venerdì 20 novembre 2020

 
ENEMY

Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Canada, Spagna
Anno: 2013
Durata: 90 min
Rapporto: 2,39:1
Genere: Thriller, drammatico, grottesco
Regia: Denis Villeneuve
Soggetto: José Saramago (O Homem Duplicado, romanzo)
Sceneggiatura: Javier Gullón
Produttore: Niv Fichman, Miguel A. Faura
Produttore esecutivo: François Ivernel, Cameron
     McCracken, Mark Slone, Victor Loewy
Casa di produzione: Rhombus Media, Roxbury Pictures, 
     micro_scope, Mecanismo Films
Distribuzione in italiano: PFA Films, 102 Distribution
Fotografia: Nicolas Bolduc
Montaggio: Matthew Hannam
Musiche: Danny Bensi, Saunder Jurriaans
Scenografia: Patrice Vermette
Costumi: Renée April
Trucco: Catherine Viot
Interpreti e personaggi:
    Jake Gyllenhaal: Adam Bell / Anthony Claire
    Mélanie Laurent: Mary
    Sarah Gadon: Helen Claire
    Isabella Rossellini: La madre di Adam 
    Joshua Peace: Insegnante
    Tim Post: Concierge di Anthony
    Kedar Brown: Guardia di sicurezza
    Darryl Dinn: Impiegato della videoteca
    Misha Highstead: Signora nella dark room
    Megan Mane: Signora nella dark room
    Alexis Uiga: Signora nella dark room
    Paul Stephen: Gerente della dark room
    Stephen R. Hart: Buttafuori
    Kiran Friesen: Donna triste, distrutta
    Jane Moffat: Eve
    Loretta Yu: Addetta alla reception
Doppiatori italiani:
    Stefano Crescentini: Adam Bell / Anthony Claire
    Gemma Donati: Mary
    Valentina Favazza: Helen Claire
    Roberta Paladini: La madre di Adam 
Titolo in altre lingue: 
    Spagnolo (America latina): El hombre duplicado
 
Trama: 
Incipit erotico. In un club ctonio una donna si esibisce in un numero morboso e sta per schiacciare un grosso ragno dall'addome setoso. Uno squallido professore di storia, certo Adam Bell, si consuma in una spettrale esistenza da larva nella metropoli di Toronto, sotto un cielo di un grigio perenne. Un giorno accade qualcosa che scombina la sua routine: su istigazione di un collega noleggia una videocassetta di un film intitolato Volere è potere. Guardandolo si accorge che una comparsa gli somiglia a tal punto da poter essere un suo clone. Ha quindi inizio un'ossessione: trovare questo Doppelgänger e scoprirne la vera identità. Presto questa idea fissa s'impossessa di lui, al punto che gli diventa impossibile pensare ad altro. Comincia ad indagare, scoprendo che il suo doppione è conosciuto col nome d'arte di Daniel St. Claire, ma in realtà si chiama Anthony Claire e ha al suo attivo soltanto un paio di comparse sullo schermo. Quando Adam si reca all'agenzia per cui lavora Anthony, viene scambiato per lui. Riesce a ritirare una busta destinata all'attore, da cui ricava il suo indirizzo e il numero di telefono. Lo chiama ma non lo trova in casa. Risponde la moglie, Helen che si trova in un avanzato stato di gravidanza e rimane profondamente turbata dal tentativo farneticante del professore di instaurare una conversazione. Credendo di avere le corna, decide di pedinare il marito, scoprendo l'esistenza dell'uomo a lui identico al punto di sembrare un suo clone. La donna scopre l'università dove Adam insegna, ma lui non è consapevole di essere spiato. A un certo punto avviene l'incontro tra i due uomini identici, in una stanza d'albergo. Essi scoprono che non si tratta di una pura e semplice somiglianza: ogni singolo dettaglio dell'uno trova la sua perfetta corrispondenza nel corpo dell'altro, persino una cicatrice. Terrorizzato da questi accadimenti portentosi, Adam dichiara che l'incontro è stato un errore e fugge via. Forse come conseguenza dell'incontro, Adam ed Anthony hanno il sonno funestato dallo stesso incubo, in cui prima appare loro una donna nuda la cui testa è quella di un aracnide, poi vedono un ragno immenso delle dimensioni di un grattacielo che zampetta allegramente tra gli edifici della città. Anthony diventa uno stalker e punta la sua ragazza, Mary. Vuole possederla carnalmente, accusando Adam di essere stato a letto con la gravida Helen, per poi dichiarare di aver agito per vendetta, per mettere i conti in pari. Così contatta Adam e gli chiede di prestargli vestiti e chiavi della macchina per una notte, promettendo che dopo aver avuto questo favore scomparirà per sempre dalla sua vita. Adam accetta, quindi Anthony lo impersona, riesce a portare Mary in un albergo e ha con lei contatti sessuali. La reazione di Adam è semplice: si reca a casa di Anthony e dovo varie piagnucolose vicissitudini Helen accetta di fare l'amore con lui. Nel frattempo Mary, durante il sesso ha una crisi, perché nota che l'uomo ha un segno sulla fede nuziale. Capisce di essere stata ingannata da un uomo somigliante al marito; gli chiede di essere riportata a casa. Durante il viaggio i due litigano furiosamente, causando un terribile incidente in cui muoiono entrambi. Il giorno dopo, Adam si ritrova ad assumere l'identità di Anthony. Indossa i suoi abiti, apre una busta a lui destinata, con la chiave del club erotico ctonio in cui all'inizio del film una donna stava sensualmente schiacciando un pingue ragno. Avvisa che sta per uscire di casa. Helen non gli risponde, quindi lui entra nella sua stanza, vedendo al posto della donna un aracnide nero e peloso, che occupa l'intero spazio.
 
 
Recensione: 
Mentre lo vedevo per la prima volta, mi sembrava un ottimo thriller, pieno di suspense. La tensione era totalizzante, il senso di mistero era assoluto e densissimo. Cosa avrà mai prodotto la comparsa dell'inesplicabile Doppelgänger del protagonista? L'acme viene raggiunto quando, durante l'incontro tra i due uomini, si vede che sono identici a livello genetico e cellulare, avendo persino gli stessi nei! DNA che corrispondono base per base, molecola per molecola! Non solo: i corpi mostrano anche un identico segno non congenito, una cicatrice, che deve essere il prodotto di un identico trauma subìto a un certo punto delle loro esistenze! E com'è possibile una cosa simile? Non può essere una mera coincidenza! Questa è un'idea sorprendente, inquietante, che avrebbe potuto essere sfruttata meglio. Purtroppo Villeneuve è riuscito nella difficile impresa di rovinare tutto in pochi secondi non lontano dai titoli di coda. Ho digrignato i denti per lo sdegno. Non ho dubbio alcuno: quest'uomo benedetto è un regista che ha il tocco di Re Adim! Se il Re Mida trasformava in oro tutto ciò che toccava, vi lascio immaginare quali fossero invece le proprietà del tocco del Re Adim! Proprio quando si ha davanti una torta al cioccolato e si sta per gustarla, ecco che lo chef diabolico ci mette sopra una massa di gorgonzola graveolente e di salsa verde. Vi immaginate lo schifo? Ecco, ora avete una vaga idea di quello che ho provato. Sappiamo tutti che la Settima Arte è defunta. Non si hanno più idee originali. Tutto sta diventando un remake di un remake di un remake, ad infinitum, ad nauseam! Un simile contesto di merda è ciò che si chiama mainstream. Quando hai la fortuna di concepire un'idea innovativa e sconvolgente, non puoi banalizzarla e gettarla via! Se lo fai, è una cosa che urla vendetta al Cielo!    
 
