sabato 15 marzo 2014

DANTE ALIGHIERI, I VOLGARI ITALIANI E LA GORGIA

Nel corso della sua vita Dante Alighieri ha viaggiato e ha visto molte cose, discutendo in dettaglio un gran numero di argomenti nei suoi trattati. Nel De Vulgari Eloquentia ha scritto diffusamente delle lingue e del problema delle loro origini. Date le fragili conoscenze della sua epoca e l'inesistenza del metodo scientifico, non ci si può certo aspettare che potesse giungere a risultati strabilianti: per quanto geniale era pur sempre figlio del suo tempo. Passando in rassegna i volgari parlati in Italia, ha riportato persino una poesiola pornografica in marchigiano attribuita a un fiorentino di nome Castra: "Una fermana scopai da Cascioli, cita cita se' n gìa 'n grande aina". Il verbo "scopare" è stato tradotto nei più assurdi e comici modi da commentatori moderni ("incontrare", "scorgere" o addirittura "battere con una scopa"), mentre appare evidente il suo senso vero, tuttora così vivo e vitale ai nostri giorni. Dante condannava e metteva in satira i dialetti italiani, giudicando "il più turpe" quello di Roma, "di accento ferino" quello di Aquileia, "aberrante" quello dei Casentinesi e degli abitanti di Fratta; soltanto il siciliano dei poeti si salva da una censura tanto veemente. Anche dei Sardi l'Alighieri aveva un'opinione terribile e credeva addirittura che non avessero una lingua propria, ma che imitassero il latino ereditato dall'epoca dell'Impero. Così è riportato nel De Vulgari Eloquentia (Liber Primus, XI, 7):

"Sardos etiam, qui non Latii sunt sed Latiis associandi videntur, eiciamus, quoniam soli sine proprio vulgari esse videntur, gramaticam tanquam simie homines imitantes: nam domus nova et dominus meus locuntur."

"Quanto ai Sardi, che non sono Italiani ma andranno associati agli Italiani, via anche loro, dato che sono i soli a risultare privi di un volgare proprio, imitando invece la grammatica come fanno le scimmie con gli uomini: e infatti dicono domus nova e dominus meus."

La deduzione di Dante è ovviamente erronea, ma non priva di un certo interesse: il sommo poeta, che difficilmente avrà conosciuto la lingua sarda per diretta esperienza, aveva raccolto da qualche fonte un paio di voci, constatando quindi la somiglianza col latino ed essendo da questo tratto in inganno. In realtà, il sardo non conserva il sigmatismo al nominativo singolare, così come ha perduto la declinazione. Non è chiaro se l'adattamento delle parole sarde alle forme latine vere e proprie dominus meus e domus mea sia stato compiuto dallo stesso Dante.

Tanto per fare qualche altro esempio di filologia del De Vulgari Eloquentia, si nota che l'autore accomunava il germanico allo slavo, errando gravemente. Tuttavia è arrivato a teorizzare un "idioma triforme", che è una più felice intuizione: aveva capito che italiano, provenzale e lingua d'oil non potevano risalire direttamente al latino classico dell'antichità, ma dovevano derivare da una instabile varietà volgare da questo distinta (quello che noi chiamiano latino volgare). Così ha distinto le lingue neolatine in tre ceppi a seconda della particella usata per affermare, ossia "oc", "oil" e "sì".

Veniamo dunque alle abitudini fonetiche dei dialetti toscani del XIII-XIV secolo. Nella sua ricerca del volgare più illustre, si direbbe che Dante non lo potesse trovare nemmeno nella natia Toscana. Il quadro che ne traccia è infatti abbastanza impietoso. Riporta anche qualche esempio: 

Locuntur Florentini et dicunt
Manichiamo introcque, | che noi non facciamo altro.

Pisani:
Bene andonno li fanti | de Fiorensa per Pisa.

Lucenses:
Fo voto a Dio ke in grassarra
eie lo comuno de Lucca.

Senenses:
Onche renegata avess'io Siena.
Ch'ee chesto?

Aretini:
Vuo' tu venire ovelle?

Tutte queste cose hanno la loro rilevanza per quanto riguarda la questione della gorgia, che alcuni insistono col ritenere antica. Dal confronto della propria parlata con quelle di altre genti d'Italia, Dante avrebbe di certo detto qualcosa sulla gorgia, se questa fosse effettivamente esistita. La totale assenza di menzioni di questa abitudine è un forte indizio della sua inesistenza all'epoca. A questo punto i casi sono due: 

1) Se la gorgia fosse esistita e Dante l'avesse considerata corretta e di buon uso, avrebbe notato la sua assenza al di fuori della Toscana;

2) Se la gorgia fosse esistita e Dante non l'avesse considerata corretta e di buon uso, ne avrebbe parlato diffusamente per stigmatizzarla.

