sabato 13 settembre 2014

LE DIECI PIAGHE DELLA FANTASCIENZA

Rifletto spesso sulla fantascienza e sui suoi cultori, e non manco di essere colto da mortificanti riflessioni ogni volta che rimugino sul tema. Qualcuno mi dirà che quanto ho da dire riguada soltanto la realtà italiana, che all'estero la fantascienza è fiorente e che la gente è diversa, ma a questo riguardo mantengo con costanza un sano scetticismo. Già Philip K. Dick parlava di Ghetto della Fantascienza, così sono portato a credere che quanto ho dedotto in anni di attenta osservazione possa valere per l'intero mondo occidentale. 

Sarebbe bello se ogni appassionato di fantascienza fosse libero di avere le opinioni che desidera e se tutti si rispettassero, contribuendo a qualcosa di costruttivo. Purtroppo nulla è più lontano dalla realtà dei fatti. Un fantascientista è nella maggior parte dei casi una persona indottrinata in un'ideologia tutta particolare, formata da numerosi dogmi, tabù, comandamenti, assiomi, pregiudizi e comportamenti stereotipati. Un'architettura concettuale di rara bruttura, se mi è permesso esprimere un giudizio. Per convenzione li chiamiamo fantascientisti, anche se sarebbe più giusto denominarli adoratori della fantascienza. Per colmo di paradosso, proprio tra i lettori si possono trovare i più acerrimi nemici dei nuovi autori e di ogni tentativo di far prosperare il genere con contributi innovativi. Ho stilato una lista delle principali storture di tale genia, vere e proprie piaghe pestilenziali:

1) Idolatria degli autori
2) Tecnofeticismo
3) Psicorigidità
4) Nozionismo
5) Settarismo
6) Ideologismo politico 
7) Immantentismo utopico
8) Incapacità adattiva 
9) Culto del futuro archeologico
10) Spreco di risorse

Vediamo di analizzare ogni voce in dettaglio:

1) Idolatria degli autori
I più famosi scrittori di fantascienza sono oggetti di culto semidivino, quasi fossero santi, profeti o altre entità soprannaturali. Così è ritenuta blasfema qualsiasi critica nei loro confronti. Tale è l'idolatria, che basta avanzare dubbi sulla validità di un libro di qualche mostro sacro per essere lapidati, scatenando una reazione simile a quella che si otterrebbe entrando in una moschea travestiti da maiali. Trovo doveroso precisare che l'adorazione degli autori è sommamente nociva, perché impastoia e paralizza i giovani talenti, inibendone la creatività, spingendoli a imitare i classici incriticabili, assurti a modelli di scrittura da cui non si può deviare. Non c'è spazio per il nuovo in un contesto tanto asfittico. 

2) Tecnofeticismo
La fantascienza è vista come qualcosa di sostanzialmente materialista. Quasi nessun fantascientista sembra scorgere anche lontanamente qualcosa di filosofico o di morale nelle sue letture. Tutto è incentrato sul culto del gingillo tecnologico, senza alcuna riflessione. Moltissimi leggono Philip K. Dick senza nemmeno sospettare che si tratta di un autore esoterico, ricchissimo di spunti gnostici: la stessa trama narrativa appare loro del tutto irrilevante, l'attenzione la concentrano su qualche mirabolante e improbabile marchingegno. La lettura così concepita è piatta, bidimensionale. Il crasso feticismo tecnologico e simbolico impedisce la comprensione a qualsiasi livello del testo.

3) Psicorigidità
Ricordo un documentario in cui una scimmia aveva il compito di trovare quale cavità si adattasse all'inserimento di un cilindro di legno che aveva in mano. Il primate si ostinava a voler cacciare il cilindro in un buco la cui sezione era quadrata, e di fronte all'impossibilità dell'impresa strepitava come un folle, insistendo fino a stremarsi. Qualcosa di simile avviene con molti fantascientisti. Non di rado si riscontrano forme estreme di imbecillità, come nel classico caso del fantascientista che se non vede sulla copertina di un libro un robot o un'astronave non lo compra. Gli editori si lamentano di tutto questo. A una convention mi è capitato di sentire una robusta filippica contro i lettori ottusi che sono abituati ad aprire una porta con tre borchie, e se ne viene mostrata loro una con quattro borchie non la aprono, non mostrano nemmeno una lontana e vaga curiosità verso ciò che potrebbe esserci dietro. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. La fissità del microcosmo fantascientifico ha portato ingenti guadagni agli editori negli anni del boom della fantascienza, essi l'hanno attivamente incentivata. Adesso che cercano di proporre qualcosa di nuovo, le passate strategie diventano all'improvviso esecrabili. Purtroppo la locuzione "lettore di fantascienza neofobo" non è un ossimoro.

4) Nozionismo
Il lettore medio di fantascienza divora libri uno dopo l'altro, quasi fossero schede perforate immesse in un elaboratore degli anni '50. Come facciano a leggere così in fretta migliaia di volumi non mi è dato sapere: posso soltanto fare ipotesi nel tentativo di razionalizzare il fenomeno. Siccome non credo affatto che queste persone siano affette da un particolare tipo di autismo in grado di conferire illimitati poteri mnemonici, sono più incline a ritenere che la loro lettura sia superficiale. Leggono per intero qualche pagina, poi cominciano a saltare alcuni passi qua e là, procedendo quindi in modo rapido verso il finale, e digerendo un numero di Urania in un paio d'ore. A mio parere questo non è leggere. Sono sempre più scettico sull'esistenza dei cosiddetti "lettori bulimici", che dicono con fierezza di leggere più di cinquecento libri ogni anno: a pare mio si tratta soltanto di gente che posa. Tuttavia i fantascientisti non si limitano a questo. Hanno la testa piena zeppa di ogni genere di informazioni sconnesse sugli autori e sulle loro opere. Sanno citare a menadito ogni dettaglio della biografia di ogni scrittore, tutte le vicissitudini di ogni libro, come ad esempio le varie date di pubblicazione e via discorrendo. Informazioni che a chiunque richiederebbero giorni per essere accumulate, sono per loro del tutto ovvie - al punto che chi non le sa sciorinare è considerato incolto, ignorante, out. Intere enciclopedie di date compresse in uno spazio così piccolo. C'è da meravigliarsi che nei banchi di memoria di queste persone ci sia spazio per qualcos'altro.

5) Settarismo 
I fantascientisti sono estremamente litigiosi, e questo è stato rimarcato in diverse occasioni. A mio avviso non si tratta di semplice litigiosità, ma di vero e proprio settarismo facinoroso. Mi ricordano le genti di Lilliput e di Blefescu, che si combattevano accanitamente perché non si trovavano d'accordo sul modo migliore di rompere le uova. Un'analoga futilità spinge i fantascientisti a scontrarsi. Sembra che non si possa essere lettori di fantascienza se non si è data la propria adesione alla setta di Fusco - De Turris o a quella di Curtoni, come se fossero i Verdi e gli Azzurri di Bisanzio. Se osassi rivelare che non sono stato iniziato ai Misteri di Urania all'età di dodici anni, ma che ho iniziato a leggere fantascienza molto più tardi, sarei immediatamente linciato: sarebbe come cercare di vendere carne suina alla Mecca. Questo però non basta. In Rete mi sono imbattuto in affermazioni spaventose quanto surreali, che riporto senza il nome dell'autore (si dice il peccato, non il peccatore): "La fantascienza ha un tasso di abbandoni altissimo. Un lettore perso (perché deluso o tutto quello che volete) è peggio di un lettore morto. Perché finché vivrà parlerà male del genere che ha abbandonato e cercherà di convincerti a fare lo stesso!" A tanto si è arrivati, ad augurare la morte delle persone, a minacciarle come se fossero colpevoli di apostasia. Inutile dire che simili atteggiamenti non aiutano a fermare l'emorragia di lettori di fantascienza, anzi, la accelerano. Non ci si stupisca se di fronte a questo qualcuno potrebbe ribattere che "l'unico lettore di fantascienza buono è quello morto".  

