In alcune regioni settentrionali dell'Impero Romano era assai popolare il culto della Dea Nehalennia. Tradizionalente ritenuta di origine germanica, in quanto fiorente nella regione del Reno affacciata sul Mare del Nord, questa devozione era tuttavia diffusa anche nella Gallia Belgica, in particolare tra il popolo celtico dei Morini (dalla parola celtica more "mare"). La notorietà di questa divinità raggiunse regioni molto lontane, grazie ai marinai e ai mercanti che le affidavano le loro vite e le loro merci. Si sono trovati altari che riportano ex voto e dediche anche da parte di persone native della Gallia Celtica e della regione alpina, come ad esempio il marinaio Vesigonius Martinus, che era cittadino dei Sequani e viveva a Vesontio (oggi Besançon), il mercante Placidus figlio di Viducus, cittadino di Rotomagus (oggi Rouen), Publius Arisenius Marinus, liberto di Publius Arisenius e mercante in Britannia, e Marcellus da Augusta Raurica (oggi Augst, in Svizzera), che ricopriva la carica di sevir augustalis della città.
Nel territorio oggi conosciuto come Zelanda, alle foci del Reno, della Mosa e della Schelda, il culto sopravvisse alla caduta dell'Impero d'Occidente: ci è noto un santuario di Nehalennia che si trovava nell'isola di Walcheren e che fu distrutto da San Willibrord, nel 694 d.C. La scoperta dei suoi resti nel luogo oggi noto come Domburg avvenne dopo quasi un millennio, nel 1645, e fece scalpore.
L'iconografia della Dea Nehalennia è densissima di simboli e di significati esoterici, connessi senza dubbio con il suo ruolo di guida dei viandanti e di protettrice dai pericoli del mare. Era spesso rappresentata con in mano un remo e accompagnata da un cane benigno, che nelle credenze dei devoti doveva fungere da psicopompo: si pensa che si trattasse di un segugio. Si trovano spesso altri attributi nautici, come ad esempio la prora di una nave, oltre a un canestro pieno di mele, che presso i Germani erano connesse con l'idea della vita eterna. A volte al posto delle mele sono rappresentate delle pagnotte. Per associazione di idee, si pensa subito a una divinità ben conosciuta del pantheon nordico: la Dea Iðunn, che ha come principale attributo un cesto di mele, frutti a cui gli Asi devono la loro immortalità. Con ogni probabilità alla radice di queste figure femminili c'è uno stesso mito neolitico.
Detto ciò, non esiste alcuna etimologia germanica plausibile per il nome di Nehalennia. Si è voluto connettere questo nome di divinità femminile al protogermanico *no:w-, *naw- "nave", presente ad esempio in norreno nór "nave", Nóatún "Recinto delle Navi" (dimora di Njǫrðr), naust "rimessa di navi", oltre che nell'anglosassone nōwend "marinaio" (-o:- è il naturale sviluppo germanico di IE -a:-). Tuttavia si vede bene che non quadra assolutamente né il vocalismo (non esiste alcuna variante indoeuropea in cui la radice compaia con -e-) né il consonantismo (se la -h- è etimologica, non si capisce come possa essersi formata in una lingua germanica, dato che dovrebbe risalire a indoeuropeo -k-). Dove è finito l'elemento labiale -w- che si trova in latino navis /'na:wis/ e in greco ναῦς? O si ammette una lingua indoeuropea del tutto diversa, con mutamenti fonetici del tutto peculiari, o si deve ritenere che la radice da cui Nehalennia ha formato il suo nome sia tutt'altra. Si deve menzionare anche il tentativo di derivare il teonimo da una radice germanica quasi omofona di quella che indica la "nave": si tratta di *naw- "morto, cadavere", che ha esiti in diverse lingue del gruppo (gotico naus, norreno nár, anglosassone nēo) ma che a mio avviso è un relitto di sostrato. Paralleli si trovano nelle lingue slave e baltiche. Le difficoltà già analizzate si ripropongono una per una. Se i germanisti hanno ipotizzato una connessione con le radici protogermaniche per "nave" o per "cadavere", è altrettanto vero che sono stati superficiali e frivoli, evitando di tracciare il quadro dei complessi (e inverosimili) mutamenti fonetici necessari.
Non hanno avuto maggior fortuna coloro che propongono un'origine celtica: si vede che Nehalennia può esser gallico come maccheroni è inglese. Oltre al fatto che la -h- sarebbe ben enigmatica anche in questo caso, al pari del vocalismo. Nelle lingue celtiche storiche un fonema aspirato /h/ non sussisteva affatto, e se ne trovava traccia soltanto nelle forme più antiche di questa varietà, dove deriva da indeuropeo /p/. Es. l'antico nome della Foresta Nera, Hercynia Silva, la cui radice celtica è dall'IE *perkw- "quercia", donde anche latino quercus (con assimilazione p > kw).
