domenica 23 dicembre 2018

NOTE SUL LAVORO DI SAMARIN

William J. Samarin (Università di Toronto, Dipartimento di antropologia) è l'autore dell'articolo Variation and variables in religious glossolalia, ossia Variazioni e variabili nella glossolalia religiosa


Questo è l'abstract, da me tradotto: 

Le spiegazioni psicopatologiche ipersemplificano la glossolalia religiosa. Una analisi dell'uso della glossolalia rivela che il parlante manipola le variabili linguistiche con notevole delicatezza in risposta al ruole, allo scopo dell'atto linguistico, e all'impostazione dell'atto linguistico. Esaminata da un punto di vista culturale, la glossolalia è un'altra "lingua" nel repertorio linguistico dei Pentecostali.

Cosa più unica che rara, il valente Samarin ci fornisce due testi glossolalici raccolti nel corso delle sue ricerche. Sono i seguenti:

Preghiera nella lingua glossolalica A:

k'olamàsiándo labok'à tohoriəmasí làmo siándo labok'à t'ahàndoria lamo siàndo k'oləmasí làbosiándo lakat'ándori lamo siàmbəbə k'ət'ándo lamá fià lama fiàndoriək'o labok'an doriasàndó làmo siándoriako làbo siá làmo siandó làbak'án doria lamà fiá lama fiàndolok'oləməbəbəsí ləbo siàndó lamà fiat'andorià lamok'áyəmasi labo siàndó.

Preghiera nella lingua glossolalica B: 

mabasándo kotándəhokət'àmbasí lamáhka kàndəhɔndo lahàmbak'àhiamàsí məhàma kəttəhándo kɔhómasi màkətahándo kahámbasì mósiahànto kohòmbà mahápəkəhàndohə`i làmbòsìhàndò kohómbà làhambakatì yahàməsí mópəsiyàndo kotáhando làmasì papakàndo lámasià làšohóndo kotambà babàsì lamasapɔ`nmotiakó labàsandó másiàndo k'ət'àndorí. 

Note sulla trascrizione fonetica dei testi: 

I caratteri non sono del tutto compatibili con la trascrizione IPA. Non si capisce bene il significato degli accenti, che dovrebbero codificare informazioni sul tono. Nel secondo testo compaiono due caratteri vocalici che sfidano le possibilità delle macchine: lo schwa con l'accento grave e la vocale aperta ɔ con l'accento grave. Siamo stati costretti a renderli rispettivamente con ə` e con ɔ`, sperando che questa scelta non ingeneri confusione nei lettori. Non si confondano tali segni con l'apostrofo ', che dovrebbe marcare la pronuncia aspirata delle consonanti occlusive. Le descrizioni fonologiche fornite dallo stesso Samarin mi paiono insufficienti; non mancano tuttavia di evidenziare peculiarità ben bizzarre, come la natura sonora dell'aspirazione trascritta con la lettera h.

La natura della lingua A e della lingua B

Secondo l'informatore linguistico di Samarin, un credente pentecostale, i due testi sarebbero redatti in due lingue del tutto diverse. Infatti il glossolalico ha invocato il Signore perché gli conferisse la capacità di formulare la stessa preghiera in una lingua (B) completamente diversa da quella che aveva appena usato (A). Samarin sostiene che la pronuncia delle due lingue fosse molto diversa sia a livello di realizzazione dei fonemi che a livello di prosodia. Ecco le parole con cui lo studioso descrive la strana situazione:

"Questi due testi sono molto simili nell'inventario fonologico. Una delle differenze è che A ha [f] ma non [p] mentre B ha proprio l'opposto. Ci sono anche differenze nella frequenza dei suoni: per esempio, B ha molto poche occlusive aspirate sorde [']. Cosa ancor più sorprendente, ma non evidente da questa trascrizione, è il fatto che le vocali di B sono solo lievemente dittongate in confronto a quelle di A e che ci sono differenze di ritmo e di tono: A tende a essere sincronizzato sull'accento, mentre B a essere sincronizzato sulla sillaba; in A il tono è distribuito in profili intonativi, mentre in B l'impressione che uno ha è quella di una lingua dal registro tonale. Sono questi tipi di differenze che caratterizzano le varietà di lingue descritte sopra. In questo caso il parlante crede di utilizzare due lingue."

Questo è quanto sostiene il credente: 

`Dio mi ha dato diverse manifestazioni dello Spirito in diverse occasioni... Sto chiedendo al Signore di darmi un'altra lingua che è del tutto diversa dalla lingua che ho appena parlato [ossia quella del testo A]... "Padre, noi ti chiediamo ora, che tu voglia... concedere questa manifestazione del tuo Spirito Santo in una lingua completamente diversa".´

A me pare piuttosto che si tratti di due varianti della stessa lingua. Forse due "dialetti", posto che il termine abbia senso compiuto per le produzioni glossolaliche. Cosa mi spinge a formulare questa idea? Innanzitutto non posso fare a meno di rimarcare il fatto che molti morfi sono comuni ai due testi. Tra questi morfi abbiamo sia radici che suffissi. Così il morfo lamV compare in entrambe le lingue: nella lingua A abbiamo làmo, lamo, lamà, lama, anche in una concatenazione complessa come lamok'áyəmasi; nella lingua B abbiamo lamáhka, làmasì, lámasià e lamasapɔ`nmotiakó. Si noterà poi l'elemento -ndo (e varianti), che ha tutta l'aria di essere pertinente alla morfologia e che accomuna i due testi. Anche l'elemento -masí / -basí (e varianti) si direbbe un suffisso comune. Purtroppo quello che ci manca è la cosa più importante di tutte: la traduzione dei morfi, ossia la loro conversione in lessemi. 

I testi pentecostali trascritti e pubblicati dall'autore prensentano alcune caratteristiche stupefacenti, che accomunano gran parte delle produzioni glossolaliche: mostrano ad esempio una certa predilezione per le sillabe aperte e una quasi totale assenza di consoonanti finali di parola. Troviamo infatti soltanto labok'an e làbak'an (evidentemente due varianti della stessa identica parola) nel brano nella lingua A, con una semplice -n finale. Per il resto, ci sono soltanto parole con una sillaba aperta finale, terminante in vocale semplice o al massimo in dittongo. Come ci spieghiamo questa peculiarità? Esiste forse una fonte comune da cui quasi tutte le glossolalie sono tratte? Il quasi è d'obbligo: nelle glossolalie da me prodotte i gruppi consonantici complessi sono la norma e le parole con consonanti finali sono comunissime. Certo, il fatto di non essere un pentecostale aiuta di sicuro. 