Ammettiamo ora di scegliere la seconda possibilità e vediamo dove ci porta l'ipotesi. Data la severità dell'Alighieri, siamo propensi a credere che il suo giudizio su ogni forma di aspirazione sarebbe stato implacabile e che avrebbe riportato un gran numero di esempi da sottoporre al ludibrio e allo scherno delle future generazioni.

sabato 8 marzo 2014

 

A SCANNER DARKLY - UN OSCURO SCRUTARE
(A Scanner Darkly)

Un film di Richard Linklater. Con Keanu Reeves, Robert Downey Jr., Woody Harrelson, Winona Ryder, Rory Cochrane.
Genere Fantascienza, colore 100 minuti. - Produzione USA 2006. -

Riporto una recensione tratta da mymovies.it:

Fred Arctor è un agente della narcotici nascosto dentro una tuta disindividuante e infiltrato in un gruppo di consumatori abituali di Sostanza D, un acido che brucia il cervello e provoca allucinazioni. La tuta cangiante protegge la sua vera identità e la mutua in Bob Arctor, compagno di una schizzatissima brigata di tossici dislocati a Orange County, in California. Incaricato di sorvegliare un trafficante di droga e il suo giro di affari, Fred/Bob finisce per spiare se stesso, sempre più instabile per l’assunzione della sostanza D. L’abuso lo conduce alla schizofrenia, sviluppando una doppia personalità. Denunciato da Barris, un drogato informatore, ai suoi ambigui superiori di polizia, Fred/Bob finisce in una comunità di recupero ai confini col Messico, dove scoprirà che tutto è connesso: chi controlla produce e diffonde. L’“oscuro scrutare” di Richard Linklater ripropone la sperimentazione estetica di Waking Life, il suo film precedente girato come un normale live action e poi ritoccato con l’animazione grafica. Il cast in carne e ossa, capitanato dall’ex hacker Keanu Reeves, viene ripreso dal vivo e successivamente trasformato in disegno animato sullo sfondo mosso dal rotoscope, una tecnica che permette di ottenere un movimento animato a partire da un filmato reale. La scelta di Keanu Reeves e della cifra stilistica sono entrambi funzionali alla storia, raccontata e “clonata” dall’omonimo romanzo di Philip K. Dick. Ancora una volta, come il Neo dei fratelli Wachowski, l’attore si aliena da se stesso recuperando la sua “matrice”, la sua realtà virtuale che finisce per confondere e poi smarrire quella reale. Se le macchine creano Matrix, è un’overdose di Sostanza D. a produrre le alterazioni percettive del protagonista. Il procedimento tecnico, il ridipingere digitalmente l’immagine fotografica dell’attore, restituisce la stratificazione dell’identità del protagonista, Fred Arctor che è anche Bob Arctor, e insieme gli infiniti volti variabili della scramble suite (la tuta) dickiana. L’esperienza alterata della tossicodipendenza, la paranoia, l’incapacità di definire la realtà reale, vissute dallo scrittore statunitense e formalizzate in uno dei suoi più grandi atti di accusa contro il controllo e l’arbitrario scrutare governativo, si traducono in uno psichedelico impasto di carne e digitale. Un incubo dark che crea dipendenza.  

Così scrivevo qualche anno fa (01/01/2008): 

Questo pomeriggio ho visto A Scanner Darkly, che mi ha dato un'interessante occasione per meditare sulla traducibilità di un testo scritto in una sequenza animata. Pur essendomi piaciuto molto il film, condivido l'opinione della carissima Nimiel, che afferma di preferire il libro. Mi spingo anche oltre: a mio avviso un libro e un film sono due opere completamente diverse, legate soltanto da una superficiale pellicola fenomenica e puramente formale. Il titolo, i nomi dei personaggi, un accenno di trama, tutte queste cose hanno l'aria di essere soltanto una mimesi insettoide che nasconde una natura abissalmente dissimile. Non è secondo me un problema tecnico che rende così difficile la trasposizione. È piuttosto la mente del regista, che adducendo le scuse più disparate reinventa lo scritto apportandovi ogni sorta di alterazione. Così il povero Jerry Fabin è stato fuso con Charles Freck. Uno dei brani che più mi avevano colpito nel libro è stato tagliato del tutto. Si tratta del Giorno della Merda di Cane, in cui Bob Arctor in uno stato di paranoia acuta accede alla visione della nuda ontologia dell'universo. Un capolavoro di delirio materico che a parer mio meritava di essere illustrato. Dov'è finito il famoso cefoscopio cortocircuitato dal maligno Barris? Altre volte i cambiamenti riguardano dettagli a prima vista irrilevanti: i capelli di Donna Hawthorne che da corvini diventano castani, il Southern Comfort che diventa Tequila. Naturalmente, consiglio a tutti la visione di A Scanner Darkly dopo aver letto con attenzione Un Oscuro Scrutare di Philip K. Dick.
 

