Titolo originale: La corona di ferro
Paese di produzione: Italia
Anno: 1941
Lingua: Italiano
Durata: 97 min
Dati tecnici: B/N
Rapporto: 1.37:1
Genere: epico, fantastico, avventura
Regia: Alessandro Blasetti
Soggetto: Alessandro Blasetti, Renato Castellani
Sceneggiatura: Corrado Pavolini, Guglielmo Zorzi, Giuseppe
Zucca, Alessandro Blasetti, Renato Castellani
Casa di produzione: E.N.I.C.
Distribuzione in italiano: E.N.I.C.
Fotografia: Václav Vích, Mario Craveri
Montaggio: Mario Serandrei
Musiche: Alessandro Cicognini (direzione orchestrale di
Pietro Sassoli)
Scenografia: Virgilio Marchi
Costumi: Gino Carlo Sensani
Interpreti e personaggi
Gino Cervi: Re Sedemondo di Kindaor, padre di Elsa
Massimo Girotti: Arminio / Licinio, padre di Arminio
Elisa Cegani: Elsa / madre di Elsa, regina di Kindaor
Luisa Ferida: Tundra / Kavaora, madre di Tundra
Rina Morelli: la vecchia del fuso
Osvaldo Valenti: Eriberto
Paolo Stoppa: Trifilli
Primo Carnera: Klasa, il servo di Tundra
Umberto Silvestri: Farkas
Stelio Carnabuci: Re Artace
Amedeo Trilli: un re al torneo
Renato Navarrini: ministro del re della Rosa
Giorgio Gentile: il re della Rosa
Ugo Sasso: Artalo
Piero Pastore: Sestio
Vittoria Carpi: sposa di Artalo
Satia Benni: la vedova
Dina Perbellini: nutrice
Maurizio Romitelli: Arminio da piccolo
Rossana Rocchi: Elsa da piccola
Pietro Germi: Cavaliere
Mario Ersanilli
Antonio Marietti
Umberto Sacripante
Ada Colangeli
Jolanda Fantini
Giovanni Stupin
Adele Garavaglia
Gemma D'Ambri
Perla Martinelli
Adriano Micantoni
Alda Perosino
Mario Mazza
Giovanni Stupin
Piero Carnabuci
Renato Karninski
Lino Bears
Doppiatori originali
Augusto Marcacci: Licinio
Gualtiero De Angelis: Arminio
Lauro Gazzolo: Eriberto
Giovanna Scotto: nutrice
Titoli tradotti:
Inglese: The Iron Crown
Francese: La Couronne de Fer
Spagnolo: La Corona de Hierro
Portoghese: A Coroa de Ferro
Russo: Железная корона
Norvegese: Sagnet om jernkorset
Ungherese: Vaskorona
Premi:
Coppa Mussolini al miglior film italiamo (alla Mostra
internazionale d'arte cinematografica di Venezia, 1941)
Paese di produzione: Italia
Anno: 1941
Lingua: Italiano
Durata: 97 min
Dati tecnici: B/N
Rapporto: 1.37:1
Genere: epico, fantastico, avventura
Regia: Alessandro Blasetti
Soggetto: Alessandro Blasetti, Renato Castellani
Sceneggiatura: Corrado Pavolini, Guglielmo Zorzi, Giuseppe
Zucca, Alessandro Blasetti, Renato Castellani
Casa di produzione: E.N.I.C.
Distribuzione in italiano: E.N.I.C.