NOTE SUL LAVORO DI COOPER

Peter D. Cooper (Australian National University, Australia, ricercatore invitato) è l'autore dell'articolo The Multiverse Paradox: Infinite Parallel Universes Are Impossible  (Il paradosso del multiverso: infiniti universi paralleli sono impossibili), pubblicato su Cosmology, 2015, Vol. 19. pagg. 62-68 (sito web Cosmology.com, 2015). Il lavoro può essere consultato e scaricato comodamente in formato .pdf a questo indirizzo url:


Questo è l'abstract, da me tradotto:

Ogni universo parallelo in un Multiverso infinito dovrebbe essere non meno improbabile del nostro universo incredibilmente implausibile. La probabilità che un tale Multiverso esista per caso eguaglia il prodotto di un numero infinito di valori inferiori all'unità, che è zero. È discusso brevemente il concetto che la Coscienza possa essere una dimensione di un Universo addizionale alle tre dimesnioni spaziali e al tempo.

L'autore tratta il problema delle sei costanti fisiche universali da cui dipende l'esistenza della biologia sulla Terra, e quindi anche del genere umano. Così esse sono descritte nell'articolo, spero che nessuno mi lincerà se il linguaggio non è rigoroso: 

   1) N: esprime l'importanza relativa della gravità e delle forze elettrostatiche nella materia ordinaria. Se la gravità fosse troppo forte, l'universo sarebbe troppo piccolo e il tempo troppo breve per l'evoluzione. Se la gravità fosse troppo debole, l'universo sarebbe troppo vasto e il tempo troppo lungo per l'evoluzione.
   2) Ɛ: riguarda l'energia legata alla massa (E = mc2) nei legami interni dei nuclei atomici e l'energia rilasciata in un'esplosione atomica. Al di fuori di certi limiti, le stelle non potrebbero produrre atomi necessari per la vita.
  3) Ω: numero cosmico, che misura la quantità di materia nell'Universo espressa come frazione di una massa critica. Se questo numero fosse maggiore o uguale a 1, l'Universo sarebbe collassato da lungo tempo; se invece fosse molto minore di 1, le galassie non si sarebbero potute formare. 
   4) λ: costante cosmologica. Funziona da antigravità cosmica, che restringe il tasso di espansione cosmica. 
  5) Q: rapporto di energia richiesto per disperdere un grande ammasso galattico alla sua energia totale calcolata come E = mc2. Governa la trama (irregolarità) o il tessuto dell'Universo: se il suo valore fosse più piccolo, l'Universo sarebbe inerte e senza struttura. Se fosse più grande, l'Universo sarebbe così violento che le galasse e le stelle non potrebbero sopravvivere.
   6) 3: è esattamente il numero di dimensioni spaziali del nostro Universo. 

Cooper inizia subito a presentare queste cose come manifestazioni di miracolismo prodotte da quella che chiama Mente Creativa Cosmica, ovviamente ritenuta "benigna". Siamo ancora una volta di fronte all'argomento del fine-tuning (regolazione fine), che già abbiamo avuto la ventura di dover affrontare. Ecco l'articolo in questione:


L'inconsistenza dell'argomento di Cooper è manifesta. Come tutti i sostenitori del creazionismo cristiano tanto popolare nel mondo anglosassone, egli applica a sproposito i concetti della matematica e della fisica. Il suo ragionamento è abbastanza semplice. Siccome il Multiverso è una collezione di infiniti universi, ciascuno dei quali è caratterizzato da propri parametri definitori di per sé improbabili, ne consegue che la sua probabilità è nulla. Questo perché la probabilità del Multiverso è data dal prodotto delle infinite probabilità piccolissime di tutti gli universi che lo compongono. Quando si parla di probabilità, occorre sempre fare una certa attenzione, per non prendere cantonate sesquipedali. In un certo senso Cooper si mostra abbastanza simile al greco Zenone, che non era in grado di comprendere come la somma di infiniti termini potesse essere un numero finito, condannando Achille e una povera tartaruga alla paralisi eterna. Il punto è che nella teoria da cui il Bottaio d'Australia trae spunto, i fattori decisivi per ciascun universo sono soltanto sei numeri, non infinità di configurazioni subatomiche inconoscibili. I nostri stessi corpi sono il prodotto di molte improbabilità, eppure - dal momento che esistono - la loro natura non è in discussione: è piuttosto un punto di partenza per ogni ulteriore filosofare.

L'esempio che userò per mostrare le mie perplessità ha un netto sapore scatologico. Il nostro buco del culo è di per sé il prodotto di un'accurata opera di fine-tuning. Se anche solo un parametro definitorio fosse fuori posto, ci troveremmo tra le chiappe un fetidissimo calderone di pus e di decomposizione che ci renderebbe la (breve) vita un inferno insopportabile, facendoci perire di setticemia tra sofferenze atroci. Puzzeremmo come carogne a distanza di metri, e non varrebbe cura igienica per mitigare tale sfacelo. Invece vediamo che nella nostra realtà fisica esiste un equilibrio tra la flora batterica delle feci e quella della regione anale, tale da impedire le infezioni e da permettere una rapida rimarginazione delle lesioni. Certi buchi del culo poi sono così attraenti e belli che si prova il desiderio di leccarli con voluttà. Ecco, senza il fine-tuning anale, potrebbe il deretano della fulva Faye Reagan essere come un bocciolo di rosa? No di certo. Vediamo dunque all'opera le meraviglie della Creazione! Il Creatore avrebbe potuto privarci della bellezza di quella fanciulla dalle chiome rosse e del desiderio di baciarla là dove il sol tace.   

Conclusioni:

Evidentemente il Multiverso, se esiste, non può esistere per caso. Questo però non è una prova delle dottrine monoteiste. In altri termini, se anche fosse provata l'esistenza di un'infinita collezione di universi paralleli, questa mostruosità sarebbe un prodotto artificiale di origine inconoscibile; non sarebbe per necessità la fabbricazione di un'entità benevola. Anzi, ci appare in tutta la sua aberrazione come l'opera di un'entità infinitamente beffarda e maligna, a cui possiamo dare l'attributo di Boia Cosmico. Conclusione che di certo lascia esterrefatti i biofili sostenitori di Pangloss, dimostrando - se ancora ce ne fosse bisogno - l'assoluta insufficienza dell'intelletto umano di fronte al funesto mistero dell'esistenza che lo intrappola.