ALCUNE NOTE SU NEUROMANTE DI WILLIAM GIBSON

Case, Molly, Armitage, Finn e Linda Lee sono ombre che sfarfallano e si perdono come segnali distorti in angoscianti antri onirici. A volte si reincarnano in formato metastabile nei deliri di intelligenze artificiali, nuvole di fragili faskware allucinogeni. La distopia cibernetica avvolge ogni cosa e fa sussistere una consapevolezza sfocata solo per lacerarla in un vortice frattale di lame di carborundum. Le olografie sfolgoranti e il cielo televisivo sono le più genuine manifestazioni della Tenebra Assoluta, maschere nullifiche che celano vaghe fluttazioni di vuoto pneumatico. Il Nulla Senziente è palpabile in ogni sillaba. Condizione di overflow straripante alternato a periodi di ibernazione che paiono oceani eterni. 

(scritto su Esilio a Mordor il 03/01/2008)

sabato 1 marzo 2014

DA LINGUA MORIBONDA A LINGUA GLOBALE

Thus com lo Engelond into Normandies hond. & the Normans ne couthe speke tho bote hor owe speche, & speke French as hii dude atom, & hor children dude also teche. So that heiemen of this lond that of hor blod come. Holde alle thulke speche that hii of hom nome. Vor bote a man conne Frenss, me telth of him lute. Ac lowe men holdeth to Engliss & to hor owe speche gute. Ich wene ther ne beth in al the world contreyes none, that ne holdeth to hor owe speche, bote Engelond one.
 
Così l'Inghilterra cadde in mano alla Normandia, e i Normanni allora sapevano parlare solo la loro propria lingua, e parlavano francese come facevano a casa loro, e l'insegnavano anche ai loro figli, cosicché gli uomini prominenti di questo Paese, che dal loro sangue discendono, conservano tutti quella lingua che da essi ricevettero. Perché, se uno non sa il francese, lo si considera poco. Ma il popolino resta ancora attaccato all'inglese e alla sua propria lingua. Credo che non ci sia in tutto il mondo un Paese che non mantenga la propria lingua, salvo soltanto l'Inghilterra.

Roberto di Gloucester - Cronaca, fine del XIII secolo  
  
Mi domando cosa penserebbe questo cronista medievale se la sua autocoscienza venisse proiettata qui ed ora, e fosse in grado di vedere come non solo l'inglese non si è estinto ma, anche se a prezzo di grandi mutamenti, si va imponendo sull'intero globo terracqueo.

sabato 22 febbraio 2014

FENOMENI DI ASSIBILAZIONE NELLE LINGUE ITALICHE

Nel forum Archeologia si legge:

"in merito alla pronuncia restituta, che presuppone una pronuncia solo dura della C (pakem), questa non può avere spazio in una ricerca rigorosa e scientifica (6). Tuttavia anche se per assurdo fosse esistita, questa non avrebbe riguardato il latino che per un brevissimo periodo (latino classico) e non si sarebbe allontanata da Roma, dato che oltretutto non se ne trova traccia in nessuna nazione europea ed in nessun toponimo. Per puro caso infatti in due delle tavole eugubine si trova ripetuto e ben chiaro il termine 'pase' (pace), che testimonia, scritta più volte nel bronzo, una pronuncia dolce della C. Oltre al termine 'desen' (decem)."

Le conclusioni dell'autore dell'intervento sono assolutamente false - non me ne voglia - in quanto contrastano con la realtà dei fatti tracciabile e documentabile. Da quanto scrive, sembra che confonda il latino con l'umbro. Le Tavole Iguvine sono scritte in umbro e non in latino. La lingua umbra appartiene, assieme alla lingua osca (sannitica) e alle lingue sabelliche (sabino, volsco, marrucino, vestino, marso, etc.) al gruppo osco-umbro delle lingue italiche, essendo l'altro gruppo il latino-falisco, che comprende latino, falisco, prenestino, lanuvino e altre varietà parlate nel Lazio antico. Ora, tra le lingue del gruppo osco-umbro e quelle del gruppo latino-falisco sussistono importanti differenze. Le lingue osco-umbre, rispetto a quelle latino-falische, presentano una gran quantità di mutamenti fonetici innovativi e al contempo diversi arcaismi. Nel complesso, direi che tra osco-umbro e latino-falisco sussiste grossomodo la differenza che c'è tra latino e gallico, cosicché ritengo abbiano piena ragione quei pochi autori che invocano la collocazione delle lingue in questione in due gruppi separati.

Detto questo, desen è una parola umbra: la sua radice si trova in desenduf "dodici". Non è una parola latina, quindi non va additata come esempio di una pretesa pronuncia palatale in latino. I fenomeni di assibilazione riguardano la lingua umbra e la lingua volsca, che mostravano tratti fonetici più evolutivi rispetto all'osco. Tuttavia nella lingua osca parlata a Bantia esistevano casi di assibilazione dovuti all'effetto di una semiconsonante -i-, che potrebbero essere visti come antesignani di una tendenza all'evoluzione della velare in un suono fricativo.