6) Ideologismo politico 
Lo zoccolo duro dei lettori di fantascienza di vecchio stampo vede ogni cosa attraverso le lenti distorcenti della politica. Vi sono non pochi antifascisti militanti che scorrono le pagine di ogni opera con il fucile in pugno: è sufficiente usare una parola sbagliata per scatenare in loro un'ira furibonda. Così sono stato sottoposto alla gogna mediatica per aver definito il Connettivismo "Avanguardia" anziché "Movimento". Il carissimo amico Giovanni De Matteo - che è tutto fuorché di destra - è stato addirittura etichettato come autore di un "elogio dello squadrismo nichilista", semplicemente perché nel suo ottimo romanzo Corpi spenti il tenente Briganti beve birra Weiss, e nel testo compare qualche parola tedesca del tutto priva di connotazioni politiche: il potere di questi vocaboli germanici sparsi sembra essere stato quello di un allergene devastante o di un sasso tirato in un nido di calabroni. "Questa è una Repubblica in cui è vietato articolare qualsiasi suono della lingua tedesca", avrebbero fatto scrivere nella Costituzione questi esaltati. Molti di costoro sono gli stessi anticlericali da operetta che ritenevano Ratzinger "nazista" per via delle sue origini tedesche, per poi inginocchiarsi davanti a Papa Ciccio, guardandolo con interesse là dove il sol tace. Però sui libri di fantascienza la scritta "vietato ai fascisti" non l'ha ancora messa nessuno. Pecunia non olet

7) Immanentismo utopico
Per quanto sia evidente che la massima parte della fantascienza degna di questo nome è pura letteratura distopica, i fantascientisti sono quasi tutti convinti immanentizzatori dell'Eschaton. Credono con fermezza che le loro letture non siano puro e semplice diletto, ma che debbano di riffa o di raffa essere una forma di impegno sociale volto a realizzare un futuro di prosperità, ipertecnologia ed espansione indefinita del genere umano. Le magnifiche sorti e progressive di cui con amarezza parlava Leopardi. Anche coloro che più sono orientati verso visioni cupe del futuro, poi sotto sotto strepitano di gioia quando viene data notizia di qualche nuova tecnologia che promette di rivoluzionare la vita di tutti i giorni, rendendo possibile colonizzare Marte, far svolgere ogni lavoro ai robot, avere chip e computer incorporati nel cervello e via discorrendo. Per quanto leggano opere in cui si delineano scenari raggelanti, al contempo essi credono a un futuro radioso, roseo, in cui ogni problema sarà risolto dai marchingegni, in cui è riposta una fede idolatrica. Il Robot come il Vitello d'Oro, la potenza di calcolo che genera l'intelligenza e la stessa anima, il genere umano che raggiungerà la Salvezza tramite la Macchina. Questo spiega l'enorme successo della delirante futurologia di Kurzweil e di iniziative aberranti come i Laboratori dell'Immortalità. 

8) Incapacità adattiva
Permane ancora come un fossile del passato la locuzione "letteratura di anticipazione", usata talvolta per riferirsi alla fantascienza. Ma cosa mai dovrebbe anticipare la fantascienza? Anni fa Ivo T. faceva notare che le possibilità della fantascienza sono tutt'altro che esaurite. Si possono esplorare campi che sono appena stati svelati dai moderni sviluppi della Scienza, come fantabiologia, fantazoologia, fantamedicina, fantapsichiatria, e via discorrendo. In realtà esistono opere che trattano questi campi, ma non sono considerate, la loro innovatività non viene colta, perché nella sua miopia lo zoccolo duro dei fantascientisti è fissato sulla tecnologia del razzo a reazione. Non si ha la capacità di adattare la visione della Scienza alla narrazione. Se Philip K. Dick in un suo racconto descriveva gli autori di fantascienza come Precog, esaltandone le capacità di previsione del futuro, oggi non si può più credere in questa fantasia. La fantascienza ha perso qualsiasi capacità di anticipazione per passare all'affannosa rincorsa del presente, come la spada di Damocle dell'obsolescenza legata a un crine sempre più labile, che anche un alito di vento può spezzare. Questi problemi non esisterebbero se la si smettesse di attribuire alla letteratura fantascientifica obblighi morali come quello di chiaroveggenza.  

9) Culto del futuro archeologico
L'aspetto più sconcertante degli adoratori della fantascienza è il loro fissarsi sull'idea di futuro tipica dell'epoca della propria formazione. Questa idea di futuro dipende quindi dalla classe di età a cui ogni fantascientista appartiene. La cosa diventa evidente come si considerano lettori di una certa età: tra loro spiccano i settari di Star Trek e di Guerre Stellari, con il loro futuro anni '70. Allo stesso modo si trovano ancora vecchi lettori fanatici che pretendono di proiettare nel futuro le farneticanti visioni della Golden Age. Più che futuro, uno pseudofuturo da archeologia. Nella loro miopia, questi soggetti neanche si rendono conto che la realtà che oggi viviamo ha già reso obsolete numerosissime opere di fantascienza. Anche i fantescientisti meno anziani hanno un archeofuturo che ha qualche nota stonata. In quest'ottica persino William Gibson col suo Neuromante è superato da tempo ed appartiene ormai al campo dello sterro di reperti fossili: chiunque dotato di un briciolo di senno non potrebbe che ridere al pensiero delle Pantere Moderne che hanno microsoft impiantati nel cervello e usano telefoni pubblici a gettoni. Sarebbe ora di svincolare la fantascienza dalle aspettative personali sul futuro, che la incatenano inutilmente a una Weltanschauung ingenua e lineare. La soluzione è adottare la "sospensione dell'incredulità", capace di fare di ogni romanzo e di ogni racconto un universo da prendere per quello che è senza la pretesa di proiettarlo nella realtà in cui viviamo. 

10) Spreco di risorse
Ovunque imperversano inutili battibecchi, come ad esempio quello sul rapporto tra fantascienza e fascismo. Decine di persone perdono tutto il loro tempo libero stilando futili classifiche di romanzi Urania, azzuffandosi in caso di disaccordo: sembra di essere all'asilo Mariuccia. Il danno più grave però lo arreca la peggiore di tutte le masturbazioni mentali: discutere ad nauseam del perché la fantascienza è moribonda, senza arrivare a nessuna conclusione. Dopo aver letto questo mio trattatello forse non c'è più bisogno di chiederselo.

sabato 6 settembre 2014

ENTOMOLOGIA E PENSIERO AMERICANO

Così scrivevo nel novembre del 2008, alla vigilia dell'elezione di Obama: 

«Mi sorge il dubbio che i teocon non siano davvero esseri intelligenti. Essi sembrano piuttosto come le vespe. Se uno porta via a una vespa un bruco, quella non può far altro che cercarlo dove l'aveva posato. Non segue l'odore del bruco, ma la traccia feromonale da lei lasciata, anche a costo di morire di inedia. Pur vedendo che la preda non c'è più, la vespa continuerà a muoversi dove lei pensa che debba invece trovarsi il cibo (l'ho visto sia in documentario che dal vivo). Così i teocon sono solo capaci di vedere in una situazione presente qualcosa di passato che conoscono bene. La situazione dell'Iraq per Bush DOVEVA essere come quella dell'Italia occupata, a dispetto della diversità di religione e di modo di vedere la realtà dei soggetti coinvolti. E il suo fallimento è sotto gli occhi di tutti, come quello di una persona che si sfrega un foruncolo fino a farlo diventare un cancro. Se per i teocon il Nazismo è male, il Comunismo è male e l'Islam è male, essi ne deducono che Nazismo, Comunismo e Islam DEVONO essere la stessa identica cosa, nel noumeno, nell'ontologia, a dispetto di ogni evidenza e di ogni considerazione storica. Ma forse faccio torto agli insetti. Una volta una locusta mi volò su una mano e la fissai negli occhi. Percepii più autocoscienza in quell'insetto senz'anima che in tutti i teocon della terra.» 

