venerdì 23 settembre 2016


NOSFERATU, IL PRINCIPE DELLA NOTTE

Titolo originale: Nosferatu: Phantom der Nacht
Titolo inglese: Nosferatu the Vampyre
Paese di produzione: Germania Ovest, Francia
Lingue originali: Tedesco, Inglese, Romani Vlax  
Anno: 1979
Durata: 107 min
Colore: colore
Audio: sonoro
Rapporto: 1.85:1
Genere: orrore
Regia: Werner Herzog
Soggetto: Bram Stoker, Friedrich Wilhelm Murnau
Sceneggiatura: Werner Herzog
Produttore: Werner Herzog
Produttore esecutivo: Walter Saxer
Casa di produzione:
Werner Herzog
    Filmproduktion, Gaumont
Fotografia:
Jörg Schmidt-Reitwein
Montaggio: Beate Mainka-Jellinghaus
Effetti speciali: Cornelius Siegel
Musiche: Popol Vuh, Richard Wagner, Charles
    Gounod
Scenografia: Henning Von Gierke, Ulrich
    Bergfelder
Costumi:
Gisela Storch
Trucco: Reiko Kruk
Interpreti e personaggi:
    Klaus Kinski: Conte Dracula
    Isabelle Adjani: Lucy Harker
    Bruno Ganz: Jonathan Harker
    Roland Topor: Renfield
    Walter Ladengast: Dr. Van Helsing
    Carsten Bodinus: Schrader
    Martje Grohmann: Mina
Doppiatori italiani:
    Sergio Graziani: Conte Dracula
    Rossella Izzo: Lucy Harker
    Ferruccio Amendola: Jonathan Harker
    Armando Bandini: Renfield
    Arturo Dominici: Dr. Van Helsing
    Michele Gammino: Schrader
    Anna Rita Pasanisi: Mina
Premi:
    Festival di Berlino: Orso d'argento per la
        scenografia
    Deutscher Filmpreis: Miglior attore - Klaus
        Kinski

Trama:
Jonathan Harker è un agente immobiliare che vive a Wismar, città sul Mar Baltico. Il suo datore di lavoro, Renfield, lo informa che il Conte Dracula intende comprare una proprietà proprio a Wismar. Così Harker viene incaricato di andare al castello del Conte per concludere l'affare redditizio. Durante il suo lungo viaggio, l'agente immobiliare si ferma in un villaggio, dove si imbatte in quella che crede essere una stravagante superstizione: gli abitanti del luogo lo avvertono che il castello è un luogo maledetto e che il suo padrone è un vampiro. L'oste traduce la narrazione di un gruppo di zingari che affermano di aver viaggiato fino alla dimora di Dracula. Nessuno vuole accompagnare Harker, che non dà credito agli avvertimenti e procede nel suo viaggio a piedi. Dopo aver percorso luoghi assai tetri, arriva a incontrare di persona il Conte, che si rivela essere un uomo anziano e di stranissima fisionomia, quasi simile a un roditore, con unghie lunghe, denti aguzzi e separati, pelle pallida, grandi orecchie. Dopo il primo inquietante incontro notturno con il suo ospite, Harker si rende conto di essere prigioniero del castello, un luogo irreale in cui durante il giorno non si trova anima viva. Cercando una via d'uscita, l'agente immobiliare scopre che il Conte passa le ore diurne in una cripta, chiuso in una tomba. A questo punto capisce che il libro sui vampiri datogli dalla locandiera non è una summa di superstizioni, ma descrive una realtà. Al calar del sole da una finestra del castello vede Dracula intento a caricare diverse bare su un carro. Terminata l'operazione, il nobiluomo entra in una delle casse da morto e ne chiude dall'interno il coperchio. A questo punto Harker comprende che Nosferatu è diretto proprio a Wismar. Decide allora di evade dal castello calandosi da una finestra con un lenzuolo annodato. Nel frattempo le bare piene di terriccio pestoso e di ratti vengono caricate su un vascello che discende il corso del Danubio fino al Mar Nero ed entra nel Mediterraneo. L'equipaggio viene decimato e all'altezza della Biscaglia la situazione è critica. Alla fine rimane soltanto il capitano, che si lega al timone. La nave giunge a Wismar piena zeppa di ratti. Quando le autorità mediche leggono l'accaduto sul libro di bordo è troppo tardi: la peste già imperversa in città. Harker riesce a fare ritorno proprio allora e non può far nulla per avvertire del pericolo i suoi condittadini. Reso folle da una gravissima congestione cerebrale, ricorda il suo indirizzo e viene ricondotto a casa, ma non è più in grado di riconoscere la moglie. Lucy non vuole accettare il tragico destino che ha colpito suo marito. È convinta di riuscire a ridargli senno e salute. Si mette così a leggere i suoi diari e il libro sui vampiri che ha portato con sé dai Carpazi, arrivando così a conoscere la verità sull'accaduto. Pur di distruggere Nosferatu, arriva a offrirgli il suo collo per un'intera notte, riuscendo così a trattenerlo fino al canto del gallo e a causarne la morte. Il Conte muore tra atroci convulsioni, intossicato dalla luce diurna. Tuttavia - a differenza di quanto visto nel film di Murnau - questo non porrà fine alla maledizione e le cose non andranno per il verso giusto... 