Cosa di per sé abbastanza bizzarra, esiste un quasi omonimo di Peter D. Cooper, certo Barry Cooper, anche lui un accademico che tra le altre cose si interessa del problema del multiverso. È un matematico inglese di Leeds, dal volto pingue, con i capelli fluenti e chiarissimi che gli conferiscono una vaga somiglianza con il patrono del Regno Unito, Sir Jimmy Savile.

NOTE SUL LAVORO DI GENTA-GENTA BONELLI

Giancarlo Genta (Politecnico di Torino) e Franca Genta Bonelli sono gli autori del saggio Il silenzio dell'universo: La ricerca delle intelligenze extraterrestri  (I ed. maggio 2016), pubblicato da Edizioni Lindau nella collana I Delfini. Il codice ISBN è 978-88-6708-557-6.

Questa è la sinossi, riportata su svariati siti nel Web:  

L'idea che l'uomo non sia l'unica forma di vita nell'universo è molto antica, ma è solo dagli anni '60 del '900 che l'argomento, da oggetto di speculazione filosofica e teologica, è divenuto centro di serie indagini scientifiche da parte della bioastronomia e dell'astrobiologia.
Nonostante la scienza proceda con cautela e i risultati delle ricerche siano stati fino a oggi piuttosto deludenti, l'opinione pubblica pare non avere dubbi: varie stirpi di extraterrestri visiterebbero il nostro pianeta intrattenendo contatti con gli umani; tracce del loro passaggio sarebbero chiaramente rintracciabili in fonti storico-archeologiche; e per di più, ciò sarebbe ben noto ai governanti del mondo che terrebbero nascosta la verità per sete di potere.
Ma è veramente possibile oggi dare risposta alla domanda: «Siamo soli nell'universo?».
Attraverso un'approfondita analisi scientifica e storica, demistificando le più diffuse idee sull'argomento, e senza rinunciare a un tocco di ironia, gli autori fanno chiarezza su un tema attualissimo e quanto mai controverso, che in realtà tocca il profondo desiderio dell'uomo di varcare i confini del conosciuto.
 


È possibile leggere in parte il volume su Google Books, seguendo questo link: 


Anche se alcune pagine non sono disponibili per motivi di copyright, vale comunque la pena di leggere quanto disponibile e quindi di acquistare il volume. Questo è l'indice dell'opera, tratto dal sito degli autori: 


Indice 

Introduzione: e se non ci fosse nessuno?
Capitolo 1: Alieni, dei, eroi e filosofi
Capitolo 2: Alieni e scienziati
Capitolo 3: Extraterrestri e religioni
Capitolo 4: L’Universo
Capitolo 5: La vita
Capitolo 6 La vita nell’Universo
Capitolo 7 L’intelligenza
Capitolo 8: La ricerca delle intelligenze extraterrestri
Capitolo 9: Come saranno?
Capitolo 10: La possibilità di un contatto
Epilogo 

Lo stesso Giancarlo Genta è anche autore di un altro trattato, pubblicato qualche anno prima, nel 2009. Si tratta di Incontri lontani: alla ricerca delle intelligenze extraterrestri, sempre pubblicato da Edizioni Lindau, nella collana I Draghi. Il codice ISBN è 978-88-7180-834-5. 

Descrizione, presente in vari siti nel Web: 

Una delle prime menzioni degli "extraterrestri" (intesi nel senso moderno del termine) risale a Keplero. Prima i pianeti non erano considerati mondi abitabili. Oggi sappiamo che i pianeti del sistema solare, a eccezione della Terra, non ospitano alcuna forma di vita, neppure a livello microscopico. D'altra parte, perché la Terra dovrebbe essere un unicum? Questa contraddizione è uno dei problemi scientifici più grandi del XXI secolo. "Incontri lontani" è un'analisi di questa "aporia" e delle sue implicazioni.

Per maggiori dettagli si rimanda al sito dell'autore: 


Il silenzio degli spazi siderali non è cosa che possa essere nascosta alle genti. L'enormità delle sue conseguenze è spaventosa, al punto che si possono considerare vani i tentativi di spiegarlo in qualche modo razionale, se non con l'assoluta sterilità dei pianeti extrasolari. Eppure Giancarlo Genta si dimostra profondamente ottimista non soltanto sulla possibilità dell'esstenza di civiltà extraterrestri, ma anche sulla benignità sostanziale della loro natura. A tal punto giunge il suo umanesimo cosmico da fargli ritenere che avverrà un giorno un incontro non già tra umani e alieni, bensì tra umani della Terra e umani di altri sistemi stellari. Del resto non dobbiamo dimenticare un particolare non irrilevante: il professor Genta riveste il prestigioso incarico di direttore del Centro Italiano Studi SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence). Naturale quindi che in lui alberghi una robusta dose di biocentrismo panglossiano e che gli sia del tutto estraneo il senso di totale inanità dell'esistenza. Altrettanto vero è che il progetto SETI,  che è l'equivalente del sacerdozio per quanto riguarda la ricerca di forme di vita intelligente nel cosmo, non ha finora ottenuto grandi successi - più o meno come i sistemi proposti da Napoleone Bonaparte per far ricrescere le chiome ai calvi. E se non ci fosse nessuno? Questa è la fatidica domanda con cui si apre Il silenzio dell'universo. Non consideriamola mai una semplice domanda retorica, perché potremmo essere presto chiamati a dar conto di una realtà tanto scomoda e terrificante, impegnando le nostre migliori risorse filosofiche. Rimando a questo punto a un mio precedente articolo, pubblicato su questo stesso portale: 


L'ingegno umano è sempre pronto a macchinare per evitare l'horror vacui. Così vediamo soluzioni ridicole al Paradosso di Fermi come quella proposta da Edward Snowden, che annuncia trionfalmente: "I messaggi alieni sono criptati". Tutte le civiltà extraterrestri, a sentire questo individuo, avrebbero come necessità fondamentale la privacy, che li porterebbe a proteggere le loro comunicazioni emettendo segnali criptati. Proteggerle da chi, di grazia? A meno che tutte le galassie non fossero un pullulare di civiltà fanatiche dei messaggi criptati, che cercano senza sosta di fregarsi l'un l'altra, tutto ciò non si potrebbe comprendere. Non sembra qualcosa di molto verosimile, non più di quanto lo sia Mickey Mouse. Sulla forza evolutiva cosmica che spingerebbe migliaia di civiltà diverse ad adottare la stessa identica strategia, quando già solo sulla Terra fatichiamo a capirci tra noi, Snowden tace. La pretesa che tutti nelle immensità condividano un'unica mentalità, compatta e assoluta, fa ridere anche i polli... e i Puffi!

