lunedì 31 luglio 2017


IL PRINCIPE DELLE MAREE

Titolo originale: The Prince of Tides
Paese di produzione: Stati Uniti
Lingua: Inglese
Anno: 1991
Durata: 132 min
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Genere: Drammatico, melodramma
Sottogeneri: Introspezione psicologica; apologia
   di stupro; apologia di pedofilia;
propaganda
   antitedesca

Regia: Barbra Streisand
Soggetto: Pat Conroy (romanzo)
Sceneggiatura: Pat Conroy, Becky Johnston
Fotografia: Stephen Goldblatt
Montaggio: Don Zimmerman
Musiche: James Newton Howard
Interpreti e personaggi   
    Nick Nolte: Tom Wingo
    Barbra Streisand: Dr. Susan Lowenstein
    Blythe Danner: Sallie Wingo
    Kate Nelligan: Lila Wingo Newbury
    Jeroen Krabbé: Herbert Woodruff
    Melinda Dillon: Savannah Wingo
    George Carlin: Eddie Detreville
    Jason Gould: Bernard Woodruff
Doppiatori italiani   
    Luciano De Ambrosis: Tom Wingo
    Maria Pia Di Meo: Dr. Susan Lowenstein
    Isabella Pasanisi: Sallie Wingo
    Vittoria Febbi: Lila Wingo Newbury
    Sergio Di Stefano: Herbert Wooddruff
    Cristina Boraschi: Savannah Wingo
    Manlio De Angelis: Eddie Detreville
    Corrado Conforti: Bernard Woodruff
    Sandro Sardone: Henry Ringo
    Eleonora De Angelis: Jenny Wingo
    Marco Mete: Cittadino
    Claudio Fattoretto: Cittadino

Trama:

I ricordi che ho di questo film sono tutti brutti. Essi si amalgamano in un pastone incubico, come visioni grottesche a cui sarebbero preferibili le tenebre assolute dell'Erebo.

Un uomo robusto di nome Tom Wingo, devastato dagli atroci ricordi di un'infanzia vissuta nelle paludi, si reca dalla strizzacervelli Susan Lowenstein per lenire il suo dolore. Ogni volta che si scoperchia il vaso di Pandora della sua memoria, ne emerge un tanfo mortifero. Calarsi in un simile personaggio significa pentirsi di esistere. Un rozzo padre padrone ha una moglie che gli cucina dei gamberetti con una ricetta francese. Lei spera di fare cosa gradita, ma lui fa il diavolo a quattro perché a suo dire quello non sarebbe cibo degno di un essere umano. Così tra urla disumane lo dà al cane e vede che l'animale si rifiuta di mangiarlo. Allora la moglie gli propina del cibo per cani e lui, ignorandone la provenienza, lo trangugia avidamente facendo versi da ghiottone, lodandolo come "sano e americano". Mastica tra i rutti, come Crono che divora i suoi figli. Uno schifo violento in ogni suo istante. Chi potrebbe vivere con questi flash nella mente?

Quanto descritto non è tuttavia ancora il peggio. A un certo punto emerge uno spaventoso ricordo dell'infanzia di Tom. Tre temibili evasi percorrono la palude di notte, giungendo proprio nella dimora della famiglia del protagonista. Sono energumeni mostruosi, le cui braccia sono vere e proprie zampe anteriori. Uno di loro stupra la madre di Tom, Lila, mentre l'altro brutalizza sua sorella minore Savannah. Il terzo, come vede che non c'è a disposizione nessuna vittima di sesso femminile, non si perde d'animo. Prende il bambino, lo mette a novanta gradi e senza esitare lo sodomizza, chiamandolo "carne cruda". Tom non ha il coraggio di ribellarsi e si presta a soddisfare le pulsioni bestiali del suo carnefice. Le laide sequenze del film mostrano questi atti di stupro e di pedofilia senza lasciar nulla all'immaginazione. Anche se solo per pochi istanti, il tempo è sufficiente per impressionare la retina. 

Dopo un harakiri spirituale ininterrotto, con una sorella di Tom Wingo che si finge sopravvissuta dell'Olocausto, gli eventi hanno una svolta che potremmo definire "romantica". La psicologa attira l'uomo nel proprio letto, lo fella e gli svuota i testicoli. Così ridotto, senza più ferro nella sua pistola, ecco che lui torna dalla moglie. Un uomo con un minimo di dignità non riuscirebbe a fissare la consorte negli occhi, ma Wingo ci riesce - forse perché anche lei non è da meno. Tutto procede verso un finale banale: a quanto pare, grazie alle arti della strizzacervelli, vissero tutti cornuti e contenti, ogni ricordo vomitevole cacciato a viva forza nel cesso dell'Oblio. 

Recensione:

Un orrendo verminaio. Se finissi catturato dagli xenomorfi e fossi usato come incubatrice per un chestburster, riterrei il mio fato di gran lunga preferibile all'infanzia di Tom Wingo e ai quadretti della sua aberrante vita familiare. La Streisand ci ha messo tutte le sue sinistre doti e ha ottenuto il risultato cercato: ha raggiunto le somme vette dell'oscenità e dello squallore. 

Il film contiene scene agghiaccianti. Non si può passarle sotto silenzio. A mio avviso la Streisand, che di questa pellicola è stata regista, potrebbe anche essere accusata di apologia di pedofilia e di stupro. In un paese civile dovrebbe essere processata e condannata. Oppure dobbiamo ammettere che una donna, solo per il fatto di avere due cromosomi X, debba poter escogitare qualsiasi enormità, qualsiasi scelleratezza, ricevendo in cambio un encomio? Diamine no! A tutto questo schifo mi opporrò sempre, finché avrò fiato in corpo.

Vediamo all'opera la mens pornographica della Streisand. Grande e orrenda è la sua compiacenza al Male. Al confronto de Il principe delle maree, si capisce che Orgasmo e motocicli era innocente. Persino lo stag giovanile interpretato dall'attrice era come Biancaneve e i Sette Nani: una bazzecola, una bagatella.

Un film di propaganda antitedesca

In America si assiste impotenti all'atroce trasformazione dei cognomi in -stein in -stin, come Frankenstin in un famoso film di Mel Brooks, che almeno aveva la scusante di essere un film comico. Così il cognome Lowenstein, che a rigor di logica dovrebbe scriversi Löwenstein con l'Umlaut e suonare /'lø:vənʃtaɪn/ (significa "Pietra del Leone"), viene oscurato nell'etimologia e ridotto a un ridicolo /'lowənsti:n/ (o addirittura /'lowənstɪn/) - adattato in /'lovenstin/ nella versione italiana, quasi a suggerire una derivazione da "love". In modo simile il dottor Frankenstein di Mel Brooks intendeva rimuovere ogni traccia di lingua tedesca pronunciando il suo cognome /'frankenstin/ (adattamento italiano). Mentre il protagonista di Frankenstein Junior a un certo punto ritrova il suo orgoglio, restaurando la corretta pronuncia tedesca del suo nome, vediamo che Il principe delle maree afferma la pronuncia aberrante come se fosse naturale. Quindi può esserre descritto tout court come un film di propaganda antitedesca. Persino il ricordo della fonetica della lingua tedesca, pur in un cognome ebraico, deve essere negato ed eliminato. Non mi si dica che la pronuncia in questione è ebraica, dato che in Yiddish la parola per dire "pietra" si pronuncia /ʃteɪn/, non */sti:n/ - e non mancano dialetti in cui è /ʃtaɪn/ come in tedesco. Dunque la Streisand vorrebbe imporci di pronunciare Einstein come /'eɪnsti:n/, /'eɪnstɪn/ e simili anziché come /'aɪnʃtaɪn/?! Diabole, non sia mai! 

Un pendio scivoloso 

Una cosa molto importante va rimarcata. Individui come la Streisand nuocciono innanzitutto al loro stesso popolo. Gli creano danni immensi che non possono essere rimediati, accrescendo l'odio e i pregiudizi. Si capisce infatti che se un popolo è odiato e perseguitato, ogni aberrazione di un suo singolo individuo sarà in automatico attribuita a tutti i suoi membri. Se poi chi commette l'aberrazione avrà solidarietà dai membri del suo popolo, la reazione d'odio degli avversari sarà accresciuta in modo enorme. Per questo motivo, se fossi un israelita, non esiterei a denunciare all'autorità rabbinica la Streisand per i suoi molti scandali, cercando con ogni mezzo di farla condannare. Se poi non ne sortisse alcuna condanna, pagherei un cabalista per scagliare contro di lei la Pulsa de Nura.

