domenica 11 gennaio 2015

IL CASO MARUSINI

Nell'introduzione di Giulio Paulis al libro La lingua sarda: storia, spirito e forma, di Max Leopold Wagner (pagg. 21-23) si leggono alcune interessanti considerazioni a proposito del bizzarro termine sardo marusini "eco", riportato da Giovanni Spano nel suo Vocabolario sardo geografico, patronimico ed etimologico (Cagliari, 1873):

Come si vede, non era né agevole né troppo sicuro recarsi all’epoca in località quali Urzulei per condurvi inchieste linguistiche. Eppure Wagner, che si definiva abenteuerlustig (desideroso di avventure), andò ovunque, controllando e integrando i dati dello Spano. Così, per esempio, proprio a proposito di Urzulei, lo studioso bavarese volle verificare, tra l’altro, se il vocabolo maruṡíni, dato per quel paese col significato di ‘eco’ nella raccolta lessicografica dello Spano, fosse confermato oppure no. La strana struttura del termine, differente da quella delle parole di tradizione latina o neolatina, e il sapere che Urzulei era uno dei centri più selvaggi di tutta l’isola, fecero smarrire per un po’ la sua fantasia «negli andirivieni dell’etimologia preistorica», insinuandogli il sospetto di avere a che fare con un prezioso relitto del sostrato paleosardo. Decise di occuparsene.

Correva l’anno 1905 quando un giorno gli accadde di trovarsi a Ulassai per compiervi dei rilevamenti sulla fonetica locale, che poi sarebbero confluiti in un libro pubblicato nel 1907, e non volle perdere l’opportunità di visitare la celebre grotta del paese. Lo accompagnava un giovane del luogo, che al ritorno, mentre attraversavano il labirinto di rocce che circonda il paese, volle fargli udire l’eco che si ode distintamente in quel sito. Wagner gli domandò come si chiamasse l’eco nel dialetto del paese e la risposta fu: «su maruṡíni». La scena che seguì fu così descritta dallo stesso Wagner in una pagina del già citato contributo su “Gli elementi del lessico sardo” (p. 409):

Io restai confuso, perché non mi ero aspettato di trovare il vocabolo qui ad Ulassai, così lontano da Urzulei, ma pensai fosse uno di quei vocaboli molto più diffusi di quel che non indichi lo Spano. Il mio compagno però, vedendo la mia sorpresa aggiunse: «Si dice così, perché questa località si chiama Mar’e Usini (mara (d)e Usini) e perché l’eco è più splendido qui che in nessun altro posto». Non potei dubitare della giustezza di quest’etimologia: avevo davanti a me il paese Usini che sta dirimpetto ad Ulassai, e più vicino ancora quel che i Sardi chiamano una mara, e l’eco non mancava nemmeno. Era dunque da vedere se veramente quest’espressione che si spiegava così bene qui colla località, si usava anche ad Urzulei. Domandavo in tanti paesi come si dicesse per ‘eco’; dappertutto mi si disse che non c’era altro vocabolo che ecu all’italiana, o non si sapeva neanche cosa fosse. Ad Urzulei poi si diceva ecu lo stesso e marusini non era noto a nessuna delle tante persone che interrogai. La sigla Urz. nello Spano sarà dunque una confusione con quella di Ulassai e non è l’unica nel Vocabolario.

Wagner trasse la conclusione che quando si tratta di attribuire a un vocabolo sardo un’origine preromana occorre grande prudenza e che è meglio pronunziare, dato il caso, un franco ignoramus piuttosto che abbandonarsi a speculazioni indimostrabili. Infatti, se è vero che la linguistica è un potente strumento d’indagine storica, e anzi talvolta costituisce l’unico mezzo di cui disponiamo per ricostruire aspetti del passato più o meno lontano, non è lecito far dire alle parole ciò che esse non possono dirci né chiedere alla linguistica più di quanto essa possa dare.