Una situazione ipotetica

Immaginiamo che la vita si sia evoluta in modo autogeno nella nostra galassia soltanto 15 volte e che la situazione sia questa:

i) 6 civiltà estinte per cause naturali indipendenti dalla loro azione (eruzioni vulcaniche, eruzioni solari, supernovae, etc.)
ii) 5 civiltà estinte per aver esaurito le risorse, contaminato l'ambiente o come esito di una guerra
iii) 3 civiltà ancora esistenti oltre alla nostra, di cui:
  a) una civiltà a un livello corrispondente a quello descritto nell'Iliade, a 1.100 anni luce da noi
   b) due civiltà a un livello corrispondente al nostro medioevo, a 16.000 e 34.000 anni luce da noi rispettivamente
   c) la nostra civiltà.

In condizioni simili, il silenzio sarebbe più che comprensibile. Eppure tutto quanto sappiamo ci porta a pensare che il quadro da me delineato sia già di uno spaventoso quanto ingenuo ottimismo. Quando ero una matricola irrequieta, la planetologia era forse la scienza dal panorama più desolato: poteva avvalersi soltanto di pochi casi di studio, ossia i pianeti del nostro sistema. Adesso le cose sono cambiate. Più si arricchiscono le nostre conoscenze sulla planetologia extrasolare - e accade a un ritmo vertiginoso - più matura la convinzione che la vita si sia evoluta in modo autogeno soltanto una volta nell'intera Via Lattea. Forse non sono sorti altrove nemmeno residui di aborti di biologia virale o batterica. 

Convergenza nella natura degli esseri senzienti 

Quante volte ho desiderato la venuta di un grande Genocida Cosmico, in grado di annientare la vita sulla Terra! Ogni volta che qualcosa mi indispettiva, questa era la mia reazione: "Possa giungere uno sterminatore, tale da fare impallidire Hulagu Khan, tale da ridurre all'ombra di un'ombra il fantasma di Adolf Hitler!" La mia preghiera non è mai stata esaudita. Il sospetto è che mai lo sarà. I biofili possono tirare un respiro di sollievo: ci distruggeremo da soli senza alcun intervento esterno. Eppure non sarebbe così illogico pensare all'esistenza di civiltà genocidarie nelle vastità delle galassie: se altri esseri senzienti esistono, saranno sì umani di altri mondi, come sostiene il professor Genta: proprio per questo saranno lupi voraci e devastatori, aventi come unico fine la predazione e l'annientamento di qualsiasi possibile concorrente. Forse l'intera questione è oziosa: le condizioni che hanno portato al formarsi della muffa chiamata biologia sul nostro pianeta potrebbero non essersi verificate altrove, nemmeno una volta nella storia universale.   

Statistiche desolanti  

Riporto a questo punto una mia riflessione di qualche tempo fa, nel tentativo di ridurre alla razionalità il brivido della solitudine cosmica: 

Ammettiamo che nella Via Lattea vi siano 250 miliardi di stelle. Sia P la percentuale di stelle della Via Lattea attorno a cui ruota un pianeta su cui esiste una civiltà tecnologica. Vediamo quante civiltà ci sarebbero per diversi valori di P: 

P = 10% => 2,5 miliardi di civiltà
P = 1% => 250 milioni di civiltà
P = 0,1% => 25 milioni di civiltà
P = 0,01% => 2,5 milioni di civiltà
P = 0,001% => 250.000 civiltà
P = 0,0001% => 25.000 civiltà
P = 0,00001% => 2.500 civiltà
P = 0,000001% => 250 civiltà
P = 0,0000001% => 25 civiltà 


È necessario andare avanti? Abbiamo un'idea di cosa accadrebbe se ci fossero migliaia di civiltà nella galassia? Sarebbe tutto un pullulare di segnali e di altre tracce.
P.S. Per fare un confronto, nella fantomatica e affollatissima galassia di Star Wars si contano al massimo 250 civiltà diverse, anche se sparse su molti mondi. 


L'amico Alessio Brugnoli ha risposto: "Sì, ma la vita non coincide con la civiltà tecnologica, che sicuramente è poco diffusa, almeno nella porzione di Galassia adiacente alla nostra. :)" 

L'estrema inospitalità sembra una costante nel cosmo. Visti i pianeti che continuiamo a trovare, la vita consisterà al massimo in pochi batteri estremofili o in qualche tardigrado attorno a un vulcano in un oceano ctonio di una superterra ghiacciata - la cui scoperta sarebbe seguita da trent'anni di dibattiti tra accademici soporiferi come Piero Angela, per stabilire se si tratti davvero di forme aliene o di prodotti di contaminazione portati dalle sonde. E sarebbe già una gran fortuna! Per quanto riguarda la scarsa diffusione della civiltà tecnologica, diciamo pure che è nulla. 

Queste riflessioni riescono mortificanti a me per primo, data la mia grande passione per la fantascienza. Diciamo che la scoperta degli esopianeti ha portato in modo inatteso a una rivelazione annichilente. 

Religione e pluralità dei mondi abitati:
un complesso rapporto

L'autore discute a fondo il problema, tuttora irrisolto, dell'interazione tra le dottrine delle varie religoni e la credenza nell'esistenza di esseri razionali su altri mondi. Un'interazione estremamente ambigua, se mi è concesso. Nella stessa Cristianità, andiamo dall'aristotelico Dante Alighieri, che negava nel modo più fermo l'esistenza di mondi abitati oltre alla Terra, a Papa Giovanni XXI, che considerava eretico chiunque negasse la possibilità della pluralità dei mondi. La conclusione è che, a parte alcuni gruppi cristiani fondamentalisti, nessuna religione sarebbe davvero danneggiata dalla rivelazione dell'esistenza di una specie aliena intelligente. Cito un passaggio particolarmente significativo, tratto da Il silenzo dell'universo

"Stando così le cose, molti ritengono estremamente improbabile, da un punto di vista religioso, che Dio abbia creato un universo di queste dimensioni e di tale complessità per poi fare germogliare la vita e l'intelligenza su un solo pianeta. Questa osservazione, che ovvamente non ha alcun peso per chi pensa che la vita sia un semplice e insignificante incidente di percorso nell'esistenza dell'universo, priva di scopo e finalità, è invece importante in un'ottica religiosa secondo cui la vita prima, e l'intelligenza poi, siano i veri fini della creazione, o almeno fini parziali, in quanto è possibile pensare che l'intelligenza sia una tappa dell'evoluzione verso chissà quali traguardi più elevati."

