Come Zarathustra ha annunciato la morte di Dio, così annuncio la morte della fantascienza.
"La fantascienza è morta! La fantascienza è morta! E noi l'abbiamo uccisa! Come potremmo sentirci a posto, noi assassini di tutti gli assassini? Nulla esisteva di più sacro e grande in tutto il mondo, ed ora è sanguinante sotto le nostre ginocchia: chi ci ripulirà dal sangue? Che acqua useremo per lavarci? Che festività di perdono, che sacro gioco dovremo inventarci? Non è forse la grandezza di questa morte troppo grande per noi? Non dovremmo forse diventare autori di fantascienza semplicemente per esserne degni?"
Come, non ve lo ha ancora detto nessuno che la fantascienza è morta? Eppure la voce del suo decesso avrebbe dovuto raggiungervi già da tempo. L'exitus era ineluttabile. Doveva accadere. Mentre i fantascientisti si crogiolavano masturbandosi le circonvoluzioni cerebrali nel vano tentativo di capire le ragioni del declino di quel nobile genere letterario, il paziente spirava senza che nessuno dei presenti al capezzale se ne accorgesse. Com'è stato possibile? La spiegazione è concettualmente semplice, eppure non banale.
Sono trascorsi decenni di osservazione delle profondità cosmiche alla ricerca di segni di vita intelligente. Un'osservazione che non ha sortito i risultati attesi: non si è trovato nulla che potesse dimostrare la presenza di una qualche civiltà là fuori, in quell'abisso di tenebra. Nel mondo scientifico ci si attendeva di trovare qualcosa da un momento all'altro e non appena qualcosa di anomalo giungeva dalle profondità siderali, subito fremevano tutti pervasi dalla febbre della speranza. Ogni volta le aspettative sono state disattese. Quando il segnale di una stella pulsante è stato captato, ecco che subito fu un fervere di voci sui "piccoli omini verdi" (Little Green Men). Non ci è voluto molto a capire che non si trattava di un radiofaro di origine intelligente: era un fenomeno del tutto naturale provocato dalla ciclica espansione e contrazione di gas stellari. A volte simili episodi hanno avuto risvolti comici e grotteschi. Ricordo il caso di un segnale anomalo proveniente da un'altra galassia, che dopo accurate analisi è risultato essere prodotto dall'interferenza di un forno a microonde usato dagli studenti del campus universitario per tostare il pane. In tempi a noi più vicini, il calo della luminosità di una stella ha fatto pensare a colossali opere di ingegneria spaziale costruite per captare energia. A un certo punto gli stessi scienziati davano questa interpretazone per verità assodata. Ciò ha portato masse di internauti a delirare come se tutti fossero stati aggrediti da una violenta febbre cerebrale. Si è poi scoperto che la luminosità della stella decresceva per via di masse di polveri e di materiale asteroidale. Da uno studio molto interessante è emerso che non esiste nessun impero galattici nelle galassie vicine, perché se esistesse saremmo in grado di captare le emissioni di radiazioni infrarosse prodotte dalla necessaria e immane massa di astronavi, basi, megalopoli planetarie, opere di ingegneria cosmica, congegni robotici, computer e via discorrendo. Nulla di tutto ciò è stato trovato. Nonostante questa desolante mancanza di riscontri, c'è sempre chi pensa che la vita intelligente sia molto comune nel cosmo. C'è chi parla di civiltà in grado di criptare i segnali, pensando poi che tutte si mettano d'accordo per farlo allo scopo di non farsi trovare da noi. Si sentono infinite assurdità di questo tipo, ingenue come la teodicea cattolica. Nonostante le elucubrazioni degli umani, il silenzio dell'Universo è isotropico. Assordante in ogni direzione!