Recensione:

Classificato come "remake" del Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau e senza dubbio da esso ispirato, in realtà vi apporta novità sostanziali, al punto che a parer mio si tratta di un'opera del tutto dissimile e non ben comparabile con l'originale. Sono convinto che per questo genere di film il bianco e nero sia insuperabile, eppure il capolavoro di Herzog riesce a rendere bene il disfacimento e la Tenebra nonostante sia un film a colori. È altrettanto vero che Herzog disponeva sul finire degli anni '70 di una serie di mezzi che all'epoca di Weimar erano inconcepibili, come ad esempio il sonoro. Rispetto all'originale la trama ha una notevole complessità. Numerose sono le sequenze memorabili, squarci onirici sul Mondo dell'Abisso che restano impressi in modo indelebile fin che si vive.


Le mummie del Luogo delle Rane

I cadaveri spaventosi mostrati all'apertura del film, apparizioni spettrali, larve ctonie che funestano i sogni della bellissima Isabelle Adjani, esistono davvero: si tratta delle mummie di Guanajuato, in Messico. Nella lingua dei Taraschi, Quanax-Juato significa Luogo delle Rane (composto formato da quanax, cuanax "rana" e da huato, juato "luogo elevato, colle; montagna"). Nel 1833 la città messicana fu colpita da una terribile epidemia di colera, che mieté un gran numero di vittime. Dopo alcuni decenni, nel 1870, i corpi cominciarono ad essere esumati dal cimitero e disposti in un edificio. A quell'epoca la popolazione era soggetta a una legge spietata, che fu abolita solo nel 1958: quando una famiglia inumava un morto, era stabilito che dovesse pagare una retta onerosa per mantenerlo nel terriccio per un certo numero anni. Se questo pagamento non era più effettuato, il cadavere veniva esumato. Una piccola parte dei corpi dissepolti ha subito un processo di mummificazione spontanea, producendo gli assoluti capolavori estetici ripresi da Herzog. L'edificio in cui venivano raccolti i resti meglio conservati dei morti di colera divenne poi un museo e cominciò ad attrarre turisti in gran numero. Il regista tedesco ha fatto rimuovere le mummie dalla teca di vetro che le conteneva per appoggiarle alla parete di un antro, disponendole a seconda dell'età in una sequenza che andava dall'infanzia alla vecchiaia.  


La catabasi di un gruppo di Rom Valacchi

Notevole è la densa narrazione nel dialetto Vlax della lingua Romani fatta dagli zingari riuniti attorno al fuoco del campo e tradotta al viaggiatore dall'oste. È l'impressionante resoconto di una discesa agli Inferi. Nel corso di un loro viaggio, alcuni di questi gitani si sono imbattuti in un luogo ingannevole, fatto di spettrali rovine, di ombre e di riflessi inspiegabili, giungendo quindi fino alle montagne dell'Erebo. Quello che hanno visto è in realtà un luogo non appartenente alla stessa Terra abitata dai vivi: è lo spettro di un castello. Di fronte a queste descrizioni, si può soltanto pensare all'antichissimo mito di Zamolxis, l'uomo che divenne immortale dopo aver dimorato nel sottosuolo, finendo con l'essere adorato come una divinità dai Daci. Nel corso del suo viaggio solitario Harker vede le rovine del castello stagliarsi nel crepuscolo, stupendosi nel trovarsi di fronte un edificio integro una volta giunto a destinazione. Tanto mi hanno colpito le sequenze in Romani che mi riprometto di trascrivere questa testimonianza parola per parola e di pubblicarla, descrivendone ogni lessema con tanto di etimologia, se nota.  