Non nascondo di essere in profondo disaccordo. L'unicità della Terra non implica affatto che la vita e l'intelligenza siano le finalità della Creazione da parte di Dio. Anzi, nega ogni teleologismo. Se vita e intelligenza fossero lo scopo dell'opera del Creatore, come le religioni del mondo tendono ad ammettere, allora pullulerebbero nell'intero Universo come i girini in uno stagno! Un cosmo di inaudita complessità e violenza, con la Terra come unico corpuscolo su cui l'intelligenza si manifesta, è la prova dell'irrilevanza e della nullità assoluta della biologia. Non è poi difficile immaginare, con buona pace dei religiosi e di tutti gli ottimisti, verso quali traguardi procede il genere umano: vivisezione, produzione di snuff videos, cannibalismo, pedofilia, coprofagia, genocidio, ecocidio, forme di nuovo schiavismo, persecuzione dei più deboli, creazione di abomini tramite ingegneria genetica e via discorrendo. Un bel panorama evolutivo, non c'è che dire!   

Giancarlo Genta autore di fantascienza 

Anche se ormai la letteratura fantascientifica può dirsi morta (ne ho annunciato la fine, come Nietzsche ha annunciato la morte di Dio), scopro con grande piacere che il professor Genta è un autore di fantascienza. Ho trovato menzione nel Web di alcuni suoi romanzi: Il Cacciatore (2012), Le Porte dell'Inferno (2018) e Le rosse cupole di Acheron (2019). 

Questa è la sinossi de Le Porte dell'Inferno (da Mondadoristore.it):

In un lontanissimo futuro, la scoperta del relitto di un'antica astronave, alla deriva nello spazio interstellare, sembra far luce sul nostro travagliato presente. Una squadra di paleoinformatici riesce a decifrare quel che resta delle memorie del computer di bordo e a ricostruire un racconto epico, che descrive le drammatiche circostanze in cui l'umanità della Terra entrò in contatto con le altre specie della galassia. Siamo di fronte a un'epopea o alla memoria storica che riemerge dalla notte dei tempi? L'invasione, proveniente dal di fuori della nostra galassia, distrugge un sistema dopo l'altro in una terrificante successione: l'intera civiltà della Via Lattea rischia l'estinzione. E una lotta contro un nemico senza volto, il mostruoso Qhrun, una misteriosa forma di vita aliena che minaccia l'universo, un'entità sconosciuta e insondabile, ma letale. La nebbia, che ne avvolge l'identità, inizierà a diradarsi soltanto al termine di questo primo volume della saga, quando si farà strada una terribile verità. Il romanzo solleva domande profonde: cos'è un alieno? Quali pensieri o emozioni possono guidarne il comportamento, le reazioni, le scelte? 

Si parla di diverse civiltà i cui nomi altisonanti la cui fonetica mi giunge molto familiare: Aswaqat, Irkhan, Nahaqol, Tteroth, Ruklyaq, Opsquat, Wisagr, Sitkr, Terqhatl, Injjuk. Tutto molto promettente. Di certo leggerò la produzione fantascientifica di questo autore e ne pubblicherò le recensioni.  

sabato 22 dicembre 2018

NOTE SUL LAVORO DI BEICHLER

James "Jim" E. Beichler (ricercatore indipendente) è l'autore del saggio To Die For: The physical reality of conscious survival, pubblicato nel 2008. Su Academia.edu è presente un estratto del capitolo 6, The Nature of Death. Questo è il link: 


Questo è il breve abstract, da me tradotto: 

La Scienza, per come definisce se stessa, non accetterà mai il paranormale e i fenomeni correlati, per non parlare della possibilità di un aldilà, non importa quante evidenze sono raccolte e non importa quanto convincenti esse sian, perché la Scienza non ha mai sviluppato gli strumenti concettuali e intellettuali o il vocabolario per maneggiare simili possibilità. La Scienza accetterà il paranormale e la possibilità di un aldilà solo quando emergerà una nuova teoria della realtà fisica, come un'unificazione della relatività generale e della teoria quantistica nella fisica, che implica direttamente e logicamente l'esistenza di queste cose come sue proprietà fondamentali.

Questo è l'indice dell'opera:

Introduction   4-5

Chapter 01 Some things never change (some things do)
   The boy cried   6-10
   Science, Religion and Nature   10-18
   Science does mind   17-24

Chapter 02 Supernatural Perspectives of Death
   The religious pot of stew   25-28
   Eastern Religious Perspectives   28-33
   Western Religious Perspectives   33-44
   The religious stew boiled down   44-49

Chapter 03 Natural Perspectives of Death
   The road not so well traveled   50-54
   From Thanatology to NDEs   54-63
   The nature of consciousness   63-70

Chapter 04 Paranormal Perspectives of Death
   Science beyond the normal   71-75
   The spirit of science   75-85
   The loss of soul and spirit   85-98
   Apparitions and Ghosts R Us   98-107
   Small, Mediums and Large   107-112
   There and back again   112-117

Chapter 05 The SOFT Life
   That’s Life   118-120
   Physical Reality   120-124
   Imagining the un-imaginable   124-129
   Our five-dimensional Life   129-138
   LIFE: The body inside out   139-143
   Memories are made of this   143-154

Chapter 06 The Nature of Death
   Irimi - Entering Death   155-158
   We enter death SOFTly   158-164
   SOFT NDEs   164-171
   Post NDE SOFT landings   171-179
   NDLEs   179-187
   ‘Where’ is death?   187-191

Chapter 07 A Universe of Purpose
   Everything that has a beginning has an end   192-195
   Natural Purpose  196-203
   Some things never change and some things do   203-209
   To live and let die   209-213

Chapter 08 Epilogue: (Some things never change, but …) Some things do
   Play it again Sam   215-221
   What goes around, comes around   221-225
   And goes around again   225-231
   Solving the Universe   231-240
   Buddha, Jesus, Human Enlightenment, and the dawn of the
         MYSPHYTS   240-248
   The Kaballah – a Warning   248-250
   The Boy Cried   250

Bibliography   251-255

Il libro è un ambizioso tentativo di comprendere la natura della Morte, che non riesce tuttavia a convincere il lettore e ad aiutarlo a risolvere l'atavico problema del rapporto che l'essere umano ha con la propria cessazione. Va precisato che Beichler non è un semplice guru propalatore di baggianate New Age a buon mercato: è un fisico teorico con un curriculum accademico di tutto rispetto, che a un certo punto è stato isolato dai colleghi per le sue idee eterodosse. Il suo interesse principale è infatti lo studio della parafisica, che consiste nel tentativo di applicare la fisica ai fenomeni paranormali, esplorando la possibilità teorica della sopravvivenza dell'essere oltre la morte. Il fondamento della parafisica beichleriana è di per sé rivoluzionario, in quanto consiste nella derivazione diretta dell'autocoscienza e dell'immortalità dello spirito umano dalle leggi fisiche che governano l'Universo. Riporto il link a un'intervista in cui Beichler risponde a numerose domande sulle sue idee e sul suo lavoro, poste da Michael E. Tymn:


La parafisica è una scienza?