Non concordo appieno con queste conclusioni sull'impotenza della linguistica, pur essendo consapevole dei rischi che il tentativo di etimologizzare voci oscure ed isolate inevitabilmente comporta. Sono infatti convinto che se la linguistica non può dare qualcosa oggi, la potrà dare domani. In fondo, lo stesso Wagner non si è dato per vinto, è partito dall'esperienza applicando una logica ferrea, ed è così riuscito a gettare un po' di luce su una parola che altrimenti sarebbe stata priva di qualsiasi spiegazione. 

INGLESE AMERICANO MEESE 'ALCI': UNA PECULIARE FORMA PLURALE METAFONETICA

Nell'inglese degli Stati Uniti è di uso corrente il termine moose /mu:s/ "alce (americano)", che suona come mousse e provieme da una lingua algonchina: Cree mōswa, Massachusett moos, Abenaki moz, Penobscot mos, Narragansett moos, tutte da una protoforma *moo-swa, che letteralmente significa "animale che spoglia gli alberi della corteccia", con riferimento al modo in cui l'alce si nutre.

Il plurale corretto di moose in inglese americano è moose (arcaico mooses), ma è in auge anche la forma metafonetica meese, che non ha alcuna giustificazione, perché non si tratta di una formazione tipica delle lingue algonchine.

Com'è potutto accadere questo? Semplice: a partire dalla voce ereditata goose "oca" (< proto-germanico *gans(uz), cfr. anglosassone gōs, norreno gás), che ha il plurale geese (< proto-germanico *gansiz, cfr. anglosassone gēs, norreno gǽss). Il plurale meese si deve a qualcuno che senza saperlo ha trapiantato la storia di una parola ad un'altra la cui forma singolare suona e si scrive in modo simile. Lo spelling deve aver giocato un ruolo determinante: nessuno si sognerebbe mai di produrre un plurale metafonetico di mousse. La genuina forma plurale algonchina è invece moosinee, che si è cristallizzata nel toponimo Mosinee Creek, nella Contea di Gogebic. 

Queste formazioni analogiche non sono così inusuali. Il plurale corretto di shaman "sciamano" è shamans, ma si trova in uso anche shamen, come se la parola fosse un composto di man "uomo". Lo stesso Isaac Asimov da giovane era stato tentato di formare il plurale di can "lattina" in modo irregolare come cen (che si suppone pronunciasse /ken/), a partire da man "uomo", che ha plurale men. In un suo saggio si domandava stranito perché un simile plurale dovrebbe essere scorretto. Avrei voluto scrivergli:

"Carissimo Isaac, a proposito dei tuoi dubbi sul plurale di can, quanto lamenti succede perché man è dall'anglosassone mann (< proto-germanico *mannaz), il cui plurale è menn (< proto-germanico *manniz), mentre can deriva dall'anglosassone canne "recipiente", di genere femminile, con plurale cannan. Si vede chiaramente che i due paradigmi sono diversi. In ultima istanza la parola canne potrebbe discendere da un prestito dal latino canna avvenuto già nel germanico comune." 

Purtroppo il luminare ashkenazita era già morto e non ho potuto fargli pervenire questa risposta.

martedì 6 gennaio 2015


  CORPI SPENTI

Autore: Giovanni De Matteo
Editore: Mondadori (Urania n. 1607)
Pubblicazione: Giugno 2014

Trama (da MondoUrania):

Nel 2049 sono cominciate le operazioni della Sezione Investigativa Speciale di Polizia Psicografica, un gruppo di agenti che possono estrarre informazioni dai morti, recuperandone la memoria. Sono i necromanti e il loro uomo di punta, Vincenzo Briganti, ha risolto nel 2059 il caso battezzato ufficiosamente Post Mortem (ma pubblicato su "Urania" come Sezione P greco). Ora siamo nel 2061, anno del bicentenario dell'Unità Italiana, e la Bassitalia sta per secedere dal resto del paese "come una coda di lucertola" Sulla manovra gravano pesanti ipoteche, perché qualcuno pensa di trasformare il Territorio Autonomo del Mezzogiorno in una vera e propria riserva di caccia per i signori della nuova società feudale. Briganti e i suoi colleghi avranno poco meno di un mese per scoprire tutti gli intrighi ed evitare che il Territorio si trasformi in un ghetto tecnologico per schiavi del lavoro... o molto peggio.

