mercoledì 17 ottobre 2018

I RACCONTI SATIRICI DI EDGAR ALLAN POE

Se si facesse un'intervista fermando gente per strada e si chiedesse a ciascuno di nominare le opere di Edgar Allan Poe (1809-1849) di cui ricorda almeno il titolo, è assai pobabile che quasi tutti menzionerebbero alcuni famosissimi racconti dell'incubo e del terrore, come ad esempio Una discesa nel Maelström, La maschera della morte rossa, Il pozzo e il pendolo, La sepoltura prematura e Il gatto nero. La cosa non deve stupire: questi scritti hanno accompagnato molti di noi dall'adolescenza e hanno formato il nostro immaginario, trasmettendoci una straordinaria sensibilità all'orrore, insinuando nel più profondo del nostro essere un'inquietudine capace di togliere il sonno. Altri racconti invece sono meno noti, al punto che ben poche persone ne sanno anche soltanto menzionare il titolo. Se mi recassi in un'università e chiedessi agli studenti se conoscono racconti come Una storia delle Ragged Mountains, Mellonta Tauta oppure Rivelazione mesmerica, secondo voi che accadrebbe? A parer mio pochissimi saprebbero di cosa si sta parlando. Magari sanno tutto sui pompini e sulle spagnole, ma se dicessi che i capolavori menzionati sono stati composti da un esule klingoniano, potrebbero anche credermi! Purtroppo miete le sue vittime il pregiudizio comune che classifica Poe come autore esclusivo di horror, senza sapere che compose anche un certo numero di opere di vari generi: alcune potrebbero essere definite proto-fantascientifiche, altre sono invece grottesche e satiriche. Tutte sono pervase da una vena di umorismo geniale. Passiamo qui in rassegna alcune trovate alquanto divertenti contenute nei racconti satirici, che hanno un notevole valore anche se spesso non sono più pienamente godibili per i moderni, essendo il mondo molto cambiato dall'epoca in cui l'autore li ha composti.

Il genio della truffa

Il racconto La truffa considerata come scienza esatta (Diggling) ci mostra un Poe davvero inedito e originale, che descrive alcuni trucchi per ingannare il prossimo e ottenerne gratis piccoli vantaggi. All'epoca era possibile praticare piccoli baratti in molti luoghi pubblici, anche nei bar. Un uomo poteva ad esempio cedere una stecca di tabacco e averne in cambio un bicchiere di liquore. Siccome non esistevano scontrini e imperversava una gran confusione ai banconi dei saloon, era abbastanza facile farsi dare una stecca da un inserviente e rifilarla al mescitore di liquori all'altro capo del banco per averne un cicchetto. Oggi non funzionerebbe più: si acquista alla cassa pagando in moneta sonante e ricevendo lo scontrino, che poi si mostra al banco. Nessuno accetta baratti e sono in vigore regole molto severe sulla merce che può essere venduta: non è che un avventore può portare una bottiglia di whisky al barman e pensare che questi ne serva il contenuto. Anche se le cose sono cambiate, esistono ancora eredi della tradizione truffaldina descritta dall'ingegnoso scrittore di Boston. Ho visto coi miei occhi un muratore bergamasco entrare in mensa con una bottiglietta vuota di plastica verde, di quelle da mezzo litro tipiche dell'acqua minerale. Tra un porcus e l'altro la riempiva alla spina di vino bianco, quindi si riempiva anche un boccale da mezzo litro. Giunto alla cassa, pagava il boccale di vino. Il mezzo litro di vino bianco nella bottiglietta lo pagava come acqua!

Una fucina satirica 

Poe ironizza in modo feroce sul mondo del giornalismo e dell'editoria, in cui giocava un importante ruolo l'arte di scopiazzare da articoli già pubblicati in altre testate. Il racconto Vita letteraria di Thingum Bob (The Literary Life of Thingum Bob, Esq.) narra di una guerra senza esclusione di colpi tra diverse testate giornalistiche. Il testo, fittissimo, pullula di quotidiani dai nomi stravaganti e di suggestivi pseudonimi di personaggi implausibili. Eccone alcuni: 

Crab "Granchio"
Slyass
"Asino Scaltro"

Toad
"Rospo" 

Mole "Talpa"
Mumblethumb "Biascicapollice"
Fatquack "Grassocialtrone"
Daddy-Long-Legs "Papà Gambalunga"
Mademoiselle Cribalittle "Signorina Copiaunpoco"
Mrs. Fibalittle "Signora Menteunpoco"
Mrs. Squibalittle "Signora Beffaunpoco"
Snapping Turtle "Tartaruga che morde" 


Il racconto X-atura di un paragrafo aka Come icsare un paragrabo (sic) (X-ing a Paragrab) è ambientato nell'immaginaria città di Alessandromagnopoli (Alexander-The-Great-o-nopolis)
Indispettito dalle accuse di usare troppo la parola oh, il direttore del Tè bollente compone un testo in cui tutte le parole hanno soltanto la vocale o. Il garzone della tipografia sostituisce tutte le lettere o, che sono state trafugate dalla cassetta dei caratteri, con altrettante x, quindi il bizzarro testo viene pubblicato. La popolazione inferocita crede di avere a che fare con demoniache formule di magia nera, così insorge e cerca il direttore per linciarlo - constatandone la fuga.

Le prodezze linguistiche della Succhiatrice Snob

Riporto il link a un'interessante pagina in cui si parla diffusamente delle rime comiche utilizzate da Edgar Allan Poe:


I racconti Come scrivere un articolo alla Blackwood (How to Write a Blackwood Article) e Una situazione imbarazzante (A Predicament) sono una vera miniera da cui emergono pure gemme di genio. L'ineffabile Suky Snobbs, la Succhiatrice Snob, non è capace di ricordarsi le citazioni apprese dal Signor Blackwood e le deforma in un modo esilarante. Già abbiamo trattato il caso della frase di Demostene 'Ανὴρ ὁ φεὺγων καὶ πὰλιν μαχήσεται, per via delle implicazioni della sua imitazione sulla pronuncia della lingua greca in auge in America. La giornalista rigurgita quanto ha mal digerito, creano il personaggio enigmatico di Andrew O'Phlegethon, che in italiano suonerebbe Andrea de' Flegetontis:  

«Io gli lanciai dietro le veementi parole di Demostene: Andrew O'Phlegethon, you really make haste to fly,
e mi rivolsi dalla parte della mia prediletta, la mia irsuta e monocola Diana.»


Qualcuno dirà che la lingua greca antica è alquanto difficile e che non si può pretendere una sua pronta assimilazione. Il punto è che la fervida mente della Snobbs distorce qualsiasi lingua.  

Ecco una canción riportata Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616) nel Don Chisciotte (II, XXXVIII): 

Ven muerte tan escondida,
  Que no te sienta venir; 
  Porque el plazer del morir
No me torne à dar la vida.

Ecco come riduce questi sublimi versi la nostra cara Snobby Sucker:

Vanny Buren tan escondida
Query no te senty venny
Pork and pleasure delly morry
Nommy torny, darry widdy! 

A quanto pare i critici non hanno dato la dovuta importanza a quel pork and pleasure "carne di porco e piacere". Secondo alcuni, i demenziali versi della Snobbs scimmiotterebbero quelli della poesia To Sir John Lade, On His Coming of Age, di Samuel Johnson (1709-1784): Pride and pleasure, pomp and plenty "orgoglio e piacere, sfarzo e abbondanza". Nel sito Eapoe.org si cita il componimento con il titolo erroneo A Lady Coming of Age. A questo punto si potrebbe trovare un riferimento criptico alla giornalista fellatrice, interpretando in modo furbesco il vocabolo pomp "sfarzo, magnificenza" come derivato dall'italiano pompa, pompino "fellatio". La sezione etimologica di Google riporta che pompino è attestato per la prima volta nel 1917, ma è ben possibile che la voce fosse molto più antica nel gergo postribolare. Callari glossa pumpinara come "prostituta che pratica il coito orale" nel suo lavoro Prostituzione e prostitute in Sicilia (1903). Non ho la prova diretta che il vocabolo fosse già usato un secolo prima e che fosse conosciuto negli ambienti frequentati da Poe. Non posso citare documenti in sostegno della mia ipotesi: per ora la si prenda come una mera congettura. Se fosse valida, si avrebbe un'ottima spiegazione di come dal verso del Dr. Johnson e dal pompino sia stato fabbricato Pork and pleasure. Questo sarebbe dunque il processo: 

Pride and pleasure + pompa, pompino =>
Pork and pleasure

Questo in un tempo in cui la fellatio era illegale in tutti gli Stati americani e considerata "innaturale" persino se praticata all'interno del matrimonio.

