lunedì 6 aprile 2015

UN TESTO NEOGOTICO PRESENTATO COME GIOCO ENIGMISTICO


In un blog di enigmistica, egpuzzles.blogspot.fr è riportato un testo in una conlang neogotica che trovo piuttosto grossolana. Si tratta di un'immagine con ogni probabilità scannerizzata da una pagina di un libro scritto in caratteri wulfiliani, con figure sul bordo (animali, un albero, montagne, un tavolo, armi).   

Il testo in questione è presentato dal gestore del blog come "impenetrabile", ossia "completamente incomprensibile", neanche fosse scritto in una lingua extraterrestre usata su un pianeta di Altair. Ne riporto qui la translitterazione: 

So amaliþa Kaisaris Walensis uns nasida fram frumistsaha hunnane. Uns fragaf farþa ufar Donaris jah in þraka friþu. 

Lupikinus jah Maximus unsis andnemun qairruba, dauht unsis gafun. Ana þamma dauhtiska atleweins þarei usqemun þans batistans unsarans. 

Alawiwus sa mikls gastikans warþ in hrukk þairh afmarzein Walensis. Halisaiw ana aleinai þlauh ik afarlaistiþs was swe dius. 

Sa bagms saei warþ gedrausiþs fram hindarweisein Rumone wahsjiþ aftra swinþs. Þai Þerwingos galesun aftra, miþgatimridedun aftra, gaswinþnodedun iþ þo tauidedun sniumundo. 

Ƕaiwa mag ik swa blinds Walensa jah allamma reikja Rumone, eis biqemun sinteino Gutþiuda ahaks friþaus wairþiþ niu aiw. 

Faur jera hunda jah mais tauhans warþ Ruma fram drauhtina balwaweisa. Fraujinodedun þairh gais swa managam kunjam ei wairþan þai ainahan. 

Walens skal wisan sa iftuma. Sunjis ist du biqiman þans Þerwingans. Þroþida ik faura laþon þo mikilon. Brukja þo fadreinskrama airizane meine. 

Attiuha eiz mein jah tiuha þiuda meina. Weis fraqistjam Lupikinau jah Walens usqiman. 

Ƕazuh dals miþ bloda fulniþ. Ruma drausjiþ. 

In realtà non è poi così incomprensibile, per quanto non manchino i punti poco chiari. Riporto una versione in italiano. Dove il testo originale non è coerente è stata adottata una traduzione libera.  

La forza dell'Imperatore Valente ci ha salvati dai primi ranghi degli Unni. Ci ha concesso l'attraversamento del Danubio nella pace Trace.

Lupicino e Massimo ci hanno accolto gentilmente. Ci hanno offerto una festa. Durante questa festa hanno ucciso a tradimento i nostri uomini migliori.

Alavivo il Grande è stato trafitto nella schiena per tradimento di Valente. A stento sono fuggito sui gomiti, sono stato inseguito come una bestia. 

L'albero che è stato abbattuto dall'inganno dei Romani ricresce forte. I Tervingi si sono riaggregati, si sono ricostruiti, si sono rafforzati e lo hanno fatto rapidamente.  

Come posso io <essere> così cieco a Valente e a tutto il regno dei Romani? Essi hanno attaccato ogni giorno, il popolo dei Goti non sarà più colomba di pace.  

Per cento anni e più Roma è stata guidata dal Male. Hanno dominato per mezzo della lancia così tante stirpi che sono diventati la sola. 

Valente deve essere l'ultimo. Mi sono allenato per invitare la Grande. Userò la spada dei miei antenati. 

Porterò il mio (?) e guiderò il mio popolo. Annienteremo Lupicino e uccideremo Valente. 

Ogni valle si riempirà di sangue. Roma cadrà. 

In genere si usa l'asterisco per etichettare le forme non attestate. Lo ometterò, trattandosi di considerazioni su una lingua ricostruita, usandolo solo con i lemmi proto-germanici e con le forme neogotiche errate. Mi permetto di aggiungo le seguenti annotazioni, di certo non esaustive: 

1) Se Valente è Walens, allora il suo genitivo deve essere Walentis, non certo *Walensis. Così il dativo sarà Walenta e non *Walensa. Infatti negli antroponimi il gotico tendeva a seguire la declinazione della lingua di origine, e non c'è alcun motivo perché la -s del nominativo debba essere estesa ad altri casi, andando ciò contro la logica non soltanto del latino, ma anche del gotico. Il carattere e rappresenta /e:/ lunga e chiusa è adatto a trascrivere il sono latino, essendo la vocale -e- resa lunga dal nesso -nt- in simili forme (cfr. pote:ns, pote:ntis, pote:ntia, etc.).

2) Il termine *frumistsaha è formato male ed è molto oscuro. Potrebbe essere un errore per frumistamma, dativo maschile o neutro di frumists "primo, migliore, prominente", anche se sembra che si debba leggere proprio *frumistsaha. Non si riesce a capire come l'autore abbia potuto coniare questa parola fantomatica. 

3) Il termine per indicare gli Unni sarà stato Huneis /'hu:ni:s/, ascritto alla declinazione con tema -i-, con un genitivo Hune /'hu:ne:/. In antico alto tedesco abbiamo ad esempio Hûn, pl. Hûni, con un genitivo Hûneo, Hûnio. Ascrivere questo etnonimo alla declinazione dei nomi maschili deboli è a mio parere ingiustificato. 

4) La forma *farþa, che non risulta attestata, è in effetti formata male. Infatti il proto-germanico ricostruito ha *farðiz, donde tedesco Fahrt, norreno ferð. La forma neogotica deve quindi essere fards, gen. fardais, pl. fardeis, della declinazione con il tema in -i-, di genere femminile.  

5) Con *Donaris si intende il Danubio, ma la ricostruzione è imprecisa. Infatti ci aspetteremmo un genitivo femminile in -os; la forma neogotica dovrebbe essere Donaujos. Cfr. antico alto tedesco Tuonouwa. La vocale gotica -o- è chiusa e lunga /o:/, e di certo compatibile con i dati dell'alto tedesco. Non si capisce tuttavia la rotica da dove sarebbe giunta, forse è solo un refuso per il carattere che trascrive /w/.   

6) Per essere chiari si dovrebbe dire in þrakiska friþu o in friþu Þrake "nella pace dei Traci" anziché in *Þraka friþu, posto che sia proprio questo il concetto che l'autore intendeva esprimere.   

7) La voce verbale *gafun per "diedero" è un marchiano strafalcione: la forma corretta, ben attestata, è infatti gebun. L'autore non mostra piena dimestichezza con la coniugazione dei verbi forti, così ha formato la III persona plurale a partire dalla forma singolare gaf "diede", senza accorgersi che la consonante sorda -f è secondaria e che la radice ha -b-: giban "dare", gibans "dato", etc.

8) L'antroponimo Alavivo (latinizzato in Alavivus) non è di chiara etimologia. La forma originale potrebbe non essere *Alawiwus, ma Alaweiws, associato dagli autori romani al latino vivus;(ei trascrive la vocale lunga /i:/). Il prefisso gotico ala- "tutto" è ben noto; il secondo membro sarà collegato a un antroponimo attestato in un'iscrizione runica norvegese, Wiwaz (Pietra di Tune), probabilmente da un più antico *wi:γwaz, dalla radice *wi:γ- / *wi:x- "combattere".  

9) La parola *hrukk semplicemente non poteva esistere in gotico. La radice proto-germanica era *xruγja- "schiena", e queste sono le forme germaniche attestate da essa derivate: norreno hryggr, antico sassone hruggi, antico frisone hreg, antico inglese hrycg, antico alto tedesco hrukki, rucki, donde tedesco moderno Rücken. In gotico non avrebbe mai -kk-, per nessun motivo. Evidentemente l'autore del testo è stato influenzato dall'attuale tedesco in modo considerevole. 

10) Il prefisso ge- nella forma *gedrausiþs "fatto cadere, abbattuto" è errato: tale prefisso suonava infatti /ga-/, così si deve scrivere gadrausiþs (da gadrausjan, causativo di driusan "cadere"). È possibile che l'autore si sia lasciato ingannare dalla sua conoscenza dell'attuale tedesco, pensando di utilizzarla come un riempimento delle proprie lacune. Siccome però in altri casi il prefisso usato nel testo è il corretto ga-, si può pensare a un semplice refuso.   

11) La forma Þerwingos è errata e tratta da una trascrizione latina fuorviante: l'etimologia garantisce che si debba scrivere *Tairwingos, con /ɛ/ aperta e breve trascritta col dittongo grafico -ai- e con /t/ iniziale, che nella pronuncia poteva suonare aspirata (ossia come /t/ più una lieve /h/; invece þ- è usato per trascrivere l'interdentale simile a quella dell'inglese thin).