Fotografia: Václav Vích, Mario Craveri
Montaggio: Mario Serandrei
Musiche: Alessandro Cicognini (direzione orchestrale di
Pietro Sassoli)
Scenografia: Virgilio Marchi
Costumi: Gino Carlo Sensani
Interpreti e personaggi
Gino Cervi: Re Sedemondo di Kindaor, padre di Elsa
Massimo Girotti: Arminio / Licinio, padre di Arminio
Elisa Cegani: Elsa / madre di Elsa, regina di Kindaor
Luisa Ferida: Tundra / Kavaora, madre di Tundra
Rina Morelli: la vecchia del fuso
Osvaldo Valenti: Eriberto
Paolo Stoppa: Trifilli
Primo Carnera: Klasa, il servo di Tundra
Umberto Silvestri: Farkas
Stelio Carnabuci: Re Artace
Amedeo Trilli: un re al torneo
Renato Navarrini: ministro del re della Rosa
Giorgio Gentile: il re della Rosa
Ugo Sasso: Artalo
Piero Pastore: Sestio
Vittoria Carpi: sposa di Artalo
Satia Benni: la vedova
Dina Perbellini: nutrice
Maurizio Romitelli: Arminio da piccolo
Rossana Rocchi: Elsa da piccola
Pietro Germi: Cavaliere
Mario Ersanilli
Antonio Marietti
Umberto Sacripante
Ada Colangeli
Jolanda Fantini
Giovanni Stupin
Adele Garavaglia
Gemma D'Ambri
Perla Martinelli
Adriano Micantoni
Alda Perosino
Mario Mazza
Giovanni Stupin
Piero Carnabuci
Renato Karninski
Lino Bears
Doppiatori originali
Augusto Marcacci: Licinio
Gualtiero De Angelis: Arminio
Lauro Gazzolo: Eriberto
Giovanna Scotto: nutrice
Titoli tradotti:
Inglese: The Iron Crown
Francese: La Couronne de Fer
Spagnolo: La Corona de Hierro
Portoghese: A Coroa de Ferro
Russo: Железная корона
Norvegese: Sagnet om jernkorset
Ungherese: Vaskorona
Premi:
Coppa Mussolini al miglior film italiamo (alla Mostra
internazionale d'arte cinematografica di Venezia, 1941)
Trama:
Siamo in un'epoca di grande decadenza, in cui le tenebre avvolgono la terra dopo il crollo del potere imperiale di Roma. Volendo propizare la pace nell'Occidente devastato da incessanti conflitti, l'Imperatore di Bisanzio invia al Papa la Corona di Ferro, forgiata con un chiodo della crocefissione di Gesù. La spedizione giunge in Italia, nel regno di Kindaor, dove si è appena conclusa una terribile guerra che ha visto Licinio trionfare su Artace. Il vincitore vuole offrire allo sconfitto una pace onorevole, ma ecco che il proprio fratello Sedemondo, pieno d'odio e avido di potere, gli trafigge il cuore con un giavellotto, usurpandone prontamente il regno. Il popolo di Artace è condannato alla schiavitù. Non contento di questi crimini, Sedemondo intercetta la spedizione con la Corona di Ferro alle gole di Natersa, un luogo insidioso in cui l'arciere Farkas stermina la scorta bizantina. La reliquia però sprofonda nel terriccio e il sovrano non riesce a recuperarla. A questo punto Sedemondo, che attraversa una foresta, viene ammonito da una misteriosa vecchia filatrice, che gli profetizza la rovina a causa degli atti sacrileghi di cui si è macchiato. Così descrive la nemesi dell'usurpatore fratricida: gli sarebbe nata una figlia, che avrebbe amato alla follia il figlio maschio del fratello ucciso, fino a morirne. Nel frattempo la moglie di Sedemondo ha dato alla luce una femmina, Elsa, che viene scambiata con Arminio, il figlio della moglie del defunto Licinio. I due vengono cresciuti come fratello e sorella. Tutto fila liscio per un po', ma alla fine il re di Kindaor scopre l'inganno. Così Sedemondo colpisce con la sua vendetta: fa rapire Arminio da un servo, che ha l'ordine di abbandonare il bambino nella Valle dei Leoni, per poi passare dalle gole di Natersa. Tornato nel bosco dalla vecchia filatrice, il sovrano la sfida, millantando di aver vinto il Fato. La Norna gli cancella la memoria ed egli è incapace di ricordare