lunedì 1 settembre 2014

PRESTITI DAL LATINO E DALLE LINGUE ROMANZE D'AFRICA IN BERBERO

Al gruppo delle lingue camitiche appartengono le lingue berbere, tuttora di uso corrente in diverse regioni del Nordafrica. Gli antenati dei parlanti berberi attuali erano i popoli conosciuti nell'antichità come Libi e Numidi. Per quanto riguarda la trascrizione in caratteri latini, ho preferito usare il più possibile soluzioni senza segni diacritici, e ho utilizzato kh anziché x. Per maggiori informazioni sulla corretta pronuncia delle parole citate nel seguito si rimanda a questo link: 


Se a qualcuno Wikipedia non garba, il Web è ben vasto e i libri cartacei esistono ancora.

Nelle lingue berbere esistono notevoli prestiti dal latino parlato in Africa all'epoca dell'Impero. Questi sono spesso chiaramente riconoscibili per le loro terminazioni: i maschili latini della II declinazione conservano integra l'uscita -us del nominativo, che può anche avere varianti più rare come -uz, -uc, -uj. I neutri della II declinazione sono stati adottati con la terminazione -u, che in alcuni casi può cadere, anche se vi sono casi di conservazione di nasale finale. Sia le forme latine maschili che quelle neutre possono assumere in berbero prefissi come a-, i-. Così abbiamo:

abekkadu, abekkad, peccato < lat. pecca:tu(m)  
abelun, tappeto < lat. ve:lum
aberg, abarg, trave; pestello < lat. fulcru(m) 
afru, coltello < lat. ferru(m)
afullus, fullus, pulcino < lat. pullus
akerruc, quercia < lat. cerrus (1)
alili, lili, oleandro < lat. li:liu(m)  

angalus, andjalus, angelo < lat. angelus 
asnus, asino < lat. asinus
aqiṭṭus, ajaṭṭus, gatto < lat. cattus
ayugu, bue da lavoro < lat. iugu(m)
awraru, awatru, manico dell'aratro < lat. ara:tru(m)
blitu, bietola < lat. blitu(m)
fleggu, tipo di menta < lat. pu:le:giu(m) 

gherdus, carciofo < lat. carduus
ifilu, filo < lat. fi:lu(m) 

ifires, pere < lat. pirus
iger, campo coltivato < lat. ager (2)

(1) Non è da quercus, come non di rado si legge.
(2) La forma iger viene chiaramente da un precedente *i-ager, dove i- è il prefisso trovato in ifilu e in numerose altre forme.

Vi sono casi di nomi maschili della II declinazione che continuano l'accusativo in -u(m) anziché il nominativo in -us, dando origine all'uscita -u, che in alcuni casi può anche cadere. Questo strato di prestiti latini potrebbe essere più recente di quello sopra analizzato. 

aberkul, cinghialino < lat. porculu(m)
afurnu
, forno < lat. furnu(m)
agisi, qisi, formaggio < lat. ca:seu(m)
akurat, capoclan < lat. cu:ra:tu(m)
amergu, tordo < lat. mergu(m)
ickir, quercia < lat. aesculu(m)
ulmu, olmo < lat. ulmu(m)

Si segnala un caso di continuazione di un plurale:

urti, giardino < lat. horti:

I femminili della I declinazione conservano spesso l'uscita -a, ma in alcuni casi la perdono o la sostituiscono con il suffisso femminile -t. Nella maggior parte dei casi compare l'articolo femminile prefisso ta- (te-, ti-, tu-, t-) che troviamo anche nel famoso toponimo Tagaste (Thagaste).

afan, fan, tegame < panna
afurk, ramo < furca
amuredj, morchia < amurca
awren, aren, farina < fari:na
errigla, tarigla, regolo < lat. re:gula
ibawen, fave < lat. fabae
ikharba, caprone < lat. capra (1)
kamur, okamir, camera < lat. camera
rif, costa, bordo < lat. ri:pa
tabburt, teburt, porta < lat. porta
tabgha, mora, mora di gelso < lat. bacca 
Tafaska, Festa del Sacrificio < lat. Pascha 
taghawsa, cosa < lat. causa
takir, cera < lat. ce:ra 
taktunya, cotogna < lat. coto:nea 
talima, lima < lat. li:ma
tara, terrazza < lat. a:rea 
tarubya
, robbia < lat. rubia
taskala, scala < lat. sca:la
taslyuga, legume < lat. siliqua
tayda, pino < lat. taeda
tberna, taverna < lat. taberna
tisila, sandalo, suola < lat. solea
tisubla, lesina < lat. su:bula
tkilsit, gelso < lat. <mo:rus> celsa
tuṭebla, tavola; tronco di palma segato < lat. tabula

(1) La parola ikharba "caprone" è stata retroformata da *takharba "capra", che tuttavia a quanto pare non è documentato.