Luigi Pirandello affermò che se vogliamo capire la vita, i lumi ci devono venire da ciò che sta al di fuori della vita stessa, ossia dalla Morte. Il problema è che nessuno è mai riuscito a inviare sonde nei tenebrosi abissi del Tartaro. Allo stesso modo, nessuna sonda è mai giunta a noi da quelle spaventose profondità. Secoli prima un altro grande, Galileo Galilei, ebbe a raccomandare di misurare ogni cosa e di rendere misurabile ciò che non è misurabile. La pietra d'inciampo è ancora una volta la Morte. Possiamo rendere misurabile tutto, anche lo sterco, ma ciò che è connesso con la cessazione della vita continua a sfuggirci. Alla domanda se la parafisica sia o non sia una scienza, non posso rispondere in modo netto e immediato senza aver prima analizzato il materiale disponibile. Dobbiamo ammettere che gli intenti della parafisica sono di certo quanto di più nobile possa esistere. Tuttavia gli intenti non sono sufficienti a rendere scientifico qualcosa. Il mio sospetto è che ci vorrà ancora molto tempo per fare della parafisica una scienza vera e propria. Al di là delle solite fumisterie sulla quantistica, come al solito estesa al dominio macroscopico, non vedo una sola definizione di osservabile fisica che serva a chiarire i problemi in causa. Il modello teorico sviluppato da Beichler si fonderebbe a suo dire su un continuum spaziotemporale di Einstein-Kaluza a cinque dimensioni. Uso il verbo al condizionale perché non ho visto da nessuna parte nemmeno una singola equazione utile. Non sono stato in grado di reperire informazioni dettagliate e chiare sulla teoria, e soprattutto su come implicherebbe in automatico la natura immortale della consapevolezza umana. Su Academia.edu si trovano  alcuni contributi dell'insigne parafisico, ma nessuno è dotato del necessario rigore scientifico. Si parla soprattutto delle seguenti amenità: Tao, nuovo paradigma, unificazione della fisica occidentale col misticismo orientale, prana, chakra, etc. In una presentazione viene mostrata in modo provocatorio un'equazione, senza alcuna spiegazione, con la scritta ironica "For those who need an equation". La matematica beichleriana non semba molto robusta. Più oltre, scorrendo le slide, si trovano figure relative alla teoria del campo unificato, finendo poi per scivolare nella New Age, con il corpo materiale descritto come "curvatura quantizzata o schema materia/energia" e a destra della strana figura gli organi interni (intestino, fegato, cuore, cervello, etc.) che prendono forma come "paranormale o input del sesto senso". A questo punto il fetore della New Age mi satura già le narici e monta in me la furia. Una slide dopo, ecco il flusso Chi dell'agopuntura e i chakra. Non ci credete? Si trova tutto qui:  


Per il resto, dovunque nel Web si trovano soltanto descrizioni giornalistiche, a mio avviso prive di qualsiasi valore. Questa, per esempio:


La mia conclusione, stando così le cose, è che tutto questo materiale si collochi nel vasto campo della pseudoscienza. 

Reazioni controproducenti 

Di fronte a questi argomenti parafisici scatta in genere la furibonda reazione degli inquisitori dello scientismo materialista. Strepitando come gallinacci, urlano e pestano i piedi, affermando che tutto si spiega con il Dio Cervello e con l'Evoluzione. Essendo stato sfidato un dogma, essi intervengono. Entra in campo il CICAP per difendere e imporre l'Ortodossia. Eppure tutti questi sforzi sono vani e non sortiscono l'effetto sperato. A me destano soltanto irritazione per la loro natura essenzialmente religiosa. Quello che invece si deve fare è analizzare ogni teoria per evidenziarne contraddizioni intrinseche. Il punto è che emergono numerose incoerenze sia nelle teorie parafisiche che in quelle materialistiche. Il mondo accademico dovrebbe poi occultare con somma verecondia le baggianate di Roger Penrose sui microtubuli quantistici, proprio come un soldato ha il dovere di nascondere alla vista dei civili un commilitone ubriaco.  

Il problema delle NDE 

Lo stesso Beichler afferma di aver sperimentato nella sua vita un'esperienza di pre-morte (near death experience, NDE) che gli avrebbe permesso di sfuggire al disastro di Ramstein e all'incidente aereo di Lockerby. Aggiunge che quanto gli è capitato non è l'origine del suo interesse per la parafisica, semmai ha soltanto rinforzato una fede che già possedeva. Anche le NDE presentano problemi non indifferenti, che non possono essere aggirati, essendo pertinenti all'ontologia. Se restassi al confine tra la vita e la morte e vedessi la figura di un angelo con l'aspetto di una donna bellissima, mi porrei alcune domande. Tale angelo è fatto di materia? Ha un corpo fisico? A cosa gli servono le sue fattezze fisiche e gli organi di senso? A che gli serve, per esempio, la bocca? Per parlare? Per mangiare? Per fellare? Capite il problema? Se l'angelo parla, diffonde onde acustiche nell'atmosfera, fatte di variazioni di densità dell'aria circostante, che propagano a una data velocità giungendo fino alle mie orecchie, venendo convertite in onde elettriche dal mio cervello e interpretate. Se l'angelo mangia, significa che esiste un ciclo biologico che costringe a ingerire sostanze biologiche, destinate ad essere digerite e defecate. Quindi anche l'aldilà sarebbe un mondo imperfetto fondato sui princìpi della termodinamica. Se l'angelo pratica la fellatio, significa che è un individuo facente parte di una specie dotata di sessualità. Quindi una specie i cui individui nascono, crescono, si accoppiano, decadono e muoiono. Una specie che può essere dotata delle più svariate parafilie. Come diceva Lautréamont, aspettatevi di trovare in Cielo le stesse aberrazioni che imperversano sulla Terra! Un'amica affermava anni fa di aver vissuto una NDE e di aver visto i verdi pascoli di cui parlano le Scritture. Bene, se ci sono valli e montagne coperte di erba, significa che siamo su un pianeta dotato di ciclo dell'acqua, con mari e fiumi, evaporazione e pioggia. Un mondo fisico con cicli biologici complessi, che comportano la crescita di vegetazione, la presenza di animali che se ne nutrono, che ingurgitano e defecano. Quindi ancora una volta un mondo imperfetto, materiale, tutto fuorché spirituale! Ricordo il caso di un neurochirurgo americano, Eben Alexander, che sosteneva di aver avuto una NDE durante un coma durato sette giorni, mentre il suo cervello non registrava la benché minima attività. In queste condizioni Alexander avrebbe visto un mondo bellissimo, con un'incredibile numero di farfalle e una fanciulla incantevole dai grandi occhi, che gli avrebbe rivelato i misteri più reconditi dell'Universo. Il tutto è stato descritto nel suo libro, Milioni di farfalle (2013). Quando ho letto questa notizia, ho subito pensato che un mondo con milioni di farfalle è un mondo con milioni di bruchi!

