Dinanzi agli orrori del Secondo conflitto mondiale, Corti così ragiona: “certamente Dio non aveva voluto questo male: bastava pensare alle parole di Cristo e anche solo del papa, contro la violenza e la guerra. Dio aveva dovuto tollerare, ecco, aveva dovuto permettere questo male, e tutte le altre cattiverie e carognate che gli uomini fanno: e ciò per non andare contro la loro libertà. Il gran problema del male nel mondo… Appunto per non impedire la libertà dell’uomo (il che equivarrebbe in conclusione a snaturare l’uomo) Dio è costretto a tollerare il male.”
Tesi a dir poco singolare. Un genitore che, per non ledere la libertà del figlio, non muovesse un dito per impedirgli di annegare la sorellina nella vasca da bagno sarebbe forse da considerare un buon genitore? Direi piuttosto un pazzo da catena.
Ma torniamo a Corti: “c’era la Provvidenza, cioè un’azione conservatrice e promotrice di Dio, nell’esercizio della quale egli si compiace di partecipare con amore anche ai casi delle sue creature più piccole (…). E c’era la libertà umana che – unica – può andare contro l’ordine di Dio. Così stando le cose è grazia che al male si connetta la sofferenza, la quale trattiene gli uomini nello scempio ch’essi possono fare del creato e di se stessi.”
Come come? La sofferenza delle vittime non ha mai trattenuto la mano dei torturatori!
Corti così prosegue: “Rimaneva il fatto che a Milano e altrove non pochi, del tutto innocenti, erano periti. A un tratto Dio non li aveva più protetti, né aiutati, non aveva più potuto… Per non opporsi alla libertà dell’uomo, tutto ciò che Dio aveva potuto fare era stato di morire – in Cristo – con loro, innocente con gli innocenti, in modo da accomunare al proprio il loro sacrificio, sublimando quest’ultimo: Cristo e tutti gli innocenti con lui compensavano il male compiuto dagli esseri liberi, in particolare da quelli che non accetterebbero mai di emendarsi…”
Ecco affacciarsi qui un principio su cui val la pena di riflettere: quello secondo cui le sofferenze degli innocenti varrebbero a compensare (equilibrare, bilanciare) le crudeltà commesse dai malvagi. Secondo Corti, dunque, il sacrificio degli innocenti, immolati come giovenchi, funge da contrappeso, ripristina cioè l’ordine “posto da Dio nel creato” che gli uomini avrebbero violato facendo un uso improprio del libero arbitrio. Ricapitolando: un Dio infinitamente buono e misericordioso crea un essere dotato dell’inclinazione ad abusare della propria libertà, il quale – com’era prevedibile – ne abusa, assecondando una tendenza insita nella propria natura, non estranea ad essa. Così facendo, causa la rovina altrui e infine la propria. Né poteva essere altrimenti: il suo Artefice non l’aveva forse fornito della capacità di peccare? L’ordine stabilito da Dio ammetteva ab origine la possibilità che l’uomo facesse cattivo uso del proprio libero arbitrio. L’umana disposizione a compiere il male era dunque parte integrante di quell’ordine. In quanto onnisciente, Dio era consapevole delle conseguenze che sarebbero scaturite dall’aver attribuito alla Sua creatura prediletta la facoltà di compiere azioni malvagie. Dio crea scientemente l’uomo in siffatto modo, allestisce un ordine del mondo che prevede la possibilità del male. Quest’ultimo, pertanto, non rappresenta una violazione dell’ordine “posto da Dio nel creato”: semmai, ne è parte costitutiva. L’ideologia che attribuisce al sacrificio degli innocenti un valore compensatorio è intrinsecamente irrazionale in quanto contraddice le proprie premesse. Come si può considerare benigno un ordine al cui riequilibrio debbano essere sacrificate milioni di creature innocenti? Si rifletta con attenzione: per i niceni, l’uomo – abusando della libertà donatagli da Dio – commette malvagità di ogni sorta, ai danni dei propri simili e del creato. In conseguenza e a riparazione di tutto ciò, Dio si immola – in Cristo – sulla croce, “per accomunare al proprio il loro sacrificio”. Ebbene, quali risultati produce questa immolazione? Il mondo continua imperterrito per la sua cattiva strada, gli uomini riprendono a scannarsi tra loro con rinnovato entusiasmo. Come se nulla fosse accaduto. In questo scenario desolante, Corti e i suoi sodali scorgono un senso compiuto: gli innocenti schiattano sì oggi come ieri, ma il loro sacrificio funge da compensazione. Da dove trae origine questa forma mentis? Dalle pagine del Levitico, dove si narra come il Dio d’Israele prescrisse minuziosamente al suo servo Mosè in qual modo effettuare gli olocausti. Ecco la fonte da cui scaturiscono le conclusioni dei niceni: “la legge dell’olocausto, dell’oblazione, del sacrificio di espiazione, del sacrificio di riparazione, dell’investitura e del sacrificio pacifico: legge che Iahvé diede a Mosè sul Monte Sinai” (Lv 7, 37). Al cap.1 v.17, si legge altresì: “un olocausto, un sacrificio consumato dal fuoco, è profumo soave per Iahvé”.
Il grande filosofo italiano Giacomo Leopardi scriveva nello Zibaldone (4511, 17 maggio 1829): “Ma che epiteto dare a quella ragione e potenza che include il male nell’ordine, che fonda l’ordine nel male? Il disordine varrebbe assai meglio: esso è vario, mutabile; se oggi v’è del male, domani vi potrà esser del bene, esser tutto bene. Ma che sperare quando il male è ordinario? dico, in un ordine ove il male è essenziale?”
Pietro Ferrari, 9 gennaio 2013

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