La questione del rating 

Alcune note sulla questione del rating. A quanto ho appreso dopo ricerche, il film ha un rating R, ossia "Restricted" (minori di 17 anni accompagnati dai genitori o da un tutore). All'informazione non viene data grande pubblicità, come se fosse un film adatto a tutti. Si noterà che lo stesso rating R è stato dato a Covenant di Ridley Scott, mentre The Mothman Prophecies di Mark Pellington ha un rating PG-13, ossia "Parents Strongly Cautioned" (materiale non adatto ai minori di 13 anni). Non solo: il divieto ai minori per il film di Scott è stato strombazzato a mezzo mondo. Si paragona quindi il film della Streisand ai capolavori di Scott e di Pellington. Questo nonostante la cruda, abominevole scena di pedofilia che dovrebbe farlo valutare con un rating ben più restrittivo. La formazione di neomorfi nel corpo di persone parassitate o un mostro spettrale che profetizza una catastrofe: queste per i censori sarebbero cose traumatizzanti e violente. Invece gli stupratori che infilano il fallo su per il retto dei bambini, chissà per quale motivo fanno meno scalpore. Strana morale ha l'America! 

Una pletora di riconoscimenti  

La cosa più scandalosa: il grande numero di riconoscimenti ricevuti da questa porcata psicologica.

Premi:   
  Golden Globe Award for Best Actor - Motion Picture Drama -
       Nick Nolte
  Boston Society of Film Critics Award for Best Actor -
       Nick Nolte
  Los Angeles Film Critics Association Award for Best Actor -
       Nick Nolte 


Nominations:
    Academy Award for Best Picture
    Academy Award for Best Actor - Nick Nolte
    Academy Award for Best Supporting Actress -
         Kate Nelligan
    Academy Award for Writing Adapted Screenplay -
         Becky Johnston and Pat Conroy
    Academy Award for Best Art Direction - Set Decoration -
         Paul Sylbert and Caryl Heller
    Academy Award for Best Cinematography -
          Stephen Goldblatt
    Academy Award for Original Music Score -
         James Newton Howard
    Golden Globe Award for Best Director -
         Barbra Streisand
    Golden Globe Award for Best Motion Picture - Drama Directors
         Guild of America 
         Award for Outstanding Directorial Achievement in Motion Pictures -
         Barbra Streisand
    WGA Award for Best Screenplay Based on Material
        from Another Medium -
        Becky Johnston and Pat Conroy
    American Society of Cinematographers Award for Outstanding
       Achievement in Cinematography in Theatrical Releases -
       Stephen Goldblatt

Ancora un po' e sarà tra i film più premiati della storia della Settima Arte! Trovo che sia una cosa spaventosa. Vedete, i laveyani delle orge mostrate in Eyes Wide Shut sono innocenti al confronto di chi ha promosso questo orrore! 

Un romanzo turpissimo

Nel romanzo di Pat Conroy, da cui è stato tratto il film, si trovano alcuni passi che permettono considerazioni, a quanto ne so mai fatte finora. Prima il bandito si accerta che Tom non abbia mai conosciuto carnalmente un uomo:

“You ever had a man before, Tommy?” Randy said, and I heard Savannah weeping in the bedroom. “No, of course not, Tommy. I’ll be your first, Tommy. I’ll fuck you nice, Tommy, before I cut your throat.”

Poi avviene l'azione abominevole:

When he entered me I tried to scream but could not. I could give no voice nor utterance to such degradation, to such profuse shame. His cock was enormous and he damaged me as he forced his way inside. I felt a fluid running down my thigh and thought he had come, but it was my own blood running down my thighs. He writhed and forced it deeper inside me as I listened to my mother and sister calling out my name, begging for my intercession.

Domanda. Come faceva Tom a sapere che l'uomo sarebbe "venuto"? Eppure dice "I felt a fluid running down my thigh and thought he had come". Quindi non era vero che era ignaro di simili violenze! Questo perché la sua era una famiglia incestuosa come il Clan di Sawney Bean, ed evidentemente il padre padrone aveva già abusato di lui in passato, o aveva comunque assistito ad accoppiamenti. Roba davvero indigesta, da far rimpiangere la prosa del Marchese de Sade.

venerdì 28 luglio 2017


IL CACCIATORE DELLO SPAZIO

Titolo originale: Space Hunter: Adventures in the
     Forbidden Zones
Anno: 1983
Paese: USA
Lingua: Inglese
Durata: 90 min
Regia: Lamont Johnson
Genere: Fantascienza
Specifiche tecniche: girato e proiettato in 35 mm
Rapporto immagine: 1,85 : 1 e 2,35 : 1
Formato audio: Dolby
Compagna di produzione: Columbia Pictures
    Corporation, Delphi I Productions, Zone
    Productions
Distribuzione: CEIAD (1984), Columbia Tristar
    Home Video
Sceneggiatura: David Preston, Edith Rey, Dan
    Goldberg, Len Blum
Fotografia: Frank Tidy
Montaggio: Scott Conrad
Musiche: Elmer Bernstein
Produttore: Ivan Reitman
Locations: Vancouver, British Columbia (Canada),
   Moab, Utah (USA)
Interpreti e personaggi:
   
Molly Ringwald: Niki
    Peter Strauss: Wolff
    Ernie Hudson: Washington
    Andrea Marcovicci: Charlmers
    Deborah Pratt: Meagan
    Michael Ironside: Overdog
    Beeson Carroll: Patterson
    Aleisa Shirley: Reena
    Call Timmins: Nova
    Harant Alianak: Il Chimico
    Paul Boretski
    Patrick Rowe
    Reggie Bennett
    Colin Mochne
Budget: 14,4 milioni di $
Incassi al botteghino (USA): 16,5 milioni di $ 

Trama: 

Il pilota Wolff giunge sul desolato pianeta Terra 11 a seguito di una richiesta di aiuto da parte di tre fantomatiche ragazze. Si troverà nel bel mezzo di un deserto la cui rada popolazione selvaggia è in preda ad una spaventosa epidemia di peste. Approfittando dell'anarchia imperversante, il cyborg Overdog ha creato un piccolo regno all'interno della Zona Proibita, di cui è il signore assoluto. Nel corso del suo arduo cammino in quelle solitudini, Wolff si imbatte in una fanciulla incredibilmente sporca e recalcitrante. Dopo un'aspra lotta riesce a soggiogarla e a imporle elementari norme igieniche. I due si inoltrano nel dominio di Overdog (ossia Supercane), una spaventosa discarica di rottami che sembra la nemesi dell'Era Tecnologica. Contro ogni sano principio, Wolff intende raggiungere la roccaforte del tiranno, forse perché pensa che vi tenga prigioniere le tre ragazze che hanno richiesto il soccorso. La trama, che fino a un certo punto pare promettente, si stempera in men che non si dica. Il viaggio è un po' lento, le sequenze noiose, lo spettatore quasi sonnecchia in attesa di un deus ex machina che si introduca a viva forza nella narrativa facendola esplodere. A un certo punto è facile ingannarsi e aspettarsi di veder comparire da un momento all'altro il palazzo di Jabba the Hutt! Niente da fare: il film resta un po' moscio e  soporifero. Oltre un certo punto non ricordo quasi nulla - e quel poco che ricordo è distorto. Tutto si confonde dopo una serie di improbabili acrobazie in cui il protagonista saltando come un grillo si scontra con un Overdog espanso e furioso che ha subìto la metamorfosi in una macchina da guerra, come i meganoidi di Don Zauker, l'arcinemico di Daitarn III, quello con un gigantesco cervello esposto che spiccava dal cranio di metallo. Il finale non dev'essere eccellente, visto che si è dissolto nei banchi di memoria stagnante senza lasciare nemmeno un'esilissima traccia mnestica. Credo che rivedrò il film una seconda volta quando sarò preso da un intenso attacco di masochismo, di noia assoluta e di voglia di perder tempo. 