cos'è accaduto ad Arminio. Per scongiurare ogni pericolo di inveramento della profezia dell'incesto, decide di condannare Elsa ad essere segregata nella reggia, che fa chiudere al mondo esterno con tre cancelli concentrici. Vent'anni dopo, Sedemondo bandisce un grande torneo, a cui parteciperanno principi di tutte le nazioni, il cui vincitore sposerà Elsa. A questo punto un terremoto apre un passaggio nell'isolata Valle dei Leoni. Arminio, che è cresciuto con le fiere, esce dal suo microcosmo durante l'inseguimento di un cervo. Ritrovatosi all'esterno, per la prima volta in vita sua vede altri esseri umani. Si imbatte in Tundra, la figlia di Artace, trovandola molto attraente. Questa comprende l'ingenuità del giovane, così lo incita a partecipare al torneo e a darle sostegno nella ribellione del suo popolo contro il tirannico Sedemondo. Appena Arminio giunge nella capitale del regno, le cose si complicano. Incontra Elsa, che si fa passare per la propria serva. Com'è ovvio, se ne innamora subito, mettendosi così in una situazione insostenibile con Tundra. Dopo una girandola di colpi di scena e di intrighi, ecco che tutto precipita verso il drammatico finale. Elsa, giunta alle gole di Natersa, si frappone tra l'esercito di Sedemondo e quello degli insorti. Colpita da una freccia scoccata dall'arco di Farkas, viene inghiottita da una voragine prodigiosa che spacca la terra separando i contendenti, mentre la Corona di Ferro ritorna alla luce. Accade così che la pace viene restaurata. Arminio e Tundra si sposano e regnano su Kindaor, in cui al contempo trionfa il Cristianesimo.
Recensione:
Il film di Blasetti è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 18 dicembre 2006. Non ho potuto essere presente. Avevo visto questa pellicola quando ero un marmocchio e mi era rimasta impressa. Ho poi avuto occasione di rivederla a molti anni di distanza. Blasetti ha fuso in un immenso calderone ogni sorta di mitologema mediterraneo e nordico, aggiungendovi gli ingredienti più impensabili. Si trova proprio di tutto: Tarzan, Robin Hood, il Milione di Marco Polo, Edipo Re, le fiabe di Andersen e via discorrendo. Per impedire al racconto di andare alla deriva in un mondo di pura fantasia, sono stati fissati alcuni riferimenti storici: l'Imperatore di Bisanzio, il Papa, il Cristianesimo e per l'appunto la Corona di Ferro. Non si bada troppo all'anacronismo e all'inverosimiglianza, travalicando non di rado il confine del pacchiano e del grottesco. Il sovrano dei Tartari, con un tipico nome alto tedesco, Eriberto (Heribert), veste gli abiti più implausibili. I Burgundi sono presentati come nobiluomini della Francia medievale; per giunta il principe di tale nazione è un po' effeminato. Che dire poi della Valle dei Leoni? Si sa, sono ben celebri i leoni autoctoni nel Friuli e nel Trentino. Vero è che in epoca storica esistevano ancora leoni in Grecia e nei Balcani, ma l'idea di una colonia di grandi felini in Italia settentrionale mi sembra esilarante. Detto questo, La corona di ferro rimane un pilastro della filmografia fantasy del XX secolo.
La furia di Goebbels
Questo si tramanda, che Joseph Goebbels poté assistere alla proiezione del film mentre si trovava a Venezia nel 1941. Durante lo spettacolo il gerarca perse le staffe e tuonò contro il regista: "Con simili idee, in Germania sarebbe finito immediatamente al muro!" (devo recuperare l'originale in tedesco dell'invettiva). Tale fu l'influenza del giudizio del nazionalbolscevico di Rheydt, anche nella Germania postbellica, che il titolo del film di Blasetti non fu mai tradotto in tedesco!