12) La traduzione di *eiz appare impossibile: non si capisce da dove sia stata tratta questa parola fantomatica. Ci sono scarse probabilità che l'autore abbia inteso dire eisarn mein, ossia "il mio ferro". È escluso anche che intendesse eis mein "il mio ghiaccio", non solo perché non avrebbe il minimo senso nel contesto, ma perché la radice ha una chiara -s- in ogni lingua germanica e la protoforma è *i:sa- (poi bisognerebbe capire se la forma gotica fosse maschile come in norreno o neutra come in anglosassone).    

13) Il genitivo plurale di meins "mio" non è *meine, ma meinaize.

14) La parola per indicare la valle è dal, di genere neutro, come in antico alto tedesco. Tuttavia non è impossibile che esistesse anche una forma maschile, cfr. norreno dalr.

15) Una considerazione sintattica: i pronomi personali all'accusativo o al dativo dovrebbero seguire il verbo come nei testi di Wulfila, anziché precederlo. Dovrebbe così dirsi nasida uns, non uns nasida. Così fragaf uns e non uns fragaf

Non so chi sia l'autore del testo, nel Web non si trovano molte informazioni. È un vero peccato che la lingua in cui è scritto sia piena di inesattezze, in quanto si parla di importanti fatti storici. Pochi sono a conoscenza degli orrori che i Goti hanno sofferto per mano dell'infame Lupicino, prima di insorgere. Era costui un mostro e un pedofilo i cui crimini aberranti non possono essere dimenticati: arrivò ad approfittare della carestia per vendere a peso d'oro carogne di cani e altra carne infetta, pretendendo le figlie dei Goti per poterle sodomizzare. 

domenica 5 aprile 2015

IL MANIFESTO DI MARX ED ENGELS IN LINGUA GOTICA

Tempo fa ho rinvenuto in rete una traduzione del Manifesto del Partito Comunista e di parti del Capitale di Marx in lingua gotica - o forse si dovrebbe dire in conlang neogotica, per essere precisi, visto che i testi tradotti sono stati concepiti secoli dopo l'estinzione della lingua di Wulfila. A quanto pare esisteva un sito originale che è stato distrutto, e alcune sue pagine sono sopravvissute in un archivio del Web come snapshot: 


Anche se non è facilissimo trovarlo, il materiale in questione è tuttora presente nel blog Gutrazda su Wordpress:


Sulla stessa piattaforma esiste anche un altro blog, anch'esso non facilmente reperibile, in cui si trova il Capitolo 2 del Manifesto con la trascrizione in caratteri wulfiliani: 


Non è la prima volta che mi imbatto in forme di censura contro tentativi di utilizzare questa lingua. Le autorità sono forse preoccupate di impedire la diffusione di idee "sovversive" tra i Goti? L'ottusità di certi burosauri non conosce limiti. 

Com'è logico immaginare, l'autore si è trovato in grave difficoltà nel tentativo di tradurre non poche parole, e alcune sue scelte mi sembrano discutibili. Queste sono alcune mie osservazioni:  

1) A mio avviso "Zar" andrebbe tradotto con Kaisar Winiþe /'kɛ:sar 'winiθe:/, ossia "Imperatore dei Venedi" (antico nome degli Slavi, chiamati Venethi da Iordanes e da altri autori). 

2) Il termine "papa" in gotico indica un sacerdote, non il pontefice romano, che si può ben chiamare Aipiskaupus Rumone /ɛ'piskɔpus 'ru:mo:ne:/, ossia "Vescovo dei Romani"

3) Ridurrei al minimo indispensabile i toponimi moderni, usando dove possibile le forme latine o greche. Così "Londra" può ben tradursi con Laundinjum /lɔn'dinjum/, e via discorrendo. 

4) A volte potrebbe non essere necessaria la traduzione letterale di una locuzione moderna difficile, visto che l'importante è produrre qualcosa in grado di rendere il concetto: così penso che "artiglieria pesante" possa essere reso con stainos ballistos, ossia "pietre di catapulta" - essendo ballista un naturale prestito dal latino, a sua volta di origine greca.   

5) Cognomi come Metternich non possono essere ovviamente tradotti, ma non posso nascondere che suonano surreali in un simile contesto. Non mi sembra corretto tradurre il cognome Engels con Aggilisks in quanto il suffisso gotico -isks non può corrispondere a -s in tedesco. 

6) Si presentano alcuni problemi anche nella traduzione dei nomi propri. Se Friedrich è tradotto correttamente con Friþureiks, non posso nascondere che Karl tradotto con Kairls fa storcere il naso. Pur essendo l'antroponimo Karl di chiara origine germanica (significa "maschio"), è possibile che sia meglio renderlo nella forma latinizzata Karaulus /'karɔlus/. È vero che si tratterebbe comunque di un anacronismo (Wulfila visse secoli prima di Carlo Magno), ma rientrerebbe nello spirito della lingua. 

7) Alcuni neologismi, come baurgeins per tradurre "borghesia", lasciano un po' perplessi, pur essendo formati in modo corretto: sono infatti parole adatte all'uso moderno, ma un goto dell'epoca di Alarico non sarebbe riuscito a capire il concetto. Sarebbe meglio usare una perifrasi o un composto come baurgsþiuda. Invece il termine Kaummunismus mi sembra più accettabile: è vero che gli antichi non lo avrebbero capito, ma non avrebbero esitato a prendere a prestito un termine simile dal latino se fosse stato disponibile. Ottimo fairƕumaþl "mercato mondiale", in quanto composto da elementi che esistevano come parole indipendenti. 

8) La convenzione ortografica del trattino per separare i prefissi mi sembra inutile e pesante: si tenga conto che ai tempi per scrivere la lingua di Wulfila si usava addirittura la scriptio continua. Noto comunque che nel materiale più recente l'uso del trattino è drasticamente ridotto. 

9) Non perderei tempo a tentare di distinguere i digrammi ai e au con accenti per indicare dittonghi etimologici (ái, áu) o vocali brevi (, ) nella versione in caratteri wulfiliani: si tratta di una convenzione introdotta dagli studiosi per ragioni etimologiche, sconosciuta in epoca antica e poco utile ai fini pratici dell'apprendimento della lingua. Nel gotico di Wulfila del IV secolo gli antichi dittonghi /ai/ /au/ ormai suonavano rispetttivamente /ɛ:/ e /ɔ:/. Naturalmente uno potrebbe pensare di usare i suoni più antichi e di parlare un gotico del III secolo, ma in tal caso molti neologismi introdotti da Wulfila sarebbero anacronistici.  

In ogni caso è tutto molto interessante e faccio i miei più vivi complimenti al traduttore, che in un blog si firma Fredrik. Pur avendo ben poca simpatia per le dottrine marxiste, riporto in questa sede una parte dell'opera a beneficio dei lettori, promettendomi di contattare Fredrik per suggerirgli miglioramenti e se possibile per spingerlo a pubblicare la revisione. Come di consueto uso il carattere ƕ anziché hv.  

Swikunþi Gamainduþeiniskis Hiuhmins 

Ahma ist wrakjands Aiwropa — ahma kaummunismaus. Allos þruþjos sinaizos Aiwropos gagahaftidos sind in weihamma traustja bi us-dreiban jainamma ahmin: Papa jah Tsar, Metternich jah Guizot, fragkiskai uswaltjandans jah sahsiskai wardiggos. 

Ƕar ist sa andstandanda hiuhma, saei ni waja-meriþs swe kaummunistisks waurþans ist fram anda-staþjam raginondam is? Ƕar ist andstandanda hiuhma, saei ni ibuka-warp þata ga-tandjando id-weit kaummunismaus, wiþra þaim mais fram-gagganam and-lagja-liudim, jah wiþra ibuka-tilondam anda-staþjam ize?

Twos waihteis at-augjand sik fram þizai dediwaihtai: 

I. Kaummunismus ist ju-þan uf-kunþs swe þruþi af allaim aiwropiskaim þruþjom. 

II. Ist hauh þeihs þatei kaummunistans, and-augiba, faura allamma fairƕau, ga-swi-kunþjand kunþja, mundreins jah halþeins ize, jah spill bi ahman kaummunismaus wiþra-satjan miþ swi-kunþja af hiuhmin sa silba.