Blackwood attribuisce ad Ariosto i seguenti versi:

Il pover'huomo che non se'n era accorto,
Andava combattendo, e era morto.

In realtà sono tratti, alterati, dall'Orlando Innamorato di Francesco Berni (1497-1535). Questi sono i versi corretti (LIII, 60): 

Così colui, del colpo non accorto,
Andava combattendo, ed era morto.

Suky Snobbs compie una metamorfosi: 

Il pover hommy the non sera corty
And have a combat tenty erry morty.

Anche l'alterazione del tedesco è esilarante:

«Duk she! Duk she! Essa apre bocca, parla, e parla, cielo! nel tedesco di Schiller:
Unt stubby duk, so stubby dun
Duk she! Duk she!» 


Questo è l'originale, attribuito da Blackwood a Friedrich Schiller (1759-1805):

Und sterb'ich doch, so sterb'ich denn
Durch sie - durch sie!


In realtà le parole sono di Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), e per giunta riportate male. Questi sono i versi della poesia Das Veilchen (La Violetta): 

Es sank und starb, und freut' sich noch:
und sterb' ich denn, so sterb' ich doch
durch sie, durch sie,
zu ihren Füßen doch! 

"Lui cadde e morì, ma si rallegrò:
e se io muoio, tuttavia muoio,
per lei, per lei,
ai suoi piedi, almeno!"

Si noti che in varie edizioni delle opere di Poe si riscontrano distorsioni nei versi già alterati: dock per doch e no per so. Per lenire la misoginia evitando di offendere troppo le carampane e le Erinni, Poe ha usato l'ortografia duk she anziché il più immediato e logico duck she, o sarebbe subito apparsa come un'allusione alle tante anatre starnazzanti che affollavano i salotti! L'ortografia eufemistica è la stessa incontrata in Suky Snobbs, che doveva mascherare un meno anodino Sucky Snobs, ossia Snobby Sucker, il cui nome formato da to suck "succhiare" non poteva essere evocato in modo esplicito.

Pompeo! 

Secondo una certa letteratura non proprio favorevole alla cultura degli Stati del Sud, Pompeo (Pompey) incarna lo stereotipo dello schiavo nero dotato di immenso Priapo e utilizzato come sollazzo dalle signore dell'aristocrazia. Queste dame, annoiate dai mariti e schifate dal loro "cockcheese" troppo rancido, non avrebbero esitato a manipolare i membri giganteschi dei mandingo di loro proprietà. Chiaro è a mio avviso il riferimento che sta dietro al nome usato da Poe per descrivere il servo della Signora Psyche Zenobia. Anche se non ne viene fatta parola, non è poi così difficile immaginare che la giornalista si servisse del colossale Pompeo come di uno strumento di piacere: gli praticava il sesso orale. Così si rivolge a lui la fellatrice: "Pompey, my negro! - sweet Pompey!" È ben possibile che Poe conoscesse ben più di qualche rudimento di italiano: così come Suky Snobbs = Sucky Snobs = Snobby Sucker, allo stesso modo vediamo l'associazione Pompeo = Pompini. Si noti come il termine colloquiale per indicare la fellatio, di origine siciliana (vedi Callari, 1903), è incline a cambiamenti e traslati: pompino => pompelmo => chinotto (nome di agrume e di bevanda; per questa voce esistono anche altre proposte etimologiche). Potremmo essere di fronte alle prime attestazioni, seppur indirette, di queste forme gergali. Notevole il fatto che il termine snob nel senso di "person who vulgarly apes his social superiors" è documentato per la prima volta nel 1843, e il racconto è stato pubblicato per la prima volta soltanto un anno prima, nel 1842. Poe è perfettamente consapevole del significato attribuito alla parola, che appare già diffuso. Come spiega la stessa Signora Psyche Zenobia: "In quanto a Snobbs - basta guardarmi per rendersi subito conto che non mi chiamo Snobbs. La signorina Tabitha Turnip ha sparso la voce per pura e semplice invidia." Non sono un sostenitore della fallacia logica post hoc ergo propter hoc, ed è ben probabile che la coincidenza nelle attestazioni del vocabolo snob sia casuale. Tuttavia potrebbe anche non esserlo e si pone la possibilità che il primo ad usare snob in questa accezione sia stato proprio Edgar Allan Poe. Questo è il link alla voce snob del dizionario etimologico Etymonline.com:


Si noterà che uno pseudonimo Snob si trova anche nel racconto Vita letteraria di Thingum Bob, in cui il significato attuale della parola sembra già essere dato per scontato e conosciuto su larga scala:

«L'attuale composizione poetica su "La Lozione di Bob" ha suscitato l'interesse e la curiosità generale circa l'identità di colui che si cela dietro l'ovvio pseudonimo di "Snob" - curiosità che, fortunatamente, siamo in grado di soddisfare. Snob è il nom de plume del signor Thingum Bob, nostro concittadino - congiunto del grande signor Bob (da cui prende il nome) e imparentato con le più illustri famiglie dello Stato. Suo padre, Thomas Bob, Esq., è un prospero mercante di Smug.»  

E ancora: 

«Al numero che abbiamo sotto gli occhi hanno collaborato il signor CRAB (l'esimio direttore), SNOB, Mumblethumb, Fatquack, e altri; ma, dopo le inimitabili composizioni dello stesso direttore, quella che maggiormente ci piace è lo sfavillante parto letterario di un poeta nascente, il quale scrive con la firma "Snob", un nom de guerre che ci spinge a predire che egli offuscherà, in futuro, il fulgore di "Boz".»

Questo smentisce la tesi degli autori di Etymonline.com, che fanno risalire la vasta diffusione del vocabolo al 1848, anno in cui fu pubblicato il Book of Snobs di William Makepeace Thackeray (1811-1863). 

Un babbuino alcolizzato

All'epoca di Poe l'oppio si vendeva nelle farmacie ed era consentito a chiunque di abusarne, anche ai bambini e alle vergini. Se era ritenuto sconveniente per una vergine intossicarsi usando bevande alcoliche, le era permesso abusare del laudano, che teneva a freno la sua isteria. Il Signor Blackwood cerca di fare impressione sulla Snobby Suker, sperando di ricavarne qualche leccata intima. Così le spiega: 

«Poi abbiamo avuto le "confessioni di un mangiatore d'oppio" - bello, bellissimo! - magnifica immaginazione - profonda filosofia - acuta speculazione - pieno d'ira e di furia, riccamente condito con quanto c'è di decisamente incomprensibile. Un bel cumulo di fandonie che la gente ha mandato giù con entusiasmo. C'è chi sosteneva che fosse opera di Coleridge - ma non era così. Fu scritto dal mio babbuino addomesticato, Juniper, davanti a un bicchierone di gin tonic, "caldo, senza zucchero".» 

La Succhiatrice Snob sembra non bersela, e di certo il suo interlocutore non ottiene da lei ciò che desidera. Questo è l'inciso della maliarda a commento della grottesca sparata del babbuino scrittore: "[Questo non lo avrei mai creduto se a dirmelo non fosse stato il signor Blackwood, che me lo garantì.]"

Vediamo subito quanto fosse arguto Poe. Troviamo a colpo d'occhio un riferimento al Macbeth: "pieno d'ira e di furia" riecheggia la famosissima definizione della vita come una favola raccontata da un idiota, piena di suono e di furia (full of sound and fury), che non significa nulla. Gli interessi filologici dell'autore emergono nel nome del babbuino addomesticato Juniper, che è da iuniperus, la parola latina per indicare il ginepro - ritroviamo ancora la stessa radice nel gin tonic di cui l'estrosa scimmia volentieri abusa. Infine, il beverone del primate ingegnoso è descritto come l'oppio ingerito da Thomas Penson De Quincey (1785-1859) nella sua autobiografia Confessions of an English Opium-Eater (1821): "caldo e senza zucchero". Gli scritti del De Quincey - che può essere definito un precursore di William Seward Burroughs e l'antesignano della letteratura tossica - avevano senza dubbio destato un certo scalpore in America. Poe era un sensibile termometro sociale e un membro attivissimo della cultura della sua epoca: raccoglieva ogni suggestione e la usava per creare autentici gioielli letterari, splendidi ma poco adatti a chi non ama la fatica del pensiero. Il quoziente intellettivo medio e il grado di attenzione a quei tempi e in quel contesto dovevano essere nettamente superiori rispetto alla media dei nostri giorni. 

venerdì 12 ottobre 2018

EDGAR ALLAN POE GRECISTA: ANDREW O'PHLEGETHON E LA PRONUNCIA ERASMIANA DI UNA FRASE DI DEMOSTENE

Nel suo racconto satirico e bizzarro Come scrivere un articolo alla Blackwood (How to write a Blackwood article), Edgar Allan Poe riporta la frase di Demostene 'Ανὴρ ὁ φεὺγων καὶ πὰλιν μαχήσεται "L'uomo che fugge combatterà un'altra volta" traslitterata come Aner o pheugon kai palin makesetai (sic). Si noti che la traslitterazione dell'ultima parola è errata, presentando una consonante occlusiva semplice -k- anziché la corretta aspirata -kh- (rappresentata dalla lettera chi). Va detto che sulle consonanti aspirate della lingua ellenica cadono in molti, ma in difesa dell'autore posso avanzare l'ipotesi che all'origine ci sia stato un semplice refuso tipografico, poi propagato da un'edizione all'altra. Notiamo che l'articolo è traslitterato male senza aspirazione: dovrebbe essere ho anziché o. Forse l'omissione dell'aspirazione negli articoli era una costumanza diffusa, ma va detto che in un'edizione online ho trovato addirittura un improbabile Anerh o pheugoen (sic) anziché il corretto Aner ho pheugon. Anche in questo caso dobbiamo sospettare un refuso. 