Recensione:

Ho letto diverse recensioni online di questa splendida opera, ma un dettaglio non da poco sembra essere sfuggito ai critici: Corpi Spenti è pervaso da pura poesia connettivista, densissima. Ci sono frasi che racchiudono in sé un intero universo. Mondi collassati, compatti come stelle di neutroni, concentrati in poche parole. Non mancano le parentesi visionarie, come ad esempio il brano intitolato "Sulle ali membranose del passato", in cui il Blue-K nebulizzato fa emergere baluginanti ricordi dell'epoca degli Hittiti. Nella complessa architettura della narrazione si resta col fiato sospeso.

L'ambientazione è quella di una civiltà terminale, sempre più vicina al collasso ecofagico. Ogni cosa si disfa e tende alla rovina. L'entropia dilagante non può essere combattuta, ogni tentativo di riorganizzare il vecchio ordine ormai decaduto minaccia di risolversi in un disastro. Rispetto all'epoca dei fatti narrati in Sezione Π2, la situazione politica e sociale si è notevolmente degradata. L'autore sa comunicare molto bene questo senso di autolisi, che trasuda da ogni pagina.   

Corpi Spenti è in tutto e per tutto un romanzo profetico. È stato detto che gli orrori di cui tratta sono una denuncia dei crimini che con orrendo neologismo i mass media chiamano "femminicidi". In realtà questo è il futuro che avanza, portando con sé sviluppi raccapriccianti come ad esempio la produzione su vasta scala degli atroci filmati di torture conosciuti come "snuff". A mio avviso non è affatto necessario pensare che il romanzo intenda fornire una semplice lezione morale facendosi lineare interprete del presente e criptandolo in qualche modo tra le sue righe. Siamo invece di fronte a purissima fantascienza distopica, all'applicazione di un algoritmo ipercomplesso che proietta il presente nel futuro facendo evolvere i dati di input.

I detrattori di questo capolavoro forse non hanno capito che descrivere un futuro raggelante non significa esserne fautori e tesserne le lodi. Farebbero bene a tornare all'asilo e a imparare tutto da zero: ad esempio non bisognerà trascurare di spiegar loro che se un autore descrive un omicidio non significa affatto che ne faccia l'apologia.

SEZIONE Π2

Autore: Giovanni De Matteo
Editore: Mondadori (Urania n. 1528)
Pubblicazione: Novembre 2007
Vincitore del Premio Urania 2006
Altri titoli: Post Mortem

Trama (da MondoUrania):

"Questa è una storia raccolta dalle voci dei morti, in presa diretta dalla Singolarità..." Siamo a metà del XXI secolo, la curva dello sviluppo tecnologico è schizzata verso l'alto, come impazzita. Una cosa è certa, il mondo è sull'orlo di un abisso In una metropoli italiana che stentiamo a riconoscere, violenza e omicidi hanno raggiunto proporzioni inimmaginabili. Per questo esistono uomini come Vincenzo Briganti, investigatore hard-boiled stile classico, con più di un macigno sulla coscienza. E per questo i casi più atroci li affidano a lui, in modo che interroghi i morti. Solo alle vittime puoi strappare il segreto che le ha annientate, solo assumendo il Blue-K puoi farlo. Ma non è un gioco per tutti: per giocarlo devi essere necromante della Π2, la Sezione Investigativa Speciale di Polizia Psicografica Pi-Quadro.

Recensione:

Questo romanzo parla di biologia e di fantabiologia, di fisica e di fantafisica, di neurologia e di fantaneurologia, di medicina e di fantamedicina, di psichiatria e di fantapsichiatria, di antropologia e di fanta-antropologia, di filosofia e di fantafilosofia, esplorando scenari di estremo interesse. 

Una domanda risuona senza sosta, mettendo il lettore davanti alla consapevolezza della propria finitudine: "Qualcosa sopravvive alla morte?" Non viene data una risposta concreta, ma si capisce bene che le memorie estratte dai cervelli dei morti sono soltanto spettri di flussi sinaptici estinti e non costituiscono la sopravvivenza del loro essere. Tutto ciò aggiunge ancor più inquietudine, come se si aprissero le porte di un mondo di tenebre e di mistero.  