Che possiamo dire a distanza di anni? Gli eventi non possono che confermare la futilità di ogni tentativo di distinguere i Repubblicani dai Democratici: li accomuna una ben precisa attitudine verso la realtà, che li rende del tutto incapaci di capire le conseguenze delle proprie azioni. 

lunedì 1 settembre 2014

PRESTITI DAL LATINO E DALLE LINGUE ROMANZE D'AFRICA IN BERBERO

Al gruppo delle lingue camitiche appartengono le lingue berbere, tuttora di uso corrente in diverse regioni del Nordafrica. Gli antenati dei parlanti berberi attuali erano i popoli conosciuti nell'antichità come Libi e Numidi. Per quanto riguarda la trascrizione in caratteri latini, ho preferito usare il più possibile soluzioni senza segni diacritici, e ho utilizzato kh anziché x. Per maggiori informazioni sulla corretta pronuncia delle parole citate nel seguito si rimanda a questo link: 


Se a qualcuno Wikipedia non garba, il Web è ben vasto e i libri cartacei esistono ancora.

Nelle lingue berbere esistono notevoli prestiti dal latino parlato in Africa all'epoca dell'Impero. Questi sono spesso chiaramente riconoscibili per le loro terminazioni: i maschili latini della II declinazione conservano integra l'uscita -us del nominativo, che può anche avere varianti più rare come -uz, -uc, -uj. I neutri della II declinazione sono stati adottati con la terminazione -u, che in alcuni casi può cadere, anche se vi sono casi di conservazione di nasale finale. Sia le forme latine maschili che quelle neutre possono assumere in berbero prefissi come a-, i-. Così abbiamo:

abekkadu, abekkad, peccato < lat. pecca:tu(m)  
abelun, tappeto < lat. ve:lum
aberg, abarg, trave; pestello < lat. fulcru(m) 
afru, coltello < lat. ferru(m)
afullus, fullus, pulcino < lat. pullus
akerruc, quercia < lat. cerrus (1)
alili, lili, oleandro < lat. li:liu(m)  

angalus, andjalus, angelo < lat. angelus 
asnus, asino < lat. asinus
aqiṭṭus, ajaṭṭus, gatto < lat. cattus
ayugu, bue da lavoro < lat. iugu(m)
awraru, awatru, manico dell'aratro < lat. ara:tru(m)
blitu, bietola < lat. blitu(m)
fleggu, tipo di menta < lat. pu:le:giu(m) 

gherdus, carciofo < lat. carduus
ifilu, filo < lat. fi:lu(m) 

ifires, pere < lat. pirus
iger, campo coltivato < lat. ager (2)

(1) Non è da quercus, come non di rado si legge.
(2) La forma iger viene chiaramente da un precedente *i-ager, dove i- è il prefisso trovato in ifilu e in numerose altre forme.

Vi sono casi di nomi maschili della II declinazione che continuano l'accusativo in -u(m) anziché il nominativo in -us, dando origine all'uscita -u, che in alcuni casi può anche cadere. Questo strato di prestiti latini potrebbe essere più recente di quello sopra analizzato. 

aberkul, cinghialino < lat. porculu(m)
afurnu
, forno < lat. furnu(m)
agisi, qisi, formaggio < lat. ca:seu(m)
akurat, capoclan < lat. cu:ra:tu(m)
amergu, tordo < lat. mergu(m)
ickir, quercia < lat. aesculu(m)
ulmu, olmo < lat. ulmu(m)

Si segnala un caso di continuazione di un plurale:

urti, giardino < lat. horti:

I femminili della I declinazione conservano spesso l'uscita -a, ma in alcuni casi la perdono o la sostituiscono con il suffisso femminile -t. Nella maggior parte dei casi compare l'articolo femminile prefisso ta- (te-, ti-, tu-, t-) che troviamo anche nel famoso toponimo Tagaste (Thagaste).

afan, fan, tegame < panna
afurk, ramo < furca
amuredj, morchia < amurca
awren, aren, farina < fari:na
errigla, tarigla, regolo < lat. re:gula
ibawen, fave < lat. fabae
ikharba, caprone < lat. capra (1)
kamur, okamir, camera < lat. camera
rif, costa, bordo < lat. ri:pa
tabburt, teburt, porta < lat. porta
tabgha, mora, mora di gelso < lat. bacca 
Tafaska, Festa del Sacrificio < lat. Pascha 
taghawsa, cosa < lat. causa
takir, cera < lat. ce:ra 
taktunya, cotogna < lat. coto:nea 
talima, lima < lat. li:ma
tara, terrazza < lat. a:rea 
tarubya
, robbia < lat. rubia
taskala, scala < lat. sca:la
taslyuga, legume < lat. siliqua
tayda, pino < lat. taeda
tberna, taverna < lat. taberna
tisila, sandalo, suola < lat. solea
tisubla, lesina < lat. su:bula
tkilsit, gelso < lat. <mo:rus> celsa
tuṭebla, tavola; tronco di palma segato < lat. tabula

(1) La parola ikharba "caprone" è stata retroformata da *takharba "capra", che tuttavia a quanto pare non è documentato.

Esistono alcuni femminili formati a partire da voci latine maschili in -us o neutre in -um:

tafirest, pera < lat. pirus 
tafrut, coltello < lat. ferru(m)  
tafullust, gallina < lat. pullus

In altri casi si hanno forme femminili con tanto di prefisso, che derivano però da forme latine neutre:

lemsetka, mastice < lat. masticu(m), per mastiche:
tickirt, quercia < lat. aesculu(m) 

tikulma, sgabello < lat. *scabellu(m)

I nomi maschili o femminili della III declinazione in genere si formano dall'accusativo tramite caduta del suffisso -e(m), a volta con un diverso suffisso -u, mutuato dalla II declinazione. In alcuni casi invece è continuata la forma del nominativo. Raramente il femminile mostra il prefisso ta- (te-, ti-, t-) e il suffisso -t. Ovviamente i neutri continuano la forma diretta.

aberkus, agnello di diversi mesi < lat. berbex
afalku, falco < lat. falco:
afuri, tfuri, tafurat, herpes simplex < lat. porri:go:
anaw, nave < lat. na:ve(m)
atmun, atemun, timone dell'aratro < lat.
te:mo:ne(m) 
emerkid, amarkidu, ricompensa divina < lat. merce:de(m) 
idaymunen, spirito maligno < lat. daemone(m)

ifilku, felce < lat. filice(m)
ikiker, cece < lat. cicer
tafant, pane < lat. pa:ne(m)
tafkunt, focolare < lat. *foco:ne(m)
tilintit, tlintit, lenticchia < lat. lente(m)
tqumcict
, cimice < lat. ci:mice(m)
uskir, piastra di cottura < lat. si:ci:le(m), falcetto

Interessanti sono alcune forme verbali:

erfu, adirarsi < lat. rabio:
ewzen, pesare, misurare < lat. penso:
ikerrez, arare < lat. carrus 
mmuṛḍes
, morire per sgozzamento non rituale < lat. mortuus

Il latino che traspare da questi prestiti è quello classico. Il fonema /p/ manca nelle parole genuinamente berbere ed è stato adattato come /f/ nei prestiti più antichi, come /b/ in quelli più recenti. Al vocabolo afullus "pulcino" usato in alcune lingue corrisponde la forma abullus "gallo" in altre. Si nota come taida "pino" conserva il dittongo latino ae, così come taghawsa "cosa" conserva il dittongo latino au. I prestiti appartenenti a questo strato mostrano la genuina pronuncia velare di c davanti a vocali anteriori -e- ed -i-. Si trovano occorrenze in alcune lingue di -dj- anziché -g-, così si hanno forme come andjalus, andjelus per angalus, ma il fenomeno è secondario e interno ad alcune varietà di berbero. Un simile mutamento spiega ajaṭṭus per aqiṭṭus "gatto", e le varianti akherruc, acerruc, ajerruc per akerruc "quercia". Alcuni vocaboli come angalus, abekkadu, emerkid, ci parlano di un passato cristiano delle genti berbere, poi sommerso dalla marea dell'Islam. Questa eredità è particolarmente evidente tra i Tuareg.