Quando ero uno studente del liceo, e ancora all'università, l'esistenza di sistemi planetari extrasolari non era affatto scontata. "Molto probabilmente ci sono altri sistemi planetari oltre al nostro", dicevano numerosi scienziati. Ovviamente con quel "molto probabilmente" intendevano dire di non credere affatto all'esistenza di quei pianeti: si trattava di un ipocrita eufemismo. Inizialmente vigeva una visione miracolistica della formazione del sistema solare, sostenuta in modo più o meno nascosto dalla Chiesa Romana: si insegnava nelle scuole che una cometa gigantesca passata vicino al sole avrebbe provocato un reflusso mareale di materia incandescente, dal cui raffreddamento si sarebbero formati i pianeti. Coprivo tale teoria di scherno e di ludibrio. I suoi assertori ritenevano che la materia rigurgitata dal sole si fosse modellata in forma di sigaro, così li irridevo soprannominavo i loro deliri "teoria del Sigaraio Cosmico". Un altro escamotage, molto usato a quei tempi era quello di postulare che le stelle doppie non potessero avere pianeti. A detta di un grandissimo numero di dogmatici, ogni eventuale pianeta di una stella binaria sarebbe finito stritolato e disgregato da interazioni mareali, oppure non si sarebbe nemmeno potuto formare. Il corollario era semplice: le stelle sarebbero state tutte binarie all'infuori del nostro sole e nessun pianeta sarebbe potuto mai esistere al di fuori del nostro sistema. Contro costoro ho combattuto a lungo e negli anni i fatti mi hanno dato ragione: si sono scoperti numerosi pianeti extrasolari in sistemi binari. I pianeti che ruotano attorno a una coppia di stelle doppie strette, tipo Tatooine in Guerre Stellari, non sono affatto una rarità. Adesso sappiamo che ci sono più pianeti nel cosmo che mosche in un merdaio, eppure la cosa non è di conforto alcuno. Si tratta infatti di pianeti estremamente diversi da quelli del nostro sistema solare e così inospitali che non potremmo nemmeno pensare di avvicinarsi ad essi, per non parlare di porvi piede. Ogni volta che qualche scienziato parla dell'ennesimo "gemello della Terra", si scopre che si tratta di un tale inferno da superare ogni immaginazione. Le nane rosse, di gran lunga le stelle più comuni, sono astri bastardi. Emettono spaventosi flares e flussi di radiazioni in grado di spazzar via l'atmosfera delle rocce che orbitano nell'ecosfera e di impedire alla vita di formarsi. Sempre più spesso si parla di "pianeti impossibili", perché ci appaiono al confine delle stesse leggi della fisica. Esiste un pianeta più nero dell'asfalto, che non lascia sfuggire un singolo fotone. Un altro pianeta, pur essendo rovente, è interamente ricoperto di ghiaccio e non si può avere evaporazione perché la gravità è fortissima: la locuzione "ghiaccio incandescente" non è più un ossimoro. Esistono sistemi i cui pianeti sono come piselli in un baccello, tutti quasi indistinguibili per massa e dimensioni. Moltissimi pianeti orbitano a una distanza così piccola dalla loro stella da far sembrare ampia l'orbita di Mercurio. Dovunque guardiamo, scopriamo soltanto una collezione di simili bizzarrie inspiegabili. Potremmo andare avanti all'infinito a scandagliare la galassia e oltre, troveremmo soltanto altri pianeti in cui nessuna forma di vita potrà mai allignare.
Sono cresciuto divorando fantascienza. Ogni opera di fantascienza, fosse un libro, un film o un telefilm, è stata per me come una boccata di ossigeno. Languendo a scuola, provavo nausea e ribrezzo per porcate come i Promessi Sposi del detestato Manzoni, opere asfittiche che imprigionavano lo spirito in una cella angusta dalle pareti di solido piombo. Leggendo romanzi di fantascienza, evadevo da tale carcere obbrobrioso e mi libravo in volo, proiettandomi in lontane galassie, vivendo le gesta di eroi in lotta contro imperi interstellari, esplorando mondi sconosciuti. A un certo punto ho cominciato a scrivere fantascienza. Sono diventato un autore e ringrazio vivamente gli amici che hanno reso ciò possibile. Per anni è stato come un sogno. Poi a un certo punto qualcosa è cambiato. I miei sogni sono morti e sento in me una desolazione abissale, come se fossi passato dall'infanzia all'età adulta. Cos'ha determinato questo mutamento? È stata la consapevolezza della solitudine cosmica. La più radicale soluzione del Paradosso di Fermi: nello spazio nessuno può sentirci urlare per il lapalissiano fatto che non c'è nessuno.