 
Un finale smerdante 
 
Proprio quando il protagonista sta per trovare il bandolo della matassa, accade qualcosa di inaudito. Anziché la moglie trova nella stanza da letto l'orrenda, schifosa suocera che si manifesta a lui nella sua vera natura di titanica tarantola. La critica dice che quella è la moglie di Anthony, Helen, ma io non ci credo affatto. Quella è proprio la suocera. Un aracnide smisurato e peloso, che invade tutta la stanza, che invaderebbe lo stesso Universo, se non fosse confinato tra quattro mura. Un cielo in forma di tarantola, che avvolge ed opprime ogni cosa. L'uomo non sembra rendersi conto della situazione raccapricciante. Anzi, tira un sospiro di sollievo e ride. Sembra quasi che abbia una reminiscenza improvvisa di un pianeta alieno popolato da colossali aracnidi senzienti, di cui anche lui era parte. Questa interpretazione, lasciata allo spettatore, non viene però esplicitamente affermata dal regista. Non si dà un barlume di spiegazione. Si ha l'impressione di assistere al colpo di un'arma spuntata, che fallisce il bersaglio. Nello stesso istante in cui la rivelazione dovrebbe manifestarsi nella sua atrocità, parte invece una fastidiosissima musichetta da commediola. Un'aria futile che cosparge di escrementi l'intera opera, riducendone a nullità la trama e privandola di ogni residuo di significato! Proprio così. Il film di Villeneuve non significa nulla
 
Qual è il confine della Fantascienza?  
 
La domanda è a bruciapelo. Può questo film villeneuviano essere definito un'opera di fantascienza? Certo che sì! Mi rendo conto che la mia affermazione sembrerà blasfema a molti fantascientisti fanatici, ma le cose stanno in questi termini. Se un Doppelgänger di una persona si aggira per la città, non si può affatto escludere che sia un alieno sotto mentite spoglie o il prodotto di una tecnologia occulta, che potrebbe benissimo non essere del nostro pianeta. Certo, se dicessi che L'uomo duplicato di Saramago è un'opera di fantascienza fatta e finita rischierei il linciaggio. Infatti non è probabile che sia stata scritta con tale intento. L'aspetto fantascientifico è stato infuso proprio della trasposizione cinematografica: per come Villeneuve ha presentato le sequenze, la loro classificazione è inevitabile. Non ci sono molte altre spiegazioni possibili. L'idea che Adam ed Anthony siano gemelli omozigoti separati alla nascita si rivela una pura e semplice assurdità proprio a causa del fatto che entrambi hanno la stessa cicatrice. Fallisce la riduzione degli eventi al mondo della razionalità umana, della quotidianità. L'uomo duplicato di Saramago è più che altro attento alla dimensione psicologica. Incredibilmente prolisso, il romanzo è ambientato in un microcosmo portoghese di cui non si trova traccia nella trasposizione cinematografica. Potremmo dire che è una specie di esperimento concettuale, in cui lo scrittore lusitano indaga la reazione di un uomo alla comparsa di un altro essere umano identico a sé, senza che sia data la benché minima importanza all'origine ultima di un simile portento. 
 
Alcune note sul romanzo di Saramago 

Il protagonista porta un nome altisonante: Tertuliano Máximo Afonso. Non riesce ad accettare quel Tertuliano, perché tutti lo pigliano per il culo pronunciando "TERTULI ANO", con un bello stacco che non lascia adito a dubbi, facendo un'associazione immediata allo sfintere da cui sono espulse le feci. Lo stesso giochetto che ho fatto io quando ad Augusta ho visto su un dipinto di Carlo Magno questa imbarazzante dicitura: "NIHIL DEEST CHRISTI ANO" (doveva significare "Nulla manca al cristiano"). La morale era questa: Carlo Magno rispondeva con tali parole a un imperatore politeista, Alessandro Magno, che con un analogo "fumetto" affermava: "NIHIL SUFFICIT PAGANO" (ossia "Nulla basta al pagano"). Il problema è che "CHRISTI ANO" con lo stacco dovuto alla necessità di andare a capo, è passibile di interpretazione blasfema! Mi domano se non fosse una cosa voluta. In modo simile, quando fu chiesto al professor Gianfranco Miglio se fosse un craxiano, lui rispose: "Non sono l'ano di nessuno". L'aggettivo "craxiano" era da lui interpretato con lo stesso spirito del "CHRISTI ANO" evocato da Carlo Magno. Con meno fortuna, Umberto Bossi cercò di riciclare la battuta, dicendo di detestare tutte le parole che teminano per "ano". "Come padano?", ribatté l'intervistatore. Ecco, diciamo che il "TERTULI ANO" di Saramago è il corrispondente portoghese delle amenità da me riportate. E gli hanno anche dato il Nobel!     
 
Il dilemma della macchina duplicatrice 
 
Immaginiamo ora una macchina che funziona in questo modo: scansiona qualsiasi oggetto sia posto nell'apposito vano, riproducendolo atomo per atomo. Potremmo dire che si tratta di una forma molto avanzata di stampante tridimensionale. Non escludo che tra qualche anno qualcosa di simile possa davvero essere realizzabile. Le conseguenze ontologiche sono gravissime. Adesso pongo la fatidica domanda. Cosa accadrebbe se una simile macchina riproducesse un essere umano anziché un oggetto? Produrrebbe una copia perfetta, che non conterrebbe alcun errore genetico, alcuna distorsione di una singola base del DNA. Sarebbe una copia migliore di qualsiasi clone, persino migliore di un gemello omozigote. Il cuore batterebbe, pomperebbe il sangue al cervello, si accenderebbe l'autocoscienza nell'essere umano duplicato. Quale sarebbe la fonte di questa nuova autocoscienza, che prima della duplicazione non esisteva? Il cervello duplicato, come vorrebbero i pierangelisti? Cosa penserebbero i teologi delle varie religioni del mondo? Un teologo tomista crederebbe che tale macchina ha duplicato un'anima immortale che soltanto Dio dovrebbe poter creare? Che ne sarebbe della sostanza aristotelica e dell'ideologia che da essa è derivata? I Dottori della Chiesa ammutolirebbero. I filosofi direbbero che a tutti questi quesiti non c'è ancora una chiara risposta. Quello che invece si può dire per certo è dove sono andati a finire secoli di speculazione e di pensiero religioso del genere umano. Non cito esplicitamente il luogo in questione per non apparire troppo cinico. 
 

Due filosofemi 
 
Le citazioni che compaiono nell'introduzione dell'opera di Saramago sono queste: 

Il caos è un ordine da decifrare.
Libro dei Contrari

Credo sinceramente di avere intercettato molti pensieri che i cieli destinavano a un altro uomo.
Laurence Sterne 

La prima citazione compare all'inizio del film in una forma lievemente diversa proprio dopo la bella inquadratura di una donna nuda incinta: "Chaos is order yet undeciphered" (ossia "Il Caos è ordine non ancora decifrato"). La fonte della sentenza non è specificata e non si fa menzione della frase di Laurence Sterne, scrittore e religioso irlandese nato a Clonmel (Tipperary) nel 1713 e deceduto a Londra nel 1768. Ebbe un matrimonio infelicissimo con una pazza da catena e peggiorò ancor di più la situazione cornificandola accanitamente. Fu afflitto da una salute malferma e da continue difficoltà economiche. Invaghitosi di un'altra donna, viaggiò in Francia e in Italia, scrivendo le prorpie memorie e riuscendo infine a separarsi dalla moglie. Dopo una vita tanto incerta, lo colse la morte per tubercolosi. Non stupisce che si sia sentito attraversare da pensieri alieni, come una radio capace di captare i borborigmi di Azathoth!    