Esistono anche numerose parole nelle lingue berbere che non sono riconducibili al latino classico, ma che derivano da forme di latino più tardo o da vari idiomi romanzi africani, oggi perduti, che si sono naturalmente evoluti dal latino di epoca imperiale parlato in quel vasto territorio. Queste parole sono ben riconoscibili ed appare evidente che non provengono dal francese, dalla lingua franca o dallo spagnolo.

Già abbiamo trattato i casi del latino di Sabrata (Sabratha), che è rimasto molto conservativo ed è sopravvissuto fino al XI secolo, e del neolatino di Gafsa (Capsa), che si era evoluto in modo tale da ricordare il sardo ed è sopravvissuto almeno fino al XVI secolo. Si può però provare che in altre regioni, come il Marocco e la Cabilia, si sono originate lingue molto diverse. In alcuni casi si hanno prove di idiomi romanzi di tipo affine a quelli sviluppatisi nella maggior parte della Romània, con assibilazione o palatalizzazione della velare /k/ davanti a vocali anteriori. Così abbiamo:

agursel, fungo < lat. *agaricellu(m)
azebbuj, oleastro < lat. acerbus
dudjember, budjamber, dicembre < lat. december 
tasentit, segale < lat. cente:nu(m)

Si noti che l'esito della consonante assibilata o palatale presente nelle varietà latine o neolatine che hanno dato origine a queste parole non è coerente: -s-, -z- o -dj-. Insistiamo sul fatto che i prestiti da una lingua all'altra non sono sempre e necessariamente coevi, ma in genere si accumulano stratificandosi, e questo spiega le irregolarità fonetiche. A conferma di questo fatto, a volte si possono identificare interessanti doppioni, che dimostrano l'ingresso di materiale latino o neolatino a partire da fonti diverse in epoche diverse. Così in cabilo abbiamo tayuga "coppia di buoi", formato dal latino iugu(m) "giogo", oltre al vocabolo azaglu "giogo", che viene dal latino iugulu(m). Sempre in cabilo abbiamo aguglu "cagliata fresca", dal latino coagulu(m), e lo stesso vocabolo è passato tramite una forma romanza *kaglu a dare cabilo kkal "cagliare", ikkil "latte cagliato".  

I diversi esiti delle parole latine e di quelle neolatine d'Africa dimostrano una volta di più l'assurdità delle idee di coloro che sostengono la pronuncia ecclesiastica del latino ab aeterno. Costoro pretendono che si debba ignorare la complessità dei dati di fatto per cancellarli con un colpo di spugna, rifiutandosi con pervicacia di non vedere ciò che non fa loro comodo, per sostituire la realtà con il loro latino scolastico apprenditiccio che in realtà non spiega proprio nulla. Sarebbe anche ora che certi internauti prima di imbarcarsi in un'impresa deponessero le loro futili motivazioni ideologiche e si fermassero per acquisire qualche nozione di linguistica seria.

giovedì 21 agosto 2014

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: COITUS E COETUS

Cos'hanno in comune il coito e il ceto? Un ingenuo scolaro potrebbe dire che sono due forme di diversa etimologia, dato che il loro suono è così diverso. Eppure, anche se Marx, Engels e Bakunin non ne sarebbero contenti, il coito e il ceto risalgono a una comune origine. La lingua latina ha le seguenti forme: coitus "unione, congiungimento, copula" (IV decl.), e coetus "adunanza, riunione, convegno, folla" (IV decl.). La parola italiana ceto è stata formata proprio da coetus; ovviamente non si tratta di un vocabolo popolare, ma di un termine introdotto dai letterati per garantire maggior chiarezza di pensiero, ed è stato tratto dai testi antichi tramite la pronuncia ecclesiastica del latino. 

Entrambe le parole derivano da cum "insieme" (prefisso com-, con-, co-) e dal verbo eo, is, ivi, itum, ire "andare". Si tratta in altre parole di una coppia di doppioni, creatasi a causa del diverso trattamento fonetico di una stessa parola in due epoche e contesti diversi.

Il nome verbale itus "andata" (presente anche in aditus, exitus, interitus etc.) si è fuso con il prefisso già in epoca antica, in un caso dando un iato e nell'altro dando un dittongo *oi poi diventato oe.

Non esistono dubbi a proposito del fatto che stiamo trattando proprio della stessa parola evolutasi in due modi diversi: sia coitus che coetus hanno ad esempio significati particolari come "congiunzione astrale" e "accoppiamento".

Come c'è da aspettarsi, i fautori della pronuncia ecclesiastica ab aeterno che hanno in Forum Archeologia il loro nido (non lo linko essendo pieno zeppo di malware, oltre che di assurdità), sono impotenti di fronte ai fatti. Non possono in alcun modo pretendere che all'epoca di Augusto coetus "adunanza" fosse omofono di cetus "balena" e neppure che avesse una consonante palatale, essendo la consonante iniziale di coetus dovuta senza dubbio al prefisso com- (con-, co-), con la stessa etimologia di cum, che anche in Vaticano si pronuncia con un suono velare ("duro"). Forse se ne usciranno a dire che in realtà coetus significa "cece" e che la prova è nei fumetti di Paperino.

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: ECCE + EUM > ECCUM

Il latino classico conosce la forma ecce "ecco", che in genere regge il nominativo. Famosissima ad esempio è la frase ecce homo. Tuttavia nel linguaggio più antico ecce reggeva spesso l'accusativo: ecce hominem. Tale uso non è mai venuto meno nel linguaggio colloquiale e aveva soprattutto significato spregiativo o di biasimo. La questione non è comunque facile da definire. Si hanno casi di ecce ego come di ecce me "eccomi". La lingua di autori come Plauto e Terenzio comprende anche forme arcaiche e sintetiche che di solito a scuola non sono menzionate. Queste nascono dall'unione di ecce con pronomi di terza persona singolare e plurale, oltre che con pronomi dimostrativi. Sono le seguenti:

ecce + eum > eccum   
ecce + ea > ecca  
ecce + eam > eccam   
ecce + eos > eccos 
ecce + eas > eccas  

ecce + ille > eccille  
ecce + illum > eccillum  
ecce + illa > eccilla 
ecce + illam > eccillam 
ecce + illud > eccillud  
ecce + illos > eccillos 
ecce + illas > eccillas 

ecce + iste > ecciste 
ecce + istum > eccistum
ecce + ista > eccista 
ecce + istam > eccistam 

ecce + istud > eccistud  
ecce + istos > eccistos 
ecce + istas > eccistas  

La forma eccum è proprio quella che è sopravvissuta in varie lingue romanze, donde deriva direttamente l'italiano ecco. In unione con i pronomi istu(m) e illu(m) ha formato nel latino volgare nuove forme composte, che hanno dato origine ai pronomi italiani:

*eccu(m) istu(m) > questo
*eccu(m) ista(m) > questa
*eccu(m) illu(m) > quello
*eccu(m) illa(m) > quella

Dovette esistere anche un *eccu(m) tibi istu(m), alla lettera "eccoti questo", che ha originato le forme toscane cotesto, codesto.