Bi þizai mundrein, sind kaummunistans missa-leikistaizo þiudo sik in London ga-gaggans jah und-waurpun iftuma swi-kunþi, þatei ist us-mernans wairþan in aggiliskai, fragkiskai, sahsiskai, italiskai, flamiskai jah daniskai razdai.

I — BAURGEINEI JAH AIHTILAUSAI

Spill allaizo and hita nu wisandeino ga-main-duþe ist spill bi stassiweiga. 

Sa frija jah þius, patrikjus jah plaibaijus, faþs jah libaigins, fasteis jah swains, maurguba: stodun uf-þrukjands jah uf-þrukidai, in un-ƕeilai wiþra-satein du misso, funsidedun un-af-brukan, suns ana-laugn, suns and-augi weig, weig þatei in allaim sinþam andida in us-waltjandein id-skapiþai ga-main-duþais þizos allons, aiþþau in ga-mainai qisteinai haifstjandeino stasse. 

In airizeim aldim spillis, bi-gitam neƕ in allaim stadim all-andja ga-tewein ga-main-duþis in missa-leikaim standim, aina manag-falda gridein stasse þizo ga-main-duþeinono. In fairnjai Rumai habam weis patrikjuns, knaihtans, plaibaijuns, þiwans; in Midjai Aldai, faihoþiskai fraujans, skalkans, fastjans, swainans, libaiginans; jah in neƕ allaim jainaim stassim aftra us-sindos ga-teweinins.

So, us qisteinai þizos faihoþiskons ga-main-duþais, ur-rinnaido and-wairþo baurgeino ga-main-duþs ni blauþida stassi-wiþra-sateinins. Si þat-ain ga-satida niujos stassins, niujos ga-qissins uf-þrukeinis, niujos laudjos weigis in stadai þizo fairnjono. 

So alds unsara, so alds baurgeineins, aþþan us-taikneiþ sik ei ain-falþida stassi-wiþra-sateineins. 

So allo ga-main-duþs dis-tahneiþ sik mais jah mais in twos mikilos anda-neiþos bi-baurgeinins, in twos mikilos stassins misso and-standandeins: baurgeinei jah aihtilausaliudeis. 

Fram libaiginaim Midjaizos Aldais ur-rinnaidedun baurgarjos baurge þizo frumistono, jah fram jainai baurgiþai and-waibidedun sik grundu-stomans þai frumistans baurgeineins. 

Und-þakeins Amerikos jah bi-fareins Afrikos skopun baurgeinein þizai reisandein niuja airþa. Þata austra-indisko jah sinisko maþl, þata landa-nem Amerikos, in-maideins miþ niujalandam, so manageins maidjakaupis jah tauje allis, gebun kaupa, farþonai, us-daudeinai, ainana iupa-swaggw ni faurþis kunþana, jah þaruh þan, du us-waltjandin grundu-stomin in ga-main-duþai faihoþiskai ga-tairandein, aina adra and-waibein. 

Sa and hita nu wisanda faihoþiska aiþþau gildaga waurstwei-haidus us-daudeins, ga-nohida juþan ni wahsjandeim þarbom maþle þize niujaize. So ga-smiþons nam staþ is. Af-skubanai waurþun gildja-fastjos fram midji-stassai þizai us-daudeinon; daileins arbaidais ana midumai leikoþiwe anþar-leikaize us-laiþ faur daileinai arbaidais in waurstwa-stada þamma ainaklin. 

Iþ bijands wohsun maþla, bijands aiauk so þarba. Jah so ga-smiþons ga-nohida juþan ni. Bi-þe, us-waltidedun staums jah tawilos ga-smiþons þo us-daudeinon. Þo staþ ga-smiþonais nam so and-wairþo mikilo us-daudei; þo staþ midja-stassais þizos us-daudeinons nemun þai us-daudeinans miljonarjos, þai waurkifaþeis allaize harje þize us-daudeinane, so and-wairþo baurgeinei. 

So mikilo us-daudei ga-skop fairƕumaþla, þammei manwida so und-þakeins Amerikos. Þata fairƕumaþl gaf du kaupa, farþonai jah landa-gawissai abra and-waibein. Þatuh aftratawida, in seinai tewai, ana uf-þaneinai þizos us-daudeins; jah in sama-leikamma melin swe us-daudei, kaup, farþons, eisarnawigos uf-þanidedun sik, in sama-leikamma melin and-waibida sik so baurgeinei, managida þana auþ izos, jah skauf ana hindargrundu allos stassins at-stiganons us Midjai Aldai. 

Weis saiƕam, þan-nuh, ƕaiwa so and-wairþo baurgeinei si silbo ist ain taui ainis laggis and-waibeinigaggis, ainaizos tewos miþ us-walteinim in haidau ga-smiþonis jah ga-wissis. 

Ƕarjizuh þizo and-waibeinigride þizos baurgeineins was miþ-qumana ainai ga-and-hafjandein raginiskai fram-gahtai, in þizai stassai. Uf-þrukida stass uf fraujinassau þise faihoþiskaize fraujane, sarwiþs jah silba-raginonds ga-qums in þamma baurgs-gauja: her ungilstragibandei baurgiska þiudawaihts (swe in Italjai jah Sahsalanda); þar gilstraskulda þridja stass þis þiudinassaus (swe in Fragkareikja); afar þata, in ƕeilai ga-smiþonos wiþrakauriþa wiþra aþala, in andizuh stasseinamma aiþþau all-andjamma þiudinassau, jah haubidagrundus þiudinassiwe þize mikilane allis, si ga-jiukaida sis bi spedistin, fram skapiþai þizos mikilons us-daudeins jah þis fairƕumaþlis, in þamma and-wairþin fulla-triggwin reikja, þana us-letandan raginiskan fraujinassu. Þata waldufni þis and-wairþins reikjis ist þatain us-skut, þatei faura-gaggiþ þaim ga-mainam kaupam þizos allons baurgeineins. 

sabato 4 aprile 2015

UN VIDEO SUI PAGANI DI LETTONIA: ALCUNE CONSIDERAZIONI


Interessante video di Franco Capone, pubblicato sul sito di Focus. Il documentario parla dei politeisti di Lettonia, che sono presentati come gli ultimi pagani d'Europa. Sono mostrati quindi alcuni loro riti, senza dubbio di origine antichissima. Esiste però qualcosa da rimarcare. Sappiamo che i paesi del Baltico sono stati sede di conflitti sanguinosissimi, perché i Cavalieri Teutonici e i Cavalieri Portaspada vi hanno condotto le cosiddette Crociate contro quelli che chiamavano Saraceni del Nord, facendo di tutto per cristianizzare con la forza quelle genti. Ci furono stermini e atrocità di ogni genere. La Lettonia fu divisa in feudi. Riga, capitale della Lettonia, era un importante centro dello Stato Monastico dei Cavalieri Teutonici, che si distinsero in efferatezza, dominando la regione con pugno d'acciaio. Unico stato pagano rimasto a resistere al loro potere fu il Granducato di Lituania, ma sul finire del XIV secolo anche lì giunse il tramonto per l'antica religione: nel 1386 il Granduca Jagellone (Jogaila) accettò il battesimo per poter sposare l'undicenne Edvige (Jadwiga), Regina di Polonia e diventare così Re di Lituania e di Polonia col nome di Ladislao II. Nel 1387 iniziò la cristianizzazione sistematica della nazione: i fuochi perenni che ardevano nei santuari pagani furono spenti. L'ultima regione ad accettare il battesimo di massa e ad estinguere i fuochi fu la Samogizia, cristianizzata nel 1413. Questo evento è tuttora celebrato dai Gesuiti come un "trionfo della civiltà sulla barbarie"Non entro nei dettagli, ma non posso fare a meno di notare che i culti antichi sopravvissero tra i contadini, ma finirono col subire una pressione crescente da parte del clero cattolico, disorganizzandosi e infine cessando di sussistere come manifestazioni di una religione indipendente. Va fatto notare che divinità dell'antica mitologia vengono spesso menzionate nei canti popolari chiamati dainas in Lettonia e dainos in Lituania. Si potrebbe tuttavia trattare di reminiscenze poetiche più che della prova di una continuità dei culti antichi fino al tempo presente.  