Esempi di mutamento dell'occlusiva velare sorda: 

1) In volsco si ha façia esaristrom (Tavola Veliterna), dove ç è scritto con una c rovesciata: questa forma verbale equivale al latino faciat, che era invece letto /fakiat/. Il vocabolo esaristrom significa "sacrificio" e deriva dalla radice etrusca ais-, eis- "dio".

2) In umbro si hanno numerosi esempi dalle Tavole Iguvine, oltre ai citati desen- e pase:

façia corrisponde al latino faciat
śesna corrisponde al latino ce:nam (acc.); 
stru(h)çla corrisponde al latino struiculam (acc.), etc

3) In osco bantino si ha pru meddixud, che significa "per la magistratura" (Tavola Bantina), dove meddixud si è sviluppato da un precedente *meddikiu:d. La forma diretta meddicim non mostra per contro traccia di mutamento, data l'assenza di semiconsonante. Si dovrebbe parlare di assibilazione parziale, visto che si mantiene una componente velare.

Lungi da me l'intenzione di generare flames. Tuttavia servono alcune precisazioni. Se uno studioso ignora un dato di fatto, dovrebbe documentarsi prima di affermare per certo qualcosa, inoltrandosi in argomenti che non conosce bene: già in rete esistono numerose fonti, e i libri cartacei sono sempre reperibili con poca fatica. Se invece non ignorasse il fatto, ma operasse per farlo passare inosservato, il suo scopo sarebbe allora quello di dimostrare una propria idée fixe alterando i dati e presentandoli con malizia. Dio non voglia che la seconda ipotesi sia quella giusta. Se così fosse, lo studioso si collocherebbe all'istante al di fuori della Scienza, e argomentare si farebbe difficile. Sono tuttavia convinto che le falsità che inquinano la conoscenza debbano essere confutate presentando i dati di fatto: un indagatore della realtà dovrà adattare le proprie idee ai fatti, non trasformare i fatti con osservazione selettiva e altre fallacie logiche pur di adattarli alla propria idea. Questo è quanto. 

Passiamo ora alla pronuncia della lingua latina. Ai tempi di Augusto il latino realizzava "c" e "g" come /k/ e /g/, ossia come occlusive velari, che poi divennero /kj/ e /gj/ durante il III e il IV secolo e sviluppando suoni affricati o palatali nei secoli successivi, anche se non allo stesso modo in tutto il territorio dell'Impero (Grandgent riporta INTCITAMENTO e BINTCENTE in iscrizioni del V secolo). In altre parole, la pronuncia restituta non fu una bizzarria limitata alla sola area di Roma, e neppure un sogno dei linguisti, ma qualcosa di diffuso capillarmente in tutto l'Impero dei primi secoli. La sua esistenza è reale e tipica del latino standard, e non può essere smentita nemmeno se fossero mostrate sporadiche attestazioni precoci di pronunce palatali tra la plebe, che al massimo attestano l'esistenza di fenomeni fonetici di origine italica. In altre parole, la lingua latina standard era considerata prestigiosa, era conservativa ed evolveva in modo indipendente dalle sue forme volgari. Il latino che si studia a scuola in Italia ha una pronuncia detta ecclesiastica che non è quella di Cicerone e che non è un'autorità in materia di fonetica del latino classico, non più di quanto la pronuncia scolastica dell'inglese moderno possa essere di aiuto nel leggere il Beowulf.

Le prove di quanto asserito si articolano in diversi punti:

1) Epigrafia 
2) Trascrizioni greche di parole latine
3) Esiti romanzi
4) Prestiti latini in lingue non romanze

Ciascuno di questi punti merita una trattazione approfondita in separata sede: sarebbe eccessivo comprimere la grande mole di dati e di ragionamenti nello spazio di un singolo post.