Il contesto della citazione è di per sé surreale. Il Signor Blackwood riceve la Signora Psyche Zenobia, detta anche Suky Snobbs - l'ineffabile Succhiatrice Snob - che ha scarsa o nulla dimestichezza con la lingua di Atene, e non solo con quella. Il motivo della visita è presto spiegato: la stravagante giornalista ha l'impellente necessità di apprendere qualche trucco scenico che possa servirle per scrivere articoli in grado di far aumentare la tiratura del giornale per cui lavora. Tra gli espedienti escogitati dal Signor Blackwood per far colpo sui lettori c'è proprio la frase di Demostene in lingua originale.

La struttura di Come scrivere un articolo alla Blackwood è molto singolare, dato che il testo contiene un secondo racconto intitolato La falce del tempo, aka Una situazione imbarazzante (The Scythe of Time, noto anche come A Predicament), dove Suky Snobbs trova l'occasione di riportare la frase apprenditiccia alterandola in modo sommamente grottesco. Ecco che dalla metamorfosi delle parole greche scaturisce un esilarante Andrew O'Phlegethon, you make haste to fly, ossia "Andrea De' Flegetontis, tu ti affretti a volare". Si noterà l'assonanza tra makhesetai e make haste to fly /meɪk heɪst tʊ flaɪ/. Ciò dimostra in modo incontrovertibile che il dittongo finale ai del verbo greco era realizzato da Poe come tale, /aɪ/, dal momento che rimava con il verbo inglese to fly. La consonante g in Andrew O'Phlegethon deve essere senz'altro un'occlusiva velare /g/, visto che Phlegethon è stato creato fraintendendo pheugon "fuggitivo": non può avere per nessuna ragione un suono palatale. Il segmento kai palin non è stato semplicemente omesso, deve aver contribuito ad alterare pheugon fino a trasformarlo in Phlegethon, causando l'inserimento di una liquida dopo l'aspirata ph. Si noterà che accanto alla pronuncia comune di Phlegethon con consonante g velare (dura), esiste anche una più rara variante con consonante postalveolare (molle) /dʒ/. La prima proviene dalla pronuncia restituta o erasmiana del greco, la seconda dalla pronuncia accademica inglese del latino, applicata anche a parole greche.

Cos'altro salta fuori da make haste to fly? Semplice: la consonante aspirata -kh- che a causa di un refuso era stata omessa nella trascrizione erronea makesetai, salta fuori in un modo del tutto inatteso nella sequenza make haste. Questo dimostra che nella pronuncia usata da Poe il suono soggiaciente a -kh- era realizzato come un'occlusiva aspirata e non come una fricativa. Così era ben rappresentato dallo scontro tra la /k/ finale di make e la /h/ iniziale di haste, non come la consonante finale di loch. Questo uso si opporrebbe in modo singolare alla pronuncia di ph, che era invece puramente fricativa. Come si vede, emerge una grande incoerenza. Purtroppo a questo punto non è più possibile ricostruire la genesi del probabile refuso che avrebbe portato a makesetai, dovuto senza dubbio al primo editore di Poe: è passato troppo tempo e riuscire a reperire uno scritto originale con una corretta trascrizione della consonante aspirata greca ci appare come un'impresa disperata, proprio come la classica ricerca dell'ago in un pagliaio.

mercoledì 10 ottobre 2018

EDGAR ALLAN POE GRECISTA: LA PRONUNCIA DI LIGEIA

Quando un sistema ortografico mostra gravi discrepanze rispetto alla fonetica, è naturale che non sia affatto chiaro quale pronuncia attribuire a nomi di persone e di luoghi che non si conoscono. Questo è precisamente il caso della lingua inglese, la cui ortografia si è formata durante la fase del Middle English, in pieno Medioevo, non aggiornandosi alle drastiche evoluzioni subite dal parlato nel corso dei secoli. Quando si leggono libri scritti da autori anglosassoni questo problema si presenta spessissimo, anche quando si tratta di pronunciare nomi che appartengono a lingue ben note, come quella dell'Ellade. 

È questo il caso dell'antroponimo femminile Ligeia, reso celebre da Edgar Allan Poe, che lo ha utilizzato in due sue opere:

1) Il ben noto il racconto Ligeia, pubblicato per la prima volta nel 1838, in cui il nome in questione è portato dalla moglie del protagonista, una donna bellissima dalla pelle pallida e dai capelli corvini, dotata di intelligenza estremamente acuta e di immensa erudizione. A un certo punto Ligeia viene colpita da una malattia che la consuma, compone la poesia The Conqueror Worm (Il verme conquistatore), quindi spira in preda al delirio. Riesce tuttavia a sconfiggere la morte in un modo molto originale. Anni dopo l'uomo sposa la bionda Lady Rowena Trevanion, ma il ricordo della prima moglie lo perseguita e la sua unica via di scampo è l'oppiomania. Accade però qualcosa di impensabile: Lady Rowena viene colpita da una malattia che noi moderni potremmo interpretare come un massiccio processo di riscrittura del genoma. Viene così riplasmata nei suoi stessi lineamenti, divendo altro da sé. Al termine di questa metamorfosi, la donna agonizzante emerge come Ligeia, dai capelli neri come la tenebra della notte illune, acquistando una nuova vita.
2) La poesia intitolata Al Aaraaf, pubblicata per la prima volta nel 1825, che fa riferimento a una nozione di teologia islamica quasi sconosciuta in Occidente. La fonte dell'ispirazione di Poe è un fatto astronomico molto interessante, anche se svanito dal sapere comune: la comparsa di una supernova nel 1572, che fu visibile per circa sedici mesi, superando per alcuni giorni lo splendore di Giove e incrinando il miti aristotelico dell'immutabilità della volta celeste. Questo astro prodigioso, scoperto e descritto dallo scienziato danese Tycho Brahe, viene identificato da Poe con Al Aaraaf (
الأعراف al-A'rāf), un luogo ultraterreno di cui è scritto nel Corano (Sura 7), come la destinazione delle anime non meritevoli di essere dannate all'Inferno, ma nemmeno di essere accolte in Paradiso, dal momento che le loro cattive azioni erano compensate da buone azioni: è un'evidente reminiscenza della dottrina egiziana della pesatura dell'anima. Ligeia nella poesia Al Aaraaf, la più lunga composta da Poe, è un angelo identificato con l'armonia universale e con la musica più alta. Questi sono i versi a lei dedicati:

Ligeia! Ligeia!
  My beautiful one!
Whose harshest idea
   Will to melody run 
O! is it thy will
 On the breezes to toss?
Or, capriciously still,
 Like the lone Albatros,
Incumbent on night
 (As she on the air)
To keep watch with delight
 On the harmony there?

Ligeia! wherever
  Thy image may be
No magic shall sever
  Thy music from thee:
Thou hast bound many eyes
  In a dreamy sleep —
But the strains still arise
  Which thy vigilance keep —
The sound of the rain
  Which leaps down to the flower,
And dances again
  In the rhythm of the shower —
The murmur that springs
  From the growing of grass
Are the music of things —
  But are modell’d, alas! —
Away, then my dearest,
 O! hie thee away
To springs that lie clearest
  Beneath the moon ray —
To lone lake that smiles,
  In its dream of deep rest,
At the many star-isles
  That enjewel its breast —
Where wild flowers, creeping,
  Have mingled their shade,
On its margin is sleeping
  Full many a maid —
Some have left the cool glade, and
  Have slept with the bee —
Arouse them my maiden,
  On moorland and lea —
Go! breathe on their slumber,
  All softly in ear,
The musical number
  They slumber’d to hear —
For what can awaken
  An angel so soon
Whose sleep hath been taken
  Beneath the cold moon
As the spell which no slumber
  Of witchery may test,
The rythmical number
  Which lull’d him to rest?” 