Recensione:

L'ho visto al cinema molti anni fa e l'ho trovato un film mediocre, per non dire trash, al punto che non ne raccomanderei la visione nemmeno ai miei peggiori nemici. Va però detto che qualche lampo di ispirazione buca la coltre della nausea esistenziale e di stasi che assale lo spettatore. Memorabili sono ad esempio le sequenze in cui Wolff costringe la giovane nativa a lavarsi, arrivando a strofinarle con una gran quantità di shampoo il cranio lendinoso. Un realismo tale che assistendo alla proiezione ho avvertito nella mia immaginazione il sentore degli effluvi non certo invitanti di quella sudiciona. Dire che il filone non è innovativo è quasi una banalità. Il genere fantascientifico "zozzoni postatomici" ha goduto di un grande rigoglio fino raggiungere il suo apogeo con Mad Max oltre la sfera del tuono (1985), che potrebbe essere ribattezzato Smegma Festival, con un Mel Gibson che per poco non è finito a fare il fellatore in un bordello. Certo, Il cacciatore dello spazio va preso per quello che è, senza filosofarci troppo, o se ne esce con un pugno di mosche morenti. Inutile fare l'ennesima pappardella moralista e lapalissiana su Terra 11 che sarebbe l'immagine del nostro pianeta in seguito alla sua devastazione provocata dall'avidità delle multinazionali e via discorrendo. Ovviamente salterà su qualche buonista a opprimerci con le sue baggianate politically correct, strillando che Overdog è in realtà Hitler o Mussolini e che il suo regno rappresenta il Fascismo, proprio come lo rappresenta un incubo notturno provocato dal troppo formaggio ingurgitato. Forse dovremmo credere piuttosto che Overdog, ex scienziato imbarbarito, rappresenti la vittoria della brutalità e della violenza sulla Scienza e sulla tecnologia, con astronavi e gingilli finiti nell'immondezzaio. Bisognerà vedere se Lamont Johnson avesse in mente proprio questo. Secondo alcuni critici, e mi pare cosa abbastanza ragionevole, questo film è semplicemente nato sull'onda del successo di Guerre Stellari. Peggio ancora, è un mockbuster di Star Wars, pur non avendo nemmeno l'ombra della complessità della Saga. Il pilota Wolff è chiaramente ispirato dalla figura di Han Solo. Sul sito Filmtv.it il navigatore Tex Murphy riassume ben la questione: "Filmetto noioso che dista anni luce da "Guerre stellari" pur cercando di imitarlo. Il protagonista poi, cerca di fare il verso ad Harrison Ford ma è espressivo e simpatico come una tavola di rovere. Adatto solo agli under 10 appassionati di fantascienza."     

Altre recensioni: 

Bellissima la recensione comparsa sul sito Filmbrutti.com, che raccomando vivamente ai visitatori di questo spazio:

giovedì 27 luglio 2017


IMMORTAL (AD VITAM) 

Titolo originale: Immortel ad vitam
Paese di produzione: Francia
Anno: 2004
Durata: 98 min (secondo altri 102 min)
Genere: Fantascienza
Lingua: Francese, inglese, antico egiziano
     (pronuncia egittologica)
Regia: Enki Bilal
Soggetto: Enki Bilal
Sceneggiatura: Enki Bilal
Produttore: Charles Gassot, Dominique Brunner,
     Sylvie Chevreau
Fotografia: Pascal Gennesseaux
Effetti speciali: Matthieu Grospiron
Musiche: Sigur Rós, Goran Vejvoda
Costumi: Mimi Lempicka
Trucco: Nicolas Degennes, Cécile Gentilin
Interpreti e personaggi:   
    Linda Hardy: Jill Bioskop
    Thomas Kretschmann: Alcide Nikopol
    Charlotte Rampling: Elma Turner
    Frédéric Pierrot: John
    Thomas M. Pollard: Horus
    Yann Collette: Froebe
    Corinne Jaber: Lily Liang
    Joe Sheridan: Kyle Allgood
    Derrick Brenner: Jonas
Doppiatori italiani:
   Gabriella Borri: Elma Turner
   Francesca Fiorentini: Jill Biskiop
   Fabio Boccanera: Nikopol
   Roberto Pedicini: Horus
   Emiliano Coltorti: John
Doppiaggio italiano: SEFIT-CDC
Dialoghi italiani: Ruggero Busetti
Direzione del doppiaggio: Marco Guadagno
Assistente al doppiaggio: Laura Masini
Fonico di doppiaggio: Marco Meloni
Fonico di mix: Alessandro Checcacci
Budget: 22,1 milioni di $
Incassi al botteghino: 6,3 milioni di $


Trama:
Siamo a New York nell'Anno del Signore 2095. Nella megalopoli invivibile si è realizzato uno spaventoso melting pot in cui coesistono persone delle più disparate provenienze. Oltre agli umani, già di per sé di provenienze molteplici, ci sono elementi mutanti e extraterrestri. Su tutti impera la potentissima multinazionale farmaceutica Eugenetics Corporation. Un quadro raggelante, ma a complicare le cose si registra un evento inaudito: una piramide egizia fatta e finita compare in cielo proprio sopra Manhattan e lì rimane fluttuando allegramente nell'aria. Ad abitarla sono nientemeno che gli Dei dell'Antico Egitto. Ci sono tutti: Iside, Osiride, Anubi, Bast, Thoth e naturalmente Horus, che è protagonista della vicenda. La divinità dalla testa di falco prende possesso del corpo di uno sciagurato umano di sesso maschile e gli ordina di fecondare una ben precisa femmina con fungosità azzurre al posto dei capelli, se necessario senza curarsi troppo del fatto che questa sia o meno consenziente (si sa, queste per gli Dei sono "fisime" incomprensibili e di oscura origine). La posta in gioco è molto alta: se Horus non riuscisse nel suo intento copulatorio, perderebbe nientemeno che l'immortalità. Ne scaturisce un gran putiferio, al punto che il prescelto fecondatore a un certo punto si trova contro un grosso alieno dalla pelle scarlatta e dalla testa come quella di un gran pesce martello. Il film trae la sua ispirazione dai fumetti di Enki Bilal e più precisamente dai graphic novels "La fiera degli immortali" (La Foire aux immortels) e "La donna trappola" (La Femme piège).

Recensione:
Un film davvero strano e unico. La prima volta che lo vidi, al cinema, mi parve subito grandioso, straordinario. Quando lo vidi la seconda volta, al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro (23/02/2008), non mi sembrava più tanto eccezionale, al punto che all'inizio del secondo tempo fui invaso da una stanchezza mortale. Mentre guardavo le immagini la spossatezza crebbe, tanto che appoggiai la testa a un pilastro di cemento nel locale dove avveniva la proiezione e mi addormentai profondamente. Ricordo ancora che quando la luce si riaccese, Francesco L., ridendo, mi disse che di certo non avevo visto il finale: avevo russato in modo fragoroso! Sono portato a ritenere quell'episodio come dovuto alle mie condizioni di salute. Dovrei rivedere la pellicola di Enki Bilal in condizioni migliori per trovarlo di nuovo godibile come quando lo vidi la prima volta. Poi si può dire di tutto e di più su Immortal Ad Vitam, ad esempio che è incentrato sul terrore della dittatura dell'eugenetica - e quindi sul Nazismo, messo in tutte le salse, come se fosse una cosa non soltanto attuale ma futuribile. Si può dire che il tema principale è la paura di invecchiare e di morire, oppure che siamo di fronte a un film politico sulla dissidenza e sulla sua repressione in uno regime autocratico. Potrebbe anche trattarsi di banalità che non aiutano per nulla a capire il complesso scenario.


La pronuncia egittologica francese  

I dialoghi in egiziano antico tra Anubi, la dea felina Bast e Horus utilizzano la pronuncia egittologica in auge nelle università francesi. Trattasi di una pronuncia molto lontana dai reali suoni della lingua dei Faraoni, in particolare è del tutto diverso il sistema vocalico. Così abbiamo /'eru/ "Horus", che nella pronuncia del Medio Regno suonava /'ḥa:rə/. Si riconosce il numerale /se'fɛk/ "sette", che nella pronuncia del Medo Regno suonava /'safχə/. Un'altra parola che ho individuato è /e'ru/ "giorni", che nella pronuncia del Medio Regno suonava /ha'ruwwə/. Così la stringa /se'fɛk e'ru/ "sette giorni" è lontana dal genuino /safχə'hruwwə/ del Medio Regno. Il fatto che nella parola per "giorni", trascritta hrw.w o hrw dagli egittologi, ci sia una somiglianza nella vocale tonica è puramente casuale: non è il segno della quaglia (la lettera w) a marcare questo valore fonetico, tipico di tante forme plurali fratte. La forma copta, derivata in modo regolare dalla forma del Medio Regno, è ehrai.

Uno pseudonimo solo in parte sumerico

Enki è il nome sumerico della divinità della Creazione e dei mestieri. Il primo membro del composto è sicuramente en "signore, nobile", mentre il secondo è in genere identificato con ki "terra". Dato che Enki ha forme declinate che presuppongono una forma precedente *Enkig (es. ergativo Enkig-ake), è possibile che il secondo membro abbia un diverso significato. Dal confronto con alcune locuzioni in cui ki(g) sembra significare "benevolenza, amore", pare che la traduzione migliore sia "Signore della Benevolenza". Si noti che in sumerico vige la stessa costruzione delle lingue semitiche, che pure non hanno parentela alcuna: il nome del possessore sta prima del nome della cosa posseduta. Mentre nelle lingue semitiche l'accento sta sulla seconda parte del composto, in sumerico sta sulla prima /'enki/. In accadico il teonimo Enki fu reso con Ea, che significa Vita. Non si tratta di una traduzione. La radice di Ea, tipicamente semitica, è la stessa dell'ebraico ḥayyīm "vita", vocabolo tuttora usato come antroponimo e trascritto in vari modi come Haim, Chaim, Chayim, etc. Dalla stessa radice proviene anche il nome di Eva. Se Enki è tipicamente sumerico, lo stesso non si può dire di Bilal, che è un nome semitico, questa volta arabo. Bilal, o meglio Abū ʿAbd Allāh Bilāl ibn Rabāḥ al-Ḥabashī, è il nome di uno schiavo abissimo di fede islamica che fu a lungo tormentato dal suo padrone pagano. In seguito fu affrancato e divenne il primo Muezzin, seguendo Maometto al pellegrinaggio alla Mecca nell'anno 629. L'antroponimo Bilal significa "Colui che Umidifica".

