Come disse Emil Cioran, un nemico è utile quanto un Bodhisattva. Certo, non mi entusiasma avere avversari che non leggono le mie argomentazioni per partito preso e che mi accusano di non portare argomentazioni, come se la mole delle parole da me scritte fosse nullità.
Non mi entusiasma neppure avere avversari che a quella che al massimo potrebbe essere definita "insinuazione di disonestà intellettuale" rispondono con ingiurie da osteria, anche di natura sessuale - e poi mi accusano di "offendere" se affermo a ragione che non è lecito confondere il latino con l'umbro o utilizzare il sanscrito per "dimostrare" una certa pronuncia del latino classico.
E che dire se questi danno prova di non capire i concetti della linguistica e di travisare, accusandomi poi di non capire, di travisare o addirittura di inventare? Che dire se questi inquinano e mi accusano di inquinare, se rovesciano su di me ogni errore che caratterizza la loro attività online?
La risposta è semplice: quello che i miei detrattori pensano di me è qualcosa a cui attribuisco minor valore di un pupazzetto di smegma, e me ne strafotto di tutte le ingiurie grossolane che mi possono vomitare addosso. Del fatto che non mi leggano, non me ne può fregar di meno - anzi è meglio, così non contaminano il mio portale con i loro sguardi.
Continuo tuttavia a scrivere e a controbattere per pubblica utilità, perché certe argomentazioni fallaci sono perniciose e possono trarre in inganno i navigatori, così vanno esposte in dettaglio, affinché appaiano per quello che sono: risibili.
Il dato di fatto, a mio avviso incontrovertibile, è che ai miei argomenti non sono opposte proposizioni sensate, ma le strategie dialettiche così ben descritte da Schopenhauer nella sua famosa opera L'arte di ottenere ragione (Eristische Dialektik - Die Kunst, Recht zu behalten).
Punto di partenza: il mio post "PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: COITUS E COETUS"
Prima fase. Alcuni farfugliamenti in risposta alle mie argomentazioni:
"“Coito” è stato introdotto in italiano come voce colta, esattamente come “ceto”. Sia coitus che coetus hanno la stessa origine da cum-eo(coëo), ma significati, scritture e pronunce diverse già in latino. Non ci sarebbe nulla di particolare neppure nell'avere diversi significati in due parole omofone o quasi, come ne esistono in ogni lingua. Nessuno confonde il miglio (pianta) con il miglio (misura), o la fiera (belva o mercato) se c'è un contesto. A me bastano le varianti cetera/caetera/coetera."
Ecco diversi passi in questa prima fase:
1) L'avversario riconosce che coitus e coetus hanno la stessa origine ma pronunce diverse;
2) L'avversario si contraddice subito dopo affermando che potrebbe invece trattarsi di omofoni e paragona la situazione delle due forme in analisi al caso di vocaboli dal suono identico con significati ed etimologie del tutto dissimili.
Deduzioni dalle proposizioni 1) e 2):
Le due affermazioni si contraddicono e non seguono un filo logico, ergo si tratta di farfugliamenti.
Le due affermazioni si contraddicono e non seguono un filo logico, ergo si tratta di farfugliamenti.
3) L'avversario non è in grado di spiegare in alcun modo perché le parole coitus e coetus avessero "scritture e pronunce diverse già in latino", e non sembra interessato ad enunciare ipotesi in proposito.
Conclusione sulla prima fase. Un'analisi di quanto detto dall'avversario mostra che con le sue parole non giunge ad affermare alcunché di utile. In altri termini, quanto da lui esposto ha lo stesso valore dello spam.
Fase seconda. Agisce la fallacia logica, quella che in linguaggio tecnico è chiamata argomento dell'uomo di paglia:
"Non so cosa pensa d'aver trovato, forse è convinto che il latino “poeta” venga tradizionalmente letto “peta”".
Ecco messa a nudo la sua procedura.
Premessa: visto che la pronuncia palatale della c- di coetus è incompatibile con la sua origine riconosciuta da cum e da eo, si cerca di nasconderla, di affermare che la pronuncia ecclesiastica in questo caso non ha alcuna palatale.
Tuttavia la parola coetus è pronunciata proprio /'četus/ nella tradizione ecclesiastica e non /*'koetus/ o /*ko'etus/, forme inesistenti. Tra l'altro è scritto anche cœtus con il carattere œ e per contro non si trova scritto *coëtus.
Per distrarre l'attenzione da tutto questo, ecco una nuova serie di paralogismi:
1) Mi si attribuisce una cosa falsa e ridicola, che non ho mai sostenuto - ossia la fantomatica pronuncia /*peta/ per poëta nel latino ecclesiastico.
2) Si nasconde ad arte il fatto che in latino poëta si scrive con una dieresi proprio per render chiara la lettura e che in ogni corso anche elementare di latino ecclesiastico gli insegnanti hanno cura di illustrare che si deve sillabare po-è-ta. In realtà è pŏēta, con tanto di e lunga. Per inciso, la stessa dieresi il mio dettrattore la fa saltar fuori come d'incanto quando scrive coëo.
3) Si presuppone la mia totale ignoranza in materia di lingua latina.
4) Poiché la parola poëta non è germogliata in Lazio, ma ha la sua origine nella lingua greca, si presuppone la mia totale ignoranza in materia di lingua greca, dove la sillabazione è chiarissima.
5) Si vuol far credere che tra la pronuncia ecclesiastica di coetus (con palatale e monottongo) e quella fantomatica di poëta come /*peta/ esista un legame: se uno afferma che la tradizione ecclesiastica prescrive la prima, ecco che di conseguenza afferma anche la seconda. Dato che la seconda proposizione è falsa, si vuol far credere che lo debba esser necesariamente anche la prima.
Tramite questi passaggi, ecco che mi trovo messo in burletta per una cosa che non è mai stata da me proferita.
Primo scopo di questi passaggi: tramite un errore logico, far apparire la mia argomentazione su coitus e coetus come ridicola e quindi falsa.
Secondo scopo di questi passaggi: suggerire il principio fallace secondo cui se anche solo una cosa che affermo è falsa, lo debbano per necessità essere tutte le altre. Entra cioè in gioco l'errore logico denominato non sequitur, che peggiora l'argomento dell'uomo di paglia. È come se si affermasse: "Il tuttologo da fiera crede di sapere tutto, ma se sbaglia anche soltanto una cosa allora significa che non sa nulla."
Presso un popolo educato secondo i princìpi della Logica queste macchinazioni sarebbero subito individuate e ritenute oltremodo grossolane. Ma questo popolo è quello ben descritto dal film L'italiano medio, e non c'è da sperare tanto.