Ora siamo costretti a porci un inquietante interrogativo. Cosa aveva davvero turbato il Diavolo Zoppo al punto di fargli perdere le staffe, facendo fare una ben misera figura al Reich Millenario? Era davvero un'astratta idea pacifista, a malapena percettibile nell'opera di Blasetti, a farlo imbestialire? Oppure la colpa è da attribuirsi a qualche personaggio ritratto in modo impietoso e lontanissimo dagli stereotipi fisici e morali dell'eroe germanico? Qualcosa che contrastava con le caratteristiche del perfetto membro della NSDAP? Forse non sapremo mai a quale minuto della proiezione scattarono le ire del Ministro della Propaganda. La mia supposizione - spero che non sia considerata una chiacchiera da enoteca - è questa: egli fu turbato dall'accostamento di un eroe di nome Arminio a Tarzan e a tutto l'immaginario scimmiesco che il nome burroughsiano si portava dietro. L'epopea germanica contaminata da suggestioni africane, negroidi! Blasetti mostrava le bizzarrie più impensabili e nemmeno un Sigfrido biondo. Però, se così fosse stato, l'uomo che arringava le folle a Norimberga avrebbe dovuto guardare se stesso, per prima cosa. Riporterò a questo punto un paio di versi composti dall'impavido Ernst Röhm, che non temeva nulla e che fu sempre franco con tutti.
Lieber Gott mach mich blind,
dass ich Goebbels arisch find!
Mio Dio, rendimi cieco,
affinché possa credere che Goebbels sia ariano!
Peccato che nelle scuole italiane di queste cose alquanto interessanti non si faccia la benché minima menzione.
Eriberto o la germanizzazione dei Tartari
Eppure sono convinto che qualcosa di positivo Herr Goebbels nel film di Blasetti lo avrebbe facilmente trovato, se soltanto fosse stato più collaborativo. Forse gli rodeva ancora il fatto di essere stato costretto a lasciare l'amante. Fatto sta che il sovrano dei Tartari, come già accennato, porta un nome germanico. Il regno di Kindaor, chiaramente germanico, è menzionato come la più potente nazione dell'intero globo terracqueo. Ai tempi dei cosiddetti regni romano-barbarici l'etnonimo dei Tartari (in realtà Tatari) non era conosciuto nei territori che furono dell'Impero Romano d'Occidente: si sarebbe parlato semplicemente di Unni. Se il regista avesse etichettato Eriberto come Re degli Unni, la sua opera avrebbe avuto un punto di contatto in più con la realtà storica - per quanto labile. In fondo anche il glorioso nome di Attila proviene dalla lingua dei Goti e significa "Piccolo Padre". Proprio come il soprannome di Stalin.
Etimologia di Kindaor
Il toponimo Kindaor non ha origini germaniche. Sembra invece derivare da una lingua celtica. La protoforma è ricostruibile come *Kuno-tauros, ossia "Montagna dei Cani", essendo *tauros un elemento del sostrato ligure che emerge ad esempio nel nome dei Taurini e della loro antica capitale, Taurasia. Si presuppone un'evoluzione tipica delle lingue celtiche della Britannia: *Kuno-tauros > *Kyn-dawr > Kindaor. In antico irlandese, nel linguaggio poetico, cú "cane" (gen. con; pl. coin) significa anche "lupo" e "guerriero". La stessa semantica la troviamo nell'antica Iberia, nel nome dei Conetes, che compare anche nel toponimo Conimbriga (oggi Coimbra). Ho a questo punto una domanda. Poteva il regista del film spingersi a una simile comprensione del nome da lui inventato? Ho i miei dubbi. Tuttavia mi piace trovare un senso profondo anche nelle figure confuse delle piastrelle del bagno e del marmo dei pavimenti. Distillo conoscenza dalla pareidolia. Il bello è che ne escono spesso cose verosimili, compatibili con quanto possiamo dedurre dei tempi antichi.