Fornisco il link a uno studio molto interessante di William B. Cairns sulla poesia in questione (Some Notes on Poe's "Al Aaraaf"):


La questione della pronuncia di Ligeia è ben viva sia in Italia che nei paesi anglosassoni e se ne trova traccia in diversi siti nel vasto Web, segno che è problematica anche per persone la cui lingua nativa è la stessa usata da Poe. Questo è un post sul sito di Daniele Imperi: 


La considerazione fondamentale è che nella poesia Al-Aaraaf, il nome Ligeia viene invece fatto rimare con la parola idea. Ecco i versi, con la rima evidenziata:

Ligeia! Ligeia!
  My beautiful one!
Whose harshest
idea
   Will to melody run

Come giustamente deduce Daniele Imperi, "In inglese la parola idea si pronuncia /aɪˈdɪə/, quindi la parte finale della parola è quasi sicuramente /ɪə/." Mi sento di poter trasformare il "quasi sicuramente" in "sicuramente", invocando la perforazione del mio cranio ad opera di un micrometeorite se quanto affermo si dovesse rivelare falso. Vediamo infatti che Poe non fallisce una sola rima:

one - run;
will - still;
toss - Albatros;
night - delight;
air - there;
wherever - sever;
be - thee;
eyes - arise;
sleep - keep;
rain - again;
flower - shower;
springs - things;
grass - alas;
dearest - clearest;
away - ray;
smiles - isles;
rest - breast;
creeping - sleeping;
shade - maid;
glade, and - maiden;
bee - lea;
slumber - number;
ear - hear;
awaken - taken;
soon - moon;
slumber - number;
test - rest.

Da queste rime si deducono cose molto interessanti. Ad esempio, da "glade, and - maiden" sappiamo per certo che la congiunzione and si pronunciava era pronunciata dall'autore -d finale e che la sua vocale era un semplice schwa. Se i metodi di insegnamento dell'inglese nella scuola italiana valessero più di un mucchietto di escrementi di cane sulla via, si insegnerebbero agli alunni le rime come strumento per combattere le pronunce ortografiche! Tornando a noi, da quanto esposto ne deriva quindi una pronuncia /laɪ'dʒɪə/. Ne deduciamo un'altra cosa molto interessante: all'epoca di Poe - almeno nel suo contesto - il suono /d/ era già retroflesso come nell'inglese attuale, cosa che lo doveva rendere almeno un po' simile a una postalveolare (come nell'italiano getto). La pronuncia seguita dallo scrittore di Boston doveva quindi essere quella accademica inglese del latino, applicata anche alle parole greche, inclusi toponimi, teonimi e antroponimi. La stessa  usata in vocaboli come geography, geometry e via discorrendo. Certamente stride il contrasto con il nome dell'Ade adattato in Aidenn, che sembra invece il frutto di una genuina ricerca filologia, i cui risultati appaiono distantissimi dal sentire comune. 

Una discussione wikipediana

Riporto un thread occurso nella sezione dedicata alle discussioni sulla pagina relativa alla voce Ligeia nella Wikipedia in inglese.  

I think that a pronunciation of the name "Ligeia" would be valuable to fellow wikipedians. But therein lies a problem: a teacher of mine pronounces it Lie-gee-uh (with the second syllable accented), but in the film Vincent Price prounounces it Li-jee-uh, and I've heard it said Li-gay-uh. I need imput!
   Twitterpated. (talk) 16:38, 10 August 2008 (UTC)  

   I recently had a very long discussion about this very same question. I personally pronounce it "Lie-jee-uh", but someone I chatted with insisted it was "Luh-jee-uh" or even "Lee-juh". I'll keep my eyes open for a more definitive answer, whatever it may be.
   --Midnightdreary (talk) 00:57, 11 August 2008 (UTC) 

  Here is what I've compiled: 

  I read that in most classical names, "ei" makes an "ee" sound (like in the lyrics to "Beautiful Dreamer": "Beautiful dreamer, out on the sea / Mermaids are chanting the wild LORELEI"). The double vowel "ei" indicates that the second syllable is accented. 

   In The Tomb of Ligeia it was pronounced Lye-JEE-uh. 

   AND, furthermore, in that Annihilator song, it is pronounced with the J sound. 

  HOWEVER, It's just come to my attention that there was a siren in Greek mythology by the name of Ligeia. According to modern Greek pronunciation, it is pronounced Lye-GEE-uh... That's probably as reliable as we're going to get.
   Twitterpated. (talk) 18:47, 12 August 2008 (UTC) 

 Done The pronunciation you describe is /laɪˈʤi:ə/. Now added to the article.
   Equinox ◑ 05:44, 23 June 2016 (UTC)

Che dire? A quanto pare i dubbi ai navigatori e ai Wikipediani non mancano di certo.

Pronuncia di Ligeia nel cinema 

Ho trovato altre informazioni di estremo interesse in un thread su Englishforums.com: 


A quanto pare, Christopher Lee nella serie TV I racconti del mistero e del terrore (Tales of Mystery and Imagination, 1995-) pronunciava Ligeia come Le Guya, facendo rimare il nome con buyer. Un altro mostro sacro, Vincent Price, nel film La tomba di Ligeia (The Tomb of Ligeia, 1964), pronunciava invece Lie-GEE-er, facendo rimare il nome con beer. In entrambi casi la consonante usata è una velare (dura), come era in greco e nel latino classico. Possibile che diecimila persone abbiano diecimila pronunce tanto diverse tra loro e che manchi un'autorità centrale in grado di imporre una forma standard? Marasma assoluto!

Etimologia di Ligeia

Il nome Ligeia deriva dall'aggettivo greco antico λίγυς (ligys) "risonante, dalla voce chiara, melodioso", femmile λίγεια (ligeia), neutro λίγυ (ligu): è il nome di una delle Sirene e non è stato inventato da Poe. L'origine ultima della parola ellenica non è conosciuta e risale con ogni probabilità al sostrato pregreco. Alcuni, come Chantraine, suppongono che sia un termine onomatopeico, ma per me l'onomatopea è l'ultima risorsa. Ci sono altre forme corradicali, come λιγυρός (liguros) "chiaro, acuto" (detto di vento o di voce) e λιγαίνω (ligaino) "io grido con voce chiara", che non chiariscono il mistero. Il nome mitologico Λίγεια è trascritto in latino e in italiano come Ligea, con l'accento corretto sulla prima sillaba. In italiano troviamo anche la forma rara Lighea, utilizzata da Tomasi di Lampedusa. La sirena in questione, bellissima quanto pericolosa, è raffigurata con testa e volto di donna, corpo di uccello e grandi ali; si raccontava che col suo canto soave attraesse gli uomini, facendoli perire in mare. Virgilio menziona la splendida Ligea nelle Georgiche (libro IV): 

At mater sonitum thalamo sub fluminis alti
sensit. Eam circum Milesia vellera Nymphae
carpebant hyali saturo fucata colore,
drymoque Xanthoque Ligeaque Phyllodoceque,
caesariem effusae nitidam per candida colla,
Nesaee Spioque Thaliaque Cymodoceque,
Cydippeque et flava Lycorias, altera virgo,
altera tum primos Lucinae experta labores,
Clioque et Beroe soror, Oceanitides ambae,
ambae auro, pictis incinctae pellibus ambae,
atque Ephyre atque Opis et Asia Deiopea
et tandem positis velox Arethusa sagittis.

Mi stupisce sempre la capacità mostrata dalla lingua latina classica di assimilare immense quantità di elementi ellenici delle più disparate origini, creando qualcosa di estemamente armonioso. Tutto l'opposto di quanto accade in italiano ai nostri giorni, dove l'assimilazione di masse di termini inglesi e pseudoinglesi dà luogo a risultati che ispirano obbrobrio. Anche da queste cose si vede quanto i tempi siano degenerati.  