Ho passato anni a sperare che giungesse sulla Terra una spedizione genocidaria di alieni. Ho desiderato che uno spietato Hulagu Khan calasse dagli abissi per annientare il genere umano e porre fine al tormento di questa abietta schiavitù planetaria. Sono pian piano arrivato a pensare che ciò non fosse molto probabile, fino a capire che le possibilità di un simile evento sono irrisorie. Nel mio articolo Una semplice soluzione al paradosso di Fermi, pubblicato il 26/02/2016, già esprimevo un grande scetticismo, eppure la passione per la fantascienza mi impediva la completa obiettività. Fantasticavo volentieri sulla creazione della specie umana e degli altri ominidi da parte di alieni simili agli Ingegneri descritti nella saga di Alien. Ero ancora di un estremo ottimismo, quasi pari a quello di Pollyanna. Il carissimo amico Lukha B. Kremo, che è il mio editore, mi faceva notare in un suo intervento che una simile soluzione moltiplica i problemi e non porta soluzione alcuna ai nostri interrogativi. Se siamo l'opera degli Ingegneri, chi ha creato questi Ingegneri? Se rispondiamo che a farlo è stata un'altra specie aliena ancor più potente, arriviamo a creare sempre nuovi mondi e sempre nuove specie per spiegare la nostra origine, cosa che viola ogni principio di economia ontologica. Alla fine restiano con un'unica annichilente alternativa. Le probabilità che qualche altro pianeta adatto alla vita esista da qualche parte nelle vastità cosmiche sono irrilevanti, per non dire inesistenti: siamo ben oltre la celebre ipotesi della rarità della Terra.
L'equazione di Drake, anche nota come formula di Green Bank, dovrebbe servire a stimare il numero di civiltà in grado di comunicare presenti nella nostra galassia. Ebbene, essa suona immensamente ridicola e futile se si comprende a fondo il significato dei suoi parametri. Essa è così formulata:
N = R* x fp x ne x fl x fc x L
dove:
N è il numero di civiltà extraterrestri presenti oggi nella nostra Galassia con le quali si può pensare di stabilire una comunicazione;
R* è il tasso medio annuo con cui si formano nuove stelle nella Via Lattea;
fp è la frazione di stelle che possiedono pianeti;
ne è il numero medio di pianeti per sistema planetario in condizione di ospitare forme di vita;
fl è la frazione dei pianeti ne su cui si è effettivamente sviluppata la vita;
fi è la frazione dei pianeti fl su cui si sono evoluti esseri intelligenti;
fc è la frazione di civiltà extraterrestri in grado di comunicare;
L è la stima della durata di queste civiltà evolute.
R* è il tasso medio annuo con cui si formano nuove stelle nella Via Lattea;
fp è la frazione di stelle che possiedono pianeti;
ne è il numero medio di pianeti per sistema planetario in condizione di ospitare forme di vita;
fl è la frazione dei pianeti ne su cui si è effettivamente sviluppata la vita;
fi è la frazione dei pianeti fl su cui si sono evoluti esseri intelligenti;
fc è la frazione di civiltà extraterrestri in grado di comunicare;
L è la stima della durata di queste civiltà evolute.
Il punto è che le stime storiche di tutti questi parametri sono rosee al di là di ogni immaginazione e del tutto irrealistiche. Diversi coefficienti devono tenere conto di un gran numero di fattori impliciti ma di importanza determinante. Per esempio, la frazione dei pianeti in condizione di ospitare forme di vita deve comprendere l'azione di un pianeta gioviano esterno, detto "Giove buono", in grado con la sua grande massa di attrarre asteroidi e comete, evitando così collisioni spiacevoli di tali corpi celesti con i pianeti interni. I fattori in gioco sono numerosissimi: se un pianeta con massa paragonabile a quella della Terra avesse una percentuale di acqua troppo alta sarebbe un pianeta oceanico, senza terre emerse, mentre se la percentuale di acqua fosse troppo bassa, sarebbe trattenuta nel sottosuolo e non ci sarebbero oceani. Per non parlare del fatto che il sistema Terra-Luna è il prodotto di una collisione primordiale tra due pianeti in orbite vicinissime e anomale, o addirittura posti in opposizione su una stessa orbita - un evento di una rarità impressionante, che avrebbe potuto sortire esiti ben diversi in ognuna delle sue fasi. Manca un parametro essenziale: quello relativo all'ecosfera galattica. Ai tempi si pensava che la vita potesse sorgere dovunque nella galassia, anche al centro. Oggi sappiamo che il nucleo galattico