Reazioni nel Web

Numerosi sono i commenti apposti dai navigatori sulla pagina del film nel sito Filmscoop.it. Devo dire che alcuni sono tutto fuorché eulogistici. Di certo trovo tali critiche ingenerose. Riporto alcuni interventi particolarmente arrabbiati: 

topsecret 
Un altro fanta-action ispirato ad un fumetto.
Storia che non mi ha coinvolto e personaggi a metà tra live action e computer graphic che non convincono sia sotto il profilo della caratterizzazione che da quello visivo.
Forse è più per i fans del genere, gli altri lo dimenticheranno in fretta.

86marco86 
Film insulso con una grafica da videogioco e una storia inutile e ridicola. Anzi, direi anche senza storia, un film giusto buttato li...

paride_86
Non credo di aver mai visto niente di così brutto, tanto pesante, noioso, malfatto e scriteriato da far rimpiangere i film di Boldi & De Sica.
La storia comincia con una deportazione di mutanti in una New York sovrastata da una piramide in cui alcuni dei egizi giocano a monopoly...e questo dovrebbe bastare a capire di quanta pochezza sia costituito questo film.
Sconsigliatissimo, anche per quanto riguarda la grafica e gli effetti speciali.

sabato 22 luglio 2017


LA FIANCÉE DES TÉNÈBRES

Titolo originale: La Fiancée des Ténèbres
Anno: 1945
Paese: Francia
Lingua: Francese
Genere: Drammatico, fantastico 
Regia: Serge de Poligny
Durata: 90 min
  edizione originale: 100 min.
  rielaborata: 88 min.
Sonoro: Mono
Colore: Bianco e nero
Rapporto: 1,37 : 1
Sceneggiatura: Jean Anouilh, Gaston Bonheur, dal
   romanzo di quest'ultimo, La mort ne reçoit que sur
   rendez-vous
(perduto o forse inesistente, vedi nel
   seguito)
Adattamento: Gaston Bonheur
Dialoghi: Gaston Bonheur, Serge de Poligny
Assistente direttore: Jacques de Casembroot,
    Rodolphe Marcilly
Musica: Marcel Mirouze
Produzione: Éclair-Journal 
Ambientazione: Carcassone, Aude
Titoli alternativi:   
   Gespielin der Finsternis (Germania)
   The Bride of Darkness (Inghilterra)
   Nevesta t'my (Russia)
Attori:    
    Pierre Richard-Willm: Roland Samblanca
    Jany Holt: Sylvie
    Fernand Charpin: Fontvieille
    Edouard Delmont: Monsieur Toulzac
    Line Noro: Mademoiselle Perdrières
    Pierre Palau: Il fotografo
    Eloi Gaston: Gabaroche
    Robert Dhéry: L'albergatore di Tournebelle
    Simone Valère: Dominique
    Anne Belval: Marie-Claude
    Paul Demange: L'accordatore di pianoforti
    Julien Maffre: Il giardiniere
    Lily Gréco: Antoinette
    Morgan: La madre
    Marcel Maupi: Il postino
    Jean Diener: Il comandante
    Léonce Corne: Il dottore
    Jean-Pierre Belmon: Tristan (il figlio di
        Samblanca)
    Guy Favieres: Monsieur Delmas
    Morita Aeros: La ballerina spagnola
    Nicole Bely

Trama: 
Il compositore Roland Samblanca fa ritorno alla nativa Carcassonne e mentre in una giornata di sole passeggia tra le guglie del castello, si imbatte in una misteriosa ragazza vestita di nero. È Sylvie, la figlia adottiva dell'ottuagenario Toulzac, un maestro in pensione ridotto su una sedia a rotelle. In realtà Toulzac è l'ultimo Vescovo dei Catari. Egli cerca di far rivivere il Catarismo nella sua città e punta a ritrovare il tesoro nascosto a Montsegur, ossia il Graal pirenaico di cui deliravano Antonin Gadal e Otto Rahn. Sylvie è convinta di essere colpita da una maledizione, perché tutti gli uomini che hanno cercato di amarla sono morti in modo atroce. Finalmente Toulzac riesce nel suo intento: grazie al suo fido servitore, sotto la tomba di un cavaliere viene alla luce una rampa di scale che conduce in un vasto sistema di grotte. Sylvie, inoltratasi nello spazio ctonio, trova un altare di stalattiti con il Santo Graal, ma non riesce ad afferrarlo: il soffitto comincia a rovinare e massi colossali cadono ovunque. A stento Samblanca riesce a salvare la sua amata e la conduce in superficie. Il sole splende sulla coppia, che si inoltra nella campagna, senza più pensare alla caverna ormai inagibile. Sfrenati baccanali sono in corso: è la Festa di Tournebelle. Sembra che tutto proceda verso il lieto fine, quando Sylvie capisce di non aver diritto alcuno alla felicità, perché è una strega concepita tramite il sortilegio. Se cederà alle lusinghe dell'amore, il suo drudo sarà perduto. L'incantesimo viene spezzato e per la ragazza ci saranno soltanto solitudine e disperazione. 


Recensione:
Che piaccia o no, questo è il primo film in tutta la storia del cinema in cui si parla dei Catari e della Conoscenza del Bene (in antico provenzale Entendensa de Be). Non che di pellicole sull'argomento ne esistano a bizzeffe, intendiamoci. Purtroppo già fin dalle scritte introduttive che scorrono all'inizio, si capisce che sono molte le inconsistenze e i pregiudizi. I Catari sono descritti con lo stesso linguaggio ingiurioso usato da Vittorio Messori, come una "setta orientale, fosca e sanguinaria". Forse nessuno tra i sostenitori di queste assurdità ha mai meditato neppure per un istante sul fatto che il Cristianesimo non è nato in Norvegia, ma proprio nel tanto vituperato Oriente, e che Cristo non era un franco o un goto. Le tesi che Serge de Poligny espone nel suo deleterio sunto sono le solite sostenute dai moderni cattolici-belva: un terribile culto della Morte, distrutto dall'intervento dei potenti signori del Nord, considerato provvidenziale. Tecnicamente parlando, il film non è girato male e riesce a trasmettere un'atmosfera tetra molto particolare. Notevoli le inquadrature delle mura turrite di Carcassonne. A quanto pare, l'accoglienza del pubblico e della critica non fu particolarmente favorevole. Si parla di incomprensione generale causata dalla complessità labirintica di uno scenario carico di riferimenti culturali, cosa che alla futile platea degli spettatori dovette apparire insostenibile. Tuttavia va aggiunto che di recente quest'opera è stata molto rivalutata e che le nuove generazioni comprendono meglio il tema dell'irruzione dell'irrazionale nella vita quotidiana.      

Politica e identità occitana

La fiancée des ténèbres riflette il profondo odio contro i Catari imperante nella Francia di Vichy. Fu infatti girato nel 1944, quando il Capo di Stato era Philippe Pétain, anche se uscì nelle sale soltanto il 22 marzo 1945. Secondo alcuni internauti, l'identificazione biunivoca dei Catari con l'identità occitana era il principale problema a quell'epoca. A mio avviso questa è una tesi che non esaurisce la realtà dei fatti e che non tiene conto di motivazioni più profonde. Nonostante l'avversione del regime per la lingua locale, essa emerge qua e là nel film, anche se in nessun caso come lingua viva. Ad esempio si vede nel titolo del Vangelo di Giovanni, un grosso tomo posseduto da Monsieur Toulzac, che reca sul frontespizio il titolo cubitale SAN JAN EVANGELISTO. Non è di certo provenzale antico, come mostra ad esempio la -o finale di Evangelisto (questo mutamento di -a in -o è tipico della lingua nella sua forma moderna). Quando lo stesso Toulzac disquisisce sul favoloso tesoro che cerca affannosamente, cita gli oronimi Montsalvat e Montsalvatge, identificati con Montségur (Montsegur in occitano), e ne pronuncia i nomi correttamente, evitando con cura di francesizzarli. C'è da stupirsi già di queste poche tracce. Com'è noto, la Francia ha una sua radicata tradizione di repressione verso qualsiasi lingua che non sia quella ufficiale. Questa politica non è una questione di partiti, di destra o di sinistra: è qualcosa di stampato a fuoco nel genoma della Repubblica Francese, che continua tuttora. Usando misure incompatibili con l'idea di libertà personale, le istituzioni sono riuscite a estirpare dal territorio nazionale numerosi idiomi un tempo fiorenti. 