giovedì 20 febbraio 2014

LA LINGUA NEOITALIANA

Tendenze al mutamento fonetico non risparmiano la lingua italiana, anche se la loro azione al momento sembra meno intensa dell'evoluzione innescata nel dopoguerra in tedesco e nell'inglese d'America. Il cambiamento fonetico che ho evidenziato non colpisce tutti i parlanti: gran parte della popolazione sembra esserne esclusa. Si manifesta principalmente nelle più giovani coorti d'età (< 20 anni), anche se non manca di contagiare soggetti più maturi. Si tratta di un processo che comporta l'apertura delle vocali toniche "e" /ɛ/ e "o" /ɔ/ in vari gradi. Presso molti parlanti le vocali aperte toniche sono realizzate rispettivamente come /æ/ e /å/, mentre in altri sono confuse addirittura in /a/. Le vocali /e/ e /o/ atone nei suffissi si pronunciano più aperte che in italiano standard, anche se questo fenomeno non è presente in tutti i soggetti in questione. Ecco che anziché "va bene" si sente dire "vabbàne". Il fenomeno è iniziato trasformando tutte le vocali toniche chiuse /e/ e /o/ in vocali aperte /ɛ/ e /ɔ/, articolando ad esempio "amòre" e "cèna", quindi aprendo ulteriormente questi suoni. Mi è così capitato di sentire una ragazza dark pronunciare "am(m)àre" anziché "amore", con la stessa /a/ di "cane", ma dotata di maggior tensione, tanto sguaiata che la trascrivo con "à". In modo simile diceva "m'annàio" anziché "m'annoio"; "alle sàtte" anziché "alle sette"; "lo sà" anziché "lo so", con la vocale più tesa rispetto a "lo sa", come se la distinzione tra la prima e la terza persona singolare del verbo stesse nell'intensità dell'accento. La tendenza sembra condurre a un risultato ben stravagante: la sostituzione di tutte le vocali /e/, /ɛ/, /o/ e /ɔ/, toniche e atone, con un unico suono: /a/. Un fenomeno simile deve essere accaduto nell'antenato preistorico del sanscrito, in cui le vocali indoeuropee */a/, */e/, */o/ sono collassate tutte in /a/, già in epoca vedica. Quanto sta accadendo in italiano non è un tratto dialettale, ma l'inizio di un vero e proprio neoitaliano. Si nota come la pronuncia in questione sembra essere diffusa a Roma come a Milano. Va anche specificato che è più marcata nei parlanti di sesso femminile, a cui tendo ad imputare l'inizio del cambiamento. Con un po' di immaginazione si possono prevedere esiti catastrofici: l'apertura di /i/ in /e/ e di /u/ in /o/, e un nuovo ciclo di mutazioni con le nuove vocali /e/ e /o/ che a loro volta si confondono in /a/. Si finirebbe così con l'arrivare al punto che l'inizio dell'Inferno di Dante sarà letto nelle scuole in questo modo: 

"Nal mazza dal camman da nastra vata
Ma ratravaa par ana salva ascara
Chà la daratta vaa ara smarrata".

Una simile pronuncia della Divina Commedia era riportata come aneddoto dal Marzolla, classicista famoso per la sua teoria allucinatoria sull'origine sanscrita dell'etrusco: egli riferiva di uno studente goliardico che presentava tutto ciò come traduzione delle opere di Dante in sanscrito. Quello di cui stiamo qui trattando non è tuttavia uno scherzo. Supponiamo adesso che l'umanità sopravviva per un tempo sufficiente e che una forma di inglese veicolare non spazzi via la maggior parte delle altre lingue. Essendo il fenomeno iniziato dalle ragazze e da loro portato avanti, tale parlata finirebbe nei secoli con l'imporsi a tutti gli italofoni - siccome questo mondo abominevole ruota intorno al "buco".

giovedì 13 febbraio 2014

LA LINGUA NEOTEDESCA

A quanto pare più che di lingua tedesca si dovrebbe parlare di lingua neotedesca. Molti suoni sono cambiati e le parole sono ormai difficili da riconoscere. Tra i mutamenti alcuni saltano agli occhi:

1) passaggio di /e:/ a /i:/, tanto che "zehn" suona come "ziehen", "See" suona come "Sie";
2) semplificazione di /kv/ in /k/, tanto che "queren" suona come se fosse "kieren";
3) passaggio di /-ben/ a /-m(n)/, tanto che "haben" suona quasi "ham(n)", "bleiben" suona quasi "bleim(n)";
4) le sillabe atone sono tanto confuse che non si riesce a indovinare le vocali d'origine, tanto che "abbiegen" suona quasi "app(e)ken".

Se Nietzsche redivivo si ritrovasse nella Germania della Merkel, penserebbe di essere finito in mezzo a strana gente che parla un dialetto quasi incomprensibile.
Tempo fa, parlando con un collega, è emerso che riesco a capire facilmente un discorso di Hitler mentre per contro non comprendo quasi nulla di un discorso della Merkel. Egli ha definito la cosa "inquietante". Questa difficoltà profonda non nasce in realtà dai contenuti dei discorsi stessi, ma piuttosto dal cambiamento linguistico avvenuto e ancora in atto, che è una preziosa testimonianza di come le lingue alterino in modo regolare i loro fonemi, spesso anche in tempi rapidi. Qualcosa di molto simile deve essere avvenuto con il passaggio dal latino volgare delle province alle nascenti forme di lingue romanze.