Concetto portante dell'opera è la Singolarità Tecnologica, intesa come punto oltre il quale Alice entra nello specchio e viene meno la capacità umana di comprendere gli sviluppi della tecnologia e del progresso scientifico in accrescimento esponenziale. Quando tale Singolarità si instaura, ogni cosa diventa irriconoscibile, non può più essere colta nella sua interezza dalle menti di chi la subisce. 

Si nota un tangibile influsso delle visioni apocalittiche di Lovecraft, che trova la sua apoteosi nella descrizione della Cattedrale di Ossa, un omphalos dell'Orrore Cosmico che io stesso ho visitato nei miei incubi e da cui ho tratto ispirazione: certi luoghi che si trovano al di là del mondo sensibile sono dotati di una propria esistenza, indipendente dall'essere di chi ha la ventura di percepirli. Sempre all'opera di Lovecraft si ispira il personaggio di Rundolph Carter, che ricorda il famoso Randolph Carter del Ciclo dei Sogni.

Il mistero del tumore al cervello del Commissario pone angoscianti interrogativi: è possibile che i meccanismi più profondi che generano il cancro possano resistere persino alle più sofisticate nanotecnologie della Singolarità e continuare ad affliggere gli umani? È evidente che la risposta è affermativa. Un naturale processo di adattamento che pochi hanno postulato nelle loro opere.

Non si hanno tuttavia soltanto meccanismi di resistenza biologica alla Singolarità: anche una parte della società tende ad opporsi a questo meccanismo che tutto travolge, divora e trasforma in modo incontrollabile. Ne è un esempio la Cabala di San Tommaso, una setta pseudognostica fondata sull'Ermetismo, che rappresenta il tentativo di combattere la Singolarità: è in tutto e per tutto l'equivalente antropologico del tumore del Commissario.

domenica 4 gennaio 2015


BABEL-17 

Autore: Samuel R. Delany
Titolo originale: Babel-17
Anno: 1966
Classici Urania, Gennaio 1988

Trama (da MondoUrania):

La guerra galattica fra l'Alleanza terrestre e gli Invasori dura ormai da molti anni, e nessuno sta vincendo. Quando però l'Alleanza si trova a dover fronteggiare un'arma terribile e sconosciuta, una lingua capace di provocare attentati e sabotaggi, l'unica via di salvezza può consistere in una contromossa inaspettata: affidare a una poetessa, Rydra Wong, il compito di risolvere l'enigma di Babel-17 e di porre fine ai suoi effetti micidiali. Sarà solo l'inizio di una incredibile avventura fra le stelle, sotto la minaccia di una lingua che può uccidere e fra i pericoli di un universo forse troppo vasto per l'uomo, in un romanzo magistrale che è valso al suo autore un prestigioso premio Nebula.

Recensione: 

Avevo grandissime aspettative su questo libro, di cui tutti mi avevano detto mirabilia. In particolare, mi entusiasmava il fatto che l'argomento del romanzo fosse una lingua immaginaria. Quando sono riuscito a procurarmene una copia ero felicissimo. Tuttavia durante la lettura si sono presentate difficoltà e sono rimasto molto deluso. Pubblico alcune mie osservazioni sull'argomento.

Sono arrivato a poco più della metà di Babel-17 di Delany, e ho potuto constatare che contiene alcuni gravissimi errori. In "antico moresco" (ossia in arabo), "Jebel" è la montagna, e Tarik (o meglio Tariq) è un antroponimo, così "Jebel Tarik" significa "montagna di Tarik" (quella che conosciamo come Gibilterra). Non vale il contrario, come invece Delany stolidamente sostiene. Non esiste una "montagna di Jebel". Forse egli non sa nulla della toponomastica di Sicilia, ove Mongibello vale alla lettera "Monte Montagna", essendo "gibello" proprio l'arabo "jebel". Sono queste cose a convincermi sempre più dell'importanza della rilettura finale e dell'editing: non esiste editore capace di scovare simili inconsistenze.