Deliri astrali e cripte sacre 

L'errata associazione dei Catari all'astrologia è a dir poco grottesca. Si vede che Toulzac tiene come un cimelio una mappa astrale con i segni dello Zodiaco e sopra lo schema celeste campeggia l'assurda scritta "Consolament Tauri". Una vera e propria assurdità sesquipedale, che dimostra la conoscenza pressoché nulla del regista e dello sceneggiatore. Si può identificare l'origine di questa credenza nella confusione tra Catarismo e Priscillianismo, che pure all'epoca era diffusa. Sappiano infatti che il Vescovo Priscilliano di Avila credeva che il moto delle stelle governasse il destino umano (si vedano gli anatemi contenuti negli atti del Sinodo di Braga del 565). Il Consolamentum o Battesimo di Spirito è il Sacramento che nella teologia catara implica l'unione tra Spirito e Anima. Solo chi lo riceve può dirsi un Buon Uomo. Si capisce che non ha senso pensare che lo Spirito Santo possa venire da una configurazione di astri. Stellae non sunt mundae. Quello che mi sfuggirà sempre è la comprensione dell'artifizio che permette a un immenso numero di persone di fantasticare su altari e cattedrali sotterranee, quando si sa che i Catari non avevano luoghi di culto né reliquie, in quanto i Buoni Uomini condannavano la venerazione di ogni oggetto materiale e la chiamavano idolatria

Un regista persecutore

Non dobbiamo mai dimenticare che Serge de Poligny definiva la religione dei Catari "una credenza inumana". Quello che terrorizza e inquieta il regista è proprio la Dottrina che attribuisce la creazione dell'universo fisico a Satana. Nel suo film si vede che il fornicatore Samblanca salva la bella Sylvie dal crollo di una grande caverna. Ecco che arrivano i guitti per distogliere Sylvie dai Catari e dalle loro cupe dottrine, per convincerla che la vita è bella e spingerla a copulare! Mancano soltanto i Puffi danzanti sulle note di Cristina d'Avena! Dato il diverso concetto di decenza che c'era a quei tempi, Poligny si è astenuto da far urlare ai guitti "viva la figa!", tuttavia posso garantire che quando ho visto il film mi sembrava di sentire quell'esclamazione mentre scorrevano le sequenze della Festa di Tournebelle. Monsieur Toulzac cerca in tutti i modi di far rivivere la Fede dei Catari e arriva a imporre l'Endura a un'anziana signora sua seguace, che muore durante un ricevimento. Queste sequenze sono ispirate dalle calunnie dei papisti che reputavano l'Endura una forma di "omicidio rituale", usandola come spauracchio per instillare un odio feroce contro la Buona Gente. Alla fine Toulzac si rende conto di aver fallito e si suicida in un modo ben strano. Prima brucia le sue carte astrologiche nel caminetto, poi si lancia con la sedia a rotelle contro una porta, morendo sul colpo. 


Altre incoerenze e falsi storici

Monsieur Toulzac è descritto come Vescovo degli Albigesi. Tuttavia sappiamo dall'Apostolo della Linguadoca Peire Autier e da Guilhem Belibasta che agli inizi del XIV secolo i Catari non avevano più vescovi. Belibasta, che fu l'ultimo Buon Uomo noto della Linguadoca, afferma chiaramente che un tempo la Chiesa di Dio aveva vescovi e un Papa: con ogni probabilità alludeva a Popeniquinta, ossia a Niceta di Dragovitsa, che aveva viaggiato in Occidente. Da dove salterebbe dunque fuori il Vescovo Toulzac? Chi lo ha consacrato? Egli sembra l'ultimo della sua linea apostolica e addirittura l'ultimo ad avere la Fede. Si capisce che non è assolutamente possibile che porti il titolo di Vescovo, che esisteva quando le Chiese Catare erano fiorenti, finendo poi con lo scomparire del tutto durante l'Epoca delle Persecuzioni. Tutto ciò non basta. Si vede in diverse sequenze che Toulzac non segue la Regola dei Buoni Uomini e compie atti che gli avrebbero fatto perdere il Consolamentum. Così fa colazione con una pappa di panna e di cereali, a cui aggiunge abbondante zucchero. Se cereali e zucchero erano permessi, il latte e i suoi derivati erano vietati, in quanto reputati prodotti del coito. Inoltre Toulzac tocca liberamente la figlia adottiva. La prende per mano e le sfiora i capelli, tutte cose che un Buon Uomo si sarebbe guardato bene dal fare. Peire Autier ci dice che se trenta uomini e una donna si fossero seduti su una panca, egli non si sarebbe seduto nemmeno all'estremità opposta a quella in cui si trovava la donna, per evitare di finire contaminato. Va infine ricordato che sono estranee ai Catari e alla Entendensa de Be tutte le leggende relative al Graal o Sangreal che dir si voglia, nonché a favolosi tesori. Per colmo del paradosso, il mito del Graal era tipico dei Crociati del Nord e sostenuto proprio dalle orde di Simon de Montfort.

Una fonte oscurissima

Un'ombra grava sul giornalista e scrittore Gaston Bonheur, pseudonimo di Gaston Tesseyre (1913, Belvianes-et-Cavirac - 1980, Montpellier). Il suo romanzo La mort ne reçoit que sur rendez-vous (La morte riceve solo su appuntamento), che sarebbe servito per realizzare il film, è irreperibile. Stando al sito Imdb.com, l'opera sarebbe stata pubblicata nel 1943 nell'edizione di Tolosa della testata Le Parisien.


"The original literary source of is Gaston Bonheur's own short story "La mort ne reçoit que sur rendez-vous" published in 1943 in the Toulouse edition of Le Parisien, a French newspaper."

Informazioni molto interessanti sono contenute sul blog Rhedesium.com, che contiene un'intervista a Bonheur, in inglese.


"The screenplay for The Bride of Darkness is adapted from a novel that I had published in 1943 in the evening edition of Paris-soir Toulouse: Death is received only by appointment. I was thirty, which may explain some of this romantic-philosophical delirium and I had also long since finished my own philosophy studies in Paris. We must, perhaps, be clear to understand the intentions of my text, I was in Paris and "invested" with a mission by my teacher Joe Bousquet & Esteve, my senior teacher: I should have become a philosopher; I became a writer and it is Alquié [Ferdinand Alquié, NDLR] who took my place."

Ancor più interessante è l'articolo Cendres et émeraudes: le Catharisme romanesque au XXe siècle, pubblicato su Persee.fr e liberamente consultabile.


"Même si nous avons visionné tous les exemplaires des éditions provinciales de Paris-Soir de 1942 et 1943 conservés à la Bibliothèque nationale, nous n'avons pu trouver la nouvelle de Gaston Bonheur, scénario du premier film à sujet cathare, La fiancée des ténèbres (1944)."

Ora, si deve notare che mentre nella descrizione riportata in Imdb.com si parla del quotidiano Le Parisien, nell'intervista su Rhedesium.com e nell'articolo pubblicato su Persee.fr si parla invece del quotidiano Paris-Soir. Si tratta di due quotidiani diversi. Si può subito appurare la verità. Le Parisien ha iniziato le sue pubblicazioni proprio nel 1944, quindi il romanzo di Bonheur non può esser stato pubblicato sulle sue pagine nel 1943. Invece Paris-Soir, fondato nel 1923, continuò le sue pubblicazioni sotto il regime di Vichy. Siccome l'autore di Cendres et émeraudes non ha trovato traccia del romanzo di Bonheur nel Paris-Soir di Tolosa, si deve dedurre che si tratta di un'opera fantomatica. In altre parole è uno pseudobiblion.

martedì 18 luglio 2017

UN THREAD SULL'OPERA DI PIERO BERNARDINI MARZOLLA

Quando frequentavo ancora il liceo, era il lontano 1984, acquistai il libro L'etrusco: una lingua ritrovata, di Piero Bernardini Marzolla. Giovane com'ero, non avevo ancora mezzi sufficienti per capire che si trattava di qualcosa di poco credibile. Quel volume mi conquistò e mi convinse. Il presupposto dell'autore era mirabolante: a suo dire, l'etrusco sarebbe stato imparentato col sanscrito, l'augusta lingua dell'antica India. Come in un diario cresciuto di notte, il Marzolla riportava le sue traduzioni, una dopo l'altre. Sembravano ben convincenti. Si aveva l'impressione, leggendo quel resoconto di un'impresa titanica, che la maschera millenaria che aveva reso irriconoscibile la lingua degli Etruschi fosse stata finalmente rimossa, pezzo dopo pezzo. Per molto tempo mi occupai d'altro, ma rimanevo incredibilmente confortato al pensiero che qualcosa di ignoto fosse stato finalmente aggiunto al reame del noto. Una volta all'anno riesumavo il volume del Marzolla e mi immergevo nella sua lettura. Poi qualcosa cambiò e cominciarono a fermentare me i dubbi. Al crescere delle mie conoscenze, l'assunto marzolliano appariva sempre meno plausibile, tanto che a un certo punto compresi di essere stato vittima di un grande abbaglio. 

Era il 2010 quando ritrovai menzione dell'opera del Marzolla in un blog ospitato sulla piattaforma Blogspot, intitolato Sanscrito e civiltà dell'India (sanscritonline.blogspot.it). Il post che ha attratto la mia attenzione è Il sanscrito e le lingue dell'Italia antica: il caso dell'etrusco. Riporto in questa sede in thread.

Antares666:
Quello che si può provare (ma sarebbe troppo lungo in questa sede) è che le tesi di Marzolla sulla lingua degli Etruschi sono il frutto di una gigantesca allucinazione cognitiva. All'epoca anch'io ero rimasto affascinato dal libro "L'etrusco - una lingua ritrovata", ma ho poi compreso che è di una fragilità logica molto spinta.

Giacomo Benedetti:
Non si può lanciare il sasso e poi tirarsi indietro! Vorrei sapere quali sono le prove dell'allucinazione di Marzolla. Naturalmente le interpretazioni di Marzolla sono discutibili, ma come si possono confutare?

Antares666:
Prendiamo ad esempio i numerali etruschi: THU "1", ZAL "2", CI "3", HUTH "4"(*), etc.
Persino il Marzolla non può contestare il valore di numerali di queste parole e la loro assoluta divergenza dai numerali sancriti. Orbene, è logico pensare che una lingua complessa e di così magnifica tradizione come quella sanscrita perda proprio i numerali per prenderli a prestito da una lingua ignota? In realtà questi numerali una parentela ce l'hanno: con le lingue del Nord Caucaso, come il Ceceno, l'Ingush, l'Avaro, l'Urartaico (ad esempio nella lingua degli Hurriti KIGA significa "tre").
Consideriamo poi il pronome MI "io", con il suo accusativo MINI "me". Marzolla, constatata la divergenza dal sanscrito AHAM "io" (parente del latino EGO, del gotico IK, etc.), deriva il pronome etrusco dal sanscrito ASMI "io sono", voce del verbo AS- "essere", che nei pracriti è diventato AMMI. Ma come spiegare l'accusativo in -NI? Come spiegare la perdita di un pronome e l'adozione di un verbo? Non ha senso.

(*)In seguito alla presentazione di nuove e convincenti prove, ho aderito all'interpretazone ŚA "4", HUTH "6". Per approfondimenti rimando ai seguenti post:


Giacomo Benedetti: 
Queste osservazioni mi lasciano un po' perplesso, perché il Marzolla non sostiene che tutto l'etrusco deriva dal sanscrito, ma solo una parte minore del suo vocabolario. Lui ammette una componente non indoeuropea della lingua come quella principale, anche se ora non ho il libro sotto mano e non posso fare citazioni. Anche il pronome MI non lo faceva derivare dal sanscrito, ricordo che lo metteva tra gli elementi specifici dell'etrusco, dove hai trovato la derivazione da ASMI?
A proposito dei numerali, quello che dici sarebbe molto interessante, perché riconnetterebbe l'etrusco all'area del regno di Mitanni, dove la lingua più diffusa era l'hurrita... d'altronde, ho trovato piuttosto convincente la ricostruzione di Georgiev, che riconosce nell'etrusco una forte componente ittita.

Antares666:
Noto che altri due commenti da me apposti, che erano molto significativi, non sono stati pubblicati. Spero di vederli comparire, sempre che non siano andati dispersi. Quanto ho scritto sul pronome di I persona singolare si trova per l'appunto nel libro di Marzolla "L'etrusco - una lingua ritrovata": basta leggere con attenzione. Lì è esposta a chiare lettere la derivazine dell'etrusco MI dal sanscrito ASMI, con tutto quello che ne consegue. Posso riconoscere al Marzolla grandi doti di poeta, ma difficilmente le sue conclusioni potrebbero essere ritenute valide. Egli non riconosce l'origine indiana di una piccola parte del lessico etrusco, come tu sostieni, ma della sua massima parte, per poi attribuire a una seconda lingua, ignota e separata, tutto quello che non può spiegare. Addirittura è arrivato ad affermare che dire che l'etrusco da lui "tradotto" non è indiano è come affermare che il verso "schön singt die Nachtigall" non è tedesco. Naturalmente esistono molti prestiti da lingue del ceppo ittita in etrusco, ma di questo il Marzolla non parla, a quanto mi è noto.

Giacomo Benedetti:
Caro Antares, a quanto pare il Marzolla ha cambiato idea tra il suo libro del 1984 e quello che ho letto io, del 2005, come è comprensibile. Forse esaminando anche quello ti farai un'idea diversa delle tesi del Marzolla. In effetti lui non parla dell'ittita, ma, al di fuori dell'ambito indiano, parla solo di prestiti iranici, greci e semitici. Ti prego di riinviarmi gli altri tuoi due commenti. 

Antares666:
Consideriamo poi l'uscita del nominativo singolare dei sostantivi maschili in -AS nel sanscrito vedico, evoluta in -AH nel sanscrito classico, scomparsa nelle attuali lingue dell'India. Ebbene, il Marzolla si immagina tutta una serie di esiti in etrusco: -AS, -S, -US, -UR, -U, -ES, -E, etc. Essi spaziano da forme di sapore vedico a forme contemporanee. Naturalmente in sanscrito classico c'è la trasformazione della desinenza -AH a seconda del suono iniziale della parola seguente. Nello pseudo-etrusco di Marzolla non c'è nulla di tutto ciò. Nessuna regola. Quello che Marzolla propone è una trasformazione caotica di una desinenza sanscrita in una serie di uscite etrusche incompatibili (scelte spesso per far tornare le sue traduzioni).
Marzolla pretende di scardinare tutte le chiare conoscenze grammaticali ottenute da generazioni di studiosi tramite l'applicazione del metodo combinatorio.

Antares666: 
Non sembra un po' strano che le iscrizioni che Marzolla traduce meglio e che sembrano più indiane siano proprio quelle in scriptio continua? Semplice: egli le può ritagliare come vuole, facendo poi collimare le sillabe ottenute con le voci trovate in un vocabolario sanscrito. Ad esempio in un'iscrizione egli interpreta APLU (che è il nome di Apollo) con il verbo sanscrito APLU- che significa "bagnarsi", "immergersi".
I suoi trucchetti non funzionano con molti dei testi più recenti, in particolare con il Liber Linteus, così egli afferma che quei testi sono in un'altra lingua. Non sapendo spiegare una lingua, ne inventa due: una, più antica, simile al sanscrito; l'altra, più recente, di natura ignota, anche se a sua detta con numerosi prestiti iranici e semitici.
Aggiungo altre brevi considerazioni.
1) L'etrusco è una lingua agglutinante, che funziona più come le lingue dravidiche che non come quelle indoarie;
2) Dove sono i composti, così abbondanti nel sanscrito?
3) Dove sono i prefissi?
4) Dove sono i termini del lessico di base, quelli ad esempio indicanti la parentela? Possibile che si sia conservata una parola tecnica per dire "figlio legittimo" e si siano persi termini elementari per dire "madre", "padre", etc.?
5) Certe "illuminazioni", tipo XIMTHM tradotto come "dal freddo raggio" (mentre in realtà significa "e in tutti"), non spiegano l'occorrenza di termini simili (ad esempio XIMTH, XIM), in contesti in cui le traduzioni "poetiche" del Marzolla non hanno senso.
Evidentemente c'è qualcosa che non quadra.

Antares666:
Onestamente, non ho letto il libro del 2005, ma ho trovato una sua descrizione nel web. Essa dice così:
"A distanza di anni dalla pubblicazione del suo libro L'etrusco - una lingua ritrovata, l'autore riprende qui e sviluppa la sua scoperta di una fitta rete di rapporti tra lessico etrusco e lessico sanscrito, mostrando dettagliatamente come i vari tipi di mutazioni fonetiche rispetto al sanscrito siano gli stessi, ben noti, subiti in etrusco dai prestiti dal greco, e illustrando una serie d'importanti aspetti tra i quali il fatto che il lessico etrusco di origine "indiana" è, logicamente, di tipo "satEm" e che anche la "formazione delle parole" corrisponde a quella del sanscrito, con identità di prefissi e suffissi nonché di composti. L'autore avanza oggi l'ipotesi che l'etrusco "indiano" continui in qualche modo l'indoario, lingua che ha lasciato di sé poche ma sicure tracce (metà del II millennio a.C.) nel Vicino Oriente (alta Mesopotamia e Asia minore). Il grosso del libro è costituito dalla traduzione di iscrizioni, finora incomprensibili, resa possibile dall'individuazione degli equivalenti sanscriti di parole etrusche. Un capitolo è dedicato a iscrizioni su specchi di bronzo figurati, e il volume si chiude con un ricco Vocabolario etimologico etrusco."


Non mi sembra che ci siano stati cambiamenti significativi rispetto al primo libro; da quanto leggo nel tuo post, certe "perle" marzolliane sono rimaste praticamente immutate.

Giacomo Benedetti: 
Caro Antares, la descrizione che hai trovato forse non fa capire che Marzolla nel libro del 2005 non identifica l'etrusco con una lingua indoaria, ma solo una parte del suo vocabolario. La derivazione che citi di APLU è stata abbandonata, visto che il Marzolla riconosce che si tratti del nome di Apollo. A proposito di XIMTHM, mi pare che non lo abbia citato nel nuovo libro. Ti invito a leggerlo, se vuoi farti un'idea aggiornata delle teorie del Marzolla, che evidentemente a smussato certi eccessi 'giovanili'... Ho trovato alcune sue traduzioni piuttosto convincenti (particolarmente interessante quella della Resxualc & co.), altre più forzate, comunque per lo meno cerca di rispettare delle leggi di trasformazione fonetica, diversamente dal Semerano...

Giacomo Benedetti:
Ho trovato le fotocopie del libro, dove il Marzolla afferma che persino nel libro del 1984 egli dichiarava di non avere "nessuno speciale interesse a difendere a oltranza l'indoeuropeità integrale dell'etrusco" e poneva la questione se esso fosse una lingua non indoeuropea contaminata da una lingua di stampo indiano o una lingua di stampo indiano sommersa da quella non indoeuropea di una classe (o di un popolo) dominante. In conclusione (par.14), osserva: "La parte non indiana, con ogni probabilità non indoeuropea, è purtroppo quella di gran lunga prevalente. I testi di maggior dimensione restano almeno per ora intraducibili."

    A questo punto, snervato, ho abbandonato il thread, tanto il Benedetti non sembrava interessato a discutere i punti da me evidenziati. In seguito è intervenuto Alessandro Morandi, un accademico le cui idee sulla lingua degli Etruschi non sono a mio avviso molto distanti da quelle di Francesco Pironti. Il concetto interessante espresso dal Morandi è il seguente: il Marzolla si è servito di numerose idee enunciate a suo tempo da Alfredo Trombetti, mascherandole fino a renderne la fonte irriconoscibile. Riporto l'intervento di Morandi.

Alessandro Morandi:
Sono parte di quel mondo "accademico" che non ha accolto positivamente, anzi le rifiuta, le opere di P. Bernardini Marzolla. Quando mi va di farmi "quattro risate" con gli amici leggo alcune delle più divertenti traduzioni del B.M.:la cutrettola di Volterra, dominatrice del bosco, la fanciulla barbara che rifiuta il ballo... Molto indietro, ben nascoste, ci sono le idee del nostro povero Alfredo Trombetti, La Lingua Etrusca, saccheggiato cripticamente dal dilettante di turno.

sabato 15 luglio 2017

CONTRO LA TEORIA PSEUDOSCIENTIFICA DELLA CONTINUITÀ PALEOLITICA

Mentre passavo il mio tempo libero sul Faccialibro, mi è capitato - ahimè - di imbattermi in un individuo che era un accesissimo fautore di una teoria che con la Scienza non ha proprio nulla a che vedere. Questo individuo sommamente molesto riteneva che l'Europa sia stata abitata da genti indoeuropee fin dal Paleolitico senza alcuna interruzione. Non menzionerò nemmeno l'iniziale del suo nome o del suo cognome: riporterò il peccato ma non il peccatore. Suo referente era Mario Alinei, le cui teorie appartengono al campo della Pseudoscienza proprio come l'idea della Terra piatta, oltre a essere viziate dalla politica. Sosteneva, come il suo mentore Alinei, che la preistoria fosse caratterizzata da assoluto immobilismo delle popolazioni. Senza avere alcuna evidenza delle sue baggianate invereconde, egli agiva in modo trolloso. Prima faceva spiegare le cose in dettaglio, facendo perdere tempo, poi faceva saltare i nervi dando prova di non aver tenuto nemmeno una sillaba in alcun conto, spesso e volentieri aggiungendo una battutina irritante. Deve ringraziare che non mi è consentito di professare la Legge dei Longobardi, o ne sarebbero seguite rappresaglie fisiche. Ho potuto soltanto espellere quell'arga dalla lista dei miei contatti di Facebook. Gli alineisti sono come i complottisti più fanatici: i dati di fatto non hanno su di loro la benché minima presa. Vediamo a questo punto di passare in rassegna alcune evidenze che smontano il loro castello di fanfaluche, a beneficio delle persone che amano la Conoscenza.

1) Le lingue indoarie sono incompatibili con l'idea di immobilismo preistorico postulato dagli alineisti e assimilati. Non è possibile che l'indoeuropeo si sia al contempo nativo dell'Europa e del subcontinente indiano: in uno di questi domini o in entrambi deve essere migrato. Viene quindi a cadere l'idea di continuità e di indigenismo.

2) Le lingue tocarie sono incompatibili con l'idea di immobilismo preistorico. Tra l'altro è attestato storicamente che i Tocari, stanziati nel Turkestan cinese, sono migrati nella regione oggi nota come Afghanistan, distruggendo il regno ellenistico della Battriana.

3) Le lingue amerindiane sono incompatibili con l'idea di immobilismo preistorico: l'America non ha generato da sé l'Uomo, che vi è giunto da fuori già nella preistoria, portando con sé corredo genetico denisovano e neanderthaliano. Va rimarcato che non si sono mai trovati fossili di Neanderthal nelle Americhe.

4) L'uomo di Denisova era un bizzarro ominide che viveva in Siberia. Il suo corredo genetico è stato ritrovato in gran parte delle popolazioni dell'estremo oriente, in Australia e in Papua Nuova Guinea - il che prova che l'ibridazione è avvenuta in luoghi lontanissimi da quelli in cui gli epigoni dei primi ibridi sono attualmente stanziati.

5) Le lingue austronesiane sono incompatibili con l'idea di immobilismo preistorico. Inoltre è chiaro che il malgascio è stato importato in Madagascar in epoca non troppo remota, dato che mostra prestiti dal sanscrito.

6) La migrazione dei Bantu è avvenuta in epoca storica e recente. Tali popolazioni hanno cominciato a migrare dalle loro sedi ancestrali circa 3.500 anni fa, procedendo verso sud. Quando sul finire del XVII secolo gli Olandesi hanno fondato l'insediamento noto come Città del Capo (Kaapstad), le tribù Bantu non erano riuscite a raggiure la costa: il primo scontro tra i Boeri e gli Xhosa avvenne nel 1779. 

7) Somali, Etiopi e Khoisan mostrano sequenze genetiche in comune (cfr. Cavalli-Sforza). Questo a dispetto del fatto che le lingue dei Somali e degli Etiopi sono di tipo afroasiatico. I Khoisan, ossia gli Ottentotti (Khoi) e i Boscimani (San), sono sopravvissuti perché abitavano in aree non appetibili ai Bantu. Popoli di lingua non Bantu come gli Hadza e i Sandawe (Tanzania) hanno perso gran parte delle loro peculiarità genetiche, non somigliano più ai San e mostrano scarse differenze genetiche rispetto alle popolazioni Bantu confinanti - secondo Cavalli Sforza a causa di sostituzione graduale dei geni. Nella lingua Dahalo, di ceppo cuscitico, esistono parole di sostrato che contengono suoni apneumatici simili a quelli delle lingue Khoisan.  Non è mai esistito immobilismo né isolamento assoluto, nemmeno nelle aree più remote.

8) Il movimento demico denominato Back to Africa, avvenuto in una gigantesca ondata circa 3.000 anni fa, ha portato genti dell'antica Europa anche nelle zone più lontane del Continente Nero. Le tracce di corredo genetico neanderthaliano presenti nella popolazione dell'Africa subsahariana (< 0,5%) hanno questa origine. 


9) Il popolamento dell'Australia è una prova lampante che nega l'immobilismo preistorico. Infatti l'Australia non ha generato da sé l'Uomo, che vi è giunto da fuori già nella preistoria, portando con sé un abbondante corredo genetico denisovano e neanderthaliano. Si noterà che non si sono mai trovati fossili di Neanderthal in Australia.

Questa lista potrebbe essere molto espansa, fino a raggiungere un centinaio di punti. Credo tuttavia che quanto riportato sia sufficiente a dare un'idea della questione.

Genetica e linguistica sono indipendenti e non vanno mai confuse. Notiamo invece che gli alineisti e molti altri elementi stravaganti delle regioni di frangia del mondo pseudoscientifico sostengono a spada tratta il dogma dell'identità tra determinati aplogruppi e la lingua parlata. Per questi avversari, sarebbe sufficiente una mappatura genetica per risalire alla lingua di un individuo, senza tener conto del fatto che nel corse dei secoli e dei millenni interi popoli cambiano lingua.

Evidenza 1. Basti prendere un afroamericano di Harlem che parla inglese. Tecnicamente parlando, egli è un indoeuropeo, quando in realtà la lingua da lui parlata non mostra traccia alcuna che aiuti a comprendere le sue origini genetiche. 

Evidenza 2. Si dispone della prova di una migrazione in Australia dall'India, priva di corrispondenze linguistiche identificabili. Questo movimento demico è avvenuto all'incirca 40.000 anni fa, molto prima della diffusione delle lingue Pama-Nyungan, avvenuta 4.000 anni fa. 


Evidenza 3. Si sono scoperti i resti di una ragazza di epoca neolitica vissuta nella Selva Nera, che si è sposata in Danimarca e ha viaggiato diverse volte facendo la spola. 


Evidenza 4: Si è scoperto che un nobile che dalla regione alpina è giunto fino a Stonehenge per curarsi - e va aggiunto che lo fece in assenza di animali da locomozione.


Evidenza 5: Il caso di Limone del Garda, la cui popolazione discendente da un singolo danese, portatore di un rarissimo gene che impedisce l'accumulo di colesterolo. A questo esempi, il troll ha cercato di opporre un'argomentazione idiota, affermando che in tutta la popolazione italiana c'è sangue germanico a causa delle invasioni cosiddette "barbariche"

Evidenza 6. Il caso della "razza Piave". In seguito ad alcune vergognose polemiche seguite all'esaltazione dell'origine autoctona dell'etnia veneta, è stata eseguita una mappatura genetica su alcuni individui. I risultati sono stati sorprendenti: la popolazione di quei distretti discendeva da genti deportate in loco dai Romani, con un genoma che comprende elementi mediorientali, iberici e persino africani. 

Non si può confrontare una migrazione recentissima di cui si conosce ogni dettaglio con una migrazione preistorica di cui non si conosce sostanzialmente quasi nulla. L'incredibile complessità di questi movimenti vanifica spesso ogni pretesa di comprensione sistematica. Invito i fanatici dell'identità genetica-linguistica a produrre una mappa dei vari aplogruppi dell'India e dell'Iran. Li invito anche a produrre una mappa degli aplogruppi più significativi della popolazione amerindiana. Anche se lo facessero, non arriverebbero da nessuna parte.

Rammento ancora le follie proferite dal troll alineista. A detta sua, quanto studiato sui libri di storia a scuola sarebbe vero perché attestato, mentre i movimenti demici avvenuto in epoche precedenti o in contesti diversi sarebbero frutto di fantasia: il motivo secondo lui era "l'inesistenza dei voli Ryanair". Sono stato preso dall'impulso di cambiargli i connotati. Mi immaginavo all'opera con un caestus rinforzato con placche e borchie di bronzo massiccio, il modo migliore di trattare i molestatori, se non fosse che le leggi in vigore lo vietano.

Quello che i cultori delle teorie della continuità paleolitica non possono e non vogliono capire è un fatto elementare: un movimento demico nella preistoria non implica per necessità esodi di proporzioni bibliche, essendo piuttosto caratterizzato da piccoli spostamenti progressivi. L'integrazione di piccoli movimenti su lunghi periodi porta a raggiungere territori remoti. Allo stesso modo gruppi poco consistenti possono crescere nei millenni. Anche in assenza di Ryanair, si danno esempi di lunghi percorsi fatti a piedi fino a tempi recenti o ancora nel presente: i viaggi in Terra Santa, il pellegrinaggio a Santiago di Compostela e via discorrendo. 

mercoledì 12 luglio 2017

NOTE SUL LAVORO DI RIGOBIANCO

Luca Rigobianco (Università Ca' Foscari di Venezia, Dipartimento di Studi Umanistici) è l'autore di un interessante lavoro sulla lingua etrusca, Su numerus, genus e sexus. Elementi per una grammatica dell'etrusco. Quest'opera, edita da Edizioni Quasar, è senza dubbio meritoria. Al momento porta la scritta "Copia autore", ma in ogni caso è consultabile e scaricabile gratuitamente al seguente url: 


Un lavoro davvero eccellente, che cerca di collegare alcune caratteristiche morfologiche della lingua dei Rasna all'indoeuropeo. Concordo senza dubbio sulla provenienza della radice tin- "giorno", donde Tin(i)a "Giove", da IE *din- (un prestito di ambito religioso), mentre su altri punti ho qualche dubbio.

L'idea ormai corrente di una derivazione del suffisso femminile etrusco -i dall'indoeuropeo, e in particolare dalle lingue italiche, è a mio avviso ben poco plausibile, con buona pace di Rix e di Prosdocimi. Come posso provarlo? Semplice.

1) Il suffisso etrusco si aggiunge al tema anche quando termina in vocale.
Se un gentilizio maschile termina in -a, il corrispondente femminile termina in -ai, suffisso evoluto poi in -ei. Esempio: Tarcna (m.), Tarcnei (f.).
L'evoluzione verso -ei è dovuta all'indebolimento della vocale tematica, causato dalla -i finale, che si è sempre mantenuta. L'analisi del suffisso femminile è -a-i, dove si vede bene che la vocale -a del tema è preservata. Questo non accade in nessuna lingua indoeuropea.
2) Come ammette anche l'autore, non esiste una tradizione chiara di femminili in -i: (< IE -*iH2) in nessuna lingua nota di popoli italici confinanti con gli Etruschi, almeno nelle loro sedi storiche. Dunque è senz'altro da escludersi che la provenienza del suffisso sia italica. In latino troviamo femminili in -i:x, da analizzarsi come -i:-k-s, per esempio in na:tri:x "biscia". Si vede che questo femminile presenta un suffisso velare. Si hanno anche forme come re:gi:na e galli:na, in questo caso con un'estensione nasale. Si noterà che dove l'etrusco ha un nome divino in -i, Uni "Giunone", il suo corrispondente latino ha invece un suffisso diverso: Iu:no:, gen. Iu:no:nis. Un relitto di un antico tema in -i:- si trova nel nome Iu:nius "Giugno" (mese), "Giunio" (gentilizio), oltre che nella forma iu:ni:x "giumenta", che è corradicale. Tuttavia, forme "nude" di femminile in -i nella lingua di Roma non le troviamo nemmeno se ci mettiamo a piangere e ci strappiamo i capelli, neanche nelle fasi più antiche documentate. Come è possibile dunque che una simile caratteristica, che deve essere remota, abbia avuto una simile fortuna in etrusco come prestito?

Mi sento di aggiungere un paio di considerazioni che reputo di una qualche utilità. 

1) Si tende a cercare un femminile in -i anche in due termini di parentela: ati "madre" (genitivo ati-al) - che tuttavia sembra una forma non ulteriormente analizzabile - e seχ "figlia" (genitivo seχi-s). Un fatto che gli etruscologi hanno passato sotto silenzio è l'anomalia assoluta di questo genitivo in -s di seχ, che non corrisponde mai ai genitivi dei femminili in -i. Infatti i gentilizi femminili in -ai-ei hanno il genitivo in -al, mentre i femminili in -i hanno il genitivo in -ial. Non si può quindi assimilare seχ ai femminili in -i, per nessun motivo. 
2) Un'iscrizione vascolare (DETR 263) ci attesta la forma Lusχnei accanto alla figura della luna. Questa forma è senza dubbio un prestito religioso dall'italico *louksna, l'antenato diretto del latino lu:na. Se non fosse stato usato soltanto come teonimo, ma anche come sinonimo dotto del più comune tivr "luna", questo potrebbe essere un caso singolare di uso di suffisso di mozione in un nome comune - tanto più che un corrispondente maschile non avrebbe ragion d'essere!