domenica 9 febbraio 2014

MEMI E FURORE BACCHICO

Anche se la cosa è di certo imbarazzante, data la mia militanza nel Connettivismo, devo ammettere che il mio primo incontro con la Teoria dei Memi non è stato dei migliori. A quell'epoca avevo conquistato da pochi anni un accesso al Web in ufficio, mentre il mio pc domestico era soltanto un rottame scollegato dal mondo, una monade che per comunicare con l'esterno dipendeva da una feritoia rugginosa in cui inserivo floppy disc con dati caricati in ore di trasferimento. In molti casi quei supporti scadenti si usuravano e tutta la fatica era stata vana. Esploravo la fumosa galassia dei gruppi di Yahoo!, ed ero galvanizzato perché ero riuscito a capire come crearne di miei ed invitare utenti. Litigavo spesso con arroganti falsi uomini di scienza, e non di rado ne nascevano flames furibondi. Fondai così un mio gruppo per lo studio dei sostrati preindoeuropei e delle lingue isolate come il Basco, l'Etrusco e il Sumerico. Spinto dalle numerose adesioni, mi venne l'idea di fondare altri gruppi ancora. Uno di questi si chiamava Language Extinction e si occupava di indagare i meccanismi attraverso i quali un idioma parlato si spegne (di diversi e significativi esperimenti parlerò in altra sede). Contavo soprattutto di raccogliere testimonianze di prima mano di persone che parlavano una lingua minacciata. Ora, si iscrisse una certa Gerry R., che poi scoprii essere una nota pornodiva americana conosciuta come The Swallowing Wife, ossia "la Moglie Inghiottitrice". Era costei uno strano miscuglio di monogamia e ninfomania, una donna dedita esclusivamente a fellare il marito superdotato ingerendone con voluttà lo spurgo seminale, rendendo le sue attività visibili all'intero pianeta e scaricabili gratis in grande copia. Orbene, questa matriarca di Lemno negava in modo reciso il concetto stesso di Estinzione. Nella sua concezione spermo-panteista dell'universo, non poteva ammettere che una qualsiasi cosa potesse essere veramente perduta e condannata all'Oblio. A riprova delle sue deliranti affermazioni, faceva sfoggio di una distorta conoscenza della Memetica. Diceva che ogni cosa è un MEME, e che in quanto tale gode di una specie di immortalità. Le feci molti esempi di ciò che intendevo, ma lei li distorceva e non voleva saperne di capirli. Arrivai persino a parlarle del mio albero genealogico, dicendole che la mia linea genetica sarebbe morta con me. Lei allora con ironia mi domandava se io fossi il frutto di un'Immacolata Concezione. Insisteva, diceva che dovevo pur avere un qualche parente laterale. Le risposi che comunque sia non era la stessa cosa che intendevo io: la linea diretta che dai miei Antenati paterni aveva portato a me sarebbe morta e dal mio seme non sarebbe mai germinato alcun feto. Nulla da fare. Le parlai di come l'Etrusco si estinse, come il Sumerico scomparve completamente. Per lei il solo fatto che parole come 'mondo', 'militare', 'satellite', 'persona' siano di origine etrusca, bastava a farle dichiarare che quella lingua non si è affatto estinta. Le dissi che l'idioma dei Rasenna è morto, perché non è più usato il suo lessico di base, perché la sua fonetica è ormai estranea a tutti, perché è morta la sua grammatica. Non bastano poche parole per fare una lingua. Il termine inglese booze, che indica una qualsiasi bevanda alcolica, deriva dalla parola turca boza 'idromele', di origine altaica. Questo non significa che l'Inglese sia imparentato con il Turco. Arrivammo a litigare con furia, e alla fine dovetti dirle di smetterla, che non esistono anatosauri a spasso per New York, e i polli non fanno testo. La mail feroce con cui zittii la Moglie Inghiottitrice ebbe un tale effetto che non solo lei abbandonò il gruppo, ma non fece mai più avere sue notizie. L'argomento Memetica tuttavia non si estinse, e ne nacquero discussioni così aspre che Yahoo! mi annientò il gruppo a tradimento. L'amico australiano Ed aveva caricato un file rarissimo sulla religione preislamica dei Ceceni, che proveniva dalla scansione di un libro e si intitolava "I Cimiteri del Sole". Parlava di come i vecchi di quel popolo andassero a morire sulle rupi lasciandosi seccare al sole. Quel documento andò del tutto perduto e non fui più in grado di recuperarlo. Solo tempo dopo quegli eventi, rimossa la rabbia, avrei visto la Scienza dei Memi sotto un'altra ottica.

mercoledì 5 febbraio 2014

ALCUNE NOTE SULLE CONSONANTI ASPIRATE DELLA LINGUA LONGOBARDA

In un forum in cui si parla della gorgia toscana è riportato quanto segue: 

"Logicamente non basta la sola presenza di aspirate nella lingua etrusca per spiegare la cosiddetta spirantizzazione toscana (Nissen-1883 ), ma servono anche, in una lingua e nell'altra, gli stessi usi di dette aspirate (2) e non è facile documentare per iscritto un fenomeno che riguarda soltanto la pronuncia e che non coinvolgendo il valore delle consonanti, non risulta nella scrittura dell'italiano; ciononostante oltre al Polito esistono altre prove di gorgia perfino negli scrittori latini (3), ma non essendo sufficientemente chiare per chi ha preconcetti, devo citare le versioni toscane del 700 del nome longobardo Daghibertus, che in Toscana, con l'ormai nota fonetica(4) etrusca (B,D,G>P,T,C), diventa Tachiperto, Tahiperto (C aspirata) e Taipert (completo dileguo)(5)."