Etimologia di Sedemondo
Questo antroponimo maschile è schiettamente germanico. Deriva da una protoforma *Siðu-munduz e significa "Difensore del Costume". Si confronti ad esempio il norreno siðr "costume, tradizione", che ha la stessa radice. Nelle fonti in latino, se fosse documentato, il nome del Re di Kindaor sarebbe stato reso come Sidimundus o Sidimund. La forma Sedemondo presenta indizi di sviluppi romanzi, cosa che non deve stupire. Blasetti fu ispirato, non ci sono dubbi! Anche se la lingua di Wulfila era per lui un libro chiuso, creò come se la conoscesse.
Etimologia di Tundra
Questo antroponimo femminile ha una perfetta corrispondenza in norreno: Thóra. Deriva chiaramente dal teonimo protogermanico *Þunraz "Thor, Dio del Tuono", con l'applicazione di un suffisso femminile della declinazione debole: *Þunro:n. Il significato soggiacente dovrebbe essere "Simile a Thor" o "Figlia di Thor". Il bello è che l'aspetto fonetico di Tundra è compatibile proprio con un tardo sviluppo della lingua dei Goti. Naturalmente il regista non avrà conosciuto la lingua di Wulfila o il norreno, non avrà avuto nozione alcuna di filologia germanica: a lui interessava più che altro suggerire l'immagine di una donna fredda e crudele, evocata dal nome dato alla steppa siberiana (di tutt'altra etimologia, è ovvio).
Etimologia di Artace e di Artalo
Sappiamo che Artace è il nome di un eroe del popolo dei Dolioni. Viene menzionato soltanto nelle Argonautiche di Apollonio Rodio. L'etimologia non è poi così chiara, indizio a parer mio sufficiente ad attribuire l'antroponimo al sostrato pre-ellenico. Questo nome è stato utilizzato da Michael Ende nel suo capolavoro La Storia Infinita: tutti conoscono Artax, il cavallo del prode Atreyu. Nel contesto del film di Biasetti, Artace avrà invece un'origine diversa. Trovo suggestivo far derivare il nome del sovrano sconfitto da Licinio dalla radice protoceltica *arto- "orso" (gallico Arto-, antico irlandese art, gallese arth). Allo stesso modo anche Artalo avrà la stessa etimologia, che poi è la stessa del mitico Artù: cambiano soltanto i suffissi.
Etimologia di Klasa
Il servo di Tundra, interpretato dal possente Primo Carnera, ha un nome di chiara etimologia germanica, compatibile con la lingua dei Goti: Klasa. Significa "Splendente". La radice protogermanica è *glasan "ambra; vetro". La stessa che ha dato l'inglese glass e il tedesco Glas "vetro". La terminazione maschile in -a, tipica della declinazione debole, caratterizza questo antroponimo come gotico, senza possibilità di errore. Per quanto riguarda la consonante sorda iniziale di Klasa, non è poi un gran problema. Nel gotico di Crimea abbiamo attestato criten "piangere", che corrisponde al gotico di Wulfila gretan "piangere". La possibilità di un'incipiente rotazione consonantica è da considerarsi.
Etimologia di Kavaora
Questo nome deriva da una elaborata kenning, a cui non è stato facile risalire. Nella lingua di Kindaor, il termine poetico kavaor deve significare "sangue", alla lettera "mare dei corvi". In un'iscrizione runica scandinava leggiamo nā-seu "mare dei cadaveri", ossia "sangue". Esiste anche hrafn-vín "vino dei corvi", ossia "sangue", formato sempre a partire dallo stesso concetto antichissimo. La voce protogermanica *kawo:, *kajo: indica un uccello augurale (antico inglese cēo "gracchio corallino"; antico alto tedesco kaha, kāa, kā "cornacchia"; medio olandese cauwe "taccola"), mentre *auraz significa "palude; mare" (antico inglese ēar "mare, oceano"; islandese aur "palude"). Ecco spiegato il kindaoriano kavaor, necessario presupposto di Kavaora "Sanguinaria".