Come si può vedere con la massima evidenza, coloro che assurdamente affermano la pronuncia latina ecclesiastica come genuina ed esistente ab aeterno, sono incapaci di spiegare la formazione di eccum e quindi non possono comprendere i pronomi italiani che sono stati formati a partire da tale forma. Se per assurdo la pronuncia antica di ecce fosse stata /*ettʃe/, non sarebbe mai stato possibile nemmeno avere l'italiano ecco, per non parlare di questo, codesto e quello. Ne consegue che la palatalizzazone da /ekke/ in /ettʃe/ è un fenomeno secondario e tardo, e che la pronuncia scolastica di tale vocabolo semplicemente non esisteva nel latino dell'epoca di Augusto. Per contro, /ekke eum/ è la spiegazione immediata di /ekkum/.
Un abisso oppone le forme italiane a quelle francesi ed occitane, che sono invece derivate da ecce

Lingua d'oïl

ecce iste > antico francese cist 
ecce istu(m) > antico francese cest 
ecce ista(m) > antico francese ceste
ecce isti
> antico francese cist

ecce istos
> antico francese cez

ecce istas
> antico francese cestes

ecce ille
> antico francese cil

ecce illu(m)
> antico francese cel

ecce illa(m)
> antico francese cele

ecce illi
> antico francese cil

ecce illos
> antico francese cels, ceus

ecce illas
> antico francese celes

(c- davanti a -e-, -i- era pronunciata /ts/ prima del XIII secolo, in epoca successiva /s/)

Lingua d'oc

ecce iste > provenzale cest 
ecce istu(m)
> provenzale cest 

ecce ista(m)
> provenzale cesta

ecce isti
> provenzale cist

ecce istos
> provenzale cests

ecce istas
> provenzale cestas

ecce ille
> provenzale cel

ecce illu(m)
> provenzale cel

ecce illa(m)
> provenzale cela

ecce illi
> provenzale cil

ecce illos
> provenzale cels

ecce illas
> provenzale celas

(c- davanti a -e-, -i- si pronuncia /ts/)

Nella lingua d'oïl e nella lingua d'oc si ha la prosecuzione del latino ecce, la cui palatalizzazione è avvenuta in epoca tarda, di certo successiva alla formazione di eccum. Questo è quanto.

venerdì 15 agosto 2014

DUE TESTI CRISTIANI NEL NEOLATINO DI GAFSA (RICOSTRUITO)

Questo è il testo del Padre Nostro nel neolatino di Gafsa (con dossologia finale): 

Patre nostru, ki es in issos kelos,
santu faktu siat issu nòmine tuu,
abbenzat issu rennu tuu,
fakta siat issa boluntate tua,
sikut in issu kelu et in issa terra.
Dànos oze issu pane nostru kotizanu,
et dimìttenos issa dekta nostra
sikut nos dimittèmus ad issos dektores nostros,
et non indùkasnos in tentatzone,
maghis lìbranos de issu Malu,
kia tuu est issu rennu et issa potestate et issa glora
in issa sekla sekloru.
Amen


Questo è il testo del Prologo del Vangelo secondo Giovanni: 

[1] In prinkìppiu erat issu Berbu,
issu Berbu erat apud Deu
et issu Berbu erat Deu.
[2] Issu erat in prinkìppiu apud Deu:
[3] onna fakta furunt per issu,
et sine issu faktu fut nulla kod faktu fut.
[4] In issu erat issa bita
et issa bita erat issa luke de issos òmines;
[5] et luke luket in issas tenebras,
et issas tenebras non komprènderunt illa.
[6] Benit unu omo missu de Deu
et nòmine suu erat Ioanne.
[7] Istu omo benit in testimonzu
per dare testimonzu ad issa Luke
ut onnes kredissent per issu.
[8] Issu non erat issa Luke,
maghis dare debeba testimonzu ad issa Luke
[9] Beniba in issu mundu issa Luke bera,
ki lumnat onnes òmines.
[10] Issu erat in issu mundu,
et issu mundu faktu fut per issu,
maghis issu mundu non konnòut illu.
[11] Issu benit intre ghente sua,
maghis ghente sua non àkkepit illu
[12] Maghis ad issos ki akkèperunt illu,
dedit potestate de fire fillos de Deu:
ad issos ki krèdderunt in nòmine suu,
[13] ki non de sànghine, 
nek de boluntate de karne,
nek de boluntate de omo,
maghis de Deu nati furunt.
[14] Et issu Berbu se fekit karne
et abitàut intre nobis;
et nos bidìmus glora sua,
kasi de unighentos de issu Patre,
plenu de gratza et de beritate.
[15] Ioanne dat testimonzu de issu
et klamàut ìkest issu omo kine dìssibos
issu omo ki benit post me, ante me se fekit 
kia priore ad mi erat
[16] Et de plenitate sua
nosonnes akkepìmus
et gratza por gratza,
[17] Kia issa leghe data fut per Moise,
issa gratza et issa beritate per Iesu Kristu furunt.
[18] Nekòmo maghis Deu bidit:
in beritate issu Fillu Unighentu,
ki est in issu sinu de issu Patre,
issu narràut illu.

Si possono notare le somiglianze con i testi latini, come anche significative divergenze e non poche innovazioni.

UN FRASARIO DEL NEOLATINO DI GAFSA (RICOSTRUITO)

Queste sono alcune parolette della lingua neolatina di Gafsa, che sono di uso frequente e molto utili:

òkest,
nònest, no 
ìdest, è così 
id nònest, non è così 

forsit, forse
orast, adesso

ìkest, qui c'è, ecco
ekku, eccolo
ekka, eccola
èkkeme, eccomi
èkkete, eccoti
èkkenos, eccoci
èkkebos, eccovi
ekkillu, eccolo
ekkilla, eccola
ekkos, eccoli
ekkas, eccole 
ekkillos, eccoli
ekkillas, eccole

Questo è un repertorio di frasi di vario genere, quali le si potrebbe cogliere dalla viva voce del volgo se se si avesse una macchina del tempo e si potesse stare ad ascoltare gli echi di un'epoca perduta, di una latinità fulgida:

Est ike. È qua 

Est illùke. È là

Est illòko. È in questo luogo.

Dami ike! Dammi qua!

Fakid! Fallo!

Fàkillu! fallo!

Faktid! Fatelo

Fàktillu! Fatelo

Dìkemi illu. Dimmelo.

Dìktemi illu. Ditemelo.

Mos doti illu. Te lo do subito.

Ubi natu fusti? Dove sei nato?

De Kassa ego sune, Io sono di Gafsa

Kìdest illu? Cos'è quello?

Illu anghe est unu basilisku, mezokre et kun korona manna inkima ad issu kaput. Quel serpente è un basilisco, piccolo e con una gran corona sulla sua testa. 

Kid fekisti? Cos'hai fatto?

Kid fàkere abes? Cosa farai?

Ubist ussore mea? Dov'è mia moglie?

Ego bìdilla mane, per issu pagu ambitabat. L'ho vista questa mattina, andava in giro per il villaggio.

Non skio ubist biru tuu. Non so dov'è tuo marito.

Kist illu omo? Chi è quell'uomo?

Kìdest mòmine de patre suu? Come si chiama suo padre?

Moise Iudeu de Termile est patre suu. Suo padre è Mosè l'Ebreo di Tarmil.

Ere ego bidi illu omo kine ad mi narràusti. Ieri ho visto quell'uomo di cui mi hai raccontato.

Issu omo kine issos latrones bulneràurunt est Mammadu de Tùnete. L'uomo che i ladroni hanno ferito è Mohammed di Tunisi.

Ista karne est màrkida et sapet de merda. Questa carne è marcia e sa di merda.

Illu omo non sentìut maghis in bita sua rankore de kunnu. Quell'uomo non ha mai sentito odore di fica in vita sua.