giovedì 20 dicembre 2018

NOTE SUL LAVORO DI BOCCARDI

Emiliano Boccardi (Università di Bahia, Brasile) è l'autore dell'articolo Turning the Tables on McTaggart, pubblicato nel 2018 e presente su Academia.edu. Può essere consultato e scaricato liberamente al seguente link:


Questo è l'abstract, da me tradotto: 

"Secondo le A-teorie del tempo, il fondamento metafisico del cambiamento e della dinamicità è fornito da un continuo spostamento in cui gli eventi sono passati, presenti e futuri (A-determinazioni). Si dice spesso che queste teorie rendano meglio conto della nostra esperienza di dinamismo rispetto alle loro rivali, le B-teorie; secondo queste ultime, la dinamicità si fonda unicamente nelle relazioni irriducibili prima-di (B-relazioni) che si ottengono tra eventi o stati di cose. In questo articolo, sostengo che l'esperienza della dinamica del tempo, al contrario, non può essere spiegata solo in termini di rappresentazioni di A-determinazioni irriducibili, poiché ogni rappresentazione che sia adeguata per fondare queste esperienze deve di per sé comportare la rappresentazione di B-relazioni irriducibili, mentre non ha bisogno di rappresentare le A-determinazioni. Anche se, per un fatto contingente, le nostre esperienze di dinamicità consistessero in rappresentazioni di successioni di A-determinazioni, ciò che spiegherebbe il loro essere esperienze di dinamicità sarebbero solo le relazioni B-teoriche di successione, piuttosto che l'irrilevante natura A-teorica della relazione."

Piuttosto pesantuccio, non trovate? 

L'autore ha come motto una professione di fede che trovo rodomontesca: "I argue that the B-theory is uniquely capable of making sense of the experience of time as passing." Un'affermazione audace quanto inverosimile, un po' come sostenere che la castità di Valentina Nappi è dotata della capacità unica di rendere conto dei suoi video pornografici. "I argue that Valentina Nappi's chastity is uniquely capable of making sense of the experience of her porn videos, showing her playing anal gangbangs with dozens of mandingos at once." Due realtà: il succedersi degli eventi e la pornografia della Nappi. Due chimere partorite dalla mente dei Puffi: la teoria B-eternista e la castità della Nappi. Il parallelismo mi sembra ben chiaro. 

Vediamo che il Boccardi è un vero e proprio partigiano del B-eternismo e dell'inesistenza del mutamento. Il suo profilo su Academia.edu contiene numerosi contributi sullo spinoso argomento, oltre a quello già menzionato. Ecco alcune perle particolarmente significative:


3) The Passage of Time and its Enemies: an Introduction to Time and Reality II 


4) Recent Trends in the Philosophy of Time: an Introduction to Time and Reality I 


5) If It Ain't Moving It Shall Not be Moved


6) Contradictions in Motion: Why They’re not Needed and Why They Wouldn’t Help 


7) Divenire e Contraddizione: Storia e Teoria di un Problema 


Gli anglosassoni e gli assimilati alla loro forma mentis non riescono ad afferrare che le parole sono solo etichette attribuite per convenzione ad aspetti della realtà non sempre comprensibili alla mente umana. Quello che loro sfugge - sembra per incapacità ontologica - è la natura in ultima analisi arbitraria di queste etichette: esse hanno senso soltanto in virtù della storia della lingua in cui sono utilizzate. Spesso parlano di nulla, come Mercuzio ubriaco. Prendiamo le parole inglesi che definiscono il tempo: 

tense "tempo" (grammaticale)
     < lat. tensio, donde anche l'italiano tensione
time "tempo" (che passa)
     < norreno tími, < proto-germanico *tīmēn 


Il secondo termine ha la stessa radice di tide "marea" e del tedesco Zeit "tempo". 

Questa distinzione concettuale è presente a quanto ne so unicamente in inglese. Per questo motivo il dibattito eternismo contro presentismo è particolarmente accanito tra gli anglosassoni e genera mostri all'infinito, mentre tra le altre popolazioni vive solo di riflesso. Il dibattito vero non è veramente nemmeno partito, perché ci sono troppi spocchiosi accademici che si strappano le vesti e i capelli cercando di capire tutto con stupidissime equazioni logiche assolutamente inutili, che in ultima istanza valgono meno di un esiguo mucchietto di feci di bruco.

Se io chiamo "eventi" diverse configurazioni temporali, ossia due punti diversi dello spaziotempo, ecco che un accademico anglosassone viene colpito da un infarto. Eppure l'attribuzione di tale semplice etichetta, "eventi", a me sembra del tutto naturale. Il fatto che si sia dimostrata l'inconsistenza del concetto newtoniano di tempo come dimensione assoluta, non implica l'inesistenza di insiemi ordinati di configurazioni definibili come "eventi". Possiamo dire che tali successioni di "eventi" definiscono quello che conosciamo come "mutamento". Se una teoria non dà un contributo sensato alla spiegazione di tutto questo, non ce ne facciamo proprio nulla.