Dedico questo articolo alla carissima amica Giusy, che ha scelto Ligeia come nick.

sabato 6 ottobre 2018

EDGAR ALLAN POE GRECISTA: AIDENN 'ADE'

Il toponimo mitico Aidenn compare in due opere di Edgar Allan Poe: la prima attestazione si ha in un racconto breve e poco studiato, La conversazione di Eiros e Charmion (The Conversation of Eiros and Charmion), la seconda nel più famoso componimento Il Corvo (The Raven). Si tratta chiaramente dell'Ade. È una forma derivata dall'accusativo del greco ᾍδης (Hades), che è ᾍδην (Haden)

Questa trascrizione del nome dell'Ade implica che Poe conoscesse la pronuncia erasmiana del greco, essendo Aidenn incompatibile con l'itacismo. Questo ovviamente non significa necessariamente che conoscesse e usasse anche la pronuncia restituta del latino. È davvero strana la consonanza della forma usata da Poe con l'etrusco Aita, Aiθa, Eita, un prestito dal greco, ma anteriore al passaggio del dittongo lungo /a:i/ in /a:/. Sembra quasi che il profetico scrittore avesse chiara nella mente una forma più antica del teonimo greco, con l'antico dittongo integro. L'origine di queste peculiarità fonetiche è presto spiegata: in ultima analisi la protoforma è ricostruibile come *ṇ-wida:s, ossia "Colui che rende invisibili", ed è di chiara origine indoeuropea. Presso gli Etruschi si usava anche una forma nativa per indicare Plutone e gli Inferi, Calu, di cui tratteremo diffusamente in altra occasione.

Con mia grande sorpresa, ho visto che Aidenn è considerato dai critici una mera trascrizione della parola araba عدن‎ (ʕadn) che indica il Giardino dell'Eden e che deriva a sua volta dall'ebraico עדן‎ (éden). Questa è la spiegazione della voce Aidenn data da Wiktionary:


Proper noun

Aidenn

    1. (poetic) Paradise.

In Thefreedictionary.com sono raccolte le traduzioni riportate da diversi dizionari online.


Questa è la prima glossa, a cui ne seguono numerose altre del tutto simili: 

E·den  (ēd′n)
 n.
  1. Bible The garden of God and the first home of Adam and Eve. Also called Garden of Eden.
  2. A delightful place; a paradise.
  3. A state of innocence, bliss, or ultimate happiness.

Il termine esiste nel linguaggio urbano anglosassone. Questo è quanto è riportato dal sito Urbandictionary.com, per giunta facendo riferimento proprio a Poe: 


Aidenn
A name to a guy with a bad temper but sweet heart. Social and loveable. Oh, and girls drool all over him.
Found in Edgar Allen Poe's "The Raven" originally meaning "paradise" ---which is what you get when you look into this soulful man's eyes.
Eventually will be your soul mate.
I have met my Aidenn

Sono consapevole che Aidenn sia stato e sia tuttora usato come forma poetica di Eden. Eppure, che Aidenn sia l'Eden in Poe non è proprio possibile. Infatti Charmion dice:

"You have now suffered all of pain, however, which you will suffer in Aidenn."

Eiros risponde:

"In Aidenn?"

Charmion conferma:

"In Aidenn."

Proviamo a tradurre:

"Tuttavia ora hai sofferto tutte le pene che patirai nell'Ade."

È ovvio che non ha il benché minimo senso tradurre in questo modo:

"Tuttavia ora hai sofferto tutte le pene che patirai nell'Eden."

Veniamo ora alla poesia The Raven (versi 91-96): 

“Prophet!” said I, “thing of evil!—prophet still, if bird or devil!
By that Heaven that bends above us—by that God we both adore—
  Tell this soul with sorrow laden if, within the distant Aidenn,
  It shall clasp a sainted maiden whom the angels name Lenore—
Clasp a rare and radiant maiden whom the angels name Lenore.”
   Quoth the Raven “Nevermore.”

Il fatto è che nella teologia cristiana, come in quella ebraica, l'Eden a seguito della cacciata di Adamo e di Eva è uno sterile deserto abbandonato, non la sede delle anime salvate. Questa è la traduzione in italiano di Ernesto Ragazzoni (1870-1920), riportata su Wikisource e a mio avviso erronea:


«O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora!
per il ciel sovra noi teso, per l’Iddio che noi s’adora
di’ a quest’anima se ancora — nel lontano Eden, lassù,
potrà unirsi a un’ombra cara che chiamavasi Lenora!
a una vergine che gli angeli ora chiamano Lenora!»
                           Mormorò l’augel: «Mai più!».

Vediamo che addirittura within the distant Aidenn viene tradotto con nel lontano Eden, lassù. Diabole, è stato inventato un lassù che nel testo originale nemmeno esiste! Riporto una traduzione più letterale, anche se mi rendo conto che non sta nel verso e che non suona particolarmente bene:

"O profeta", dissi io "Cosa del Male! Ancor profeta, che tu sia uccello o diavolo!
Per il Cielo che si estende sopra di noi - per il Dio che entrambi adoriamo -
Di' a quest'anima carica di dolore, se, nel distante Ade,
potrà abbracciare una vergine santa che gli angeli chiamano Eleonora-
abbracciare una rara e radiosa vergine che gli angeli chiamano Eleonora."
    Disse il corvo: "Mai più". 

E infatti, subito nei versi successivi, si a riferimento a Plutone, che dagli Elleni era chiamato Ade: 

“Be that word our sign of parting, bird or fiend!” I shrieked, upstarting
“Get thee back into the tempest and the Night’s Plutonian shore!
  Leave no black plume as a token of that lie thy soul hath spoken!
  Leave my loneliness unbroken!—quit the bust above my door!
Take thy beak from out my heart, and take thy form from off my door!”
     Quoth the Raven “Nevermore.

Simili commistioni tra temi cristiani e pagani sono la norma nel mondo della poesia e non devono stupire più di tanto. Plutone-Ade è una costante in questa poesia di Poe: il corvo è considerato un suo emissario e il regno da cui proviene è ritenuto la destinazione ultima dell'ombra di ogni uomo. Per quanto vengano menzionati Dio e gli angeli, si capisce che sono soltanto parole vuote prive di qualsiasi significato. Siamo in presenza di un'adorazione di Dio affermata per pura convenzione sociale, quando si vede che la destinazione ultima dei morti non dipende dal loro comportamento terreno, essendo tutti quanti destinati a perdersi nella Tenebra. Nella traduzione di Ragazzoni, le menzioni del sovrano del Tartaro si moltiplicano: "o vecchio spettral corvo della tenebra di Pluto" (verso 46), "Quale nome a te gli araldi dànno alla corte del Re Pluto?" (verso 47), "ferale augel di Pluto" (verso 70), "feral, sinistro, magro, triste, infausto augel di Pluto" (verso 71), "torna ai baratri di Pluto!" (verso 98). 

Nella traduzione di Antonio Bruno, vediamo che ogni riferimento diretto a Plutone è stato rimosso, mentre Aidenn viene reso con Eden


Anche Francesca Diano traduce Aidenn con Eden, ma traduce "Night's Plutonian shore" con "lido plutoniano", obliterando il riferimento alla notte:


Paolo Rolleri rende "Night's Plutonian shore" con "sponda nella notte Plutoniana" e con "sponda della Plutoniana notte", avendo il buonsenso di lasciare Aidenn non tradotto:


Su Quora.com in lingua inglese un utente chiede: 


"What is the allusion for Aidenn in the raven by Edgar Allan Poe?" 

Questa è la risposta di Suzanne Spittal, che reputo forzata:

"Aidenn is the poetic spelling of Eden, this indicates the speaker is wishing to return to a time of innocence. He has lost the love of his life and cannot rid himself of the dark sorrow that surrounds him."

Il riferimento non è a un fantomatico ritorno all'età dell'innocenza, ma alla sopravvivenza degradata dalla coscienza umana come ombra nelle Tenebre Esteriori.

Siamo di fronte a un singolare abbaglio preso dai critici letterari, che hanno interpretato The Raven servendosi della traduzione di Aidenn come Eden riportata nei dizionari, ignorando bellamente la decisiva testimonianza di The Conversation of Eiros and Charmion. Se Aidenn è una forma poetica di Eden, è altrettanto vero che Poe, persona coltissima, l'ha usata scientemente per trascrivere il nome di Ade.  

Questo è riportato in una raccolta commentata di poesie di Edgar Allan Poe tradotte in tedesco, pubblicata da e-artnow Editions nel 2017 (non sono riuscito a risalire all'autore):


"Nach Einigen soll das in der drittletzten Strophe des Originalgedichtes vorkommende Wort »Aidenn« die Accusativ-Form des griechischen »Αιδης« sein und daher »Hades« bedeuten. Es scheint uns indessen durchaus nicht wahrscheinlich, daß dem Dichter ein Hades im Sinne der hellenischen Mythologie vorschwebte."