Dopo un periodo di letargo i culti antichi delle genti baltiche sono stati riportati in auge nel tardo XIX secolo dal lituano Wilhelm "Vydunas" Storost (1868 - 1953). Egli organizzò feste pagane riuscendo ad attrarre un certo numero di praticanti. Si trattava di un movimento revivalista e ricostruzionista: il suo scopo era quello di ripristinare una tradizione interrotta e perduta, ma ancora conoscibile nei dettagli, visto che la sua scomparsa era avvenuta in epoca abbastanza recente. Per questo motivo, va etichettato come Neopaganesimo anziché come PaganesimoNon era però destino che i fautori dell'antica religione di quelle terre godessero di un lungo periodo di pace. Come se una maledizione gravasse, terribili persecuzioni si abbatterono sui neopagani del Baltico a partire dal 1940, quando quelle terre furono invase dai Sovietici. Il politeismo baltico fu trattato come una pericolosa religione nazionalistica dalle autorità sovietiche, che fecero di tutto per eradicarla. Molti neopagani baltici espatriarono, trovando rifugio in America. I meno fortunati furono fucilati o deportati in Siberia. A partire dal 1967 tale religione cominciò a chiamarsi Romuva, dal nome antico prussiano del santuario. Riapparve nei paesi baltici e nonostante una nuova ondata di persecuzioni agli inizi degli anni settanta riuscì ad accrescere la propria influenza, finendo con l'essere riconosciuta come religio licita dopo il crollo dell'Unione Sovietica. 

Se vogliamo essere precisi, dobbiamo far presenti alcuni fatti che di solito vengono taciuti.

1) Wilhelm "Vydunas" Storost era un adepto della Teosofia, quindi proveniva da un ambito culturale esoterico, molto diverso da quello degli antichi pagani;
2) Egli era impregnato di idee come l'universalismo panteistico, il vegetarianismo etico e simili, tanto che fu paragonato a Tagore e a Gandhi;  

3) Per quanto Storost non si ritenesse un leader religioso, la Romuva acquisì una struttura affine a quella della Chiesa di Roma. Questo fatto ricorda il tentativo di Giuliano il Filosofo di costruire una Chiesa Ellenica. 

Inutile dire che i Balti pagani non erano filosofi. Praticavano sacrifici cruenti e mangiavano carne, come è sempre stata la norma tra la maggior parte dei politeisti. Non erano animati da un particolare afflato di amore tra i popoli e sapevano trattare con ferocia i loro nemici: decapitavano i missionari a colpi d'accetta e se catturavano un cavaliere teutonico lo bruciavano vivo assieme al suo cavallo (con buona pace degli animalisti). Difficile credere a una continuità diretta nell'opera di Storost e nell'etica della Romuva.     

Di tutto questo tuttavia nel video di Capone non si fa alcuna menzione, così come non si nomina la Lituania. Viene suggerita l'idea di una sostanziale continuità nella trasmissione del paganesimo lettone, come se nulla di traumatico fosse mai avvenuto, come se quel popolo fosse sempre vissuto in modo giulivo in un'ingenua adorazione della Natura. Un'idea che contrasta con la realtà dei fatti storicamente accertabile. 

Riporterò ora un breve esempio per illustrare la drammaticità del concetto di cessazione della continuità.

Immaginiamo cosa accadrebbe se qualcuno fosse colpito dal fatto che parlo la lingua dei Goti, inviasse un giornalista a intervistarmi e a riprendermi, pubblicando poi un video intitolato "L'ultimo Ostrogoto in Brianza". Ovviamente la cosa sarebbe assurda anche solo a pensarsi: non ho infatti appreso la lingua di Wulfila dai miei genitori, ma dai libri, e anche se a volte la parlotto tra me e me (è il modo migliore per imparare una lingua senza più locutori) non è la mia prima lingua. Essendo mancata la trasmissione ereditaria, non si può certo dire che esista un filo diretto che lega la lingua gotica da me conosciuta ai discorsi pronunciati dal Re Teodorico - e il discorso varrebbe anche se si potesse dimostrare tramite analisi genetica una mia discendenza dalla stirpe degli Amali.  

domenica 29 marzo 2015

ETRUSCOLOGIA TRAGICA: IL CASO PIRONTI

Riporto il link a un articolo di grande interesse di Riccardo Venturi sul caso Pironti, di cui al giorno d'oggi ben pochi conservano memoria: 


Francesco Pironti (1891 - 1935) fu un professore di greco e di latino che insegnava in un liceo a Napoli. Nell'articolo di Venturi il suo nome di battesimo è riportato erroneamente come Alberto, ma in calce compare la correzione. Pironti aveva una grande passione: l'etruscologia. La sua idea portante era l'identificazione della lingua etrusca come dialetto ellenico: pensava che la lingua dei Rasna dovesse essere una forma di greco difficile e mascherato, ma nonostante ciò riconoscibile. Allo scopo di dimostrare la sua tesi, raccolse nel corso degli anni una gran quantità di appunti e infine li organizzò in un volume, che intitolò "Il deciframento della lingua etrusca" e pubblicò nel 1933 (Venturi riporta la data 1930, che non è corretta). Il libro ebbe un successo strepitoso, in un anno ne furono vendute ben 3.000 copie, un numero davvero notevole per un argomento specialistico a quell'epoca. L'Osservatore Romano annunciò al mondo che il professor Pironti aveva trovato la chiave per la comprensione della lingua etrusca. Fu vantato come italico genio e ricevette premi e riconoscimenti per la sua opera: si pensava che il mistero della lingua etrusca fosse giunto a un definitivo chiarimento. Va detto che grande era l'ignoranza del pubblico, che confondeva "scrittura" e "lingua""lettere" e "fonemi", "decifrare" e "tradurre", e che si aspettava che ogni lingua sconosciuta dovesse per necessità avere una "chiave", trovata la quale tutto sarebbe stato ricondotto a qualcosa di noto.   

Negli ambienti accademici non tutti furono entusiasti delle controverse scoperte di Pironti. Il prof. Carlo Battisti lo attaccò dalle pagine dell'Archivio Glottologico Italiano, dando inizio ad un'accesa discussione che purtroppo non sembra essere reperibile nel Web. Battisti riuscì, servendosi dell'evidenza dei dati di fatto e del metodo scientifico, a stroncare le idee di Pironti, dimostrandone infine l'inconsistenza. Diciamo che andò anche oltre: tramite uno spietato sarcasmo massacrò il suo avversario. Alle confutazioni di Battisti fu data la massima eco possibile: come conseguenza Pironti da italico genio venne ad essere schiantato nella polvere. Il suo libro fu ritirato dalle librerie. A quei tempi non si scherzava. Ai nostri giorni scritti pseudoscientifici e nocivi come quelli di Alinei e di Semerano trovano accoglienza persino nelle università, e le assurdità che contengono prosperano nel Web. È concesso anche a consapevoli fautori di idee pseudoscientifiche andare avanti nella loro propalazione, nonostante si sia dimostrato in tutti i modi possibili che si tratta di cose assurde, vane e dannose. All'epoca non era così: il maglio dell'Accademia si abbatteva anche su persone in buona fede come Pironti, e chi era confutato era considerato un paria. Gli eventi ebbero un epilogo tragico. A Pironti mancavano pochi anni per andare in pensione, eppure fu costretto a dimettersi. Cadde in preda alla disperazione, si chiuse nel suo studio e si uccise, lasciando sei figli e una giovane vedova in stato interessante.  

Sul rapporto tra lingua greca e lingua etrusca     

Naturalmente l'etrusco non è affatto un dialetto greco, tuttavia esistono numerose isoglosse che legano le due lingue. La cosa non deve stupire, dato che la lingua greca è il risultato della sovrapposizione di una lingua chiaramente indeouropea con alcune lingue che gli invasori, giunti in più ondate, trovarono in loco. Essendo l'etrusco derivato dallo stesso ceppo di almeno due delle lingue preelleniche - l'eteo-cretese e l'eteo-cipriota - il fatto che ci siano isoglosse non è poi così strano. L'ottimo Giulio Facchetti ha esposto con ottimi argomenti questa tesi. Questi sono alcuni esempi di interessanti corrispondenze:    

Etr. farθan "genio" - Gr. παρθένος "vergine"*
Etr. netś- "interiora" - Gr. νήδυια "interiora"
Etr. puia "moglie" - Gr. ὀπυίω "prendo in moglie"
Etr. purθ "magistrato" - Gr. πρύτανις "signore" 

*La parola etrusca indica un nume tutelare femminile; la radice si trova anche come aggettivo nella locuzione śeχ farθ(a)na "figlia naturale" e nel verbo farθna- "generare"

In altri casi si tratta invece di prestiti entrati in etrusco dalla lingua greca in epoca più recente. Tra questi prestiti, che sono in genere di natura culturale, compaiono diversi lemmi vascolari e nomi di beni di consumo tipici del bacino del Mediterraneo: 

Etr. culiχna "bicchiere" - Gr. κυλίχνη
Etr. elaiva- "olio" - Gr. ἐλαιον
Etr. larnaś "contenitore" - Gr. λάρναξ
"scatola"
Etr. leχtum "vaso da olio" - Gr. λήκυθος
Etr. patna "scodella" - Gr. πατάνη
Etr. qutun "vaso potorio" - Gr. κώθων
Etr. vinum "vino" - Gr. ὀῖνος 

Alcune di queste forme sono passate in latino: 

Etr. elaiva- "olio" > Lat. oleum, oliva
Etr. patna "scodella" > Lat. patina
Etr. vinum "vino" > Lat. vinum* 

*La terminazione -um è stata reinterpretata come uscita del neutro (latino antico -om).  