Issu prinkipe Tankredi de issos Normannos est altu, flabu, glauku et feroke. Il principe Tancredi dei Normanni è alto, biondo, con gli occhi azzurri e fiero.

Maghis in bita mea bidi unu omo de tale armonza kondo istos Normannos de Sikilla. Non ho mai visto in vita mia un uomo bello come questi Normanni di Sicilia. 

Frango kaput tuu. Ti spacco la testa. 

Biru suu est omo ebru et perbersu ki zabolos kolet et tumbas profanat. Suo marito è un ubriacone e un perverso, che adora i demoni e profana le tombe. 

Ire àbbio Tùnete, si Zabolu ostaklu non ponet. Andrò a Tunisi, se il Diavolo non ci mette lo zampino.

Istu benatore mannu erat in issos montes de issos Nùmidos et unu ursu feros kontra illu fut, ki nekàut onnes segùsos suos. Questo grande cacciatore era tra le montagne dei Berberi e si imbatté in un orso feroce che gli uccise tutti i segugi. 

Domnu meu me kelàut kando issa militza de issu Kalifu benit in Termile. Il mio signore mi ha nascosto quando l'esercito del Califfo è giunto a Tarmil. 

Kassa est plena de ghente ki krissanu nòmine abet et linga latina loket. Gafsa è abitata da gente che ha nome cristiano e parla latino.

Etza Sabrata est unu pagu de ghentes de linga latina, maghis ego intèllego issu zalektu issaru kun diffikultate manna. Anche Sabrata è una città di gente di lingua latina, ma comprendo il loro dialetto con grande difficoltà.

Ere mane issu prèbbitre portàut issa ossa ad àmita mea in domu sua, kare issa non potut missa ire nek de domu essire. Ieri mattina il prete ha portato la comunione a mia zia nella sua casa, perché lei non poteva andare a messa né uscire da casa sua. 

Kare nekàusti illa lakerta? Pellu sebu et issanu es. Perché hai ucciso quella lucertola? Sei un bambino crudele e perverso.

Ad nobis biktora ìut. Abbiamo vinto (lett. A noi è andata la vittoria).

Beni meku, mos! Vieni con me, subito!

Benite nosku, mos! Venite con noi, subito! 

Fèrenos issu binu, ankilla! Portaci il vino, cameriera! 

Ferid ad nobis mos, nosonnes multa site tenèmus! Portacelo subito, abbiamo tutti molta sete! 

Kiskis ìusset in unu makumbàlu est kerte malediktu et anatemizatu. Chiunque si rechi in un luogo pagano è senza dubbio maledetto e scomunicato.

Kikkid tu dikas non iunghet ad auriklas issoru. Qualunque cosa tu dica non arriva alle loro orecchie.

Kist fekit istu molku? Chi ha compiuto questo olocausto? 

sabato 9 agosto 2014

IL LESSICO DEL NEOLATINO DI GAFSA (RICOSTRUITO)

Nel lessico di base del neolatino di Gafsa si conservano numerosi arcaismi. Alcuni sono andati perduti al di fuori dell'Africa, altri si conservano tuttora in alcune aree della Romània. Si trovano anche vocaboli che conservano il loro significato primitivo, avendo subito slittamenti semantici altrove. In altri casi ancora è il tema della parola ad essere arcaico.

abe, uccello < lat. ave(m)
(cfr. spagnolo ave id.)
anniklu, vitello di un anno < lat. anniculu(m)
(cfr. romancio anugl, montone)
àssere, oca < lat. ansere(m)
bellu, guerra < lat. bellu(m)
bentre, pancia < lat. ventre(m)   

bespru, sera < lat. vespru(m) 
bìtriku, patrigno < lat. vitricu(m)
bubulku, bovaro < lat. bubulcu(m) (italiano bifolco < *bi:fulcu(m),

    di origine italica)
bukka, guancia < lat. bucca(m)
eka, giumenta < lat. equa(m)
   (cfr. spagnolo yegua id., sardo logudorese ebba
eku, cavallo < lat. equu(m)
ekullu, cavallino < lat. equuleu(m) 

ezòlu, capretto < lat. haediolu(m) (cfr. romancio anzöl id.) 
kèrebru, cervello < lat. cerebru(m)
kuna, culla < lat. cu:na(m)
mankìppiu, servo < lat. mancipiu(m)  

metu, paura < lat. metu(m) 
mure, topo < lat. mu:re(m)
muskerda, escrementi di topo < lat. mu:scerda(m)
noberka, matrigna < lat. noverca(m)
nuru, nuora < lat. nuru(m)
obikla, pecora < lat. ovicula(m)
   (cfr. spagnolo oveja id.) 
òkkiput, nuca < lat. occiput
os, bocca < lat. o:s
pèrpera, partoriente < lat. puerpera(m)
pribinna, figliastra < lat. pri:vigna(m)
pribinnu, figliastro < lat. pri:vignu(m)
subulku, porcaro < lat. subulcu(m)
sue, scrofa < lat. sue(m)
   (cfr. sardo logudorese sue id.)
suile, porcile < lat. sui:le
suillu
, porco < lat. suillu(m)

Numerosissimi vocaboli suonano in modo molto simile all'italiano:

balena, balena < lat. ballaena(m) 
berme, verme < lat. verme(m)
bespa, vespa < lat. vespa(m)
dente, dente < lat. dente(m)
fronte, fronte < lat. fronte(m)
kampu, campo < lat. campu(m)
kane, cane < lat. cane(m)
kapra
, capra < lat. capra(m)
kastu, casto < lat. castu(m)
kolle, colle < lat. colle(m)
kollu, collo < lat. collu(m)
krabrone
, calabrone < lat. crabro:ne(m) 

dannu, danno < lat. damnu(m)
iunku, giunco < lat. iuncu(m)
lamna
, lamina < lat. la:mina(m)
lumbrìku, lombrico < lat. lumbri:cu(m)
luna, luna < lat. lu:na(m)
lupu
, lupo < lat. lupu(m)
mare
, mare < lat. mare
mente, mente < lat. mente(m)
monte, montagna < lat. monte(m)
ossu, osso < lat. ossu(m), per os (1) 
pala, pala < lat. pa:la(m)
palu, palo < lat. pa:lu(m)
pede, piede < lat. pede(m)
ponte, ponte < lat. ponte(m)
sale, sale < lat. sale(m)
sekùre, scure < lat. secu:re(m)
skarafazu, scarafaggio < lat. *scarafa:iu(m) (2)
sole, sole < lat. so:le(m)
sorte, sorte < lat. sorte(m)
sonnu, sonno < lat. somnu(m) 
stella, stella < lat. ste:lla(m)
tèrmite, tarlo < lat. termite(m)
terra, terra < lat. terra(m)
umblìku, ombelico < lat. umbili:cu(m)

(1) Agostino usava ossum quando predicava, per paura che le folle confondessero os con la parola che significa bocca, perché "Afrae aures de correptione vocalium vel productione non iudicant" (De Doctrina Christiana, 4, 10, 24).
(2) Il termine è di origine osca e corrisponde regolarmente al nativo scarabaeu(m).