Etimologia di Natersa
Il fatale toponimo Natersa è soltanto in apparenza impenetrabile. In realtà ha un'etimologia chiarissima. Significa "Deserto dei Cadaveri". In gotico abbiamo naus "cadavere" e nawis "morto" (agg.). In norreno l'equivalente è nár "cadavere" (< *nawiz). La seconda parte del toponimo è chiaramente connessa col gotico þaursus "secco" (pron. /θɔrsus/) e col norreno þerra "seccare, essiccare" (< *þers-). La radice è di chiara origine indoeuropea e la troviamo anche nelle parole italiane terra, torrido e torrone. Resta però il fatto che questo composto mirabile non collima alla perfezione con quanto conosciamo delle lingue germaniche. Con ogni probabilità Natersa è un toponimo indeuropeo di sostrato, ma in ogni caso pregermanico, preromano e preceltico.
Etimologia di Farkas
L'antroponimo mi ha tormentato per giorni, dato che non riuscivo in alcun modo a trovare un'etimologia soddisfacente. In realtà la spiegazione è quasi lapalissiana. Non è altro che il gotico wulfiliano *farhs "porcello", dal protogermanico *farxaz. Da questa stessa radice abbiamo il tedesco Ferkel "maialino" e l'inglese farrow "cucciolata di maialini". Si tratta evidentemente di un soprannome infantile, poi conservato dal soggetto in età adulta. Secondo il mio parere, l'uscita -as del nome dell'arciere blasettiano è data dalla vocalizzazione di una vocale indistinta (Schwa) che doveva servire a rendere pronunciabili certi gruppi consonantici complessi. Possiamo immaginare che nel gotico di Kindaor -as sia l'esito del gotico Wulfiliano -s preceduto da consonante. Per quanto riguarda la consonante -k-, è l'esito dell'indurimento della più antica aspirata -x-, dovuto alla rotica precedente (confronta la forma tedesca).
Elementi di gotico kindaoriano
Così possiamo azzardarci a ricostruire alcune voci del gotico di Kindaor:
alkas "tempio pagano"
markas "stallone"
ulfas "lupo"
urmas "serpente"
Le forme accusative singolari saranno prive di uscita sigmatica:
alk "tempio pagano"
mark "stallone"
ulf "lupo"
urm "serpente"
L'uscita in -us nel gotico di Wulfila, in gotico di Kindaor è realizzata come -os:
medos "idromele"
sedos "costume, tradizione"
La forma accusativa perde il sigmatismo:
medo "idromele"
sedo "costume, tradizione"
Con un po' di buona volontà e di tempo, potremmo fornire la traduzione di numerosi testi.
La Vecchia del Fuso
Non possono sussistere dubbi. La Vecchia del Fuso, che annuncia al re Sedemondo di Kindaor la rovina, è senza dubbio una delle Norne. Anzi, sintetizza i caratteri di tutte e tre le Norne, che in norreno sono chiamate Urðr, Verðandi e Skuld. Infatti conosce le cose del passato e quelle del presente, oltre a predire il futuro. Una notevole figura del paganesimo nordico in un contesto come quello di Kindaor, in cui le antiche credenze si mescolano di continuo con la nuova religione di Cristo. Segnalo a questo punto un fatto assai curioso. Lessi su un sito nel Web, ora a quanto parre scomparso, che il nome della norna Verðandi sarebbe stato adattato in tedesco come Urgand, in modo tale da evitare la cacofonica forma *Urdand. La cosa mi pare ora assai strana. Nondimeno mi beai in questo errore, che pure attribuivo a una creazione artificiosa e romantica a partire dalla forma norrena: ero consapevole che non si trattasse di una genuina eredità del protogermanico. Arrivai al punto di attribuire a questo teonimo Urgand il nome degli Urgandisti, descritti da alcuni come una setta satanica, mentre altri li reputano un gruppo razzista legato a una tifoseria calcistica. Compreso che si trattava di un errore, faccio notare che il nome degli Urgandisti (che forse sono soltanto fantomatici) permane di origine ignota.