L'Ordine e il Caos 
 
La specie Homo sapiens è formata da due meccanismi: una macchina procreatice e un programma ricercatore di senso. La macchina procreatice ha come scopo l'estrazione del genetico e il suo utilizzo per la fabbricare di nuovi esemplari che portino sulle proprie spalle il gravame di una condizione maledetta. Il programma ricercatore di senso, che Luigi Pirandello definiva "macchinetta infernale", ha come scopo la decrittazione del Caos, la riduzione della sua insensatezza suprema a un ordine comprensibile. Quindi il processo è quello di trasformazione del Caos in Cosmo. Un'opera di Cosmogenesi. Il problema è che il programma ricercatore di senso è intrinsecamente fallimentare. Il senso non si trova, per quanto eroici possano essere gli sforzi. Alla fine Homo sapiens si ritrova nudo, balbuziente e demente di fronte all'Assurdo. Né si deve credere, come pure fanno alcuni, che il desolante tocco dell'Assurdo possa essere ciò che ci assicura la Libertà. Non esiste opinione più farneticante della loro. La Libertà si può trovare soltanto nell'Annientamento dell'Essere. Un vino in grado di estinguere l'Essere e di cancellare l'ombra della vita è la sola cosa che si possa desiderare. Alla Cosmogenesi è necessario opporre la Cosmonemesi.   

 
Un'esegesi ridicola 

La vulgata corrente è questa: il Doppelgänger incarnerebbe il concetto secondo cui l'individuo sarebbe il vero nemico di sé stesso. In questo modo, Anthony sarebbe stato materializzato dall'inconscio di Adam come suo doppione fisico e al contempo come suo opposto caratteriale. Se Adam è un professorucolo timido e schiavo delle convenzioni, Anthony cerca di evadere dalla monogamia, che percepisce come asfittica, contemplando in un club erotico splendide dominatrici che spappolano ragni sotto i piedi. Il finale, sempre a detta dei fan, starebbe a significare che tutto è vano e che nessun mutamento può avvenire a causa delle circostanze, se prima non cambia veramente qualcosa dall'interno. Di tutto questo mi faccio beffe, perché è soltanto un coacervo di stronzate. Nessuno dice che il ragno schiacciato dalla Domina rappresenta il fallo eretto che eiacula a contatto coi piedi femminili nel corso di una sessione di sadomasochismo! 
 
Curiosità  

Un refuso voluto. Il professore tiene una lezione parlando del filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte (1762 - 1814). Tuttavia sulla lavagna si vede che il cognome è scritto erroneamente Fitche. Questa è una tipica manifestazione di germanofobia. 
 
Una squallida trovata pubblicitaria. Il cast ha firmato un accordo di confidenzialità che vietava di parlare ai media del significato dei ragni nel film. Mi domando perché questo accordo sia stato imposto. Quale significato dei ragni nel film? Non c'è nessun significato!  

Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Ho trovato nel Web un certo numero di recensioni tecniche, assai dettagliate, che trovo sommamente irritanti. Passerò oltre. Il Davinotti analizza il film di Villeneuve, riportando che risente dell'influenza di Cronenberg e di Lynch, più qualche altro dato lapalissiano. Gli interventi dei commentatori mi sembrano poco convincenti. mi limito a riportarne un paio.

 
Ira72 ha scritto:

"Pellicola pressoché mono-tono a esaltare la desolazione di una Toronto quasi spettrale, colonna sonora inquietante e incalzante. Buona performance di Gyllenhaal, che riesce a interpretare due persone fisicamente identiche ma caratterialmente oppost, attraverso sottili e impercettibili sfumature mimiche (compito mica facile!). Ma. Quando al subconscio e alla fantasia viene concesso troppo, in particolare da un grottesco finale aperto, il rischio è di restare perplessi, più che piacevolmente stupefatti. I ritmi dilatati, poi, non aiutano." 
 
Deepred89 ha scritto:

"Pellicola straniante e claustrofobica, forse debitrice del Lynch ultima fase. Il gioco che permette il dispiegarsi dell'ottima idea di partenza (l'avvistamento in un film di una comparsa... già vista) è di quelle che fanno scoccare il colpo di fulmine cinefilo. L'intreccio si sviluppa con intelligenza mentre i pesanti filtri della fotografia trasformano la fredda ambientazione in uno sfuggente inferno onirico. Peccato per quella chiusa ermetica: già trent'anni fa Fulci dimostrò che i ragni nelle città dei morti viventi rovinano i finali.
MEMORABILE: Il protagonista visionando un film si accorge di quella comparsa, in tenuta da maggiordomo; La creatura (?) che veglia sulla città." 

mercoledì 18 novembre 2020

 
ANTROPOPHAGUS 
 
AKA: Anthropophagus: The Beast; The Grim Reaper;
     Savage Island; Man-eater; Man beast
Paese di produzione:
Italia
Anno: 1980
Lingua originale: Inglese
Durata: 87 min
Genere: Orrore 
Sottogenere: Cannibalesco
Regia: Joe D'Amato
Aiuto regista: Donatella Donati
Soggetto: Luigi Montefiori, Aristide Massaccesi
Sceneggiatura: Luigi Montefiori
Produttore: Joe D'Amato, George Eastman, Oscar
      Santaniello 
Casa di produzione: P.C.M. International, Filmirage
Distribuzione in italiano: Cinedaf
Fotografia: Enrico Biribicchi
Montaggio: Ornella Micheli
Musiche: Marcello Giombini
Scenografia: Ennio Michettoni
Costumi: Ennio Michettoni
Trucco: Pietro Tenoglio
Fonico: Goffredo Salvatori
Interpreti e personaggi:
    Tisa Farrow: Julie
    Saverio Vallone: Alan
    Serena Grandi (come Vanessa Steiger): Maggie
    Margaret Mazzantini (come Margaret Donnelly): Ariette 
    Mark Bodin: Daniel
    Bob Larson: Arnold
    George Eastman: Klaus Wortmann, il cannibale
    Rubina Rey: Ruth Wortmann
    Simone Baker: Prima vittima
    Mark Logan: Seconda vittima
    Zora Kerova: Carol
    Joe D'Amato (non accreditato): Uomo che esce dalla
         funivia 
Denominazioni alternative dei personaggi:
    Nella versione in inglese, Alan è chiamato Andy;
    Ariette è chiamata Henriette "Rita".
    In altri paesi, come la Spagna, Klaus Wortmann è
    chiamato Nikos Karamanlis; Ruth Wortmann è chiamata
    Irina Karamanlis.
Titoli in altre lingue: 
   Anthropophagous : L'Anthropophage (Francia) 
   L'Anthropophage (Francia, TV)
   Der Menschenfresser (Germania Ovest) 
   Man Eater - Der Menschenfresser (Germania Ovest,
       X-rated)
   L'homme qui se mange lui-même (Belgio)
   Antropófagos (Argentina, Messico)
   Gomia, terror en el mar Egeo (Spagna)
   Antropófago (Perù)
   Antropofagia (Colombia)
   O antropófago (Brasile, Portogallo)
   Ο ανθρωποφάγος (Grecia)
   Антропофагус (Unione Sovietica)
   Ludożerca (Polonia)
Censura:
     V.M. 18 in Australia, Canada (eccetto il Québec),
     Finlandia, Italia, Regno Unito, Stati Uniti
     V.M. 16 in Francia
     V.M. 14 in Cile
     V.M. 13 in Canada (Québec)
Crediti di produzione DVD: 
   Produttore esecutivo: John Sirabella
   Produttore: William Hellfire