È dimostrato che in moltissimi casi per spiegare la forma latina di un prestito dal greco è necessario un intermediario etrusco. 

Lat. amurca "morchia" - Gr. ἀμόργη
Lat. citrus "cedro (albero)" - Gr.
κέδρος 
Lat. groma "filo a piombo" - Gr. γνώμων (1)
Lat. taeda "torcia" - Gr. δᾷς, δαΐς
Lat. triumphus "trionfo" - Gr. θρίαμβος (2)

(1) Il termine greco indica tra le altre cose l'esaminatore e l'ago della meridiana.
(2) Il termine greco indica l'inno a Dioniso.

Anche il ricorso alle glosse di Esichio e di altri autori non deve essere disprezzato e deriso, come non di rado accade: infatti i lessicografi greci ci hanno tramandato moltissime voci di lingue sommerse parlate nel bacino del Mediterraneo, spesso e volentieri senza indicarne la fonte. Nei vocabolari si trovano termini di estremo interesse, come ad esempio la parola θάμνα "vinello", di cui non è fornita alcuna etimologia credibile. Ebbene, questa parola è tirrenica. In latino abbiamo la glossa tamnum "vino", e questi dati ci permettono di risalire all'etrusco *θamna "vinello, tipo di vino". La parola era simile nell'aspetto fonetico a *tamna "cavallo", glossato da Esichio come δάμνος. Questo dovrebbe porre fine all'ambiguità tra *tamna e *θamna (con una certa predilezione per la forma aspirata) nella ricostruzione della parola etrusca per indicare il cavallo, facendo propendere decisamente per *tamna

Pironti non aveva semplicemente compreso la differenza tra prestiti e voci ereditate, e tendeva ad applicare a parole etrusche il principio dell'assonanza per ricondurle a viva forza a una forma di greco. Un esempio è il termine hare che compare nel testo del Cippo di Perugia, con ogni probabilità una voce del verbo har- "entrare", che Pironti interpretò invece come "inferiore" a partire dal greco κάρ, forma breve di κατά "giù".   

Conseguenze del caso Pironti e suo uso strumentale da parte degli archeologi   

Come risultato del suicidio del Pironti, Massimo Pallottino scagliò un anatema e impose un diktat per proibire ogni ricerca delle origini degli Etruschi. Pur non menzionando Pironti, Massimo Pittau riporta nel suo sito un bell'articolo sul fantasma di Pallottino.


Anche se non condivido le conclusioni di Pittau sulla natura indoeuropea dell'etrusco, molte delle cose che dice sullo strapotere degli archeologi e sulla loro influenza deleteria sono assolutamente corrette. A causa della fatwa di Pallottino - postdatata da Pittau al 1947 ma in realtà già operante in piena età mussoliniana - in pratica per decenni è stata vietata l'applicazione del metodo scientifico agli studi sulla lingua etrusca, pena l'incorrere in conseguenze sgradevoli. Chiunque insista nelle indagini e porti avanti idee sgradite agli archeologi viene isolato, trattato come un lebbroso, boicottato, privato di ogni mezzo valido per assicurare ampia diffusione ai suoi studi e per promuovere un dibattito sereno quanto produttivo. 

Gli antefatti sono a dir poco stupefacenti. Ossessionato dalle richieste di Mussolini, a cui stava a cuore l'idea degli Etruschi "italici" e "ariani", Pallottino aveva trascorso non poche notti insonni, riuscendo infine a concepire l'idea del "farsi" della nazione etrusca a partire da diverse componenti tra loro fuse sul suolo italico. Un po' come Peppone, che pressato da Don Camillo e da un esercito di vecchie isteriche, dopo una notte di delirio concepisce l'idea di inglobare una cappella nell'edificanda Casa del Popolo anziché demolirla. Così teorizzando, Pallottino era riuscito a salvare la capra della Scienza e i cavoli del Duce. In quel contesto c'era una forte confusione tra origini linguistiche di un popolo e origini genetiche. Se non si poteva dire che l'etrusco fosse una lingua indoeuropea, ossia "ariana", tuttavia non si poteva nemmeno dire che non lo fosse, in quanto al suo "farsi" avrebbero partecipato componenti di vario genere. Naturale corollario di questa idea del "farsi" era l'impossibilità di indagare il processo di formazione e il rifiuto di identificare chiaramente le componenti d'origine del lessico e della grammatica della lingua dei Rasna. L'argomento di Pallottino non regge. Solo per fare un esempio, se l'inglese è il frutto di un "farsi" avvenuto in Britannia, è altrettanto vero che possiamo capire come questo processo è avvenuto e dire che l'inglese discende dall'anglosassone con influenze norrene e soprattutto con moltissimi prestiti dall'antico francese e dal latino accademico. Un giorno, forse non lontano, si potrà conoscere ogni dettaglio della formazione della lingua etrusca.   

Il testo di Pironti, i cui diritti d'autore sono verosimilmente estinti, si può scaricare qui:

domenica 22 marzo 2015

UNA SINGOLARE TEORIA DI VARG VIKERNES SULLA DIFFUSIONE DELLE LINGUE INDOEUROPEE


Un video davvero interessante, in cui Varg Vikernes espone il proprio punto di vista sulla diffusione delle lingue indoeuropee, ipotizzando che la loro adozione su vasti territori sia stata promossa da matrimoni esogamici. Secondo il noto cantante, quando un popolo non indoeuropeo sposava donne di una tribù indoeuropea, queste insegnavano la loro lingua d'origine ai figli, facendola quindi prevalere. 

Va fatto notare che se si ammettesse questa teoria, oggi dovremmo avere in Europa una situazione linguistica di una complessità estrema, come quella degli aborigeni dell'Australia. Questo perché si sarebbe trattato di un processo imperfetto, in cui non si sarebbe giunti a una sostituzione completa delle lingue precedenti, ma alla produzione di un gran numero di lingue creole. Nel contesto australiano, in cui le dinamiche di espansione delle lingue tramite matrimoni hanno giocato davvero un ruolo fondamentale, le radici si sono rimescolate fino all'oscuraramento della loro origine. In uno scenario di questo tipo, ricostruire con accuratezza le protolingue sarebbe sostanzialmente impossibile.

Per capire meglio il concetto allego il link a un articolo di Ilia Peiros del Santa Fe Institute, in cui si parla di alcune lingue australiane che condividono parte del vocabolario. Tradizionalmente raggruppate in una famiglia chiamata Gunwinyguan, a un'analisi approfondita non si riesce assolutamente a capire se siano diversi output di una stessa protolingua o lingue non imparentate che hanno scambiato consistenti porzioni di lessico. 


Le lingue prese in considerazione sono le seguenti: Jawoyn, Mayali, Ngandi, Ngalakan e Rembarrnga. Sono stati fatti confronti tra diverse coppie di queste lingue.

1) Jawoyn e Mayali:
270 radici in comune.
Tra queste, 174
 sono radici monosillabiche, di cui circa 65 sono radici verbali.
96 sono invece radici bisillabiche, tra cui molti nomi relativi alla flora, alla fauna e a concetti culturali, facilmente presi a prestito.

2) Ngalakan e Ngandi:
218 radici monosillabiche, bisillabiche e trisillabiche. Le radici trisillabiche sono principalmente relative a flora, fauna e a concetti culturali, facilmente presi a prestito.

3) Jawoyn/Mayali e Ngalakan/Ngandi/ (Rembarrnga):  
67 radici in comune, di cui una quarantina monosillabiche e le altre bisillabiche, con l'unica eccezione di un
 trisillabo. 

4) Jawoyn/Mayali e Rembarrnga: 
11 radici in comune, monosillabiche con l'unica eccezione di un bisillabo.

5) Jawoyn/Mayali e Ngandi:
17 radici in comune. 

6) Jawoyn/Mayali e Nagalakan:  
26 r
adici in comune. 

7) Jawoyn e Ngandi/Ngalakan:  
19 radici in comune.

8) Jawoyn e Rembarrnga:  
Un'unica radice in comune, relativa al concetto di "mano; braccio"
.