Traduzione:

"Secondo alcuni, la parola «Aidenn» nel terzo verso del poema originale dovrebbe essere la forma accusativa del greco «Αιδης» e quindi dovrebbe significare «Ade». Non ci sembra affatto probabile che il poeta avesse in mente un Ade nel senso della mitologia ellenica."

Devo essere sincero? A me sembra piuttosto vero il contrario.

mercoledì 3 ottobre 2018


THE BELIEVER

Lingua originale: Inglese, ebraico
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2001
Durata: 102 min (secondo altri 98 min)
Dati tecnici: Colore e B/N
Rapporto: 1.66: 1
Genere: Drammatico
Regia: Henry Bean
Soggetto: Henry Bean, Mark Jacobson
Sceneggiatura: Henry Bean
Produttore: Susan Hoffman, Christopher Roberts
Produttore esecutivo:
Daniel Diamond, Jay
    Firestone, Adam Haight, Eric Sandys
Casa di produzione: Fuller Films, Seven Arts
    Pictures
Fotografia: Jim Denault
Montaggio: Mayin Lo, Lee Percy
Effetti speciali: Drew Jiritano, Thomas Viviano,
    Andrew Mortelliti, Andrea Swistak
Musiche: Joel Diamond
Scenografia: Susan Block
Costumi: Alex Alvarez, Jennifer Newman
Trucco: Renee Di Dio, Renee Von Maluski, Angela
     Gallagher, Seth Lombardi
Interpreti e personaggi
    Ryan Gosling: Danny Balint
    Billy Zane: Curtis Zampf
    Theresa Russell: Lina Moebius
    Summer Phoenix: Carla Moebius
    Heather Goldenhersh: Linda
    A.D. Miles: Guy Danielsen
    Natasha Leggero: Valerie
    Joshua Harto: Kyle
    Elizabeth Reaser: Miriam
    Glenn Fitzgerald: Drake
    Sacha Knopf: Cindy Pomerantz
    Henry Bean: Ilio Manzetti
    Jordan Lage: Roger Brand
    Ebon Moss-Bachrach: Priaty
Doppiatori italiani
    Massimiliano Manfredi: Danny Balint
    Massimo De Ambrosis: Curtis Zampf
    Isabella Pasanisi: Lina Moebius
    Barbara De Bortoli: Carla Moebius
Budget: 1,5 milioni di dollari
Incassi al botteghino: 1,3 milioni di dollari, di cui:
    USA: 416.925 dollari
    Italia: 56.786 dollari
    Francia: 56.493 dollari
    Messico: 35.204 dollari
    Spagna: 743.908 dollari
    (Fonte: Box Office Mojo)
Riconoscimenti:   2001 – Courmayeur Noir in festival
    Premio Leone Nero al miglior film
  2001 – Festival cinematografico internazionale di Mosca
    San Giorgio d'oro
  2001 – Sundance Film Festival
     Gran Premio della Giuria

Trama:

Daniel "Danny" Balint è un neonazista suburbano, un giovane skinhead fanatico e violento che consuma la sua vita spettrale in una periferia desolata di New York. C'è soltanto un piccolo problema: Daniel Balint è ebreo. Aveva ricevuto un'educazione ortodossa e da bambino era uno studente di una yeshiva, ossia una scuola talmudica. Brillante e dotato di un intelletto molto acuto, si era fin da subito fatto notare per le sue interpretazioni non ortodosse delle Scritture. La sua idea portante era di una logica ferrea. Dio aveva comandato ad Abramo di sacrificare suo figlio Isacco, trattenendo all'ultimo la mano armata pronta ad uccidere. Tuttavia nel momento stesso in cui il patriarca aveva levato il coltello per compiere il sacrificio umano, era come se lo avesse compiuto davvero. Isacco era stato davvero ucciso e subito era resuscitato, dando però origine a una ferita insanabile, che aveva piagato gli Israeliti per sempre. Ogni ebreo mostrava i segni dell'accaduto e li avrebbe portati su di sé fino alla Fine dei Tempi. Ovviamente queste idee non piacevano all'insegnante di Torah, che litigava con il giovane eterodosso ogni giorno in modo furioso. La Verità compresa da Daniel non era colta né compresa dagli altri studenti, tutti stupidissimi e conformisti. Questa Verità possiamo scriverla a caratteri cubitali e incorniciarla. DIO È UN BULLO. Egli ti dice così: "Io sono tutto e tu non sei niente, per questo posso farti tutto ciò che voglio". Sì, il Dio Bullo può anche uccidere ogni persona, mutilarla, renderla invalida, renderla demente, colpirla con una malattia immonda, farla incarcerare, torturarla e perseguitarla in modo atroce. Non c'è scampo, non c'è riparo dall'arbitrio del Boia Cosmico. Come ci si sente a sapere di essere in balia di un mostro sadico? Ecco, Daniel Balint non ha retto a questa consapevolezza e ha iniziato la sua discesa agli Inferi, che lo porterà all'incontro col Mostro della Follia. Incurante dei dolori arrecati a suo padre e a sua sorella, gira per la città con una maglietta con una grande svastica, ricavata da una bandiera del Terzo Reich. Porta bene in evidenza anche un piccolo stemma delle SS su una spalla. La sua vita è violenta. Su un autobus si imbatte in uno studente ebreo, lo segue quando scende, gli tende un'imboscata, lo insulta e lo massacra di botte. Tuttavia qualcosa lo distingue da altri skinhead, la cui brutale esistenza si esaurisce nella mera fisicità, senza alcuna forma di pensiero nel cranio: egli cerca invece di trasmettere le proprie idee, di diffonderle come un virus. In questa sua ricerca Daniel si imbatte nel circolo neofascista guidato da Curtis Zampf e da sua moglie Lina Moebius, così inizia a partecipare alle riunioni. Quando parla delle leggi razziali naziste e della necessità dell'antisemitismo, tutti lo guardano come se fosse un extraterrestre. Il neofascismo di Curtis Zampf è più che altro una forma di politica identitaria, per certi versi simile a quello che oggi viene etichettato come "sovranismo". Questa dottrina auspica la decomposizione degli Stati Uniti d'America nelle comunità etniche che ne formano il tessuto sociale, ognuna sovrana e indipendente. C'è profondo scetticismo sull'odio antisemita, ritenuto una cosa del passato da superare, in grado soltanto di arrecare danni. Eppure i discorsi di Daniel, fondati sulla retorica del Mein Kampf, finiscono con l'affascinare il circolo di Curtis e della sua consorte. Entra in scena la figlia dei due coniugi, Carla Moebius, che è subito colpita dal giovane neonazista: se ne innamora perdutamente. Tutti sono colpiti dall'intelligenza acuta di Daniel nell'esporre i propri argomenti. Quando arriva a proporre l'uccisione del banchiere ebreo Ilio Manzetti, Curtis e Lina si oppongono recisamente. Tuttavia è chiaro che l'antisemitismo cova come brace sotto la cenere ed è tenuto nascosto persino in privato per paura dei delatori e di subire persecuzione. Per questo Curtis e la moglie investono molto nel ragazzo, arrivando a pagare la cauzione per lui e per i suoi compagni quando vengono arrestati per aver scatenato una rissa di strada con alcuni robusti Mandingo. I guai sono appena iniziati: il giornalista biondiccio Guy Danielsen, che sta scrivendo un articolo sui gruppi dell'odio, intervista Daniel e ascolta la sua dettagliata esposizione di rabbiose invettive antisemite, quindi gli rivela qualcosa di traumatizzante: egli ha scoperto la sua vera identità e ha anche contattato il rabbino Stanley Nadelman, l'insegnante che lo ha preparato al Bar Mitzvah. Daniel riesce a cavarsela estraendo la pistola e minacciando il suicidio. A questo punto Daniel viene invitato da Curtis e da Lina nel loro campo, dove numerosi neonazisti si radunano e si esercitano con le armi. Subito sa farsi valere. Accade però qualcosa di decisamente bizzarro. Egli ha una relazione con Carla Moebius, che finisce con dargli appuntamento nella propria stanza a mezzanotte, dicendogli di entrare dal balcone. Quando Daniel si reca all'appuntamento, vede la ragazza che copula con il padre nella posizione della cowgirl. Non ci sono dubbi: lei siede a cavalcioni sull'uomo, impalata dal suo fallo e a un certo punto riceve nella vagina lo sperma che l'ha generata! Sconvolto dall'incesto, il giovane si reca con i suoi compagni in un ristorante kosher, dove inizia ad attaccare briga. Ne scaturisce una rissa: lui e i suoi sodali, dopo aver chiesto di potersi ingozzare di prosciutto e di formaggio, le prendono e finiscono nuovamente in carcere. Il giudice dà loro una scelta tra un mese di carcere e un incontro con sopravvissuti all'Olocausto. I neonazisti scelgono la seconda opzione. Durante questo incontro accade qualcosa di decisivo. Gli anziani superstiti vengono scherniti più volte, tanto che l'assistente sociale minaccia l'interruzione della misura alternativa. A un certo punto uno di loro racconta che un soldato tedesco ha ucciso suo figlio di soli tre anni, trafiggendolo con la baionetta. Daniel è preso dalla furia e si chiede come l'uomo possa essere rimasto immobile, senza tentare di difendere il figlio. La moglie del sopravvissuto afferma che lui al suo posto avrebbe fatto lo stesso, non avrebbe avuto possibilità alcuna, o sarebbe stato annientato. Per il resto della sua vita, Daniel avrà terribili flash mentali, in cui si vedrà sia con le sembienze del soldato che con quelle del padre del bambino ucciso. Qualcosa in lui si sta incrinando. Liberato, Daniel torna dai suoi amici e insieme organizzano un attentato in una sinagoga. Entrano di notte nel tempio per piazzare una bomba sotto il pulpito. Durante il raid, Daniel cerca di impedire la profanazione dei rotoli della Torah, dando prova di conoscere il mondo ebraico. I compagni, che sono stolti bestioni, non riescono davvero a capire. La bomba si rivela un fallimento. Daniel porta a casa la Torah e ripara con cura i danni che ha subìto. Il fanatico Drake coinvolge il giovane nell'attentato al banchiere Manzetti, vantandosi di aver ucciso quattro ebrei. Così viene preparato un agguato, che non va a segno: Daniel manca il colpo. Drake lo accusa di aver fallito apposta e vede qualcosa di strano: un panno con caratteri ebraici che pende dal fianco del compagno. Ne scaturisce una lite e Daniel spara a Drake, pensa di averlo ucciso, quindi fugge nella notte. Anziché sbrogliarsi, la matassa si complica incredibilmente. Il tentativo di Curtis di far uscire alla luce del sole il suo movimento neofascista, l'incontro di Daniel con i suoi ex compagni di scuola, la sua relazione con Carla, che si fa da lui insegnare l'ebraico e arriva a frequentare la sinagoga. L'azione procede tra vari colpi di scena fino all'unico epilogo possibile: la nemesi del protagonista.