Trama: 
Una coppia di tedeschi in vacanza in Grecia va in spiaggia e viene trucidata da qualcuno che emerge dall'oceano. Intanto cinque viaggiatori hanno l'idea di fare il giro delle isole. Sono Alan e la sorella Carol, Daniel, Arnold e la moglie Maggie. All'ultimo ammettono nella loro comitiva anche Julie, che chiede un passaggio per un'isola fuori dalle rotte, dove vivrebbero alcuni suoi amici. L'unica che si oppone a questo cambiamento del programma è Carol, mossa dai tarocchi a presagire qualcosa di brutto in caso di visita all'isola. Il gruppo salpa comunque per la destinazione stabilita, ma subito qualcosa va storto. Mentre sbarca, Maggie, che è gravida, si distorce una caviglia. Non potendo proseguire rimane sulla barca con il suo proprietario. Un uomo attacca la barca, strappando la testa al marinaio e rapendo Maggie. Gli altri esplorano la cittadina dell'isola, scoprendola disabitata, se si eccettua una sfuggente donna in nero, che scrive "Vai via" su una finestra polverosa. In una casa viene trovato un cadavere in decomposizione che sembra essere stato cannibalizzato. La macabra scoperta spinge tutti a tornare di corsa alla barca, che però è alla deriva. Senza via di scampo, il gruppo si reca nella casa di proprietà degli amici di Julie, dove trovano l'ultima superstite della famiglia, la ragazza cieca Ariette. In preda al panico, dopo aver tirato una coltellata a Daniel, Ariette si calma e si lamenta che c'è per l'isola si aggira un pazzo che emana fetore di sangue corrotto. 
Temendo che la ferita di Daniel possa infettarsi, Alan e Arnold vanno alla ricerca di antibiotici. Carol scopre Daniel che flirta con Julie, ha una crisi isterica e fugge via nella notte. Julie la insegue, ma la perde e incontra Andy e Arnold. Nel frattempo l'assassino sfigurato irrompe nella casa e squarcia la gola di Daniel, lasciando Ariette da sola e fuggendo prima del ritorno degli. Al mattino, il gruppo attraversa l'isola e trova una dimora nobiliare, grande e sfarzosa come un castello. È la villa di Klaus Wortmann. Julie rammenta subito che Klaus, sua moglie e il loro bambino sono scomparsi in un naufragio e considerati morti. La sorella di Klaus, Ruth, sconvolta dalla tragedia, non ha più ritrovato il senno. È proprio lei la donna in nero incontrata all'inizio della sventurata esplorazione dell'isola. Prima che i visitatori entrino nell'edificio, Ruth conforta Carol addormentata e si impicca.  
Alan e Arnold guardano fuori da una finestra e vedono che la barca si è avvicinata alla riva. I due vanno a cercare di recuperarla. Julie trova nella villa un diario semidistrutto, da cui apprende che l'assassino è Klaus e che i corpi di tutte le sue vittime sono in una cripta. Alan e Arnold si separano e quest'ultimo raggiunge una chiesa abbandonata, dove trova Maggie e affronta Klaus, che in un flashback gli rivela la propria tragedia. Bloccato con la famiglia in una zattera alla deriva, Klaus ha cercato di convincere la moglie delle nacessità di mangiare le carni del figlioletto appena deceduto, in modo tale da avere più possibilità di sopravvivenza; la donna si è opposta ed è rimasta ferita dal coltello del marito, che ha subito ingurgitato la sua carne e quella del figlio. Arnold implora pietà per Maggie, ma il cannibale lo pugnala. Quindi strangola la donna incinta e la sventra, le strappa dall'utero il bambino non ancora nato e lo divora davanti agli occhi dell'uomo agonizzante. 
Intanto alla villa succede il disastro: Carol finisce con l'inciampare, morendo sul colpo con la gola recisa; Julie e Ariette si barricano in un soffitto, che finisce sfondato dall'antropofago. Ariette rimane uccisa, ma Julie riesce a far precipitare l'assalitore, che viene raggiunto e colpito da Alan, trovandosi l'addome squarciato da una picconata. Coi suoi ultimi barlumi di vita, il cannibale afferra i propri intestini sanguinolenti portandoli alla bocca e divorandoli, sotto gli occhi dei superstiti annientati!
 
 
Scene memorabili: 
 
L'esplorazione delle catacombe, tra corpi putrefatti e ratti dagli occhi rossi. Un'autentica discesa agli Inferi! 

Il ferale flashback di Klaus Wortmann, che vediamo alla deriva su un canotto giallo assieme alla moglie incinta e al figlio fulvo appena morto di stenti. La donna accarezza in modo insistente la testa del bambino estinto. L'uomo impugna un coltello (ne avevo uno simile, è andato smarrito). "No! Non puoi farlo, è nostro figlio!", geme lei. "È morto. Ora è solo cibo. Cibo per sopravvivere!", ribatte lui, che le caccia il coltello nel ventre, uccidendola. "Mangiami! Mangiami! Maledetto!", sono le ultime parole della moglie, mentre la vita la abbandona. Nella versione inglese "maledetto" è reso con "piece of shit"
 
Il feto estirpato dal ventre della Grandi, da cui non fuoriesce nemmeno una goccia di sangue, sembra un pallone gonfiato dipinto di rosso. Mentre viene masticato, permane nello spettatore l'impressione si tratti di una massa gommosa. L'effetto della sequenza è talmente ridicolo che con gli occhi di oggi non si riesce a comprendere come abbia potuto risultare tanto traumatizzante all'epoca da provocare le ire della censura. 
 
L'estrazione delle viscere dall'addome del cannibale moribondo, con conseguente masticazione! Il sangue rosso brunastro scaturisce a zampillo mentre il mostro si sfila l'intestino tenue. Poi si porta alla bocca il proprio tubo digerente e lo mastica con avidità. Gli occhi giallastri con la pupilla microscopica sembrano luminarie dell'Ade, tizzoni ardenti come quelli di Caronte! 

Recensione: 
La pellicola di D'Amato ha avuto nel corso degli anni un notevole impatto, guadagnandosi lo stato di film cult, anche se limitatamente all'audience dei video di horror di frangia. Gli effetti speciali sono rudimentali, ma questo non ha la benché minima importanza. Secondo Dyers (2015) il film ha raggiunto "un posto notevole negli annali dell'escalation del gore". Eppure secondo la rivista Delirium, questo sarebbe "un film che offre alcuni dei momenti più disgustosi della storia del cinema". Secondo la rivista Nocturno si tratterebbe di "un film controverso nel panorama horror italiano di quegli anni". E ancora: "A metà strada tra il cinema cialtrone di Bruno Mattei e quello più sofisticato di Lucio Fulci, chiaramente influenzato dalla politica del body count di certo slasher americano ma anche dalla visceralità del genere cannibalico di Ruggero Deodato e co., Antropophagus resta ancora oggi pellicola di difficile collocazione e indubbio interesse"

Una cosa colpisce subito: Antropophagus si distacca nettamente dagli altri film del genere horror cannibalesco per il fatto di non essere ambientato in Amazzonia o in Papua Nuova Guinea. Contro l'insulsa opinione corrente, che vuole il cannibalismo come un costume da "abbronzati" o comunque da "non bianchi", esso è vivo e vitale ai nostri giorni soprattutto in nazioni come la Russia, la Germania e l'Inghilterra. La pellicola di Joe D'Amato ha avuto il pregio di far meditare su questo tema, certo un po' scomodo ma reale come l'aria che respiriamo. Il cannibale può abitare nell'appartamento accanto, nel nostro stesso palazzo. Il cannibale non si può distinguere dal colore della pelle. Soltanto una cosa permette di individuarlo: quella particolare luce sadica che gli brilla negli occhi. Gli strizzacervelli potranno anche dire che si tratta di una "parafilia", di una grave alterazione psichica, di una tremenda quanto rara malattia, ma il fatto resta. Basti considerare un esempio. Armin Meiwes di Rotenburg an der Fulda non è liquidabile come un semplice demente. Era un uomo della porta accanto, dotato di grande intelligenza (è stato un tecnico di computer dell'Esercito Federale Tedesco), eppure a un certo punto ha preso contatto con un uomo profondamente masochista, lo ha incontrato, quindi con il suo consenso lo ha sodomizzato, castrato con un coltellaccio, fatto morire per dissanguamento, sgozzato, macellato e divorato. La realtà è che il cannibalismo è un istinto innato nella specie umana e ha un ruolo di primaria importanza nell'immaginario collettivo. Per quanto possa essere soppresso dal potere del Leviatano, non muore, non è mai del tutto estirpato, ma scorre come un fiume carsico sotto la crosta della normalità per poi eruttare all'improvviso nei contesti più inaspettati e menare strage! 

