Nel dialetto di Roma esiste il termine scrauso "brutto; scadente", ben attestato anche con la variante sgrauso. Da dove proviene questa strana parola? Intanto cominciamo a tracciare a grandi linee la sua documentazione. Sembra essere emersa verso la fine del XX secolo nel gergo dei coatti, con i significati sopra riportati. Ad esempio ricorre nel film Amore tossico di Claudio Caligari (1983), con riferimento a droga di pessima qualità (robba scrausa). Se andiamo indietro nel tempo, ci imbattiamo in un'unica attestazione nota risalente al XVI secolo, per la precisione all'anno 1527: nella confessione autografa di una strega, Bellezze Ursini da Collevecchio, la parola scrauso sembra avere il senso di "sciocco". Non si può quindi trattare di un'insostanziale invenzione giovanile moderna.
La mia ipotesi è che la parola risalga alla lingua longobarda: si tratta della radice germanica *graus- "terribile, orribile; orrore", attestata grazie agli antroponimi GRAUSO e GRAUSULUS. Abbiamo anche ADELGRAUSUS e ALDEGRAUSUS, sempre con l'aggiunta della terminazione latina -us. Il termine non è di per sé enigmatico: ancora nel tedesco attuale troviamo il sostantivo Graus "terrore, orrore" (poetica), e il verbo grausen "inorridire". In medio alto tedesco abbiamo griusig "orribile", in antico inglese abbiamo gréosan "spaventare". La forma longobarda, pur essendo omofona della forma tedesca attuale, ha il dittongo /au/ ereditato dal protogermanico, mentre il tedesco Graus è invece dalla variante *gru:s-, col dittongo regolarmente sviluppato dalla vocale lunga /u:/.
La parola romanesca non può essere nativa, dato il ben strano dittongo -au-, che non può del resto risalire ad epoca troppo remota, o sarebbe stato ridotto a un monottongo. La s- iniziale non è un problema così insormontabile. Basti citare l'italiano sguattero, che viene da un precedente guattero "inserviente di cucina", di origine longobarda e corrispondente all'antico alto tedesco wahtāri "guardiano".
All'inizio la parola doveva significare "terribile; orribile", donde "brutto" e "scadente", detto di cosa o di persona. Ipotizzo che esistesse un tempo una locuzione del tipo "scemo scrauso", qualcosa di simile a "brutto scemo", donde lo slittamento semantico documentato nel processo alla strega romana del XVI secolo. O forse, da "scadente" nel senso di "minorato" (all'epoca non esisteva alcun rispetto per le persone con qualche problema, e neppure pietà o misericordia). Altri significati attestati nel gergo dei coatti sono "escremento" e "matto", tutti con forte connotazione negativa.
I romanisti sembrano impotenti di fronte a questo vocabolo, e farfugliano frasi prive di senso. Non sembrano tenere conto dell'attestazione del XVI secolo e tentano di derivarlo dalla voce scausa "scaglia", per inserimento di una fantomatica -r- peggiorativa che pare generata dai loro sogni, per poi dire che il significato originale della parola dovesse essere "prostituta", dato che in molti gerghi italiani scaglia indica la peripatetica. Tutto molto fumoso, mi pare, in netto contrasto con la chiarezza cristallina dell'origine longobarda.
In ogni caso, dai tempi di Bellezze Ursini la parola se ne sarebbe rimasta a covare sotto la brace per conoscere fortuna soltanto qualche secolo dopo, spargendosi come un meme. Oggi è ben diffusa nel linguaggio colloquiale su vasti territori, tanto che la si ritrova anche a Milano, a Genova e altrove. A quanto pare, a Genova sono attualmente chiamati così i camalli. Nessuno pare accorgersi che si tratta di un articolo di importazione.
Queste sono alcune sorprendenti attestazioni ritrovate nel web:
Palermo. Riferito a oggetti: scadente, taroccato; riferito a persone: antipatico, arido. Es: se qualcuno si rifiuta di uscire la sera, si dice 'non fare lo scrauso'.
Friuli. Indica qualcosa che costa poco e non è di alto livello. Es: un computer con windows95 senza prese usb è considerato scrauso.
Olbia. Qua si dice per indicare qualcosa di bassa qualità.
Bologna. Aggettivo spregiativo. Es: hai un cellulare strauso (rotto, vecchio).
Il Corriere di Bologna dà scrauso come vocabolo del gergo giovanilese, al pari di sciallo e di fighettismo.
A questo punto dovremmo porci come una parola longobarda sia giunta a Roma, visto che l'Urbe non è mai stata sotto il potere dei Longobardi. Probabilmente il termine vi fu portato da un longobardo che vi si era trasferito, e per ventura è piaciuto al volgo locale, finendo con l'essere adottato all'inizio da un gruppo di conoscenti dell'esule, poi da sempre più persone, finendo così con l'avere esiti incontrollabili - doffondendosi per effetto boomerang anche in terre di lunga tradizione longobarda, dove la radice germanica *graus- era caduta in un oblio profondo, rimanendo tuttavia ben documentata nei cognomi. Abbiamo infatti Grauso e un più raro Crauso.