martedì 6 settembre 2016

LA LINGUA NEOEBRAICA: I COSTI DELLA RIVITALIZZAZIONE

Spesso si loda l'opera di resurrezione della lingua ebraica, presentandola come il caso di maggior successo nell'opera di revival linguistico - se non l'unico davvero riuscito - ma non si considerano alcuni effetti collaterali. Già ho introdotto l'ostico argomento in un post in cui commentavo un'affermazione di Amos Oz, facendo notare come la lingua neoebraica sia una conlang a tutti gli effetti e come si discosti non poco dall'ebraico biblico. Ora analizzerò un'altra questione.

I sistemi usati dallo Stato di Israele per imporre il neoebraico come unica lingua possono essere considerati pertinenti al concetto di etnocidio. Il Governo di Israele ha infatti stabilito l'affermazione di un'unica cultura ebraica - recente e ricostruita secondo criteri abbastanza arbitrari, emanazione artificiale del Movimento Sionista - decretando l'annientamento sistematico di tutte le genuine identità ebraiche della Diaspora. Pochi sanno della persecuzione dei parlanti Yiddish e della distruzione sistematica della lingua Karaim.

A chi voglia approfondire l'argomento rimando senza indugio a un documento oltremodo interessante di Elizabeth Freeburg dell'Università di Yale, intitolato The Cost of Revival: The Role of Hebrew in Jewish Language Endangerment.


Queste cose le genti non le sanno e non le vogliono sapere, perché non suscitano alcun interesse: la loro analisi richiede l'uso di uno strumento piuttosto impopolare chiamato "cervello". L'istituzione scolastica, fucina di demenza e propalatrice della peste della political correctness e di numerose altre storture, non si occupa affatto di questioni linguistice, giudicate futili. La vulgata si limita infatti alle solite baggianate isteriche sugli Israeliani cattivi e sui poveri Palestinesi, appiattendo la realtà tridimensionale e facendone una sfogliatina di banalità perché sia assimilabile dagli intelletti larvali degli studenti-zombie.  

Lo Yiddish era giudicato treif dalle autorità, ossia non kosher, ancor più impuro della carne di porco. In alcuni casi, come ci dice la Freeburg, i parlanti Yiddish furono addirittura minacciati e fatti oggetti di intimidazioni in perfetto stile mafioso: l'uso dell'idioma avito doveva essere scoraggiato con ogni mezzo. La lingua Yiddish resiste ed è tuttora rigogliosa soltanto presso la setta dei zeloti Haredim, gli Ultraortodossi. Questi parlano soltanto Yiddish, perché la lingua delle Scritture, chiamata Loshn Kovdesh (ebraico lāshōn qādōsh), è loro proibito parlarla per scopi profani. Così essi distinguono nettamente la lingua biblica dal neoebraico, chiamato Ivrít, che pure rifiutano per quanto possibile - arrivando a uno stile di vita che potremmo definire isolazionista. 

La lingua Karaim appartiene al ceppo delle lingue altaiche: è in sostanza una varietà di turco con influenze ebraiche nel lessico. In origine era parlato in Crimea e trovo ragionevole concludere che si tratti di un discendente dell'originaria lingua dei Khazari, popolazione di ceppo turco convertita all'Ebraismo tra la fine del VIII secolo e l'inizio del IX. L'immigrazione di Karaiti nello Stato di Israele fu forte nell'ultimo dopoguerra. Essi portarono con sé la loro lingua, che era usata anche per scopi liturgici. Il successo nella sua eradicazione fu tale che su 30.000 Karaiti etnici che attualmente vivono in Israele, non si trova nemmeno un singolo parlante di Karaim.

Solo in apparenza meno drammatica è la situazione del giudeo-spagnolo, detto anche Ladino o Judezmo. Si tratta di una varietà di castigliano con influenze ebraiche ed aramaiche, che nello Stato di Israele è ancora parlato da circa 70.000 persone. Se però si considera che attualmente i parlanti nel mondo sono in tutto 100.000, e che soltanto nel 1977 in Israele erano ben 300.000, si capisce che il declino della lingua è vertiginoso. Parlato quasi soltanto da persone anziane, il Ladino non viene più appreso dai giovani e si pensa che possa scomparire nel giro di una o due generazioni. Tutto segue senza ostacoli il piano generale: attrarre nel Paese di Canaan il maggior numero possibile di minoranze linguistiche ebraiche per estinguerle. 

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