Curiosità tecniche

Le riprese, iniziate nell'aprile 1980, si protrassero in tutto per un mese. Il film, prodotto dall'appena fondata Filmirage di Joe D'Amato e Donatella Donati, fu girato in 16 mm e in seguito espanso in 35 mm. I luoghi delle riprese sono state molteplici: Atene, Sperlonga, Nepi, Sutri e Ponza per la maggior parte degli esterni; il Villino Crespi presso il Colosseo a Roma per gli esterni della villa Wortmann. Diversi interni sono stati girati a Sacrofano in una villa. La sagoma dell'isola greca infestata dal cannibale, avvistata dalla barca, è quella di Ponza. Sempre a Ponza, Cala Feola è proprio il porticciolo dove è stata ormeggiata la barca. 
 
Nella Catacomba di Santa Silvanilla a Nepi sono state girate le scene della grotta in cui imperversa l'antropofago; i resti umani nei loculi sono in parte stati simulati tramite molti teschi ed ossa di plastica affittati per l'occasione. Cosa deprecabile, questi posticci plastici sono stati mescolati in modo sacrilego a resti autentici. Secondo quanto affermato dallo stesso D'Amato, al termine delle riprese sarebbe stato commesso un errore ancor più sacrilego: le ossa autentiche, raccolte assieme a quelle finte, sarebbero state asportate per poi essere conservate nella casa del regista. Sull'autenticità di tutto questo non mi pronuncio, nonostante le parole di D'Amato in un'intervista pubblicata sulla rivista Notturno: potrebbe trattarsi di una semplice leggenda metropolitana diffusa per fare maggior pubblicità al film.  
 
Il film prevedeva un'interessante sequenza in cui Klaus Wortmann sgozzava Zora Kerowa con un coltello, facendola cadere a terra su un mucchio di cadavaveri pieni zeppi di cagnotti. La scena fu effettivamente realizzata, ma purtroppo dovette essere tagliata in fase di montaggio; secondo l'opinione corrente questo accadde a causa di problemi tecnici non meglio specificati con gli effetti speciali. Si segnala anche il tagglio di un'altra scena, in cui uno dei ragazzi in barca, intento a pescare, recuperava dal mare una scarpa che si rivelava contenere un piede mozzato. Tuttavia questa sequenza soppressa è stata in seguito recuperata e la si trova nei contenuti extra del Blu-ray 88 Films. 
 
I ratti grigi razzolanti nelle catacombe sono di una particolare varità, denominata "marten rat" (alla lettera "ratto martora") o "red eyed devil" (alla lettera "diavolo dagli occhi rossi"). Il loro aspetto particolarmente spettrale si deve all'assenza di melanina nelle pupille, che conferisce il tipico color rubino, dovuto al sangue che scorre nei capillari.
 
Il famigerato feto divorato dall'antropofago fu realizzato usando un coniglio scuoiato a cui era stato applicato un budellino per simulare il cordone ombelicale. Nel Regno Unito le autorità credettero assurdamente che si trattasse di un autentico feto umano ucciso per l'occasione, classificando Antropophagus come un autentico snuff movie e di conseguenza vietandolo. Il bando durò a lungo. Secondo questi emeriti minchioni, George Eastman sarebbe stato un vero e proprio cannibale, e magari avrebbe anche immolato il feto a Satana prima di sbranarlo. 
 
La prima proiezione nelle sale si ebbe in Italia il 17 ottobre 1980. La Papua Nuova Guinea, in cui non mancano i consumatori di carne umana, fu il secondo Paese in cui uscì il film, il 17 ottobre 1980; a pochi giorni di distanza uscì in Grecia, il 21 ottobre.  
 
Un genocidio in un'isola microscopica 
 
Un'incoerenza che salta subito agli occhi è la sproporzione tra le dimensioni esigue dell'isola e il grande sviluppo dell'edificato, reso deserto dal cannibale, ma un tempo molto popoloso. Inutile dire che nella realtà non sarebbe mai possibile una concatenazione di eventi come quella narrata dal regista. L'artifizio scenico delle comunicazioni rese impossibili da un guasto è semplicemente patetico. Non mi pare plausibile che un'isola tanto ricca di abitanti possa finire desolata da un mostro senza che ci sia l'intervento dell'esercito. Se l'isola è poco più di uno scoglio sperduto nell'Egeo, come mai vi sorge un'imponente dimora nobiliare come quella della famiglia Wortmann? Possiamo dire che tutta la trama è di una fragilità logica molto spinta. 
 
 
Cannibalismo zombesco! 
 
L'antropofago non è più un essere umano come tutti: l'atto di cibarsi della carne di suo figlio e di sua moglie ha trasformato la sua biologia, facendolo diventare uno zombie! L'idea portante è questa: nell'immaginario collettivo il consumo di carne umana è ritenuto uno dei massimi tabù, quindi un atto contro Dio e la Natura, gravido di terribili conseguenze. Chi lo compie è bollato con un marchio satanico, proprio come il vampiro. Sembra ancora il Mito di Wendigo, che era diffuso tra gli Algonchini. A differenza dei loro vicini Irochesi, gli Algonchini ritenevano tabù l'antropofagia e cercavano di sublimare gli incubi provocati dal suo desiderio proibito incarnandoli in una creatura spaventosa. Il Wendigo era rappresentato come un umanoide irsuto, dotato di immensa forza, velocità e immortalità. Si credeva che queste proprietà sovrannatuali gli fossero conferite proprio dall'ingestione di carne umana. Lo zombie di Antropophagus non è diverso: letale quasi come uno xenomorfo, porta l'annientamento dovunque vada, spopolando l'isola. La realtà dei fatti è molto diversa: la carne umana di per sé non è poi tanto diversa da quella di porco e la sua ingestione non porta alcuna alterazione ontologica in chi se ne nutre. La sindrome cannibalica si scatena a causa di fattori ben più complessi. Se un uomo viene ingannato e mangia carne umana credendola di porco, non si trasformerà in un mostro. Per contro, la metamorfosi in cannibale può avvenire prima ancora di aver ingerito un pasto di carne umana, come se qualcosa di demoniaco si insediasse nel corpo e ne prendesse il controllo, determinandone le azioni. 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web: 
 
Viene in generale riconosciuta la mancanza di coerenza logica della trama. Si trovano sia recensioni negative che debolmente positive; non sembrano essere molto comuni i giudizi entusiastici su quest'opera di D'Amato. Gli aggettivi più comunemente usati per etichettare Antropophagus sono questi: "sopravvalutato", "trascurabile", "prevedibile". Ecco un po' di davinottismo spicciolo: 
 
   
Carlitos scrive: 
 
"Un horror sopravvalutato. L’unica cosa che si salva è la musica di Giombini: molto inquietante, quasi mette più ansia delle scene stesse. Per il resto un cast di poco noti fuorché la Grandi. Bella la scenografia. Ritmo molto lento e noioso. Delle scene si salvano solo il finale e la celebre scena del feto. Chissà perché c’è una sorella di Mia Farrow in questo discreto horror. D’Amato sa fare di meglio.
MEMORABILE: La musica che ascolta Mark Logan a inizio film con tanto di enormi cuffiettone." 