Mi è stato fatto notare che Delany è uno scrittore e non un linguista, e che quindi bisogna sorvolare sugli strafalcioni che compaiono nel suo romanzo. È anche vero che scriveva quando la rete non era ancora disponibile, ma l'errore di Jebel Tarik è talmente grossolano che ho avuto la tentazione di chiudere il libro e di non proseguire con la lettura. Mi sono detto: "D'accordo, proseguirò, se non altro per scoprire se Mollya finirà sodomizzata da Calli e da Ron". Pochi giorni dopo aver detto questo, ho avuto gravi problemi e ho smesso di leggere Babel-17, senza più riprenderlo.

A tutti i nativi digitali basterebbe una sana ricerca in Google per immunizzare dalle cazzate scritte da Delany in Babel-17. Egli parla di "dialetto basco", mentre in realtà si tratta di una lingua che con il castigliano non ha nulla a che vedere nella sua struttura e nel suo lessico di base. La lingua basca (Euskara) infatti è anteriore ai Romani e ai Celti, è anzi anteriore a qualsiasi gente indoeuropea. Così UR significa "acqua", SU significa "fuoco", ESKU significa "mano", OIN significa "piede", BIHOTZ significa "cuore", ARDO significa "vino", JAUN significa "signore", ANDRE significa "signora", ODOL significa "sangue", BEGI significa "occhio", SAGU significa "topo", OTSO significa "lupo", etc. È vero che i basco ha molti dialetti, spesso tra loro a malapena intelligibili, ma l'autore non fa riferimento a questo fatto. I casi sono due: o si basa sulla vecchia ideologia che impone di etichettare come "dialetto" ogni lingua minoritaria, oppure non conosce nulla sull'argomento.

Si trovano altre informazioni non corrette tra le pagine del romanzo. Ad esempio a pag. 103 si legge:

"Le lingue degli indiani d'America mancavano addirittura della nozione di numero. Tranne per la lingua dei Sioux, dove esisteva un plurale solo per gli oggetti animati".

Se alcune popolazioni del Sudamerica, come i Nambiquara, sanno contare solo fino a due, è altresì vero che questa non è la regola tra le genti amerindiane. Posso garantire che la lingua Sioux (o per meglio dire Lakota, Dakota, etc.) non è la sola lingua amerindiana a distinguere il plurale. Per illustrare meglio il concetto riporto pochi esempi tratti da tre lingue: la lingua algonchina dei Cree, la lingua degli Aztechi (Nahuatl) e la lingua incaica (Quechua o Runasimi).

Cree (plurali animati in -ak, inanimati in -a)

atimwa "cane"
atimwak "cani"
awāsis "bambino"
awāsisak "bambini"
manitow "spirito"
manitowak "spiriti"
maskēk "palude"
maskēkwa "paludi"
maskisin "scarpa"
maskisina "scarpe"
mistik "albero"
mistikwak "alberi"
mostoswa "bisonte"
mostoswak "bisonti"
nitēm "il mio cavallo"
nitēmak "i miei cavalli"
nitik "lontra"
nitikwak "lontre"
pwāt "sioux"
Pwātak "i Sioux"
sīsīp "anatra"
sīsīpak "anatre"
wiyās "pezzo di carne"

wiyāsa "pezzi di carne"

Nāhuatl (plurali animati in -tin, -meh, possessivi in -huān)

cihuātl "donna"
cihuah "donne"
nocihuāuh "la mia donna"
nocihuāhuān "le mie donne"
oquichtli "uomo"
oquichmeh "uomini"
oquichtin "uomini"
moquichhui "il tuo uomo"
moquichhuān "i tuoi uomini"
pilli "bambino"
pipiltin "bambini"
īpil "il suo bambino"
īpilhuān "i suoi bambini"
teōtl "dio"
tēteoh "dèi"
toteōuh "il nostro dio"

toteōhuān "i nostri dèi"

I nomi inanimati possono rimanere invariati al plurale, ma spesso hanno una duplicazione, esprimendo così il concetto di varietà:

calli "casa"; "case"
cācalli "case"
(di un singolo villaggio)
cahcalli "diverse case"
icxitl "piede"
ihicxitl "vari piedi"
tetl "pietra"

tehtetl "diverse pietre", "diversi tipi di pietra"

