Nostra grande curiosità è sempre stata l'allostoria linguistica dell'italiano. Come si parlerebbe nella nostra Penisola se l'evoluzione del latino volgare nella Toscana antica fosse stata diversa e i poeti avessero elaborato una lingua colta molto diversa da quella a cui siamo abituati? Cercherò di fare alcune ipotesi e di produrre qualche risultato, disegnando per sommi capi un corso storico ucronico, da prendersi ovviamente come un semplice esperimento concettuale.
Notando che nella realtà in cui viviamo non si sono prodotte forme pur ineccepibili come *netticchia
"nipotina" (< lat. nepticula) e *anocchia "vecchietta" (< lat. anucula), ne approfittiamo per
plasmare una nuova conlang (ossia constructed language "lingua costruita"), una forma di italiano ucronico che non
ha subìto rilevanti infusioni di latino letterario e di greco, ma che continua meglio
certe forme latine. Ecco, per il vostro piacere filosofico, una lista di vocaboli di questo peculiare idioma:
albo "bianco"
annicchio "capretto di un anno"
anócchia "vecchietta"
appolcrare "abbellire"
articchiare "articolare"
articchio "articolo"
ave "uccello"
bello "guerra"
capicchio "capitolo"
gerre "portare"
magno "grande"
màssomo "massimo"
ménomo "minimo"
merchie! "accidenti!" < lat. mehercle
miracchio "miracolo"
netticchia "nipotina"
noverca "matrigna"
òle "un tempo"
pólcro "bello"
presézzo "presidio"
privigno "figliastro"
puèro "bambino"
rufo "rosso"
sue "maiale"
suéllo "maialino"
tasto "silenzioso" < lat. tacitus
vasto "vuoto" < lat. vacitus
vétrico "patrigno"
Non si sono prodotti dittonghi dalle vocali /e/ e /o/ brevi toniche del latino:
èri "ieri"
mètere "mietere"
mèto "paura"
òmo "uomo"
fòra "fuori"
òve "pecora"
scòla "scuola"
tòrlo "tuorlo"
Si conservano arcaismi come óvo "uovo" e óva "uova", dalla parola latina con vocale tonica lunga /o:/. Così si hanno esiti regolari di parole che hanno invece esiti irregolari nell'italiano del nostro corso storico:
lópo "lupo"
óscio "uscio"
Ai romanisti sarà saltata subito all'occhio l'irregolarità dell'italiano lupo, dato che il latino lupus ha una -u- tonica breve, che non si sarebbe dovuta conservare immutata. Alcuni hanno spiegato il vocalismo di lupo ipotizzando l'influsso dei dialetti umbri, altri lo hanno visto invece come un dottismo causato da tabù linguistico. Ecco, assumiamo che nell'italiano ucronico queste interferenze non ci siano state.
Altri arcaismi:
meco "con me"
teco "con te"
novésco "con noi"
vovésco "con voi"
Le prime due forme pronominali, meco e teco, esistevano nell'italiano letterario. Le altre due sono notevoli, dato che già nell'Appendix Probi si stigmatizzava noscum per nobiscum "con noi" e voscum per vobiscum "con voi". Si tratta quindi di esiti in qualche misura dotti, a dispetto della regolare evoluzione fonetica. In italiano letterario sono note le forme nosco e vosco.
Mancano le lenizioni delle consonanti sorde, che tanto sono diffuse nel nostro italiano:
aco "ago", "aghi"
laco "lago", "laghi"
péscopo "ispettore"
Quest'ultimo vocabolo non ha mai avuto significato religioso, mantenendo la sua origine militare; si ipotizza che il Punto di Divergenza tra l'ucronia in questione e il nostro corso storico risalga all'epoca di Diocleziano.
Restano sostantivi che distinguono il nominativo da una forma obliqua (usata come accusativo, dativo, ecc.):
frate "fratello" (obliquo fratre)
latro "ladro" (obliquo latrone)
mate "madre" (obliquo matre)
òmo "uomo" (obliquo òmine)
pate "padre" (obliquo patre)
sòro "sorella" (obliquo soróre)
Al posto di antichi neutri possono trovarsi occasionalmente forme maschili rifatte per analogia:
còre "cuore" (obliquo corde, ma plurale/collettivo corda, di genere neutro)
Si hanno femminili in -o, come fico (che nel nostro italiano è passato al maschile) e querco "quercia (che nel nostro italiano è passato al femminile): ella fico "il fico" (albero e frutto), ella querco "la quercia".