Kindaor e il Cristianesimo
Ambiguo e strano è il rapporto dei personaggi del film con il Cristianesimo. Arminio, che cresce tra i leoni senza mai aver contatto con altre persone per tutta la sua gioventù, ricorda il segno della croce dalla sua infanzia e lo fa ogni mattina al sorgere del sole. Non è consapevole del vero significato del gesto, che reputa una forma di saluto all'astro diurno al suo levarsi sui monti. Un significato pagano. Eppure Arminio ricorda dalla sua infanzia che tutti si segnano, perché evidentemente questo avveniva alla corte di Sedemondo già un ventennio prima. Tundra invece è puramente pagana, non battezzata e ignara della stessa esistenza del segno della croce, che ha visto compiere ad Arminio per la prima volta. Ne prova subito un certo disagio e una sorta di paura subliminale. Eppure alla fine, per diventare regina di Kindaor e sposarsi con Arminio, accetterà il battesimo.
Sadismo estremo
La cosa che più lasciò in me il segno quando vidi per la prima volta il film fu la ferocia inumana di Sedemondo, che istigava il fanciullo Arminio a bucare con uno spillo gli occhi degli uccellini per farli cantare. All'epoca non capivo nulla di incesto, profezie fosche e corna, così pensai che Sedemondo rinnegasse il bambino e lo condannasse alla Valle dei Leoni perché non aveva voluto torturare i volatili di nido. Pensai che quella fosse una sorta di mostruosa "prova di virilità", un rito di iniziazione, il cui fallimento condannava l'iniziando ad essere espulso dalla società. Poi appresi che l'aberrante costumanza di bucare gli occhi agli uccellini è tuttora molto diffusa in Veneto e altrove.
Altre recensioni e reazioni nel Web
Riporto nel seguito un interessante e notevole intervento, apparso sul sito Filmtv.it.
Strullata fantasy di Blasetti, che continua ad essere sopravvalutata fino ai giorni nostri. Con una trama insulsa e quasi irraccontabile, Blasetti sembra voler fondare una mitologia pagana-italica-fascista, sulla scorta del film "I Nibelunghi" di Fritz Lang, che tanto era piaciuto a Hitler e Goebbels. La reazione del ministro tedesco per la propaganda si concretizzò nel dichiarare che se un regista tedesco avesse realizzato un'opera simile sarebbe stato messo al muro. Il film, cavallo di battaglia di intere generazioni di cinema parrocchiali, si regge sulle interpretazioni di bravi attori quali Gino Cervi, Luisa Ferida (bellissima), Elisa Cegani (allora legata al regista), e un Massimo Girotti atletico, che recita una parte a metà strada tra Sigfrido e Tarzan. Ma anche gli attori, tra i quali si notano il povero Osvaldo Valenti e il campione di pugilato Primo Carnera, possono fare ben poco per salvare un film citrullo come questo. È da notare, ancora una volta, che il regista ha la libertà di mostrare un personaggio femminile a seni nudi, possibilità che, nel dopoguerra cattocomunista, il cinema italiano si scorderà per almeno vent'anni.
(sasso67)
Il buon sasso67 non lo specifica, ma non è difficile immaginarlo: Blasetti ebbe notevole libertà nel mostrare seppur di sfuggita un bellissimo paio di morbide tette, che nel dopoguerra furono orrendamente censurate dai bacchettoni pinzocheri cattocomunisti. Tra i fautori della censura c'erano quegli stessi baciapile che pure continuarono a proporre La corona di ferro nei cinema delle parrocchie. Quelle ghiandole mammarie sublimi, tagliate come i seni di Santa Rosalia in ogni oratorio, per molti anni, con crudele lama di carnefice! Mentre questo avveniva, i preti abusavano senza freno alcuno di bambini e bambine, facendosi passare i giovanissimi sotto l'abito talare e convincendoli con turpe plagio che gli atti fellatori fossero una forma di eucarestia. Queste cose non devono essere dimenticate mai, fino al Giudizio.