Sono eminentemente latini i termini relativi all'agricoltura:

abena, avena < lat. ave:na(m) 
aratiba, terra arabile < lat. ara:ti:va(m)
aratore, aratore < lat. ara:to:re(m)
aratre, aratore < lat. ara:tor
aratru, aratro < lat. ara:tru(m)
aratzo, aratura < lat. ara:tio:
bòmere, vomere < lat. vo:mere(m)
faba, fava < lat. faba(m)
fasòlu, fagiolo < lat. phaseolu(m)
frumentu, frumento < lat. fru:mentu(m)
granu, grano < lat. gra:nu(m) 
kentènu, segale < lat. cente:nu(m)
kombustu, campo bruciato < lat. combu:stu(m)
iugu, giogo < lat. iugu(m)
lentitta, lenticchia < lat. *lentitta(m), per lente(m)
millu, miglio < miliu(m)
orzu, orzo < lat. hordeu(m)
semnare, seminare < lat. se:mina:re
sulku, solco < lat. sulcu(m)
suzugare, fissare al giogo < lat. subiuga:re
sùzugu, fissato al giogo < lat. subiugu(m)
temone, timone del carro < lat. te:mo:ne(m)

Anche l'apicoltura ha tratto il suo lessico da Roma:

àlbiu, celletta < lat. alveu(m)
apikla, ape < lat. apicula(m)
appiaru, alveare < lat. apia:riu(m)
appiaru, apicultore < lat. apia:riu(m)
fabu, favo < lat. favu(m)
kera, cera < lat. ce:ra(m)
mulsu
, vino mielato < lat. mulsu(m)

Interessanti sono i vocaboli relativi alla viticoltura, tutti di origine latina:

aketu, aceto < lat. ace:tu(m)
àkina, uva < lat. acina
   (f. coll., cfr. sardo logudorese àghina, àniga id.)
binaru, venditore di vino < lat. vi:na:riu(m) 
binu, vino < lat. vi:nu(m)
binza, vigna < lat. vi:neam
   (sardo logudorese binza id.)
bite, vite < lat. vi:te(m)
kaupo, oste < lat. caupo:
kaupones, osti < lat. caupo:ne:s
kellaru, cantina < lat. cella:riu(m)
lora, vino annacquato < lat. lo:rea(m)
mustu, mosto < lat. mustu(m)
pàmpinu, pampino < lat. pampinu(m)
uba
, uva < lat. u:va(m) 
temètu, vino forte < lat. te:me:tu(m)
torklu, torchio < lat. torculu(m)
trazektoru, imbuto < lat. traiecto:riu(m) 

Si noti che il latino caupo, perduto altrove nella Romània, fu popolarissimo tra i Germani.

Questi sono alcuni termini relativi all'economia:

arghentzu, argenteo < lat. argenteu(m)
aru, aureo < lat. aureu(m)
assaru, moneta da un'unità < lat. assa:riu(m)
dinaru
, denaro < lat. de:na:riu(m)
dramma, dracma < lat. drachma(m)
eràmine, moneta di rame < lat. aera:men
kintu, moneta da un quinto, quintino < lat. quintu(m)
   (cfr. gotico kintus, centesimo < lat.)
kommertzu, commercio < lat. commerciu(m)
merkatore
, mercante < lat. merca:to:re(m)
merkatre, mercante < lat. merca:tor
moneta
, moneta < lat. mone:ta(m)
pondus, libbra < lat. pondus
soldu aru, zecchino d'oro < lat. solidu(m) aureu(m)
untza, oncia < lat. uncia(m)

Si noti che aru "aureo" si contrappone ad auru "oro": la semiconsonante -e- deve aver influito nel semplificare il dittongo.

Aggettivi di base:

altu, alto < lat. altu(m)
baldu, forte < lat. validu(m)
bassu, basso < lat. bassu(m)
beklu, vecchio < lat. *vetulu(m)
beru, vero < lat. ve:ru(m)
brebe, corto < lat. breve(m)
bonu, buono < lat. bonu(m)
essìgu, minuscolo < lat. exiguu(m)
falsu
, falso < lat. falsu(m)

formu
, tiepido < lat. formu(m) 
friktu
, freddo < lat. fri:gidu(m)
gheldu
, gelido < lat. gelidu(m)
grabe
, pesante < lat. grave(m)

iùbene
, giovane < lat. iuvene(m)
kaldu
, caldo < lat. calidu(m)
keku, cieco < lat. caecu(m)
largu, largo < lat. la:rgu(m)
lebe, leggero < lat. leve(m) 
letu, fecondo < lat. laetu(m)
longu
, lungo < lat. longu(m)
malu
, cattivo < lat. malu(m)
mannu, grande < lat. magnu(m)
mezòkre, piccolo < lat. mediocre(m)
mutu, muto < lat. mu:tu(m)
pusillu, piccolo < lat. pusillu(m)
sanu, intero < lat. sa:nu(m)
tene, minuscolo < lat. tenue(m)
turpe, brutto < lat. turpe(m)
surdu, sordo < lat. surdu(m)

Esistono alcuni comparativi sintetici, ma nella maggior parte dei casi si ottengono tramite perifrasi, preponendo maghis "più" o minus "meno":

altzore, più alto < altio:re(m)
minore, minore < lat. mino:re(m)
mazore, maggiore < lat. ma:io:re(m)
pezore, peggiore < lat. pe:io:re(m)
senzore, più vecchio < senio:re(m)

maghis largu, più largo
minus largu, meno largo
maghis longu
, più lungo
minus longu, meno lungo

Esistono anche alcuni superlativi antichi, che però non possono essere usati come meri accrescitivi:

màssimu, il più grande < lat. maximu(m) mìnimu, il più piccolo < lat. minimu(m)
òktimu, il più buono < lat. optimu(m) pèssimu, il più cattivo < lat. pessimu(m)

Questi sono i nomi dei colori:

albu, bianco < lat. albu(m) 
birde, verde  < lat. viride(m)
flabu, giallo < lat. fla:vu(m)
fulbu, giallo scuro  < lat. fulvu(m)
fusku, marrone  < lat. fuscu(m)
gàlbinu, giallo chiaro  < lat. galbinu(m)
glauku
, azzurro < lat. glaucu(m)
kerullu, azzurro  < lat. caeruleu(m)
kesu, blu < lat. caesiu(m)
kineratzu, grigio chiaro  < lat. cinera:ceu(m)
lutzu, giallo < lat. luteu(m)
nigru
, nero < lat. nigru(m)
pullu, rosso scuro  < lat. pullu(m)
purpùru, purpureo  < lat. purpureu(m) 
rubru, rosso  < lat. rubru(m)
rufu
, fulvo < lat. ru:fu(m)
rabu, grigio  < lat. ra:vu(m)

Questi sono i nomi dei giorni:

Zie Lunis, Zilunis, Lunedì
Zie Martis, Zimartis, Martedì
Zie Mèrkuris, Zimèrkuris, Mercoledì
Zie Iobis, Zizòbis, Giovedì
Zie Bèneris, Zibèneris, Venerdì
Sàbbatu, Sabato
Dominka, Domenica

Appare evidente che le uscite dei giorni da Lunedì a Venerdì, in origine genitivi, hanno subito sincretismo, facendo prevalere un'uscita in -is nata dall'influenza di lat. -is (Dies Martis, Dies Iovis, Dies Veneris) su lat. -ae (Dies Lunae) ed -i (Dies Mercurii).