è un dragone infernale, un buco nero supergigante. Con le densità stellari nelle regioni del nucleo, l'intensità delle radiazioni sarebbe insostenibile. Sono regioni al cui confronto un soggiorno a Malebolge sarebbe una vacanza rinfrescante. Per contro nelle regioni periferiche della galassia le stelle sono povere di metalli e la formazione di pianeti terrestri non è certo favorita. All'aumentare della distanza dal centro galattico "la metallicità delle stelle diminuisce, e i metalli (che in astronomia corrispondono praticamente a tutti gli elementi diversi dall'idrogeno e l'elio) sono necessari per la formazione dei pianeti terrestri". Ma se la metallicità è troppo elevata, si formano gioviani caldi e superterre! Si moltiplicano troppe criticità che generazioni di fantascientisti non hanno nemmeno immaginato! Ricordiamoci sempre che un coefficiente probabilistico è un numero compreso tra 0 e 1. Lo zero indica l'impossibilità, l'uno indica la certezza. Se io moltiplico una probabilità di uno su mille per un'altra probabilità di uno su mille, ottengo una probabilità di uno su un milione: è proprio la misura della probabilità che i due eventi tra loro indipendenti si verifichino contemporaneamente. Se io moltiplico una probabilità di uno su un milione per un'altra di uno su mille, ottengo una probabilità di uno su un miliardo. Basterebbero ancora alcuni numeri di questo tipo da moltiplicare, e la probabilità di trovare qualcosa che soddisfa tutte queste condizioni in una galassia anche più grande della nostra sarebbe pari a ZERO.
Se allarghiamo il nostro orizzonte e andiamo oltre la Via Lattea, troviamo che le cose sono anche peggiori. La nostra galassia si trova in una regione dove la densità galattica è abbastanza scarsa, in pratica siamo in una lacuna. Immaginiamo i superammassi galattici come serpenti fatti di scorie fuse e di plasma, luoghi violenti che irradiano morte in ogni direzione! La vita nel cosmo è stata uccisa dai buchi neri, la radiazione ad altissima energia la annichilisce. Anzi, per essere precisi, la vita è stata resa imposibile prima ancora dell'inizio dell'aggregazione di molecole sufficientemente complesse per trasmettere un codice genetico. Oltre a queste bellissime cose, si aggiunga che non è affatto scontato poter trovare un modo per spostarsi dal nostro sistema solare: le leggi fisiche ostacolano ogni nostro movimento e ci intrappolano. Se anche ci potessimo muovere, se potessimo aggirare la tirannia della relatività di Einstein, resta il fatto che non c'è nessun luogo in cui andare. No destination.
Capite adesso che intendo dire? Come può la fantascienza resistere a un simile scenario? Come possiamo, dopo simili rivelazioni, continuarci a baloccarci con baggianate puerili come Guerre Stellari o come Star Trek? Come possiamo, dopo aver appreso che l'Universo è insensato, aver ancora voglia di scrivere? Spero infatti che lo abbiate capito, ormai, che l'Universo non ha alcun fine, la sua esistenza è un dato di fatto che non si piega alle confabulazioni umane. Non ha come fine la produzione di vita e di intelligenza, come voleva Teilhard de Chardin, quel pazzo drogato terminale. Ogni teleologismo è morto. Abbiamo costruito mondi plasmandoli a partire dal sembiante dei pianeti del nostro sistema, formandone in grandissima copia per mezzo della nostra fantasia, quindi li abbiamo proiettati assieme a un numero incredibile di specie senzienti, spesso umanoidi o umane, coi loro costumi, le loro religioni, le loro lingue. Cosa può restare di tutto questo, adesso che abbiamo capito che ci ingannavamo? Cosa possiamo fare adesso, che abbiamo capito che plasmavamo il noto per dar vita all'Ignoto? Certo, possiamo scrivere e leggere fantascienza per riflesso nervoso, come un pollo decapitato che continua a danzare e a eiettare sangue dal collo reciso! Tuttavia sappiamo che così come Dio è morto e non può più essere fonte di valori per nessuno, allo stesso modo la fantascienza è caduta nel Nulla e il suo essere è uscito dall'inventario ontologico!
"Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono la fantascienza, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della fantascientifica putrefazione? Anche gli autori di fantascienza si decompongono!"
Ecco l'epitaffio, che chiude un'epoca:
"Che altro sono ancora questi libri, questi film, se non le fosse e i sepolcri della fantascienza?"