Recensione:

Un film da vedere e rivedere. Un capolavoro totale, che purtroppo non ha avuto i riconoscimenti che meritava. In fondo non dovrebbe stupire più di tanto se è stato un tale insuccesso. Le genti del mondo non sono in grado di comprendere argomenti troppo complessi. Non capiscono il modo di pensare degli Israeliti proprio come non capiscono la natura del Nazionalsocialismo e più in generale delle ideologie antisemite. Allo stesso identico modo. Banalizzano ogni cosa, proprio perché non è loro impossibile afferrare categorie troppo distanti da quelle che hanno ricevuto dall'ortodossia del pensiero unico politically correct. Per questo motivo l'opera di Henry Ban è andata incontro al disastro economico: un milione e mezzo di dollari spesi per produrre il film, soldi che poi non sono tornati nemmeno tutti indietro. All'appello mancavano duecentomila dollari e non è stato generato alcun nuovo reddito. Un vero peccato. L'ennesima occasione persa per dare fastidio al conformismo vigliacco delle masse acefale. Quando qualcuno è un genio, la vita in genere non gli si presenta facile, mentre è consentito a squallidi speculatori come i neoblogger e gli influencer di accumulare denari manipolando il vuoto assoluto, vendendo pataccate come i loro ridicoli brand. Nel Web anglosassone The Believer è ritenuto una vera e propria patata bollente e rifuggito come un'epidemia di peste. A quanto pare nessun distributore di una certa importanza ha voluto averci a che fare, dopo che una sua proiezione al Centro Simon Wiesenthal ha dato origine a vivaci proteste. Trasmesso qualche volta sulla TV via cavo, è stato cancellato in seguito agli attentati dell'11 settembre alle Torri Gemelle. Certo, non c'entra una cippa col fondamentalismo islamico, ma andatelo a spiegare ai Neocon! 

Daniel Balint e i pompini

Intervistato dal giornalista Guy Danielsen in un bar, il protagonista introduce un argomento che in genere viene taciuto. Comincia a parlare dei pompini! Innanzitutto chiede all'uomo dai capelli ricci color paglia se è mai stato a letto con una ragazza ebrea. Alla risposta affermativa, scava ulteriormente e vuole sapere se lei gli ha fatto un pompino. Ebbene sì, è proprio quello che è accaduto. La ragazza ha preso l'uccello in bocca al suo amante e lo ha succhiato, portandolo a schizzare lo sperma. A questo punto inizia l'astioso trattato di Daniel Balint sul sesso orale, da lui tecnicamente etichettato come una perversione. Egli sostiene che i pompini sarebbero stati inventati dal Popolo Eletto, che ne sarebbe ossessionato. Quindi accusa gli Israeliti di non essere in grado di penetrare e di aver quindi inventato questa forma di sesso, da lui considerata "infantile" e fondamentalmente "omosessuale". Fa l'elogio della copula, che definisce come il mezzo adatto per fare godere una donna. Per contro, i pompini sono in grado di manipolare l'uomo e di compromettere la sua integrità, riducendolo a un essere incapace di affermarsi. Questo pur ammettendo che ricevere il sesso orale è "molto piacevole" - segno che deve averlo sperimentato. A questo punto scatta la rappresaglia del biondo e occhialuto Danielsen, che tira fuori la scomoda faccenda del Bar Mitzvah e del rabbino Nadelman. Tutto ciò sembra essere passato inosservato, nonostante sia ben raro che in un film si arrivi a parlare esplicitamente dei pompini e ancor più raro che li si condanni. Sarebbe il caso di compiere un approfondito studio antropologico sull'argomento "estremisti di destra in USA e pompini". Ci si potrebbe fare una tesi di laurea. Peccato che gli antropologi non ritengano queste cose degne di interesse. Una volta mi è capitato di trovare nel famoso sito Stormfront.org un commento di un tale che in sintesi condannava i pompini perché "piacciono da morire agli ebrei". Non so fino a che punto sia diffuso questo bizzarro pacchetto memetico che associa la cultura ebraica alla pratica del sesso orale. Ogni tanto capita di imbattersi nei forum pornografici americani in narrazioni di uomini che non amano farsi fare i pompini. Per indagare è sufficiente digitare in Google stringhe del tipo "men who don't like blowjobs". Si trovano resoconti davvero molto morbosi. Ricordo di aver letto di una ragazza che si lamentava del fatto che il suo ex la allontanava ogni volta che lei cercava di avvicinare la bocca ai suoi genitali. Sospirava, affermando di non essere riuscita a farglielo nemmeno una volta. Un'altra era una milf che ha raccontato di aver avuto un incontro occasionale in un bar con un uomo che non le ha permesso di prenderglielo in bocca e si è limitato a copulare more ferarum. Come lei ha cercato di convincerlo a farlo spruzzare nella sua bocca, lui l'ha spinta via e ha emesso il seme nel vuoto. In genere nelle comunità online testimonianze di questo tipo destano grande scalpore. Una milf scandalizzata ha paragonato l'uomo che non ama i pompini al bigfoot, ossia a una creatura inesistente. Non so però dire se le motivazioni alla base di questi strani episodi siano collegate in qualche modo all'estremismo di destra. Erano questi uomini neonazisti? Erano membri del Ku Klux Klan? Non ho prove sufficienti per affermarlo. In alcune narrazioni da me rinvenute nel Web, il rifiuto della fellatio era connesso a brutte esperienze con donne inesperte che sfregavano il glande con i denti: queste occorrenze vanno quindi espunte dalla casistica. Nel film di Bean, vediamo la sensuale Carla Moebius con le labbra che le fremono dalla libidine, tanto è presa dalla voglia di succhiarlo a Daniel. Ci sarà riuscita?   