Whitesnake scrive: 

"Abbiamo un tizio che rimasto troppo tempo in solitudine al largo in un'isola, dopo aver ucciso sua moglie scopre cibandosene un'attitudine al cannibalismo. Ne farà le spese un gruppo di ignari turisti. Nella parabola del cinema di genere italiano questo film rimane tra quelli trascurabili. Storia di per sé inconsistente e che funge da puro pretesto per un'ondata di splatter pornografico, il tutto corredato da una messa in scena che è poca cosa. Tra le tante crudezze gratuite, la scena dell'estirpazione del feto risulta davvero pessima." 

Anthonivm scrive: 

"Uno dei rari casi in cui D'Amato rinuncia al binomio eros & thanatos e mette in scena un horror "puro". Se da una parte cala la componente sessuale, dall'altra si eccede con la violenza, che è anche la ragione per cui questo titolo è ricordato dagli appassionati. La trama è molto esile, richiama altri film della decade precedente (Perché il dio fenicio continua a uccidere è un esempio), ma è ben costruito e ricco di sequenze memorabili che hanno fatto la storia del genere. Noiosetto nella prima parte, rimonta alla grande nella seconda metà." 
 
Buiomega71 scrive: 
 
"Piuttosto zozzo e malsano, ma anche girato alla meno peggio. Lo zio Aristide sopperisce ai limiti di budget e più che la bassa macelleria con feti e budelli estirpati conta molto la putrida atmosfera, che sia di un villaggio fantasma greco, delle grotte, del cimitero, di magioni polverose, lampi e tuoni, sole battente in mare aperto, cantine sudice con botti contenenti sopravvisute. Massaccesi mutua lo slasher americano e crea un disturbante apologo apocalittico cannibalico (con schegge impazzite quasi da post atomico). Marciscente e lurido quindi cult.
MEMORABILE: Eastman, nel flashback, naufrago impazzito sul canotto, in mare aperto e sole a picco, con cadavere di moglie e figlioletto, non si scorda più..." 

domenica 15 novembre 2020

 
SCHIAVE BIANCHE -
VIOLENZA IN AMAZZONIA 
 
AKA: Schiave bianche - Violenza profonda; Schiave bianche -
     Il sesso e la violenza; Amazonia - The Catherine Miles 
     Story;
Cannibal Holocaust 2 - The Catherine Miles Story   
Titolo inglese:
White Slaves 
Titolo francese: L'Esclave blonde  
Paese di produzione: Italia
Anno: 1985
Durata: 94 min
Lingua originale: Italiano, inglese
Specifiche tecniche: Normale a colori
Genere: Orrore
Sottogenere: Cannibalesco
Regia: Mario Gariazzo (Roy Garrett)
Soggetto: Francesco Prosperi
Sceneggiatura: Francesco Prosperi
Produttore esecutivo: Vittorio Galiano
Fotografia: Silvano Ippoliti
Montaggio: Gianfranco Amicucci
Musiche: Franco Campanino; Il brano "The Nynph", eseguito
    con il flauto di Pan, è di Fiorenzo Gianani
Interpreti e personaggi: 
    Elvire Audray: Catherine Miles Armstrong 
    Will Gonzales: Umukai
    Rik Battaglia: padre di Catherine
    Andrea Coppola: zio di Catherine
    Dick Campbell: Dick Campbell
    Dick Marshall
    Alma Vernon 
    Grace Williams
    Sara Fleszer
    Mark Cannon
    Jessica Bridges
Titoli tradotti: 
   Francese: L'Esclave blonde 
 
Trama: 
Catherine Miles è una diciassettenne inglese di buona famiglia, mandata a Londra per perfezionare la conoscenza della propria stessa lingua d'origine, che correva il rischio di dimenticare in favore dello spagnolo. Finiti i corsi, in occasione del suo diciottesimo compleanno la ragazza si reca in vacanza dai suoi genitori, che posseggono una vasta tenuta nell'Amazzonia lungo il corso dell'Orinoco (che nella mia ingenuità infantile ritenevo essere un'immensa distesa di orina). Durante una gita sul fiume, la comitiva subisce un attacco da parte di una tribù di indigeni armati di cerbottana, che ne fa strage. Il padre e la madre di Catherine finiscono uccisi e decapitati, mentre lei viene presa prigioniera e condotta via, nelle profondità della foresta pluviale. Il catturatore della ragazza è un impavido e nerboruto guerriero di nome Umukai, che comanda il gruppo. Dopo una lunghissima ed estenuante marcia nella foresta, i nativi arrivano con la prigioniera in un villaggio costituito da una grande capanna a forma di anello intorno a un grande spiazzo. Subito il cacique Rumuani decide di vendere Catherine all'uomo più ricco della comunità, Fameteri, che la tratta male e cerca di possederla con la forza. Umukai si offre di diventare uno schiavo pur di riscattare la ragazza, che nel frattempo è stata sverginata con un dildo, ma l'uomo a cui è stata venduta rifiuta l'offerta e la percuote. Ne nasce una lotta in cui Umukai ha la meglio e riesce a colpire a morte l'avversario. Dopo il funerale di Fameteri, il cui corpo viene cremato su una grande pira tra canti ossessivi, Umukai prende Catherine come propria donna, secondo le usanze della tribù; lei però rifiuta di concedersi, dato che lo crede l'uccisore dei suoi genitori. Lui la ama alla disperazione e cerca di fare di tutto per conquistarla, invano. Per poter sopravvivere, l'inglese rimane nella tribù e si adatta al modo di vivere dei nativi, indossando il perizoma d'erba e portando collane di conchiglie. A questo punto fa la conoscenza della sorella di Umukai, Luamari, con cui scopre di essere in grado di comunicare, anche se in modo stentato: la giovane nativa aveva avuto contatti con una missione e aveva appreso qualche parola di di inglese o più probabilmente di spagnolo. Le due diventano ottime amiche. I tentativi fatti da Catherine per apprendere la lingua degli indigeni all'inizio si rivelano presto fallimentari, mentre Umukai con l'aiuto della sorella riesce ad imparare quel tanto che basta per poter comunicare con la sua amata. La verità salta subito fuori: la bionda dice a Umukai che lo ritiene responsabile dell'uccisione dei suoi genitori, al che lui riesce a dimostrare che le cose non stanno affatto in questo modo. Le spiega che gli autori di quelle morti sono stati alcuni bianchi con la complicità di guerrieri di una tribù diversa dalla propria. Catherine capisce come stanno le cose e cede all'amore del suo corteggiatore, a cui chiede di accompagnarla nelle terre dei genitori morti. Arrivata a destinazione, vede che suo zio e sua zia, a parole tanto amichevoli, si sono impossessati della proprietà. Scopre che sono proprio loro i responsabili di tante atrocità, così entra nella loro camera da letto e li uccide senza pietà, decapitandoli a colpi d'ascia dopo averli paralizzati con frecce avvelenate. Umukai ha visto tutto ed è preso dallo sgomento: secondo le usanze della sua gente, nessuna donna può uccidere. Il guerriero deve quindi rinunciare all'amore di Catherine, perché non può violare un gravissimo tabù. I due salgono sulla canoa, ma a un certo punto lei si tuffa, nuotando verso la riva, mentre lui si allontana, sparendo nelle profondità della foresta. Rimasta sola, la giovane decide di consegnarsi alle autorità. Viene processata per omicidio, ma il suo avvocato difensore riesce a farne riconoscere l'infermità mentale. Il giudice la condanna quindi a breve periodo di reclusione in un istituto psichiatrico. Una volta libera, Catherine fa ritorno in Inghilterra, dove sposa un architetto e genera con lui una figlia. Non riuscirà però a dimenticare il suo amore per Umukai che, come lascia intendere la voce narrante, è morto suicida. 
 