Quechua (plurali in -kuna)

wasi "casa"
wasiq "della casa"
wasimanta "dalla casa"
wasikuna "case"
wasikunaq "delle case"
wasikunamanta "dalle case"
wasiy "la mia casa"
wasiypa "della mia casa"
wasiymanta "dalla mia casa"
wasiykuna "le mie case"
wasiykunaq "delle mie case"
wasiykunamanta "dalle mie case"
wasiyki "la tua casa"
wasiykiq "della tua casa"
wasiykimanta "dalla tua casa"
wasiykikuna "le tue case"
wasiykikunaq "delle tue case"
wasiykikunamanta "dalle tue case"
wasin "la sua casa"
wasinpa "della sua casa"
wasinmanta "dalla sua casa"
wasinkuna "le sue case"
wasinkunaq "delle sue case"
wasinkunamanta "dalle sue case"
wasinku "la loro casa"
wasinkuq "della loro casa"
wasinkumanta "dalla loro casa"
wasinkukuna "le loro case"
wasinkukunaq "delle loro case"

wasinkukunamanta "dalle loro case"

Ecco, costringerei volentieri Delany a cozzare con questi panorami di ipercomplessità inestricabile. Detto questo, Babel-17 è ben scritto e si fonda su un concetto originale, così mi impegno a rileggerlo giungendo fino in fondo e posterò quindi una nuova recensione, spero meno corrosiva e più attinente a trama e personaggi.

sabato 3 gennaio 2015

LA REALTÀ SOSTITUITA

Già ai tempi di Splinder si era posto il problema tutt'altro che ozioso dell'occupazione blogosferica. Così scrivevo su Esilio a Mordor (01/09/2009):

Mi è balenata in mente una questione splinderologica forse un po' oziosa. Se un utente cancella un blog, l'url corrispondente è all'istante disponibile per un portale nuovo creato da un utente diverso. Per fissare le idee, se nero.splinder.com dell'utente black viene cancellato, è sempre possibile che l'utente Puffo crei un blog del tutto diverso al quale dà come url proprio nero.splinder.com. Orbene, se io avessi questo nero.splinder.com nel blogroll e non facessi una costante manutenzione, mi troverei senza saperlo con un link non voluto. Un link che dà su uno spazio del tutto differente da quello da me scelto tempo prima. Mettiamo che il primo nero.splinder.com parlasse di pessimismo cosmico, ora potrei trovarmi un blog dedicato all'allevamento di canarini. Tutto questo ha ingenerato in me un flusso impetuoso di riflessioni mortificanti. Le sequenze di parole e di numeri sono come contenitori, il cui contenuto può mutare senza che neanche ce ne rendiamo conto. La realtà circostante rivela sempre più la sua degradazione, l'impietoso disfarsi di ogni parvenza di noumeno in gretto e transeunte fenomeno. Quello che oggi affligge il mondo virtuale, un giorno si estenderà ad ogni cosa: alle città, alle case, alle persone. Uno si renderà conto, stordito dalla sorpresa, che un suo conoscente non è altro che un vuoto simulacro, improvvisamente abitato da un'ontologia altra. Grasse larve bianchicce già rodono dall'interno gli esseri, umani, e alla fine rimarranno soltanto tracce di esistenza simulata per ingannare i nostri sensi. 

Ricordo il commento stizzito di Zorrokamikaze: "cr****, nero.splinder.com è in mano a uno schifoso fascista... avrei preferito i canarini".