9) Jawoyn e Ngandi: 
Due radici in comune.  

10) Jawoyn e Ngalakan: 
23 radici in comune. 

11) Mayali e Ngalakan/Ngandi/(Rembarrnga):
34 radici in comune. 

12) Mayali e Rembarrnga:
5 radici in comune.

13) Mayali e Ngandi:
13 radici in comune.

14) Mayali e Ngalakan:
13 radici in comune.
 

Non è possibile a partire da queste corrispondenze stabilire quali siano i reali rapporti tra le cinque lingue analizzate, e va notato che alcune delle radici catalogate da Peiros si trovano anche in altre lingue, il che rende la situazione ancor più aggrovigliata. 

Se la teoria di Vikernes non spiega la distribuzione e la natura delle lingue indoeuropee note, potrebbe in ogni caso essere di qualche aiuto per capire meglio come si è formata la protolingua indoeuropea, a monte di ogni processo di diffusione. 

sabato 21 marzo 2015

COLIN RENFREW È UN NEMICO DELLA SCIENZA

Colin Renfrew è un archeologo britannico noto per la cosiddetta ipotesi anatolica sulla patria originaria degli Indoeuropei. Rifiutando la teoria kurganica di Marija Gimbutas, egli afferma che gli Indoeuropei si sarebbero diffusi a partire dall'Anatolia nel VII-VI millennio a.C., durante il Neolitico. A detta sua, la lingua indoeuropea si sarebbe diffusa per trasmissione culturale anziché per migrazione fisica. Spingendosi oltre, tale teoria arriva ad identificare la Rivoluzione Agricola del Neolitico proprio con la comparsa delle lingue indoeuropee, affermando che esisterebbe una continuità diretta tra quell'epoca e la nostra, senza nessun reale stravolgimento nella natura degli idiomi parlati nel corso dei secoli. Non userò mezzi termini: simili enunciati sono vaneggiamenti che non hanno più valore di una massa di baggianate New Age. Il discorso è lungo e articolato, vediamo di procedere con ordine. 

Le teorie di Colin Renfrew a proposito della cosiddetta indoeuropeizzazione neolitica sono semplicemente insostenibili in quanto non spiegano la realtà dei fatti. Non rendono assolutamente conto dei gradienti delle lingue indoeuropee antiche e moderne in Europa, che non appartengono al gruppo delle lingue anatoliche come quella degli Ittiti, ma a un tipo più recente e dotato di ben precise caratteristiche, tra cui un lessico relativo all'uso del cavallo e del carro da guerra. Se l'antenato delle lingue indoeuropee si fosse diffuso in un'epoca tanto antica, come supposto da Renfrew, le lingue storicamente documentate sarebbero tra loro talmente diverse da non recare più una chiara traccia dell'origine comune, e il lavoro dei filologi sarebbe molto più duro. Inoltre Renfrew non spiega in alcun modo l'esistenza degli elementi del sostrato preindoeuropeo. In altre parole, lingue indoeuropee come il greco e il latino mostrano nel loro lessico molte parole che non sono di origine indoeuropea e che puntano a lingue perdute che erano parlate in epoca più antica. Queste parole appartengono spesso e volentieri ad aree semantiche peculiari, includendo fitonimi, zoonimi, termini per indicare elementi del paesaggio, ma anche termini culturali come nomi di metalli (es. latino plumbum, greco μόλυβδος) e parole relative all'agricoltura, come il nome greco del grano, σῖτος.  

Questo archeologo, che non ha la benché minima competenza in fatto di linguistica, non è neppure in grado di spiegare la presenza dei Baschi nel'attuale penisola Iberica. Se fosse per lui, direbbe che i Baschi sono migrati da Sidonia in epoca recente. Si nota che nella lingua basca ci sono molte parole relative ad innovazioni neolitiche che non sono indoeuropee. 

Termini relativi all'agricoltura: 

aitzur, zappa 
ardo
, vino
bihi, chicco di grano
garagar, orzo
gari, grano, frumento
ogi, pane
olo, avena
ore, pasta
uzta, raccolto 

Termini relativi all'allevamento: 

ahuntz, capra
ardi, pecora
artile, lana
behi, vacca
gazta, formaggio
idi, bue
zenbera, formaggio molle
zezen, toro 

Persino alcuni termini relativi alla metallurgia sono antichi, segno che quando si cominciarono a lavorare i metalli esistevano ancora tradizioni non indoeuropee: 

berun, piombo
burdina, ferro
urre, oro
zilar, argento 

Si noterà che uno di questi lemmi, il nome dell'argento, è stato preso a prestito dai Germani (proto-germanico *siluβra-), dagli Slavi (antico slavo ecclesiastico sĭrebro) e dai Balti (antico prussiano silapris, lituano sidãbras, lettone sidrabs). Il nome del piombo è chiaramente simile agli equivalenti vocaboli del greco e del latino: è ben possibile che la radice sia di origine iberica e che si sia diffusa ad oriente.

Tutte evidenze che sono state bellamente ignorate da Renfrew. Del resto, non è una novità lo strapotere degli archeologi, che cercano con ogni mezzo di pronunciarsi su argomenti che non sono preparati ad affrontare. Penso che Colin Renfrew non sia poi tanto diverso dai complottisti che infestano la Rete con le loro inconsistenze. Egli è incapace di distinguere la logica dal paralogismo. La sua teoria sull'equivalenza tra archeologia e linguistica è estremamente nociva alla Conoscenza. Nonostante sia un fatto appurato che archeologia e linguistica utilizzano mezzi diversi e hanno scopi diversi, esiste sempre chi intende con prepotenza affermare il primato dell'archeologia, giungendo a conclusioni indebite quanto ridicole. 

Gli esempi concreti che si possono fare sono innumerevoli. Gli Aquitani appartenevano alla Cultura di La Tène, che era di origine celtica. Tutti i loro manufatti e utensili erano di fattura lateniana. Tuttavia noi sappiamo per certo che gli Aquitani parlavano una lingua assai simile a una forma ancestrale di basco, e per nessuna ragione questa può essere classificata come lingua celtica. Allo stesso modo possiamo dire che gli Illiri furono profondamente influenzati dalla Cultura di La Tène, anche se la loro lingua, per quanto fosse sicuramente indoeuropea, non era certo celtica. La somiglianza della cultura materiale di diversi popoli non implica l'identità delle loro lingue. Non sequitur. Questo perché una cultura materiale viene adottata più facilmente di una lingua: una popolazione è restia ad abbandonare l'idioma dei propri padri, mentre è quasi sempre propensa a riconoscere la superiorità di una tecnologia e ad adottarla prontamente. In genere sono prese a prestito le parole necessarie a descrivere le innovazioni, ma il lessico di base e la struttura grammaticale oppongono nel breve periodo una certa resistenza al cambiamento. Sappiamo che gli Americani costruiscono palazzi e stadi proprio nello stesso modo degli Italiani, dei Tedeschi, degli Ungheresi, degli Iraniani e dei Giapponesi, ma le rispettive lingue sono realtà distinte, la loro differenziazione non è assolutamente sovrapponibile all'evoluzione della cultura materiale di questi popoli. Renfrew utilizza il Rasoio di Occam con estrema facilità, e questo suo uso abusivo rade ogni complessità. Così lo definisco nemico della Scienza. Tutti coloro che hanno un minimo di buonsenso dovrebbero rivoltarsi contro la stoltezza delle sue vane teorie. Invece si nota che ci sono pochissimi oppositori, mentre i partigiani di tali assurdità sono numerosi e non esistano ad assumere comportamenti molesti nel tentativo di imporsi con tecniche trollose. Alcuni sono anche più estremi, arrivando addirittura a proiettare le lingue indoeuropee nell'Europa del Paleolitico.   

Strategie dialettiche aggressive dei partigiani delle teorie pseudoscientifiche di Renfrew e simili:  

1) Prima tecnica negazionista: stabiliscono in modo dogmatico l'inesistenza dei sostrati non indoeuropei; 

2) Seconda tecnica negazionista: accusano chi si oppone alle loro teorie di non portare prove;   

3) Tecnica dello sfinimento: non stanno ad ascoltare le argomentazioni altrui e ripropongono le stesse idee fisse o commentano con frasi ironiche per far saltare i nervi.

4) Tecnica del maiale e della colomba: accusano di dogmatismo coloro che si oppongono alle loro idee dogmatiche, in modo da gettargli addosso discredito.  

Come reagire: 

1) Rifiutare di fare il gioco dei troll e di perdere tempo a parlare con loro;

2) Smontare i loro spropositi usando i Principi della Logica, pubblicando le confutazioni sul proprio blog. 

