebbe pensato che fossero il frutto di qualche manipolazione, quindi in sostanza dei falsi. Il finale presuppone che Xavier March coi documenti sull'Olocausto sarebbe stato in grado di trasmettere a J.P. Kennedy tutta la sensibilità sull'argomento che è tipica del nostro corso storico e che è frutto di decenni di martellanti campagne di informazione che raggiungono tutti già fin dalla più tenera età. No. Il vecchio Kennedy non avrebbe fatto nulla nemmeno di fronte a qualche foto di persone morte di stenti e sottoposte a inaudite brutalità. Prima di tutto perché egli stesso proveniva da un paese in cui un feroce antisemitismo era diffuso in modo capillare (Harris ci rammenta che nei club di Boston non era stato ammesso un solo ebreo da cinquant'anni). Inoltre vale il principio della non trasferibilità istantanea di esperienze complesse. J.P. Kennedy non era stato educato in un sistema scolastico fondato sull'antifascismo e sull'antinazismo, in cui Adolf Hitler è giunto ad assurgere a Male metastorico. Non aveva mai letto il Diario di Anna Frank. Non aveva mai visto Schindler's List di Steven Spielberg. Non aveva mai visto Shoah di Claude Lanzmann. Non era mai stato esposto durante l'infanzia a un gran numero di foto in bianco e nero di montagne di cadaveri. Non poteva avere alcuna sensibilità sulle persecuzioni degli Israeliti, proprio perché la sua intera esistenza era il frutto di un mondo molto distante dal nostro. Ancora una volta, gli ucronisti ritagliano qualcosa dalla nostra realtà e lo appiccicano sulle loro costruzioni mentali, facendone qualcosa di incongruo.

Hitler, March e la coscienza

C'è un'altra cosa degna di nota. Il film vuole farci credere che un membro a tutti gli effetti del Partito Nazista, Xavier March, subisca nel corso degli eventi una sorta di sconvolgimento morale, che lo porta ad abbordare il Presidente degli Stati Uniti, con l'intento di metterlo di fronte ai crimini di Hitler. C'è tuttavia un problema in questa narrazione fumettistica. Adolf Hitler riteneva la coscienza, ossia la capacità di distinguere il Bene dal Male, una pura e semplice "invenzione giudaica" e una "sudicia tirannia". Egli affermava di essere venuto per cancellarla. Voleva dare origine a un Uomo Nuovo completamente sprovvisto di coscienza, la cui morale fosse un'emanazione dei princìpi del Nazionalsocialismo, il cui sole radiante era proprio il Führer, incarnazione mistica della Germania. A scuola non lo insegnano, ma si trattava di una religione vera e propria, non di un banale "odio per la diversità". Ecco, in una ventina di anni dopo il trionfo bellico, il Nazionalsocialismo sarebbe riuscito a cancellare il concetto di coscienza dal Reich e a sostituirvi i propri contenuti. Credo che sia impensabile immaginarsi un agente della Polizia Criminale immune da questo condizionamento profondo, da questa educazione religiosa fanatica. Facciamo un esempio concreto ma significativo. Nel sistema morale hitleriano, bere in eccesso era per un membro del Partito un significativo fallimento morale, mentre uccidere un prigioniero durante un interrogatorio era considerato irrilevante. Pensate che un uomo cresciuto in un simile contesto tremerebbe come una gelatina di fronte a qualche fotografia di gente torturata e uccisa? Non gliene importerebbe nulla, e mai arriverebbe anche solo a concepire di tradire la propria Patria per questo. Ovvio, stiamo parlando di concetti fuori dalla portata di Harris e di Menaul, che faticherebbero meno a capire le categorie di un popolo alieno abitante oltre gli ultimi Quasar. Ecco perché le loro opere hanno la stessa credibilità del personaggio di Attila Canarinis interpretato da Totò.