L'ultimo monologo di Daniel Balint

L'atteso discorso dell'agitatore neonazista inizia in un modo assolutamente inatteso, che trasforma ogni astante in una statua di sale come la moglie di Lot. Questo è l'incipit: "SHEMA YISRAEL!" Già alla prima emissione salmodiata di quei fonemi si registrano reazioni di grande sconcerto e di insofferenza tra il pubblico, che reagisce come un gruppo di musulmani riuniti in una moschea in cui fosse trascinato all'improvviso un grosso porco estinto tutto coperto di sterco. C'è persino un afroamericano, che contorce le narici quasi per sfuggire ai lezzi di un fantomatico stronzo. La grande ipocrisia di quella congrega è degna della massima stigmatizzazione. L'incestuoso Curtis Zampf, fottitore della propria figlia, voleva fondare un partito neofascista alla luce del sole e invitare ai dibattiti ebrei come Noam Chomsky, appoggiando al contempo la diffusione dell'antisemitismo. Poi Daniel Balint col suo genio folgorante gli rompe le uova nel paniere! Senza mezzi termini, spiazza tutti dicendo che bisogna amare gli Ebrei, in modo incondizionato e non ipocrita. Dice che bisogna accoglierli, che l'integrazione è la sola arma in grado di neutralizzarli. Poi passa a spiegare le ragioni del suo sentire. L'antisemitismo è ciò che ha permesso nei secoli la conservazione dell'identità ebraica. Senza l'antisemitismo, non esisterebbero più Israeliti da tempo, perché avrebbero contratto matrimoni misti e avrebbero smarrito la propria cultura, il proprio senso di alterità. La peggior maledizione per il Popolo Eletto è proprio questa. "Vi perderete voi tra le genti", minaccia il Signore degli Eserciti, pieno d'ira. Per evitare questo destino di annientamento peggiore della morte stessa, l'ostilità dei Gentili è un prezzo che è necessario pagare, anche se comporta oppressione, omicidi e pogrom. Senza l'Olocausto, lo Stato di Israele non sarebbe mai esistito, le ciance di Theodor Herzl non sarebbero bastate a far tornare gli Ebrei alla Terra Promessa. Questi concetti, perfettamente razionali e corrispondenti alla realtà dei fatti, non sono capiti dal pubblico, che rumoreggia pieno di sdegno. Tutti si aspettavano da Daniel qualcosa di elementare nella sua banalità, un discorso ventrale e crepitante, privo di concetti e ricco di bile. Invece ecco una vera e propria sfinge, in grado di far crollare l'intero edificio su cui si regge l'estremismo di destra.

Daniel Balint e Daniel Burros

Il regista-sceneggiatore e il suo collaboratore Mark Jacobson hanno preso spunto da una storia vera, quella di Daniel Burros. Questa è la sintesi apparsa sul Jerusalem Report:

"The film has its roots in a true story. Daniel Burros was a nice Jewish boy from Queens who somehow went from being his rabbi's star pupil to a hotheaded proponent of the long-defunct Third Reich. After a stint in the Army, he became involved with the American Nazi Party and the Ku Klux Klan. In 1965, following Burros' arrest at a KKK event in New York City, the New York Times disclosed that he was Jewish. Hours after the paper hit the stands, Burros took his own life."

Questa è una traduzione per coloro che ancora non hanno nozione alcuna della lingua inglese:

"Il film ha le sue radici in una storia vera. Daniel Burros era un bravo ragazzo ebreo del Queens che per qualche motivo divenne da pupillo del suo rabbino a impetuoso proponente del Terzo Reich, da tempo defunto. Dopo un periodo nell'esercito, venne coinvolto nel Partito Nazista Americano e nel Ku Klux Klan. Nel 1965, in seguito all'arresto di Burros a una manifestazione del KKK a New York, il New York Times ha rivelato che egli era ebreo. Qualche ora dopo l'uscita del quotidiano, Burros si è tolto la vita."

La vicenda terrena di Daniel Burros non è un infetto parto della mia fantasia. Vien voglia di sbattere l'accaduto in faccia a coloro che reputano impensabile che un ebreo possa essere al contempo un antisemita viscerale. Al momento non mi è dato sapere se il bravo ragazzo del Queens odiasse i pompini come il protagonista del film di Bean, salvo poi farseli fare ugualmente.

La sindrome dell'ebreo che odia se stesso

C'è una cosa molto singolare che Daniel Balint riporta ai suoi stupidissimi compagni appartenenti al White Trash. Adolf Eichmann conosceva bene la Torah e il Talmud. Conosceva perfettamente la lingua ebraica e si districava nella complessa terminologia, che disorienterebbe chiunque. Eichmann sapeva tutto. Come spiegarsi questa cosa? Semplice: il genocida, poi rapito dal Mossad e processato in Israele, era un ebreo rinnegato, proprio come Daniel Burros. La cosa non deve stupire: vi erano numorosi Mischlinge in posti chiave del Partito. Sappiamo che Eichmann è un cognome nobiliare tedesco, di per sé non tipico di discendenti di Abramo. Probabilmente è il ramo materno a riservare grandi sorprese. Anche se Daniel non lo menziona, possiano analizzare in breve anche il caso di Reinhard Heydrich, rimandando a una successiva e più approfondita trattazione. Colui che fu chiamato "La Bestia Bionda" o "Un giovane e crudele Dio della Morte" in un'occasione si ubriacò e fu sentito inveire davanti a uno specchio, maledicendo il suo "ebreo interiore". Suo padre parlava alla perfezione lo Yiddish e in più occasioni raggelò in presenti, che iniziarono a domandarsi chi fosse realmente. A scuola era bullizzato in modo pesante: lo soprannominavano "Moshe Heydrich" e "Süss l'Ebreo". Tra gli stessi membri del Partito era noto come "Mosè biondo". Chiaramente il mondo è pieno di persone pronte a fare l'impossibile per screditare chi menziona questi dati di fatto. Quella del bullismo subìto è stata un'esperienza comune ad Adolf Eichmann. Si vede quanto il bullismo sia devastante. Anziché essere combattuta con la massima severità, questa piaga è sempre stata tollerata da insegnanti che sono anche complici. I nodi però alla fine vengono al pettine. Gratta un uomo che ha subìto bullismo e potresti trovare un potenziale genocida. Non esito a dichiarare che se per uno scherzo del destino avessi davanti a me la fatidica valigetta del Presidente degli Stati Uniti d'America, darei immediato avvio alle procedure per il lancio di tutto l'arsenale nucleare, senza nemmeno un istante di esitazione.

Ain Soph, il Nulla senza confini

In un'intervista trasmessa sui canali televisivi all'indomani del fallito attentato alla sinagoga in cui era stata collocata una bomba inesplosa, il rabbino afferma che Dio è intervenuto per salvare la comunità. Le sue parole sono sorprendenti, perché chiama Dio con l'epiteto Ain Soph, spiegato come "Il Nulla senza confini". Si converrà che è una cosa ben strana. Come può un capo religioso assimilare Dio a una condizione che legenti reputano essere sinonimo di non esistenza? La locuzione Ain Soph (varianti ortografiche Ayin Sof, Ein Sof, etc.) la tradurrei più propriamente come "Senza confini", anche se la glossa "Il Nulla senza confini" è frequentemente riportata. L'argomento rabbinico è molto sofisticato: Dio è inassimilabile a qualsiasi cosa concepibile da mente umana, quindi persino allo stesso concetto di esistenza. Sarebbe impossibile riassumere qui la complicatissima teologia che sta alla base di queste definizini. Perché Bean e Jacobson hanno voluto fare menzione di questo aspetto di certo incomprensibile alla maggior parte degli spettatori? Bisogna arrivare al finale del film per capirlo. 

Visione di pre-morte

Poco prima di morire a causa dell'esplosione della bomba collocata sotto il pulpito della sinagoga durante lo Yom Kippur, Daniel Balint ha una visione molto significativa. Sale le scale dell'edificio della yeshiva e a ogni piano incontra il suo insegnante. L'uomo gli dice che ha riflettuto sulla teoria eretica di Isacco morto e resuscitato, giungendo ad accettarla. La sequenza sembra quella di un loop infinito: Daniel, il cui corpo è quello che aveva al momento della morte - non è più il bambino ribelle - è intrappolato negli stessi fotogrammi ad ogni piano. Questo finché a un certo punto il circuito temporale chiuso sembra rompersi. Egli arriva a un piano in cui qualcosa cambia: filtra dall'alto una strana luce. L'insegnante lo avverte che là in alto non c'è nulla. C'è il Nulla.

Riflessioni conclusive

In nessun modo il giovane ebreo che odia se stesso è riuscito a superare il monoteismo, a lasciarsi alle spalle l'idea secondo cui tutta l'esistenza risale a un unico principio, a un unico Creatore. Se avesse compiuto questo salto, sarebbe diventato un Manicheo. A volte si ha l'impressione che mancasse poco, ma questa trasformazione gli era impossibile a causa della sua educazione teologica, che lo ha spinto in un vicolo cieco.