3) Esporre alla gogna del ridicolo ogni loro assurdità. 

domenica 15 marzo 2015

I SUBDOLI INGANNI DEL MARKETING

Al supermercato mi è capitato di imbattermi in una grande pila di panettoni venduti a prezzi molto bassi. L'etichetta riportava "panettone senza uvetta e arancia candita a cubetti". Non so come sia potuto accadere, ma sono stato vittima di un'illusione cognitiva. In pratica ho inteso "panettone senza uvetta e con arancia candita a cubetti", aggiungendo una preposizione "con". Il mio cervello l'ha aggiunta senza pensarci troppo, forse perché trovava ambigua la descrizione del dolciume. Fatto sta che quando si è trattato di farci colazione, mi sono accorto che di canditi non ce n'era nemmeno l'ombra: la pasta era quella di un pandoro scialbo. Allora ho capito l'arcano. Sono stato ingannato in modo molto ingegnoso, e senza dubbio la stessa cosa è accaduta a molti altri acquirenti. La frase in effetti è di una grande ambiguità. Se i produttori del panettone avessero scritto "panettone senza uvetta e senza canditi", non ci sarebbe stata possibilità d'errore. Anche "panettone senza uvetta e canditi" sarebbe stato accettabile e sufficientemente chiaro. Ma perché mai dare attributi a qualcosa che non c'è? Non tutti i canditi sono per necessità a cubetti, e non esistono soltanto canditi ottenuti da scorza di arance. Ci sono anche canditi di cedro, per esempio, e spesso nei panettoni se ne trovano. Perché dunque parlare di un'arancia candita a cubetti che non c'è? Semplice, quasi lapalissiano: tutto ciò è stato progettato al preciso scopo di spingere persone distratte a comprare il prodotto. I panettoni senza canditi sono nati a causa delle proteste di consumatori particolarmente schifiltosi, a cui non piaceva la frutta candita. Sembra che ai tempi Mike Bongiorno facesse pubblicità di panettoni senza canditi, e anche questo deve aver contribuito ad aumentarne la richiesta e la diffusione. Anche le uvette danno problemi a non poche persone. Ricordo ancora un vegliardo stizzoso che trattava ogni fetta di panettone togliendone uvette e canditi con grande cura, con movimenti simili a quelli che usava per scaccolarsi le narici. Nel farlo contraeva il volto in espressioni di schifo, come se stesse togliendo dal panettone concrezioni di merda. Come gli ho chiesto perché facesse così, quello ha risposto ringhiando in dialetto: "Me piasen no" (ossia "non mi piacciono"). Davvero notevole, se si pensa che l'anziano signore che storceva il naso aveva fatto la guerra. Ecco, un tempo c'era un panettone di un solo tipo, adesso ogni fisima diventa richiesta e ogni richiesta attiva il mercato, che la deve soddisfare. Tuttavia, per una persona che non ama canditi e uvette ce ne sono molte di più a cui piacciono. Così un'azienda dolciaria può sbagliare i conti e produrre più panettoni scialbi del dovuto, faticando poi a venderli. Ecco spiegato l'arcano. 

UNA NUOVA SPECIE DI TOPI IMMORTALI

Ormai da anni siamo martellati quotidianamente da notizie della scoperta di miracolose panacee. Arrivano a ritmo serrato, impossibile non notarle. Sempre nuove ricerche mettono a nudo i meccanismi del cancro e dell'AIDS, trovando punti deboli che permetteranno di guarire da queste terribili malattie. Ogni tumore sarà presto come un raffreddore, ecco cosa ci promettono. Risultati strepitosi anche per il diabete e per altre patologie croniche, e persino le conseguenze di un ictus a quanto ci dicono saranno soltanto un ricordo. Grazie a una proteina o a un enzima, ecco che viene bloccato l'invecchiamento. Basta attivare o disattivare un gene per liberarsi di tutto ciò che non è gradito, demenza compresa. Non ci sono limiti. Tutti i ciechi riacquisteranno la vista. Come cantava Lucio Dalla, anche i muti potranno parlare. Ogni dolore sarà cancellato, in pratica sarà la Resurrezione dei corpi, persino i morti torneranno in vita come Giona sputato dalla balena, e in condizioni di perfetta, eterna salute. Per giunta tutte queste meraviglie preconizzate dai mass media saranno possibili grazie ai ritrovati e alle idee mirabolanti di ricercatori italiani. Ecco l'Italico Genio che ritorna! Tutto degno della massima attenzione, certo, ma quando si leggono questi articoli si scopre che sono tutti accomunati da una ben precisa caratteristica: sempre, senza possibilità d'eccezione, gli elisir in grado di far scomparire ogni malanno funzionano... soltanto sui topi. Nemmeno la più piccola conquista è diventata qualcosa di fruibile per gli esseri umani. Anni e anni che passano, e il solo risultato concreto che hanno potuto ottenere è stato quello di donare la vita eterna ai roditori! 

venerdì 13 marzo 2015


BRAZIL

Anno: 1985
Durata: 132 min (142 min director's cut)
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: fantascienza, grottesco, drammatico
Sottogenere: distopico
Regia: Terry Gilliam
Soggetto: Terry Gilliam
Sceneggiatura: Terry Gilliam, Tom Stoppard,
     Charles McKeown
Produttore: Arnon Milchan
Fotografia: Roger Pratt
Montaggio: Julián Doyle
Effetti speciali: Ron Burton
Musiche: Michael Kamen, Kate Bush, Ray Cooper
Scenografia: Norman Garwood

Interpreti e personaggi:
Jonathan Pryce: Sam Lowry
Kim Greist: Jill Layton
Michael Palin: Jack Lint
Ian Holm: Mr. Kurtzmann
Robert De Niro: Archibald "Harry" Tuttle
Katherine Helmond: Ida Lowry, la madre di Sam
Bob Hoskins: Spoor, il tecnico del Central Service
Ian Richardson: Mr. Warrenn
Peter Vaughan: Mr. Helpmann
Jim Broadbent: Dr. Jaffe
Barbara Hicks: Alma Terrain
Charles McKeown: Harvey Lime
Jack Purvis: Dr. Chapman
Derrick O'Connor: Dowser
Kathryn Pogson: Shirley
Bryan Pringle: Spiro
Brian Miller: Mr. Buttle
Sheila Reid: Mrs. Buttle
John Flanagan: Intervistatore TV / venditore
Ray Cooper: Tecnico

Trama (da MYmovies):
"Ispirato a 1984 di George Orwell e diretto da un membro dei Monty Python, Brazil (che è il titolo della famosa canzone degli anni Quaranta simbolo di evasione) è una bizzarra e straripante metafora contro le dittature in nome della libertà. Il "portavoce" è Sam Lowry, addetto agli archivi del Dipartimento informazioni in un paese del futuro dominato dal potere e dalla burocrazia dove gruppi di terroristi seminano distruzione per reagire all'oppressione. In seguito ad imprevisti e a strani incontri (un idraulico che si oppone al sistema riparando abusivamente nelle case, interpretato da De Niro), Sam si scopre vocazioni di oppositore e di terrorista, ma verrà reso innocuo." 


 
Recensione:

Un film attualissimo e profetico, che descrive molto bene il mostruoso Moloch burocratico che stritola questo paese e il secchio di cagnotti che è la politica. Penso proprio che avrebbero dovuto intitolarlo Italy. È uscito un anno dopo il fatidico 1984, ed è difficile credere che si tratti soltanto di un caso. Guardandolo si viene proiettati in luogo terribile, dove l'essere umano è oppresso da un'infinità di procedure e di formalità inflessibili che soffocano ogni minimo aspetto dell'esistenza, rendendo ogni movimento impossibile, ostacolando ogni singolo pensiero. Per fare qualsiasi cosa si devono produrre quantità impressionanti di scartoffie, al punto che il proprio tempo viene impietosamente divorato da questa macchina di morte. Un atroce labirinto in cui non si può neanche andare al cesso senza avere un protocollo in entrata e un protocollo in uscita e senza compilare un modello 740 per pagare la tassa sugli escrementi. Mentre le sequenze scorrono si è colti da un'angoscia incredibile: ci si rende conto che il mondo descritto da Brazil è proprio quello in cui siamo costretti a vivere nel nostro presente! L'ingranaggio burocratico, che fino a qualche anno fa era soltanto elefantiaco, oggi è leviatanico. Il sangue dei cittadini stritolati serve a nutrire inetti politicanti che si gonfiano come grappoli di zecche, traendo prosperità dalle altrui disgrazie. Quando vidi il film per la prima volta non mi sembrava possibile immaginare che saremmo arrivati a sopravvivere in una realtà tanto degradata, eppure è così, ed ogni giorno che passa è peggio del precedente. L'unica speranza è che l'intero edificio collassi presto, come i tessuti ormai putrescenti di una carampana sottoposta a decine di interventi di chirurgia plastica. 
 