Varie etimologie-paccottiglia sono state elaborate non vano tentativo di spiegare il nome della divinità. Solo per fare un esempio, fu fatto il tentativo di identificare grossolanamente il nome con il greco Νέα Σελήνη (Nea Selene) "Nuova Luna", cosa impossibile già per motivi fonetici. Uno studioso secentesco olandese, Marcus Zuerius van Boxhorn, cercò addirittura di far risalire Nehalennia alla lingua degli Sciti, senza arrivare da nessuna parte, potendo contare su metodi filologici ben scarsi. Pur essendo stato tra i primi ad accorgersi della somiglianza tra il latino, il greco, le lingue germaniche, il persiano e altre - e il primo a postulare la loro origine da una lingua comune, che chiamò "scitico" - i suoi argomenti hanno un sapore decisamente prescientifico. Nehalennia per lui era semplicemente l'olandese "Nat Eiland", ossia "Isola Umida", e nella sua disquisizione grossolana cercava di dimostrare tra l'altro che il francese sarebbe stato una lingua germanica. Una gran congerie di confusione, dubbi ed errori. Non si trova nelle lingue indoeuropee della Persia alcun parallelo credibile.
Il teonimo non ha l'aria di essere riconducibile a lingue indoeuropee attestate nella regione del Mare del Nord. I casi sono due: o è un relitto preceltico e pregermanico, che documenta una lingua locale più antica e sconosciuta, oppure è stato importato da fuori in epoca imperiale. Avanzo l'ipotesi che il teonimo sia aquitano e che derivi da una radice *ne(h)al- non sopravvissuta in basco, con un tipico suffisso genitivale in -eN che continua nel genitivo basco attale -en. Essendo i vocaboli baschi inizianti in n- ben rari già nella lingua antica, è ben plausibile che la radice sia entrata da una lingua di altro ceppo, il che renderebbe conto della sua stranezza. Tuttavia il suffisso ci indica che il teonimo ha la forma di un nome di possesso, che la radice deve essere il nome dell'oggetto posseduto o di una qualità, verosimilmente un attributo divino importante. A questo punto ipotizzo che *ne(h)al sia un antico nome protobasco che significa "giovinezza". In ultima analisi si tratta di un prestito dalla radice indoeuropea *new- "nuovo", che mostra un dileguo della -w- intervocalica, come accadeva in lusitano, una lingua indoeuropea preceltica affine al sorotaptico e a parer mio da attribuirsi al gruppo delle lingue liguri, ormai estinte. Solo per fare un esempio, in lusitano è attestata la parola OILAM "pecora" (all'accusativo), che deriva dalla stessa base indoeuropea del latino ovis, con dileguo della consonante. Giungo alla conclusione che la radice di Nehalennia sia quindi di una parola di origine ultima indoeuropea, ma assimilata da una lingua non indoeuropea. La consonante -h- sarebbe il ben noto separatore iatale del protobasco. Se la mia proposta trovasse conferma, sarebbe provata in modo inequivocabile l'identificazione di Nehalennia con la dea scandinava Iðunn, avendo i due teonimi lo stesso significato (cfr. antico alto tedesco itis "donna" e anglosassone ides "vergine, signora, donna", in origine "giovane donna").
Anche se a quanto pare in pochi ne sono a conoscenza, esistono attestazioni di antroponimi aquitani in una regione percorsa dal Reno, anche se lontana dal mare: evidentemente alcune comunità sono state deportate sotto l'Impero o più probabilmente si trattava delle famiglie di legionari nativi dell'Aquitania che li hanno seguiti dando vita a una nuova enclave allogena tra i Germani che vivevano sotto Roma. Fenomeni di questo genere non erano affatto rari: sappiamo ad esempio della presenza di Aquitani in Sardegna. In tale regione remota furono dislocati probabilmente per via della somiglianza tra la loro lingua e quella dei Sardi, nel tentativo di favorire la pacificazione delle popolazioni native. Così penso che la spiegazione più plausibile di Nehalennia sia riconducibile a stanziamenti di Aquitani, e probabilmente addirittura a una singola persona che chiamò con un nuovo epiteto una divinità locale antica, dedicandole un ex voto per essersi salvato da morte certa nel corso di un naufragio. Il nome divino coniato da questo aquitano sarebbe piaciuto e si sarebbe così diffuso.