Alcune parole dell'italiano ucronico sopra illustrato esistono nella nostra lingua italiana soltanto come reliquie: menomo è ben noto ed usato dallo stesso Leopardi, ormai nessuno lo usa, ma ha dato origine a parole tuttora correnti come menomare, menomato, menomazione. Questa è la dimostrazione più eloquente di come sia possibile per il volgo dimenticare l'etimologia delle parole e non comprendere neppure le connessioni più elementari. Altre volte una parola dell'italiano ucronico da me proposto vive soltanto come toponimo. Questo è proprio il caso di presezzo, che esiste come nome di un paese lombardo, Presezzo (in provincia di Bergamo), che è derivato direttamente dal latino praesidium. La consonante -zz- è sonora come quella di mezzo.
I verbi sono meno regolari di quelli del nostro italiano.
Questa è la coniugazione del verbo esse "essere" al presente indicativo:
son "sono"
ei "sei"
è "è"
sómo "siamo"
este "siete"
son "sono"
Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti:
sén "sia"
sei "sia"
sé "sia"
sémo "siamo"
séte "siate"
sén "siano"
Questa è la coniugazione del verbo posse "potere" al presente indicativo:
posso "posso"
pòte "puoi"
pòte "può"
pòssomo "possiamo"
potèste "potete"
posse "possono"
Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti:
posse "possa"
posse "possa"
posse "possa"
pòssimo "possiamo"
pòste "possiate"
posse "possano"
Questà è la coniugazione del verbo avere "avere" al presente indicativo:
abbio "ho"
ave "hai"
ave "ha"
avémo "abbiamo"
avete "avete"
ave "hanno"
Il presente congiuntivo è quasi identico a quello da noi usato:
abbia "abbia"
abbia "abbia"
abbia "abbia"
abbiamo "abbiamo"
abbiate "abbiate"
abbia "abbiano"
Questà è la coniugazione del verbo amare "amare" al presente indicativo:
amo "amo"
ama "ami"
ama "ama"
amàmo "amiamo"
amate "amate"
ama "amano"
Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti:
ame "ami"
ame "ami"
ame "ami"
amémo "amiamo"
améte "amiate"
ame "amino"
Questà è la coniugazione del verbo vedere "vedere" al presente indicativo:
vezzo "vedo"
vede "vedi"
vede "vede"
vedémo "vediamo"
vedete "vedete"
vede "vedono"
Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti:
vezza "veda"
vezza "veda"
vezza "veda"
vezzàmo "vediamo"
vezzàte "vediate"
vezza "vedano"
Questà è la coniugazione del verbo dùcere "guidare" al presente indicativo:
duco "guido"
duce "guidi"
duce "guida"
dùcimo "guidiamo"
duste "guidate"
duco "guidano"
Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti:
duca "guidi"
duca "guidi"
duca "guidi"
ducàmo "guidiamo"
ducàte "guidiate"
duca "guidino" Questà è la coniugazione del verbo odire "udire, sentire" al presente indicativo:
ozzo "odo, sento"
odi "odi, senti"
odi "ode, sente"
odìmo "udiamo, sentiamo"
odite "udite, sentite"
ozzo "odono, sentono"
Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti:
ozza "oda, senta"
ozza "oda, senta"
ozza "oda, senta"
ozzàmo "udiamo, sentiamo"
ozzàte "udiamo, sentite"
ozza "odano, sentano"
Nell'Italia ucronica in cui si parla questa lingua non si è imposto il Cristianesimo, che è stato annientato da Diocleziano. Nemmeno il Neoplatonismo ha avuto fortuna: sono rimasti soltanto culti pagani vernacolari. Alcuni nomi di divinità sono identici o quasi a quelli a noi conosciuti:
Giove "Giove"
Marte "Marte"
Vènere "Venere"
Bacco "Bacco"
Giano "Giano"
Altri hanno subìto evoluzioni fonetiche prevedibili:
Erchie "Ercole"
Giana "Diana"
Mercóro "Mercurio"
Piuto "Plutone" (obliquo Piutone)
Satórno "Saturno"
Altri elementi del vocabolario cultuale, scomparsi nel nostro corso storico, perdurano:
ara "altare"
fano "tempio"
èppia "banchetto sacro"
nèmo "bosco sacro" (obliquo nèmore, plurale nèmora)
piàcchio "espiazione cruenta"
L'ortografia adottata è praticamente identica a quella che usiamo quotidianamente, con l'uso gli accenti dove abbiamo ritenuto necessario chiarire la pronuncia ed evitare ambiguità. Si potrebbe quasi dire che questo italiano ucronico sia una sorta di livellatore che regolarizza l'evoluzione dal latino, più classico che volgare, restaurando una regolarità che nella nostra realtà è andata perduta. Sembra quasi un metro di paragone tra le condizioni ideali di evoluzione linguistica e quelle reale, di gran lunga più caotiche e imprevedibili. Se poi si vorrà dire che questa non è davvero "ucronia", bensì "onirostoria", si faccia pure.