La trasformazione da Daghibert a Tachipert, Tahipert e Taipert è evidentemente tipica di dialetti della lingua longobarda e non dell'etrusco. In altre parole, l'evoluzione del longobardo non solo è indipendente da quella del latino volgare, ma a maggior ragione anche da quella dell'etrusco, che all'epoca non era più parlato da secoli: riguarda invece la Seconda Rotazione Consonantica dell'Alto Tedesco, che in longobardo assume caratteristiche peculiari. Si potrebbe addirittura ipotizzare che la rotazione in questione sia iniziata tra i Longobardi - ove gli esempi più antichi sono attestati - per poi diffondersi tra i Bavari e gli Alemanni. Forme di questo genere non sono tipiche della sola Toscana, ma si trovano in tutto il territorio popolato da Longobardi, anche in Lombardia, a Benevento e in Puglia - a riprova che non siamo di fronte all'influenza di una fantomatica pronuncia etrusca del latino volgare. 

Si deve considerare che nel caso di Daghibert il cambiamento non poi così simile a quanto avviene in toscano, dato che l'aspirazione coinvolge addirittura quella che era in origine una consonante sonora, in un processo che a quanto pare non ha riscontri neanche nell'area dei dialetti alto-tedeschi. Il passaggio è stato da /g/ a /k/ e infine questa /k/ è diventata una fricativa uvulare, indebolendosi poi fino a scomparire. 

Si noti poi che in nessun vernacolo toscano avviene un cambiamento in grado di coinvolgere le occlusive sonore /b/, /d/, /g/ trasformandole nelle sorde /p/, /t/, /k/. La gorgia toscana non è una rotazione consonantica, perché si limita a produrre nuovi allofoni a partire da determinati fonemi.  

Mostrare l'antroponimo longobardo non equivale affatto a dimostrare l'origine etrusca della gorgia: non si sta parlando di nulla che abbia a che fare con i vernacoli toscani, ma di cambiamenti complessi occorsi in una lingua del tutto diversa. Quando l'autore dell'intervento nel forum afferma che "servono anche, in una lingua e nell'altra, gli stessi usi di dette aspirate", contraddice le proprie premesse, perché quanto riporta è un uso delle aspirate in ogni caso diverso da quello che si riscontra in toscano. Di fronte a tutto questo possiamo pensare che i problemi siano dovuti all'insufficiente approfondimento del materiale noto, alla scarsa dimestichezza con il metodo scientifico, quando non addirittura al distorcere i dati di fatto pur di sostenere la propria visione delle cose. 

Sarebbe anche ora di fare approfondite indagini sui resti lessicali delle lingue preromane anziché cercare improbabili assonanze nei sistemi fonetici: inutile inseguire chimere e tentare a viva forza di assimilare il moderno all'antico anche dove risulta di diversa natura

sabato 1 febbraio 2014

 