Esistono alcuni femminili formati a partire da voci latine maschili in -us o neutre in -um:

tafirest, pera < lat. pirus 
tafrut, coltello < lat. ferru(m)  
tafullust, gallina < lat. pullus

In altri casi si hanno forme femminili con tanto di prefisso, che derivano però da forme latine neutre:

lemsetka, mastice < lat. masticu(m), per mastiche:
tickirt, quercia < lat. aesculu(m) 

tikulma, sgabello < lat. *scabellu(m)

I nomi maschili o femminili della III declinazione in genere si formano dall'accusativo tramite caduta del suffisso -e(m), a volta con un diverso suffisso -u, mutuato dalla II declinazione. In alcuni casi invece è continuata la forma del nominativo. Raramente il femminile mostra il prefisso ta- (te-, ti-, t-) e il suffisso -t. Ovviamente i neutri continuano la forma diretta.

aberkus, agnello di diversi mesi < lat. berbex
afalku, falco < lat. falco:
afuri, tfuri, tafurat, herpes simplex < lat. porri:go:
anaw, nave < lat. na:ve(m)
atmun, atemun, timone dell'aratro < lat.
te:mo:ne(m) 
emerkid, amarkidu, ricompensa divina < lat. merce:de(m) 
idaymunen, spirito maligno < lat. daemone(m)

ifilku, felce < lat. filice(m)
ikiker, cece < lat. cicer
tafant, pane < lat. pa:ne(m)
tafkunt, focolare < lat. *foco:ne(m)
tilintit, tlintit, lenticchia < lat. lente(m)
tqumcict
, cimice < lat. ci:mice(m)
uskir, piastra di cottura < lat. si:ci:le(m), falcetto

Interessanti sono alcune forme verbali:

erfu, adirarsi < lat. rabio:
ewzen, pesare, misurare < lat. penso:
ikerrez, arare < lat. carrus 
mmuṛḍes
, morire per sgozzamento non rituale < lat. mortuus

Il latino che traspare da questi prestiti è quello classico. Il fonema /p/ manca nelle parole genuinamente berbere ed è stato adattato come /f/ nei prestiti più antichi, come /b/ in quelli più recenti. Al vocabolo afullus "pulcino" usato in alcune lingue corrisponde la forma abullus "gallo" in altre. Si nota come taida "pino" conserva il dittongo latino ae, così come taghawsa "cosa" conserva il dittongo latino au. I prestiti appartenenti a questo strato mostrano la genuina pronuncia velare di c davanti a vocali anteriori -e- ed -i-. Si trovano occorrenze in alcune lingue di -dj- anziché -g-, così si hanno forme come andjalus, andjelus per angalus, ma il fenomeno è secondario e interno ad alcune varietà di berbero. Un simile mutamento spiega ajaṭṭus per aqiṭṭus "gatto", e le varianti akherruc, acerruc, ajerruc per akerruc "quercia". Alcuni vocaboli come angalus, abekkadu, emerkid, ci parlano di un passato cristiano delle genti berbere, poi sommerso dalla marea dell'Islam. Questa eredità è particolarmente evidente tra i Tuareg.

Esistono anche numerose parole nelle lingue berbere che non sono riconducibili al latino classico, ma che derivano da forme di latino più tardo o da vari idiomi romanzi africani, oggi perduti, che si sono naturalmente evoluti dal latino di epoca imperiale parlato in quel vasto territorio. Queste parole sono ben riconoscibili ed appare evidente che non provengono dal francese, dalla lingua franca o dallo spagnolo.

Già abbiamo trattato i casi del latino di Sabrata (Sabratha), che è rimasto molto conservativo ed è sopravvissuto fino al XI secolo, e del neolatino di Gafsa (Capsa), che si era evoluto in modo tale da ricordare il sardo ed è sopravvissuto almeno fino al XVI secolo. Si può però provare che in altre regioni, come il Marocco e la Cabilia, si sono originate lingue molto diverse. In alcuni casi si hanno prove di idiomi romanzi di tipo affine a quelli sviluppatisi nella maggior parte della Romània, con assibilazione o palatalizzazione della velare /k/ davanti a vocali anteriori. Così abbiamo:

agursel, fungo < lat. *agaricellu(m)
azebbuj, oleastro < lat. acerbus
dudjember, budjamber, dicembre < lat. december 
tasentit, segale < lat. cente:nu(m)

Si noti che l'esito della consonante assibilata o palatale presente nelle varietà latine o neolatine che hanno dato origine a queste parole non è coerente: -s-, -z- o -dj-. Insistiamo sul fatto che i prestiti da una lingua all'altra non sono sempre e necessariamente coevi, ma in genere si accumulano stratificandosi, e questo spiega le irregolarità fonetiche. A conferma di questo fatto, a volte si possono identificare interessanti doppioni, che dimostrano l'ingresso di materiale latino o neolatino a partire da fonti diverse in epoche diverse. Così in cabilo abbiamo tayuga "coppia di buoi", formato dal latino iugu(m) "giogo", oltre al vocabolo azaglu "giogo", che viene dal latino iugulu(m). Sempre in cabilo abbiamo aguglu "cagliata fresca", dal latino coagulu(m), e lo stesso vocabolo è passato tramite una forma romanza *kaglu a dare cabilo kkal "cagliare", ikkil "latte cagliato".  

I diversi esiti delle parole latine e di quelle neolatine d'Africa dimostrano una volta di più l'assurdità delle idee di coloro che sostengono la pronuncia ecclesiastica del latino ab aeterno. Costoro pretendono che si debba ignorare la complessità dei dati di fatto per cancellarli con un colpo di spugna, rifiutandosi con pervicacia di non vedere ciò che non fa loro comodo, per sostituire la realtà con il loro latino scolastico apprenditiccio che in realtà non spiega proprio nulla. Sarebbe anche ora che certi internauti prima di imbarcarsi in un'impresa deponessero le loro futili motivazioni ideologiche e si fermassero per acquisire qualche nozione di linguistica seria.

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