Il servo di Dracula e l'Immortalità

Il servitore del Conte, interpretato in modo magistrale da Roland Topor, è rinchiuso in una cella in manicomio. Tiene in mano una specie di trappola piena zeppa di mosconi azzurri di cui si nutre, con grande scandalo del guardiano. Sostiene di possedere il segreto dell'Immortalità dei corpi. I concetti di base sono molto semplici. Ogni persona ha in sé la vita, che è come un fluido. Defecando ogni giorno si espelle una parte di questo fluido, che non viene reintegrato a sufficienza dal cibo e dalle bevande, così ecco che i viventi esperiscono l'invecchiamento e la morte. Se tuttavia un vivente ingerisce qualcosa di vivo, come ad esempio un artropode, ecco che il fluido vitale si accresce e le dispersioni vengono reintegrate, garantendo la sopravvivenza nei secoli. Secondo lo stesso principio, anche la reintroduzione delle feci, che contengono il fluido vitale espulso, pone rimedio alla sua dissipazione. Queste credenze, fondate su una base in apparenza logica, in realtà vanno contro le leggi stesse della termodinamica. Eppure c'è gente che tuttora le segue: molti anni fa mi capitò di imbattermi in un soggetto che le enunciava esplicitamente e le metteva in pratica, nutrendosi ogni giorno di escrementi e resistendo in modo ostinato a ogni tentativo del suo psicologo di dissuaderlo. 


L'Esercito dei Ratti

Dato che il film di Herzog deriva la sua ispirazione dal Nosferatu di Murnau, in esso troviamo in tutta la sua potenza l'originale simbolismo del Vampiro e della Peste. Tuttavia si ha l'impressione che Herzog non fosse ben consapevole della natura di propaganda antisemita del film del '22 da cui ha tratto ispirazione, quindi rielabora il materiale secono nuovi canoni. Se si confrontano le fattezze del Conte Orlok con quelle del Conte Dracula di Herzog, si vede che in quest'ultimo i caratteri caricaturali tipici dell'iconografia antisemita sono considerevolmente attenuati. Soprattutto non si ha più il tipico nasone aquilino che ha avuto un così grande ruolo nell'immaginario collettivo dell'epoca di Weimar e in seguito del Reich. La Peste invece assume proporzioni ben più spaventose di quanto visto nell'opera di Murnau. Se il Conte Orlok mieteva vittime contaminando con la Yersinia pestis la città immaginaria di Wisborg, cambiata in Brema in alcune versioni, il Conte Dracula di Herzog dà inizio a una vera e propria pandemia pestosa. "L'Esercito dei Topi e la Morte Nera sono con te!", dice il Vampiro al fedele servitore Renfield, incaricandolo di giungere fino a Riga, in Lettonia, e di portare il letale contagio ovunque. 


La Danza Macabra e
il Banchetto degli Appestati

Mentre la pestilenza imperversa e la città è desolata, Lucy si reca in piazza, dove la gente resa demente improvvisa balli scatenati e musiche. Scrofe camminano in mezzo ai rifiuti e alle bare abbandonate. Sembra un paesaggio infernale di Hieronymus Bosch. Proseguendo per la sua via, la donna si imbatte in un gruppo di gaudenti seduti a una tavola imbandita collocata sulla strada. "Abbiamo tutti la peste e ogni giorno che ci rimane deve essere una festa", dice un giovane uomo. Poco dopo nessuno dei commensali è più in vita e anche i loro corpi sono scomparsi. I ratti dal candido pelo sommergono la tavola, brulicando come cagnotti nella carne putrefatta. Una metafora potentissima della condizione umana. Innumerevoli sono le persone che cercano con ogni mezzo di esorcizzare la Morte, tenendola alla larga ed evitando persino di nominarla. Pensano ai piaceri e disprezzano chiunque guardi anche soltanto per un attimo oltre l'orizzonte della masticazione, della defecazione e dello svuotamento dei testicoli. Esistono soltanto per riempire quel sacco che è lo stomaco e per sfregare i genitali contro la pelle di qualcun altro. Chi non è come loro, lo chiamano "sfigato". Le loro risate, la loro sfrenata disposizione, la loro incessante ricerca di qualche lubrico contatto non può tuttavia tenere lontano Azrael, il Sinistro Mietitore. 


Il Trionfo delle Tenebre

Il Nosferatu di Murnau preconizzava l'avvento del Nazionalsocialismo, rappresentato dal sole che con i suoi raggi annientava il Vampiro, inteso come chiara metafora dell'Ebraismo. Chi è ignaro di questa genuina interpretazione vedrà nel giorno che uccide il Conte Orlok un finale di ottimismo e il prevalere della Vita sulla Morte. Il Nosferatu di Herzog, che non ha gli intenti politici dell'originale e che rifiuta ogni forma di ottimismo retorico, mostra una vittoria soltanto apparente dell'astro diurno. È vero infatti che il Conte Dracula viene trattenuto da Lucy fino al sorgere del sole, finendone ucciso. È altrettanto vero che Van Helsing gli conficca nel cuore un grosso paletto di legno, ponendo fine a ogni speranza di resurrezione vampirica. Tuttavia il giovane Harker finisce a sua volta vampirizzato. Liberatosi con l'astuzia dell'ultimo ostacolo, una croce al collo e alcuni pezzetti di ostia che lo confinano su una sedia, imperverserà nel mondo, accrescendone il Male.