Cosa non va nel B-eternismo? Semplice. Non spiega la realtà delle cose. Non spiega in alcun modo ciò che noi percepiamo. Non spiega il mutamento. Prendiamo per esempio una persona che si punta una pistola a una tempia e fa la roulette russa. Ogni volta che preme il grilletto, esiste una probabilità non nulla che parta l'unico proiettile presente nel tamburo dell'arma. Se questo avviene, ecco che la persona in questione muore, ossia finiscono in lei i processi biologici. Si ha una transizione irreversibile e quasi istantanea da una condizione definita come "vita" a una condizione definita come "non vita" o "morte". La successione degli eventi è univocamente determinata: giro del tamburo, grilletto premuto, sparo, morte. Non si possono permutare questi fattori ad libitum. Se qualcuno non concorda, lo sfido all'ordalia.
I B-eternisti sono sconvolti dalle relazioni tra eventi presenti ed eventi passati. Questo è il loro principale problema, la loro paranoia assoluta. Credono che esista un cunicolo imperscrutabile che parte da un esemplare vivente di Tyrannosaurus rex del Cretaceo e porta fino a me, che vivo nel presente (XXI secolo d.C.). Credono anche che se io riesco a concepire il Tyrannosaurus rex, sia per via di questo fantomatico cunicolo ontologico. Eppure l'idea stessa del cunicolo non si regge. Io concepisco il Tyrannosaurus rex e riesco a comprendere le sue proprietà soltanto perché ci sono fottuti fossili *nel presente* che dimostrano la sua esistenza e che ci permettono di capire le sue caratteristiche fisiche, seppur in modo approssimativo. In realtà il tirannosauro da me immaginato può anche cambiare nel corso della mia vita. E non di poco. Quando ero bambino, tale animale era rappresentato con una pelle liscia simile a cuoio, in genere di colore grigiastro o verde militare, puramente di fantasia. Vedete, da quanto sappiamo ora, è anche possibile che il rettile avesse le piume e che sembrasse più che altro un gigantesco pollo, con tanto di enormi barbigli. Come sappiamo che il tirannosauro somigliava a un pollo e che non fosse glabro? Perché la Scienza ha migliorato le sue capacità di indagine e ha trovato nuove evidenze da qualche anno a questa parte. In realtà, nessuna immagine mentale che posso farmi del Tyrannosaurus rex coinciderà esattamente con l'animale vissuto nel Cretaceo. Queste immagini sono proiezioni fittizie, elucubrate a partire dal presente. Prova ne sia che le ricostruzioni paleontologiche più recenti e accreditate del terribile rettile lo descrivono con un aspetto simile a quello di Paperino! E se fosse un abbaglio dell'Accademia? Quindi per ogni dinosauro possiamo concepire un'applicazione che lega l'animale estinto a quello che immaginiamo grazie alle sue tracce lasciate nel presente. Qualcosa di questo genere:

tirannosauro 1 => tirannosauro 2
triceratopo 1 => triceratopo 2
brontosauro 1 => brontosauro 2
etc...,  


dove il tirannosauro 1 è l'animale esistito realmente nella lontana preistoria, mentre il tirannosauro 2 è l'animale concettuale da noi elucubrato a partire dai residui del tirannosauro 1, e così via. Non sarà inutile far notare che l'applicazione suddetta ha senza dubbio una fallacia molto elevata.

Eppure i B-eternisti non sono soddisfatti di questo modo di intendere le cose, che chiamano "strategia di riallocazione" (in inglese relocation strategy). In realtà non esiste alcuna riallocazione, dato che il presente in cui viviamo è soltanto una delle configurazioni spaziotemporali che si succedono dall'epoca dei dinosauri, recando in sé le tracce della propria storia. Interpretare la frase "il passato non esiste più" come la scomparsa subitanea e totale di ogni collegamento a qualsiasi ente che si trovava in esso è un'assurdità, un trucco sofistico escogitato dai partigiani del B-eternismo per invalidare le tesi dei loro avversari. Quella che è definita assurdamente come "riallocazione" è invece il frutto della trasformazione: gli stessi enti che si trovano nel presente subiranno lo stesso processo, divenendo rovine, fossili, proiezioni, fantasmi, tracce, prove dirette o indirette, residui che potranno dare origine a interi mondi non appena verranno a contatto con una mente raziocinante in grado di interpretarli. Il punto è che la mappa mentale elaborata da tale mente raziocinante non è davvero il passato! La differenza tra realtà del passato e realtà costruita tramite interpretazione dei resti del passato è qualcosa che un B-eternista non riuscirà mai a comprendere, come se avesse una mente statica e concepisse soltanto istanti pietrificati. Forse un giorno si scoprirà che il B-eternismo è una patologia o una specie di deprivazione sensoriale, qualcosa che ha le sue radici nella fisiologia, nel particolare modo in cui funzionano i neuroni e le sinapsi degli individui che lo sostengono.

C'è di più. Una volta fissata una linea di esistenza, non è affatto plausibile che esistano infiniti individui attori di ogni singolo istante del passato per l'eternità. Se guardo indietro a un particolare evento che mi è capitato quando frequentavo l'università, percepisco soltanto pochi ricordi, probabilmente distorti, poco più di una traccia mnestica e sensoriale che mi richiama alla mente l'accaduto.  Per un B-eternista come Roger Penrose, quell'istante sarebbe invece reale come il mio presente. Non solo: ci sarebbero infinite copie di me stesso che lo vivrebbero per l'eternità, migliaia e migliaia di doppioni per ogni secondo misurato da un orologio nel mio fottuto presente, che danzerebbero distanziati tra loro di una frazione di soffio, di un centomillesimo di battito cardiaco, prigionieri di quella particolare cella di realtà. Un'angoscia insopprimibile mi coglie al solo pensiero! Una simile ipotesi è contraria a qualsiasi sano principio di economina ontologica. L'esperienza presentacea è in totale contraddizione con l'assunto di Penrose, che professa una fede cieca nella durata sempiterna di ogni singolo istante vissuto. Ridacchiando, lo studioso ostenta il suo pessimo humor anglosassone, aspettandosi ondate di risa convulse come interrompe di colpo il suo flusso di parole precipitose. "Pensate che alla vostra festa di laurea vi divertirete per sempre! Ah ah!", dice. Certo, perché per gli iper-ottimisti del suo stampo l'esistenza è tutta una festa! Possibile che non pensi invece all'ablatore del dentista che gli scava nei profondi canali di un molare fratturato per estrarre la dolente gelatina nervosa, il tormento di sei anestesie nel nervo che non bastano ad attutire il dolore? Possibile che non pensi alle riprese di uno snuff video in uno scantinato, in cui a penetrare nelle ossa è il trapano del carnefice?