Avendo notato che il gestore del portale era impegnato in una serrata diffusione di idee nataliste, così ho risposto: "Ho molto riflettuto su questo bizzarro caso, tra una soffiata di naso e l'altra. In buona sostanza detesto la spudorata propaganda procreativa, e mi sembra di capire che è comune a molti marxisti; or della fine i fanatismi politici di moda si equivalgono. Ho deciso: se cancella il blog mi prendo l'url e dedico il nuovo spazio ai ramarri"

OCCUPAZIONI NEL WEB

I blog e i siti personali sono come le case ALER: se uno li abbandona a se stessi rischia di trovare spiacevoli sorprese. Così all'url del vecchio blog del buon 7d9, Alphaville is burning, compare ora il portale di un certo Peter Parker, verosimilente un nerd foruncoloso. Nel suo profilo questo emulo dell'Uomo Ragno ha inserito un sinistro link dal titolo "Infantil videos" - in cui ovviamente è suggeribile non entrare: potrebbe trattarsi di innocui filmati delle elementari, ma anche di immagini atroci. Il sito di Ulver, ulverania.net, è stato preso da una vietnamita che scrive nella sua lingua lunghissimi post corredati da squallide immagini di bebè immersi in minuscole vasche da bagno. Va sempre ricordato che se uno cancella il proprio blog o smette di pagare un dominio, l'url può essere preso da chiunque, e non c'è modo di riaverlo: è più facile espellere una tribù di Rom balcanici da un camper rubato che riottenere il controllo di un indirizzo nel Web.

DEMONOCRAZIA

Il termine "democrazia" è una paroletta magica usata dai buonisti per perpetuare il loro potere. Si tratta di un'operazione necromantica: hanno convinto le masse che "democrazia" è sinonimo di "libertà" e di "giustizia", e così facendo ne hanno ottenuto il totale controllo. Questa è la dura realtà dei fatti: quello che chiamano "democrazia" è in realtà il brodo batterico della corruzione, come già chiarito da Edgar Allan Poe. Le masse, plagiate dalla scuola, ancora si baloccano con l'equazione "democrazia" = "libertà", mentre un mostruoso regime DEMONOCRATICO già le stritola nei suoi ingranaggi insanguinati, vessando ogni persona in ogni istante di ogni giorno di ogni mese di ogni anno. Non "democrazia" si dovrebbe dire, ma DEMONOCRAZIA.

IL LINGUAGGIO DEI POLITICANTI

Presso alcune popolazioni si credeva che i morti parlassero una lingua in cui categorie e significati delle parole subivano inversione: "grande" passa così a significare "piccolo" e viceversa, "nero" passa a significare "bianco", etc. I politicanti parlano certamente una lingua simile: per loro ridurre le tasse significa aumentarle, semplificare significa complicare fino all'impossibile, tagliare le spese significa far crescere il numero dei dirigenti superpagati e gonfiare i loro iniqui compensi.

GLI STRULDBRUG

Jonathan Swift, nel terzo libro dei Viaggi di Gulliver, narra che tra le genti di Luggnagg nascono alcuni individui, gli Struldbrug, con un segno sulla fronte, che li destina ad essere immortali. Quale sorte potrebbe essere più felice per uomini liberati dalla paura della morte, pieni di sapere, ricchi ed in grado di dedicarsi, senza affanni, a grandi scoperte o ad elevate considerazioni filosofiche? Eppure non è così, perchè gli Struldbrug "verso i trent’anni cominciano ad essere malinconici e sempre più lo diventano con il passare del tempo. Ad ottant’anni essi sono soggetti alle infermità ed alle debolezze degli altri vecchi, e a molte altre ancora, dovute alla prospettiva paurosa di non morire mai. Non solo sono testardi, fastidiosi, avidi, bisbetici, vanitosi, ciarlieri, ma anche incapaci di amicizia, e sordi ad ogni affetto naturale, che non supera mai i pronipoti. Sono divorati da due passioni: l’invidia ed i desideri impotenti. Ricordano soltanto ciò che hanno visto ed imparato nell’età matura, e questo pure in modo molto imperfetto. Quelli che rimbambiscono e perdono completamente la memoria sono i più fortunati, almeno circondati da pietà e da assistenza più degli altri, poiché non hanno gli stessi difetti. A ottanta anni vengono dichiarati civilmente morti; gli sposi (se sono entrambi immortali) si separano. A novanta perdono i denti e i capelli e non distinguono il sapore dei cibi. Quando parlano, non trovano più le parole e non possono nemmeno più leggere. Poiché la lingua si evolve, essi non la comprendono più. Conoscono pertanto l’afflizione di vivere da stranieri nel loro stesso paese."