 
Recensione: 
Scoprire sempre nuovi escrementi di celluloide mi procura una certa soddisfazione. Secondo alcuni (es. I Cinenauti), il filone dei Cannibal Movies, iniziato da Umberto Lenzi, in Italia si estinse con il film di Mario Gariazzo nel 1985. Altri invece affermano che tale estinzione fu segnata qualche anno dopo, nel 1988, da Natura contro di Antonio Climati. In ogni caso non sono previste resurrezioni zombesche. A dire il vero in questa pellicola di Gariazzo non ci sono scene di cannibalismo (come in quella di Climati, del resto), tuttavia viene considerata parte del genere cannibalesco per via dell'ambientazione, della sceneggiatura e delle tecniche di ripresa. La tribù protagonista di Schiave bianche non è antropofaga, anche se in un'occasione si vede Umukai portarsi alle labbra il sangue della giovane Catherine e assimilarlo. Si mostra poi l'assalto di guerrieri di una tribù ostile, i Tamuri o Isiwé, e si dice che sono cannibali. Quindi non è del tutto vero che il cannibalismo non è mai menzionato. In ogni caso il titolo, per essere franchi, è ingannevole. Ricordo ancora quando il film uscì. Mi capitò di vedere una sua locandina su un muro mentre mi trovavo a Genova e subito ebbi fantasie incredibilmente morbose. Ero in macchina e il conducente aveva la radio accesa a tutto volume. Le note che trasmetteva erano quelle di Sounds Like a Melody degli Alphaville. Mi immaginavo una specie di film porno-cannibal, in cui una fiera e bellicosissima tribù amazzonica si impossessava di un gran numero di donne bianche per sfogare su di loro la propria libidine. Sesso estremo, anche anale. In pratica una gangbang, un bukkake. Poi, una volta coperte le prigioniere di boli spermatici, le macellavano, le grigliavano su un gigantesco barbecue e le mangiavano. Come potevo immaginarmi queste cose? Neanche avevo 18 anni! Beh, ero un enfant terrible! Non potei vedere il film a Genova e la cosa mi passò presto di mente. Poi, molti anni dopo, quel ricordo - che molti riterranno osceno e disdicevole - mi tornò alla memoria come un rigurgito acido. Passati i 50 anni, mi sono confrontato con quelle che erano le mie inverosimili aspettative sul film. Inutile cercarvi qualcosa di simile a ciò che la mia perversa immaginazione aveva concepito. Questo lo avevo ben presente. Fatto sta che il titolo dice "Schiave bianche", ma qui la schiava bianca è una sola. Una schiava bellissima, affascinante, su questo non ci sono dubbi. Il titolo francese è più onesto: L'Esclave blonde. L'attrice che ha interpretato Catherine Miles, Elvire Audray, l'abbiamo già vista come protagonista di Assassinio al cimitero etrusco (Sergio Martino, 1982). Nata a Parigi nel 1960, è morta suicida nel 2000, all'età di soli quarant'anni. R.I.P.       
 
Una storia vera?  
 
Il film si apre con questa implausibile dichiarazione:

"The Producers wish to thank the Criminal Court of Ciudad Rodaz for allowing them to consult the records of the trial depicted here." 
 
La voce narrante ci informa: 
 
"Questo film è la rigorosa ricostruzione di una vicenda realmente accaduta. I luoghi sono gli stessi ove dieci anni fa Catherine Armstrong Miles visse la sua agghiacciante avventura. Oggi Catherine vive a Londra e ha svelato il suo segreto custodito gelosamente per tanto tempo ad un giornalista italiano, autorizzandone la realizzazione cinematografica . "
 
Ovviamente è un fake. Ciudad Rodaz, che dovrebbe trovarsi in Venezuela o in Colombia (in quelle nazioni scorre l'Orinoco), è un luogo immaginario. Eppure la vicenda di Catherine Miles non è campata in aria come si potrebbe pensare. In altre parole, è esistito un caso abbastanza simile, quello di Helena Valero. Nel 1944 il biologo italiano Ettore Biocca organizzò una spedizione scientifica in Amazzonia e cercò invano di visitare gli Yanomami, considerati demoni dalle guide. Non molto tempo prima la giovane Helena Valero, figlia di un venezuelano e di una brasiliana, era stata rapita e portata nella foresta. Dopo una ventina d'anni, nel 1963, lo scienziato italiano organizzò una seconda spedizione e riuscì finalmente ad incontrarla, registrando la sua affascinante narrazione della vita che aveva condotto nella foresta amazzonica. Sottratta alla sua famiglia di agricoltori di sussistenza quando era una bambina (tra i 10 e i 13 anni), Helena rimase ferita e si trovò a vivere tra gli Shameteri, una tribù Yanoama. Qui ha ucciso accidentalmente un bambino dandogli un rospo velenoso, e il padre della vittima voleva ucciderla. Per salvarsi la pelle fuggì nella foresta e raggiunse infine la tribù dei Namoeteri. Dopo un nuovo tentativo di fuga, fu ricatturata e presa in sposa a Fusiwe, cacique dei Namoeteri, divenendo la sua quarta e più giovane moglie. Dopo aver avuto da lei due figli, Fusiwe fu ucciso in battaglia. Saputo che i nemici dei Namoeteri complottavano per uccidere i suoi figli, temendo che li avrebbe cresciuti nella vendetta, Helena li trasse in salvo portandoli presso una tribù non coinvolta nella guerra. Conobbe un uomo di nome Akawe, lo sposò e gli diede due figli, un maschio e una femmina. Col tempo Akawe si rivelò un uomo brutale, paccianesco. Per sottrarsi ai maltrattamenti, la donna decise di tornare nelle terre dell'uomo bianco, portando con sé i quattro figli. Era l'Anno del Signore 1956. Nemmeno nel suo paese d'origine poté trovare la pace: la sua famiglia la rifiutò perche "contaminata dagli Indios" (e pensare che il padre era un individuo orrendo con la faccia da uomo-pesce di Innsmouth). Costretta a una vita miserabile in una missione protestante, Helena decise di tornare tra gli Yanomami. Nel 1989 fu trovata assieme ai figli nel villaggio di Lechosa, alla confluenza tra il Rio Ocamo e il Rio Mavaca. Era in condizioni di miseria assoluta. Morì nel 2002.  
 
 
Una gigantesca incoerenza 
 
Il film parte con questi dati di fatto: Umukai, conducendo i suoi guerrieri all'attacco, uccide i genitori di Catherine e li decapita, prendendo con sé le teste. Proseguendo nella visione, si viene invece a sapere che invece Umukai non è il responsabile di queste morti. Non ha ucciso lui i genitori della giovane inglese. Sorge quindi una domanda. Se non è stato Umukai a uccidere i genitori della bionda Catherine, perché ne ha reciso le teste prendendole come trofei? Tra i cacciatori di teste unicamente chi uccide qualcuno ha diritto al trofeo. Nessuno prenderebbe mai la testa di una persona uccisa da qualcun altro! Altra incoerenza folle. Se Catherine perdona Umukai come viene a sapere che non ha ucciso i suoi genitori, come mai gli perdona anche il fatto di aver reciso la testa ai loro cadaveri? Come dire: "Tu non hai ucciso i miei genitori, hai solo tagliato loro la testa quando erano già morti. Quindi è tutto OK". Questa è una cosa folle, vero?  Sembra quasi che il regista abbia iniziato le riprese partendo da un'idea per poi abbandonarla e impantanarsi verso la metà del film, una volta resosi conto che la sceneggiatura era inconsistente, a dir poco. Avrebbe quindi disperatamente cercato di porvi rimedio, senza alcun successo.      