Questi sono i nomi dei mesi:

Ianaru, Gennaio < lat. Ianua:riu(m)
Febraru, Febbraio < lat. Februa:riu(m)
Martzu, Marzo < lat. Ma:rtiu(m)
Aprile, Aprile < lat. Apri:le
Mazu, Maggio < lat. Ma:iu(m)  

Iunzu, Giugno < lat. Iu:niu(m)
Iullu, Luglio < lat. Iu:liu(m)
Agustu, Agosto < lat. Augustu(m)
Sektembre
, Settembre < lat. Septembre(m)
Oktombre, Ottobre < lat. Octo:bre(m)
Nobembre
, Novembre < lat. Novembre(m)
Dekembre, Dicembre < lat. Decembre(m)

Molte parole sono state ereditate dal latino dotto, che a sua volta le ha prese dal greco. Il suffisso -ia - che in greco portava l'accento - è diventato atono, a differenza di quanto è accaduto in italiano. Il dittongo eu presente soltanto in parole di questa origine, è stato ridotto a un semplice e

abbestu, amianto; salamandra < lat. *asbestu(m), per asbeston
   (acc.) 
aiògrafa
, agiografia < lat. hagiographa (pl.)
armonza, bellezza < lat. harmonia(m)
artzàtre, medico < lat. archia:ter 
asfaltu, bitume < lat. asphaltu(m)
baktizare, battezzare < lat. baptiza:re
baktismu, battesimo < lat. baptismu(m)
blasfèmu, bestemmiatore < lat. blasphe:mu(m)
butirru, burro < lat. bu:ty:ru(m)
demonzu, demonio < lat. daemonium
ekarìssa
, eucaristia < lat. eucharistia(m)
ènniku, pagano < lat. ethnicu(m)
enukizare, castrare < lat. eunu:chiza:re
enùku, eunuco < lat. eunu:chu(m)
erèsa, eresia < lat. *haeresia(m), per haeresi(m)
fantàsa, fantasia < lat. phantasia(m)
filosòfa, filosofia < lat. philosophia(m) 
filosfu, filosofo < lat. philosophu(m)
krismare, cresimare < lat. chrisma:re
krisma, cresima < lat. chrisma
poèma, poema < lat. poe:ma 
poèsa, poesia < lat. *poe:sia(m), per poe:si(m) 
sfera, sfera celeste < lat. sphaera(m) 
simonza, simonia < lat. *simo:nia(m) 
simonzàku, simoniaco < lat. simo:niacu(m)
sinfonza, zampogna < lat. symphonia(m)
sodonza
, sodomia < lat. *sodomia(m)
zalektu
, vernacolo < lat. dialectu(m)
zàlogu
, discorso < lat. dialogu(m)

Il latino gergale delle prime comunità cristiane ha anche lasciato il suo segno:

kaktibu, indemoniato < lat. crist. capti:vu(m) <Diaboli:> (ossia
   "prigioniero del Diavolo")
persona, persona, tipo < lat. crist. perso:na(m) 
   (ossia "maschera"

tartaruka, tartaruga < lat. crist. *tartaru:cha(m) (ossia "abitatrice
   degli Inferi"
)
zie natale, il giorno della morte < lat. crist. Die(m) Na:ta:le(m)
   (ossia "nascita nel Regno dei Cieli")

Da kaktibu deriva kaktibitate, che indica la possessione diabolica.

Il nesso sf in queste parole ha una consonante bilabiale, un po' diversa da f, e in alcune varietà della lingua è rimpiazato a sp: spera, blaspèmu, aspaltu.

Elementi di sostrato, adstrato e superstrato

Esistono nel neolatino di Gafsa interessanti vocaboli risalenti al sostrato neopunico. La cosa non deve stupire: ancora Agostino di Ippona ci dice che ai suoi tempi la lingua punica era ancora in uso e che proprio i territori in questione ne erano la culla ancora calda. Di questi lemmi, soltanto due o tre sono sopravvissuti anche in sardo.

abadiru, meteorite < pun. abaddir, abadir id. 
alma, ragazzina < pun. alma, vergine (glossa)
Baldiru, Satana < pun. Baladdir, Baladir, Baal 
Balu, Satana < pun. Bal, Baal
bibbàlu, tempio pagano < pun. *beth-bal, *bith-bal, casa di Baal
kesàru, elefante < pun. kaisar id. (glossa)
kurma, ruta d'Aleppo < pun. churma id. (glossa)
(sardo nuorese kurma, kùruma id.)
makumbàlu, luogo dei pagani < pun. *maqom-bal, luogo di Baal 
minkàdu, capotribù berbero < pun. mynkd /min'kad/, sovrano
mintziktu, sepolcro < pun. mynsyfth id.
molkomòru, rito satanico < pun. molchomor, sacrificio di un
   agnello (iscrizioni di N'Gaous)  
molku, rito satanico < pun. molch, fen. mlk /molk/, olocausto
sikkìra, aneto < pun. *sichiria id.
(cfr. sardo zikkiria, zikkidia id.)

zìbbire, rosmarino < pun. zibbir id. (glossa)
(cfr. sardo campidanese zìppiri id.) 

I plurali di questi nomi si formano quasi sempre in modo regolare, ma alcune voci come molkomòru e molku sono ascritti ai nomi della IV declinazione latina:

bibbàlos, templi pagani
kesàros, elefanti
makumbàlos, luoghi dei pagani
minkàdos, capitribù berberi
molkomòrus, riti satanici 
molkus, riti satanici.

Una parola di chiara origine latina trova corrispondenza nelle iscrizioni neopuniche:

kentenara, fattoria : neopunico centenaria id., < lat. cente:na:ria(m)

Il termine in orgine si riferiva a fattorie fortificate, chiamate così perché costruite per resistere agli assalti delle popolazioni numidiche (berbere), e quindi idealmente per durare cent'anni. Meno probabile la derivazione dal latino cente:num "segale", coltura che a quanto pare era molto diffusa nell'Africa Romana.

Alcuni celtismi già diffusi nel latino dell'Impero sono presenti:

benna, cesta < lat. benna(m) < celt. *benna:
bira, anello < lat. viria(m) < celt. *wiria:
dusu, folletto, jinn < lat. du:siu(m) < celt. *du:sio-
ghesu, giavellotto < lat. gaesu(m) < celt. *gaiso-
kamìsa, camicia < lat. camisia(m) < celt. *kamisia:
karpentu, carro coperto < lat. carpentu(m) < celt. *karbento-
karru, carro < lat. carru(m) < celt. *karro-
kerbìsa, birra < lat. cervi:sia(m) < celt. cis. *ker(e)wi:sia:
segùsu, segugio < lat. segu:siu(m) < celt. lig. *segu:sio-

Una delle maggiori differenze con il vocabolario della lingua italiana sta nell'assenza di quel rinnovamento che ha portato moltissime parole come "bianco", "guerra", etc. Si trovano ben pochi germanismi, che discendono quasi tutti dalla lingua germanica orientale dei Vandali, che era una varietà della lingua dei Goti. 

maunire, ammannire < got. manwjan, preparare 
(cfr. sardo logudorese maunire)
melka, latte acido < lat. volg. melca, latte speziato, cfr. got. miluks, latte
(cfr. sardo nuorese merka, miscuglio cotto di latte fresco ed acido)

Si notano infine numerosi prestiti dall'arabo, spesso relativi alla religione islamica e alle istituzioni:

balla, è così < ar. wallah
Emiru, Emiro < ar. 'ami:r
Islamu, Islam < ar. Isla:m
kafiru
, pagano < ar. ka:fir
Kalifu, Califfo < ar. Khali:f
Kuranu, Corano < ar. qur'a:n
Mammadu, Maometto < ar. Muḥammad
matzida, moschea < ar. masjid
Mezinu, muezzin < ar. mu'aḏḏin
muslimu, musulmano < ar. muslim
Sittanu, Satana < ar. Shaiṭa:n
Sultanu, Sultano < ar. Sulṭa:n
Ziadu, Jihad < ar. jiha:d

Alcuni termini di abuso di uso comune sono pure stati tratti da termini arabi:

allufu, porco < ar. nordafr. ḥallu:f
aramu, peccaminoso < ar. ḥara:m
kàbalu, effeminato, travestito < ar. khawal  
kiziru, porco < ar. khinzi:r
marramu, cosa vietata < ar. muḥarram
sarmuta, puttana < ar. sharmu:ṭa

Ascoltando i suoni di questa conlang si compie quasi un viaggio a ritroso nel tempo e si comprendono le osservazioni di coloro che viaggiando a Gafsa hanno riportato che la lingua parlata in quel luogo era una latinità quasi integra, virante alla lingua sarda, oppure che era una una varietà di italiano poi deviata a causa della vicinanza con popoli di lingua araba.