Sequenze memorabili

La bellissima donna dai corti capelli rossi, vestita d'argento e con le ali di un angelo, che vola nei sogni del protagonista e gli porta un barlume di speranza; i chihuahua con l'ano incerottato per impedire la fuoriuscita di escrementi; la grottesca banda militare che intona inni natalizi; la laida vecchiaccia devastata dai lifting, al punto che il suo volto elastico si sfalda fino a diventare un'immonda poltiglia; i meccanici soffocati da una massa di feci umane pompate nelle loro tute di plastica direttamente dal pozzo nero; la battaglia onirica del protagonista contro il colossale mostro corazzato come un samurai; la sala di tortura dentistica con il seviziatore che indossa un'atrocissima maschera infantile. 

Curiosità

All'inizio il titolo di questo film doveva essere 1984 ½, un chiaro riferimento al romanzo distopico di George Orwell, 1984, unito a un omaggio a Federico Fellini e al suo film (1963). Tuttavia quando nello stesso anno uscì Orwell 1984, diretto da Michael Radford, l'idea non poté più essere sostenuta, fu deciso di cambiare titolo per evitare problemi legali.   

Terry Gilliam attribuisce a Tom Stoppard l'idea di uno scarafaggio morto che cade nel computer causando l'errore tipografico che porta alla condanna a morte di un uomo, innescando una catena di grottesche conseguenze alla base della struttura narrativa del film.

Il famigerato modulo 27B/6, senza il quale nessun intervento può essere eseguito dai riparatori del Dipartimento dei Lavori Pubblici, è un riferimento criptico a George Orwell, che visse a Canonbury Square nell'appartamento 27B al sesto piano, durante la scrittura di parti del romanzo 1984.

Le scene oniriche che concludono il film erano inizialmente pensate come una lunga sequenza iniziale. Un'altra scena onirica, già scritta e filmata, prevedeva che il protagonista volasse sopra un campo fatto di occhi che iniziavano a muoversi lentamente per seguire la sua discesa su un pilastro. Questi occhi erano palle da biliardo con false iridi dipinte. Il simbolo dell'occhio si ritrova anche in altri film di Terry Gilliam come L'esercito delle 12 scimmie (1995). Tuttavia, anche se l'idea sembrava buona, fu stabilito che non avrebbe funzionato. Quindi le sequenze oniriche furono ripartite nel corso del film.

Alcuni nomi sono significativi:
- Mr. Kurtzmann: (in tedesco "uomo corto"): di bassa statura e con scarso successo. Fu chiamato così da Harvey Kurtzman, l'editore della rivista Help, ove Gilliam aveva lavorato negli anni '60.
- Mr. Helpmann: aiuta Sam Lowry.  
- Mr. Warrenn: lavora in un palazzo labirintico simile a una tana di conigli (in inglese rabbit warren).  
- Harvey Lime: forse un riferimento a Harry Lime ne Il terzo uomo (1949).

Quasi tutta la colonna sonora è una variazione della canzone principale, Aquarela do Brazil (1939), di Ary Barroso. Il regista ha concepito l'idea di usare questa musichetta allegra e spensierata per via della dissonanza stridente con la realtà infernale rappresentata nel film. Aveva abuto modo di ascoltarla durante una visita alla desolata spiaggia di Port Talbot, in Galles, dove tutto era ricoperto da una nera polvere di acciaio.

sabato 7 marzo 2015

 

UN WESTERN SCATOLOGICO: 
PIÙ FORTE SORELLE

Produttore: Silvio Battistini
Regia
: Renzo Spaziani (Renzo Girolami)  
Sceneggiatura
: Franco Vietri 
Anno: 1973 
Genere: Western/Commedia 
Durata
: 79 min 
Paese: Italia 
Casa di produzione: New Films
Cast: 
Lincoln Tate (Amen),
Gabriella Farinon (Jane),
Gianclaudio Jabes (Catapult),
Gilberto Galimberti (capo scagnozzo di Catapult),
Luigi Bonos (Timothy),
Clara Colosimo (suora),
Franca Maresa (suora),
Suzy Monen (suora),
Sandro Scarchilli (Tutti Frutti, scagnozzo gay),
Carlo Monni (veterinario, dentista),
Lorenzo Piani (cowboy),
Francesco D'Adda (scagnozzo),
Serafino Profumo (scagnozzo).

Fotografia: Mario Parapetti
Colore
: colore - widescreen  
Musica: Nando De Luca
Canzone
: Catapult, cantata da Eldorado Stones 

AKA: 
Drei Nonnen auf dem Weg zur Hölle (Germania)
For a Book of Dollars (U.S.A.)
Más fuerte, hermanas (Argentina)
Kansas City (Francia)
Des dollars plein la gueule (Francia) 


Trama (da Spaghetti Western Forum):
Alcune suore assoldano un cacciatore di taglie di nome Amen (Lincoln Tate) per aiutarle a recuperare il loro denaro perduto. Il bottino era stato rubato da un sudicio branco di fuorilegge conosciuti come Banditi-Catapulta, dal nome del loro capo Catapulta (Gill Roland), appunto. Amen insieme alle suore, trova il bottino ed elimina la banda dei fuorilegge, per poi scoprire che le brave suorine, altro non sono che incallite donne fuorilegge. Amen le raggiunge e tutto finisce con un Happy End.

Recensione: 

Sono passati davvero molti anni da quando ho visto questo film, che non esito a definire un western scatologico. Alcune scene sono rimaste impresse in modo vivido nei miei banchi di memoria, per il resto i miei ricordi presentano numerose lacune (sono sparite chissà come le suore) e forse anche qualche distorsione. Riporto nel seguito quanto sono riuscito a recuperare dalle banche dati dei miei neuroni.   

In una desolata regione desertica al confine col Messico imperversa un bandito conosciuto come Catapult, così chiamato perché in un lampo di genio ha concepito l'idea di riportare in auge la catapulta, utilizzandola per rapinare le banche. Le sue imprese hanno un successo travolgente, al punto che finisce con l'impadronirsi di interi distretti e a radunare un incredibile numero di malfattori. Un eroe solitario si incammina per le terre sotto il potere del bandito Catapult, con l'intenzione di portarlo alla rovina. È determinato ad ottenere vendetta, forse perché la sua amante è stata insidiata dal malvivente. Armato di un purgante drastico per muli, dopo varie vicissitudini riesce a diventare il cuoco di Catapult. Naturalmente la purga finisce nella zuppa e quello che ha inizio ha dell'incredibile: i banditi sono presi da una diarrea spaventosa, si contorcono come lucertole in preda a violentissime coliche intestinali e corrono verso le latrine emettendo scorregge rumorose come tuoni, finendo col produrre un vero e proprio lago di escrementi. Nel tumulto Catapult finisce con l'essere travolto dai suoi uomini e sepolto dalle eruzioni dei vulcani fecali fino ad affogare laidamente nello sterco. 

A quanto pare si tratta di un'autentica rarità, che ha lasciato ben poche tracce di sé. Si segnalano numerose incongruenze: non si sa nemmeno qual è la reale identità del regista Renzo Spaziani, che in Germania è identificato con Renzo Girolami, mentre secondo altri sarebbe Mario Bianchi; l'attore che interpreta Catapult è secondo la maggior parte delle fonti Gianclaudio (Jean Claude) Jabes, ma alcuni sostengono che sia invece Gill Roland. Pochi e feroci i giudizi che si trovano nel Web: "detrito del fagioli-western" (Il Gobbo), "appuntamento irrinunciabile per tutti i cultori dell'orrido" e "penosissimo western demenzial-comicarolo" (Gestarsh99). Nel forum Gente di Rispetto, sezione La Colt è la mia legge, c'è una pagina dedicata al film, in cui si riporta questa citazione: 

"Film che trova pochi riscontri [...] in cataloghi e annuari. Probabilmente inedito nelle pubbliche sale, se ne ricorda un "passaggio" televisivo in una piccola emittente privata [...]"
(Poppi-Pecorari, Dizionario dei film 1970-79, Gremese)

Quindi è per un purissimo caso che mi è capitato di imbattermi in quello che potrebbe essere l'unico film western di argomento escrementizio in tutta la storia del cinema!