Lo pseudo-Yanomami di Prosperi 

I nativi protagonisti del film di Gariazzo sono chiamati Guainirá. Non ho avuto riscontro di alcuna tribù con questo nome, ma ciò potrebbe doversi alle mie limitate conoscenze. Ho notato alcune stranezze. Una caratteristica non troppo comune in una lingua amerindiana dell'Amazzonia è la presenza del fonema /f/, che si trova ad esempio nell'antroponimo Fameteri /fame'teri/. Uno dei problemi con le lingue usate nei film è quello delle fonti da cui sono state elaborate. Si tratta di invenzioni parziali o complete? Non è sempre facile rispondere. Una cosa è certa: anche l'invenzione di una lingua richiede un certo grado di competenza, di consapevolezza e di sensibilità. Vediamo subito che Fameteri è un nome fabbricato a partire da quello di due tribù presso cui visse Helena Valero: gli Shameteri e i Namoeteri. Gli Shameteri erano già stati visti in Cannibal Holocaust (Ruggero Deodato, 1980). Il suffisso -teri / -tari si trova anche in altri etnonimi come Parimiteri e Pubmatari. Nelle lingue Yanomami non sussiste un fonema /f/, anche se il suono si trova come allofono in alcune varietà; invece vi abbondano le vocali nasali, che non si trovano affatto nella lingua udita nella pellicola gariazziana.
 
Un raffronto anche superficiale evidenzia una diversità lessicale profonda tra le lingue Yanomami e quella parlata dalla fantomatica tribù Guainirá. La tipica abitazione di paglia è chiamata da Catherine shapó /ʃa'po/, con una pronuncia identica a quella del francese chapeau "cappello". Si tratta di una mera coincidenza. All'inizio pensavo che di non poter escludere una trovata furbesca dello sceneggiatore. Poi ho trovato che tra gli Yanomami la casa collettiva è in effetti chiamata shabono (scritto anche xabono, shapono, yano).
 
Queste sono alcune glosse di parole e brevi frasi che è possibile ottenere dall'attenta visione del film:
 
Anaé "Terra dei Bianchi"
arégua!
"attingi!", "prendi l'acqua!" 
ashiníni! "mangia!"
éve! "su!", "forza!", "via!", "vai!":
   éve Umukai! "Vattene, Umukai!"
   evé! "presto!"; "vai via!" 

kanatá "scimmia" 
nakíru "cielo" 
tatukané "liquido lattiginoso usato per pescare" 
washimíni! "lavatela!" 
weassí ashamé kawametéri! "tu hai ucciso mio padre e mia
     madre!" 
shana kudu ikí! "attenzione al serpente!"

Il nome della scimmia, kanatá, è un indizio importante. Nelle lingue Yanomami non sembra esserci un nome generico per indicare il concetto di "scimmia": vi esistono invece molti nomi di particolari specie di primati. La sorella di Umukai, che schernisce una scimmia su un albero, non dà alcuna importanza alla tassonomia. In altre parole, il suo concetto della nomenclatura degli animali non sembra quello tipico dei popoli amazzonici. Un altro indizio della natura posticcia delle creazioni linguistiche dello sceneggiatore, Prosperi. 

Il teonimo Tupa /'tupa/ è senza dubbio di origine Tupí: è un prestito da Tupã "Dio". Va tuttavia rilevato che mentre la parola Tupí indica la divinità uranica, nella lingua degli Indios del film Tupa indica invece una divinità delle rapide, a cui sono offerte vittime umane. Probabilmente il responsabile dei dialoghi venne a conoscenza della parola Tupí, alterandone il significato.  

Non sono riuscito a trovare un'etimologia credibile per il nome Umukai. Durante le mie ricerche mi sono però imbattuto in una singolare coincidenza. Nella lingua polinesiana delle Isole Cook, umukai significa "festa, banchetto". Non ha alcuna connessione con l'Amazzonia, ma non è improbabile che Prosperi abbia trovato questa stessa parola e abbia deciso di utilizzarla per il suo suono.

Il quadro dei fonemi della lingua di Umukai è molto diverso da quello delle lingue Yanomami, che presentano un minimo di ben undici vocali, potendo arrivare addirittura a tredici. Oltre alle vocali /a/, /e/, /i/, /o/, /u/, troviamo /ɨ/, /ə/, oltre alle nasalizzate /ã/, /ĩ/, /ũ/, /ə̃/. Il sistema consonantico prosperiano presenta maggiori somiglianze con quello delle lingue Yanomami, ma non è comunque identico. Per fare un esempio, in Yanomamö è presente la consonante fricativa glottidale /h/, che manca nella lingua di Umukai. Quest'ultima per contro presenta una consonante occlusiva labiovelare /gw/ e una fricativa labiodentale /v/, che mancano in Yanomamö. Potrei essere accusato di sprecare le mie risorse mentali e di perdere il mio tempo in questioni di lana caprina, quindi non proseguo oltre. Questo è il link a un dizionario della lingua Yanomamö, dalla cui consultazione si possono ottenere conoscenze di estrema utilità:  
 
 

Scene memorabili 

Un tronco è coperto da grossi bruchi di un color nero chiaro, che si dibattono senza sosta. Umukai li raccoglie in una rudimentale ciotola e si mette a mangiarli. Una voce in sottofondo (non quella di Catherine) commenta in italiano: "Che schifo!" Quando Umukai prende i bruchi con le dita e li porta alla bocca, questi sono immobili e sembrano pezzi di sterco! La ragazza vomita. 
 
Catherine nuda al cospetto del cacique e dei suoi guerrieri, quel corpo statuario, sensualissimo, quelle natiche all'aria; le cure delle donne della tribù che la lavano, la frugano dappertutto...

Fameteri prende la nuda Catherine e cerca di consumare il matrimonio. Al primo contatto del glande con l'imene, l'uomo desiste all'istante dalla penetrazione. Così commenterà la ragazza alla corte durante il processo: "La mia verginità li meravigliava. I Guainirá stuprano artificialmente le bambine a quattro anni"

Catherine condotta dalla donna-sciamano dopo un tentativo di fuga e privata della verginità tramite un simulacro fallico, lo stesso che gli antichi Romani chiamavano mutinus titunus - anche se più rudimentale. Quando la donna-sciamano rompe la prigioniera, leva verso l'alto il fallo finto, con la punta sporca di sangue. Una scena simile si trova anche in un film di Lenzi, Mangiati vivi!, del 1980.    

Catherine, dopo aver rubato le teste putrefatte dei suoi genitori, scava a mani nude nel terriccio molle e le seppellisce. Sono interessanti alcune sequenze di putrefazione. Le mosche si avvicinano a una lucertola campestre (Podarcis sicula) morta da poco, poi si accalcano sulla carogna un serpente, quasi ridotta a uno scheletro. Una massa di lunghi vermi simili a lombrichi esce da un cranio umano che sporge dalla terra nuda. 

Citazioni:

”Tienitela stretta la tua vita, ovunque tu sia, su un trono o in una fogna, non rinunciarci mai, la vita è tutto, vivila, rimane sempre la tua vita, tutto il resto non conta."
(Il padre di Catherine)  

Curiosità: 

Per quanto mi sia sforzato, non sono riuscito a trovare nel Web la lista completa dei personaggi del film. Ho riportato attori e attrici, ma a parte pochi casi mancano le informazioni sui personaggi interpretati. Ad esempio non ho la benché minima traccia di chi ha interpretato Fameteri o la sorella di Umukai, Luamari. Non sono riuscito neppure a trovare informazioni sugli attori, ad esempio loro fotografie, in modo tale da risalire ai personaggi. Chi è Alma Vernon? Non si sa. Sembra quasi che sia una donna inesistente!  

Steven Pinker, il moderno Dottor Pangloss, noto per il suo iperottimismo nonché acceso sostenitore di Jair Messias Bolsonaro, a quanto pare ritiene che proprio gli Yanomami siano la causa di tutti i mali del mondo. Il film di Gariazzo deve aver lasciato un segno su di lui! Se avesse visto Cannibal Holocaust al massimo sarebbe stato traumatizzato da Barbareschi!