Nosferatu e il Pathos

Un limite del Non Morto interpretato da Klaus Kinski è di certo il suo pathos. Si capisce che il prolungarsi della sua esistenza spettrale nei secoli gli pesa immensamente: egli avverte il peso della solitudine e soprattutto sente la mancanza lancinante dell'amore. Queste sono le parole da lui dette a Lucy: "Chi dice "la morte è crudele" sono solo gli inconapevoli. Ma la morte non è che un taglio netto. È molto più crudele non essere capaci di morire."
"Vorrei poter essere partecipe dell'amore che c'è tra lei e Jonathan."
"Io potrei cambiare tutto, Lucy. Se venisse con me e fosse mia alleata, sarebbe la salvazione per suo marito e per me."
"La mancanza d'amore è la più crudele e abietta delle pene."

Dracula si mostra debole e vulnerabile, non esente da morbosità erotiche. Non ci sono dubbi sul fatto che proponga a Lucy un torbido ménage a trois.
Concetti simili li aveva espressi a Harker:
"Io sono discendente di un'antica famiglia. Il tempo è un abisso profondo come lunghe e infinite notti. I secoli vengono e vanno. Non avere la capacità di invecchiare è terribile. La morte non è il peggio. Ci sono cose molto più orribili della morte. Riesce a immaginarlo? Durare attraverso i secolo sperimentando ogni giorno le stesse futili cose."

Il Non Morto del film di Murnau, interpretato da Max Schreck, è invece di una raggelante alienità. In effetti questo dovrebbe essere un vampiro: l'emissario di un mondo di tenebra e di mistero, del tutto privo di punti in comune con l'emotività e con l'affettività del genere umano. Se ci si dimentica questa semplice verità, si apre la strada alla grottesca e futile figura del vampiro innamorato. Soltanto i moderni non avvertono l'intrinseca contraddizione di un tale ossimoro. 


Un Van Helsing scettico

Se nel romanzo di Stoker Van Helsing è uno studioso di occultismo e soprattutto un esorcista, nel film di Herzog ci ritroviamo con una figura a dir poco inconsueta e bizzarra: quella di un Van Helsing razionalista spinto e accanito oppositore di ogni superstizione. Il vampirismo non fa parte del mondo indagabile dalla Scienza, così il medico lo respinge senza indugio, affermando che non vi sono evidenze sperimentali che ne provino l'esistenza. Soltanto verso la fine si convince della realtà di Nosferatu, di fronte al suo corpo inanimato e ai buchi lasciati sul collo del cadavere di Lucy. A questo punto si procura un paletto acuminato e un martello e procede all'uccisione del Conte. C'è però da notare una cosa che sembra essere finora passata inosservata. Appena conficcato il paletto nel petto del vampiro, Van Helsing non riserva lo stesso trattamento al corpo di Lucy, da poco spirata per dissanguamento. Questo dà origine a un sinistro finale aperto: non soltanto Lucy è destinata a risorgere, ma anche la sua amica Mina, che come lei è morta dissanguata.

La bizzarria dell'onomastica

Secondo alcune malelingue, Herzog avrebbe deciso per mere ragioni di botteghino di cambiare i nomi introdotti da Murnau, ripristinando quelli originali dati da Bram Stoker nel suo romanzo Dracula. Una bizzarria degna di nota è che i nomi di Lucy e di Mina sono invertiti. A parte questo, il regista si mantiene abbastanza fedele al film originale sotto molti aspetti e la sua ambientazione è continentale: soltanto la città fantomatica di Wisborg diventa Wismar, sul Mar Baltico. Questo crea un interessante paradosso che sembra essere sfuggito a molti. Cosa ci fanno nominativi anglosassoni come Jonathan Harker, Lucy e Renfield in quel contesto germanofono? Il cognome Harker è tipicamente inglese, originario dello Yorkshire e derivato dal verbo to hark "origliare" (variante di to hearken, antico inglese heorcnian). Anche il cognome Renfield è anglosassone e deriva dall'antico inglese rand "bordo, margine". All'elemento toponimico inglese -field corrisponde in tedesco -feld "campo". Non mi risulta che il nome femminile Lucia (Luzia) sia molto diffuso nei paesi di lingua tedesca. Quando mi sono accorto delle incongruenze, ho provato a razionalizzare la cosa pensando all'attività di un gruppo di inglesi nel Baltico, cosa sempre possibile ma abbastanza improbabile e in ogni caso non documentata. L'ipotesi più probabile è che Herzog non si sia reso conto della stranezza di quest'enclave anglofona nel Baltico per il semplice fatto che è stata una cosa non voluta, un effetto collaterale dell'adattamento. Si noterà che Murnau ha evitato di incorrere in errori di questo tipo. Hutter è un cognome tedesco che significa "Fabbricante di Cappelli" (variante Hütter); Knock e Harding possono essere anglosassoni ma si trovano anche in Germania. