sabato 28 marzo 2020

LA NUBE 
 
All’alba del 30 settembre 2020 fui svegliato da un fortissimo tanfo di feci. La prima cosa che mi venne in mente fu che fosse esploso il cesso. Andai a controllare: era tutto in ordine. Non restava che una spiegazione: uno spandimento massiccio di fanghi nei campi. Doveva trattarsi di qualcosa di proporzioni inaudite, vista l’intensità dell’odore.
Accesi la televisione: l’edizione delle 6 e 45 del Tg5 si aprì con questo annuncio: “La comunità scientifica avverte: una nube di gas proveniente dallo spazio ha raggiunto il nostro pianeta. Il gas – prosegue il comunicato dell’Agenzia spaziale – benché maleodorante non rappresenta un pericolo per la salute.”

Una nube di gas cosmici puzzolenti. Ci mancava solo quello.

E mi toccava pure andava al lavoro. Appena messo piede in cortile, fui investito da un zaffata di fetore escrementizio che superava tutto ciò  che avevo sperimentato nei decenni di vita trascorsi in quella zona densa di porcilaie. Durante il viaggio verso Pavia l’assedio olfattivo aumentò ulteriormente. In ufficio l’aria era pressoché irrespirabile: la sensazione nettissima era di essere immersi in una vasca piena di stronzi fumanti. Una collega diede di stomaco in corridoio.
 
Su Internet circolavano notizie raggelanti: la nube maleodorante non se ne sarebbe andata in fretta. 
Alle 17:00, un messaggio a reti unificate del presidente del Consiglio sancì  il lockdown generale. 
Ci muravano vivi un’altra volta! Mi domandai quale potesse essere l’efficacia del provvedimento: l’odore di merda entrava dappertutto, abitazioni private incluse! 
Quel giorno non riuscii a pranzare: qualsiasi cosa ingerissi, avevo l’impressione di mangiare merda. 
Il tragitto a piedi dall’ufficio alla macchina fu un calvario: avanzavo a fatica in una spessa bolla fecale. Sul marciapiede di Viale Lungo Ticino Visconti vidi accasciarsi una passante, una donna procace, sulla quarantina. 
Tentai di soccorrerla ma si mise a strillare: “Aiuto, mi sta palpando!”. 
“Signora, non dica scemenze!” 
La adagiai su una panchina.
“In altre circostanze le direi di prendere un bel respiro ma oggi non mi sembra il caso.”

Per un istante parve riacquistare una certa lucidità.

“Mi scusi, non so cosa mi ha preso, dev’essere questo fetore, mi stordisce.”

“Ce la fa ad andare a casa?”

“Mi sta socratizzando!”

Me ne andai immediatamente. Ci mancava solo una matta!

L’abitacolo dell’automobile puzzava tale e quale alla latrina intasata di una stazione ferroviaria. Non c’era scampo, la nube fecale era penetrata ovunque.

Accesi la radio. Risuonò la voce tristemente nota di padre Fabrizio: “Il dodicesimo segreto recita a chiare lettere: se non vi convertirete vi manderò un segno che l’umanità intera non potrà ignorare. Quel segno è arrivato!”.

Come facesse quel prete delirante a scorgere in una nube di merda un segno divino era cosa che andava oltre le mie possibilità di comprensione.

Cambiai canale: Radio JD trasmetteva un’intervista a un “esperto”, tale Aurelio Fubini Trulli, autore del libro: “Le piramidi, la Maddalena e il segreto del Graal”. Questo Trulli era certissimo di avere la spiegazione in tasca: “Si tratta di un’arma chimica. Il cloud seeding è sfuggito loro di mano. Sono gli effetti collaterali dei programmi di controllo meteorologico e geoingegneria climatica. I governi ne sono ben informati ma tacciono”.

Misi in moto e partii. Incredibilmente, la strada era deserta. Dove erano finiti tutti quanti? All’altezza di Porta Damiani dovetti frenare di colpo: la donna di prima era nel bel mezzo della carreggiata e si sbracciava gridando a squarciagola.

“Aiuto! E’ violenza di gruppo! Mi faccia salire!”

“Si sposti per favore.”

“Non può abbandonarmi in queste condizioni! Lei è un mostro!”

“La prego, si faccia da parte.”

“Guardi, non le piacciono le mie autoreggenti?”

“Si tolga dalla strada!”

“Mi faccia salire altrimenti chiamo aiuto!”

“Ma se non sta facendo altro da venti minuti!”

“E allora mi faccia salire!”

“Per andare dove? Mi lasci in pace!”

“Aiuto!”

“Salga, perdiana, salga!”

“Che odore c’è su questa macchina?”

“Lo stesso che c’è fuori, porca puttana!”

“Mi sta dando della porca e della puttana! Lei è un bruto!”

“La smetta con questa storia o la scaravento giù dalla macchina!”

“Non può: ho già messo la cintura.”

“Dove la devo portare, dove abita?”

“Via Lutezio”

“Mai sentita nominare!”

“Liutprando.”

“Dio santo, non si ricorda nemmeno dove vive?”

“Luftanzio, mi pare.”

“Non esiste nessuna via Luftanzio.”

“E invece sì.”

Accostai.

“Adesso le dimostro che non esiste.”

Impostai il navigatore.

“Vede? Non c’è nessuna via Luftanzio.”

“Non ha aggiornato lo stradario.”

“Mi dia un punto di riferimento.”

“Piazza Giovanni Aquarone.”

“E dove cazzo sarebbe?”

“A Torre Beretti.”

“Torre Beretti? Ma scusi lei non è di Pavia?”

“No.”

“E non poteva dirmelo prima?”

“Lei non me l’ha chiesto.”

“Senta, io la porto in stazione e la faccenda si chiude qui.”

“Le piacciono le mie autoreggenti?”

“La faccia finita, per carità!”

“Lei non lo dice ma lo pensa. Ho visto il modo in cui mi guardava prima: come una bestia!”

“Sono stato una bestia a farla salire!”

Nel piazzale della stazione si era radunata una folla di pendolari con le mascherine chirurgiche. Posteggiai vicino alla pensilina dell’autobus.

In quel mentre una donna anziana veniva issata sulle braccia da un gruppo di energumeni, come si usava fare con le statue del Cristo, nei paesi di provincia, durante le processioni del Venerdì santo.

“Qui stanno dando tutti di matto.”

“Vado a vedere se c’è il treno, lei però rimanga qui per favore. Se è tutto ok le faccio segno dall’ingresso.”

“Perché dovrei?”

“Per favore.”

Non chiedetemi il motivo ma le diedi retta e rimasi ad aspettare. La vidi scomparire tra la folla. Riapparve dopo un quarto d’ora: quando aprì la portiera fui raggiunto da una zaffata di tanfo escrementizio che avrebbe abbattuto un facocero.

“Hanno soppresso le corse!”

“E’ sicura? Ha controllato bene?”

“Tutto soppresso, non parte nulla! Ci sono i treni fermi sui binari.”
“Non è possibile.”
“Le giuro che sto dicendo il vero. Quest’odore di merda è insopportabile, non ce la faccio più. Partiamo, la supplico.”

“E dove vuole che vada?”

“Via Simeone Salos.”

“Non esiste! Sicuramente non a Torre Beretti!”

“E’ una traversa di Viale Maria Egiziaca.”

“Lei non sta bene.”

“Controlli lo stradario.”

Pur di levarmela dai piedi ero pronto a tutto. Controllai lo stradario: a Torre Beretti risultava un viale intitolata a Maria Egiziaca!

“Strano, non l’avrei mai detto.”

“Mi accompagnerebbe a casa? Sia buono con me e io sarò buona con lei. Le piacciono le mie autoreggenti?”

“Basta con queste autoreggenti! Senta, la accompagno a casa e non parliamone più.”

“Lei è una persona dolce, anche se dall’aspetto animalesco.”

“Grazie, davvero molto gentile!”

Partii e dopo neanche cento metri mi fermai di nuovo: c’era un uomo disteso sull’asfalto in Viale Vittorio Emanuele II.

“Dobbiamo spostarlo.”

“Non può passargli sopra?”

“E’ impazzita? Scenda piuttosto, e mi aiuti a spostarlo.”

Scendemmo dalla macchina e quando fui accanto al corpo riconobbi Fernando, uno degli ubriaconi più noti di tutta Pavia.

“Lo prenda per i polsi, stringa forte e sollevi.”

Rimuovemmo il cadavere e lo posammo vicino a un portone. L’odore di merda era indescrivibile.

Risalimmo in macchina e la donna cominciò a ridere in modo convulso.

“Cosa le prende adesso?”

“Non ci siamo neanche presentati. Io mi chiamo Domitilla.”

“Piacere, Erminio.”

“Davvero? Mio nonno si chiamava così. Forse.”

“Come forse?”

“Credo di essermi pisciata addosso.”

“Sta scherzando?”

“No no, dico sul serio.”

Mi aveva pisciato per davvero sul sedile. Non reagii, non dissi nulla. L’odore di merda era talmente intenso da esercitare una sorta di effetto narcotizzante.

In Viale della Libertà ardeva una vettura della polizia municipale: i corpi degli agenti giacevano sul ciglio della strada, circondati da pozze di sangue. Le cose stavano prendendo una bruttissima piega.

“Via Simeone Salos.” 

“Ho capito.”

“Torre Beretti.”

“Siamo diretti lì.”

“Potrebbe fermarsi al Mood Moda? Mi servono delle scarpe invernali.”

“No, non posso.”

“Vorrei sedermi dietro, il sedile bagnato mi dà fastidio.

“Se solo avesse avuto la bontà di non pisciarmi in macchina!”

“La prego.”

Accostai. Una volta scesa, si tolse gonna e mutande come nulla fosse e posò gli indumenti sul tappetino del sedile passeggero.

“Non ha una coperta in macchina?”
 
“E’ nel bagagliaio, la prenda.”
“Non si apre.”

“Sì che si apre, prema il pulsante!”

“Ok”

Prese la coperta, se l’avvolse intorno ai fianchi e si sedette sul sedile posteriore.

“Se le scappa di nuovo per favore mi avverta!”

“Certamente.”

“Voglio sperare!”

Sul rettilineo in uscita da Pavia, all’altezza della rotonda degli Ottagoni, giaceva un groviglio di vetture accartocciate le une sulle altre. Svoltai a sinistra ed entrai in San Martino: in paese non incontrai ostacoli. Non si vedeva in giro un’anima.

“Mood Moda, voglio i tronchetti.”

“E’ chiuso.”

“Fa orario continuato.”

“La smetta.”

“Con le micro borchie.”

“Sarà per un’altra volta.”

“Mi faccia telefonare al punto vendita.”

La ignorai. Armeggiò a lungo con lo smartphone.

“Non risponde nessuno.”

“Che strano eh?”

“Se crede di ferirmi con il suo sarcasmo, si sbaglia.”

Nei pressi del Bennet dovetti rallentare e fermarmi di nuovo: un gregge di pecore occupava entrambe le corsie. Non se ne vedeva la fine.

“Perché ci siamo fermati?”

“Secondo lei?”

Prima che potessi aggiungere una sola parola, Domitilla scese dall’auto e si mise a gridare: “Pastore, pastore!”.

Poi, rivolta verso di me:

“Deve esserci per forza un pastore. Dove c’è un gregge, c’è anche un pastore.”

E riprese a gridare. D’un tratto, dal gregge emerse una figura umana: era un uomo piccolissimo, arrivava al garrese delle pecore, sarà stata alto al massimo 90 cm. Per questo non l’avevamo visto.

“Ha bisogno signora?”

“Ci fa passare? Dobbiamo andare a Torre Beretti.”

“A Torre Beretti? Ma non lo ha visto il fumo?”

“Che fumo?”

“Di là, guardi bene.”

Scesi dall’auto e solo in quel momento mi resi conto che, in direzione Sannazzaro, si ergeva un’enorme colonna di fumo nero.

“Che è successo?”

“Hanno bombardato la Raffineria.”

“E chi l’avrebbe bombardata?”, domandai al pastore-nano.

“Non ne ho idea. So solo che ho visto sfrecciare degli aerei e poi, dopo un po’, ho sentito i boati.”

Tornai in macchina. Domitilla tornò a sedersi sul sedile posteriore, con un’espressione affranta.

“Senta”, dissi, “non so cosa stia succedendo, ho l’impressione che tutto stia andando alla malora. Per stanotte, se vuole, può dormire da me. La casa è grande, per quanto fatiscente. Sempre che si riesca a passare. A questo punto, non so cosa ci aspetta dopo Santa Croce.”

“E’ la fine, la fine.”

Sentii bussare alla portiera.

Era il pastore-nano che mi porgeva una bottiglia di grappa.

“La tenga pure, ne ho altre, le ho prese al supermercato, è tutto gratis.”

“Come gratis?”

“Non c’è nessuno alla casse, a parte i morti.”

Domitilla mi strappò la bottiglia di mano e bevve una lunga sorsata a garganella.


Pietro Ferrari, marzo 2020

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