IL COLOMBO DIVERGENTE DI CARLO MENZINGER DI PREUSSENTHAL, IL CAPOLAVORO DELLA LETTERATURA UCRONICA CONTEMPORANEA

A chi almeno una volta nella vita non è capitato di chiedersi come sarebbe il mondo se Colombo non avesse scoperto l'America? Il problema della scelta e della fatalità si pone ad ogni evento della nostra vita quotidiana, visto che a tutti può capitare un incidente o un'occasione in grado di stravolgere la vita, sia in senso positivo che negativo. Quando però abbiamo a che fare con un evento cruciale per l'intera Storia umana, sorge occasione di meditare. Cosa sarebbe accaduto se si fosse presentata una difficoltà insormontabile nel viaggio del navigatore genovese, al punto di innescare un corso degli eventi radicalmente diverso da quello che noi tutti conosciamo? Le domande che ognuno di noi si pone a questo proposito, nella maggior parte dei casi rimangono irrisolte e non portano a nulla: molti le ritengono oziose e non ne capiscono l'immensa portata filosofica. Non è stato così per lo scrittore Carlo Menzinger di Preussenthal, che ha costruito un romanzo di rara bellezza ed efficacia, intitolato Il Colombo Divergente. Anticipo soltanto il presupposto su cui la densissima trama si costruisce. A causa di un gesto fatto da un anziano cacique, un capo tribù di un'isola dei Caraibi, Colombo decide di intraprendere una rotta verso settentrione anziché verso meridione com'è avvenuto nella nostra realtà. Così procedendo, le caravelle arrivano fino alla terra dei Totonachi, soggetti all'Impero di Ahuitzotl. Questi, per nulla intimorito dai prigionieri europei, concepisce un piano folle quanto immaginifico: costruire navi per raggiungere la terra da cui sono giunti stranieri tanto ricchi e potenti. Alla narrazione sono inframmezzate mirabili poesie, evocatrici di immagini surreali ed esotiche. Notevole la descrizione dell'infanzia di Cristoforo, in particolare il brano in cui si descrive il suo primo incontro con la morte. La narrazione del condottiero morente sul suo cavallo in agonia, sembra la trasposizione in letteratura di un convulso dipinto leonardesco. Qualcuno potrà dire che è stata sopravaluta un po' la personalità decisa e creativa di Ahuitzotl - così contrastante con quella dell'inetto Moteuczoma Xocoyotzin - attribuendo a tale sovrano un eccessivo titanismo. Altri potranno pensare che si sono sottovalutate per contro le difficoltà tecniche che lo Huey Tlahtoani avrebbe incontrato imbarcandosi in un'impresa tanto azzardata. Secondo me non dovrebbe stupire più di tanto: non sono mancate tra le genti amerindiane personalità eccezionali, in grado di sfidare nemici molto più potenti di loro e anche di riportare vittorie. Basti pensare all'Inca Manco Capac II, che imparò a cavalcare e a adoperare l'alabarda, o ai capi Mapuche Caupolican e Lautaro, che sconfissero gli Spagnoli strappando ai vinti i segreti della fusione del ferro e dell'uso delle armi da fuoco. A questo punto mi rendo conto che le parole non bastano, così consiglio vivamente a tutti la lettura di questo originalissimo romanzo.

Fornisco qualche link utile: il post del blog dell'autore che descrive il libro in questione, il sito in cui sono presentate le sue opere ucroniche, alcune recensioni e commenti, e per finire le pagine di Anobii sulla prima e sulla seconda edizione di questo prezioso volume. 

(scritto su Esilio a Mordor il 23/09/2008)

Prima edizione:
Titolo originale: Il Colombo divergente. Il serpente piumato e il
    Colombo nudo
Anno: 2001
Data di pubblicazione: 30/10/2001
Lingua: Italiano
Genere: Storia, ucronia, fantasy 
Editore: Liberodiscrivere
Numero di pagine: 280
Formato: Paperback; copertina morbida e spillati
Codice ISBN-10: 8873880010
Codice ISBN-13: 9788873880011

Seconda edizione:
Titolo originale: Il Colombo divergente
Anno: 2007
Data di pubblicazione: 04/05/2007
Lingua: Italiano
Genere: Storia, ucronia, fantasy
Editore: Liberodiscrivere
Numero di pagine: 288
Formato: Copertina morbida e spillati; paperback
Codice ISBN-10: 8873881459
Codice ISBN-13: 9788873881452
Edizione riveduta, corretta e arricchita con nuove note.

Sinossi (da www.anobii.com):
"Come saremmo oggi se Cristoforo Colombo non avesse fatto ritorno vincitore dal suo viaggio alla ricerca delle Indie?
Come sarebbe stata la storia del navigatore ligure, se si fosse scontrato con gli Aztechi?
Questo romanzo ucronico offre una risposta a queste domande e a molte altre: chi era veramente Colombo? Da dove veniva? Cercava veramente le Indie? Chi c’era dietro di lui? I banchieri ebrei? I Cavalieri di Cristo?
Ne esce fuori un ritratto inedito di Colombo. Il ritratto di un uomo ostinato e caparbio anche nella sconfitta. Il ritratto di un uomo dalle molte donne ma da un solo amore: il mare. Il ritratto di un uomo pronto a sacrificare tutto per un progetto.
Il romanzo, ricco di giochi verbali, può essere letto come un libro di viaggio e avventura ma anche come riflessione sulla vita e sul destino o come esplorazione di civiltà lontane, ucronicamente ravvicinate in un mondo anticipatamente globalizzato in cui Spagnoli, Aztechi e Berberi si muovono uno accanto all’altro."


L'Autore:
Carlo Menzinger nasce a Roma il 3 gennaio 1964. Laureatosi in Economia e Commercio, lavora in banca, dove si occupa di finanza strutturata. È sposato dal 1994 ed ha una figlia dal 1997. Nel 2001 pubblica per la prima volta IL COLOMBO DIVERGENTE. Ha pubblicato anche VIAGGIO INTORNO ALLO SPECCHIO, il romanzo ucronico GIOVANNA E L’ANGELO, ANSIA ASSASSINA, PAROLE NEL WEB e numerose opere minori. Ha curato l’antologia di allostoria UCRONIE PER IL TERZO MILLENNIO.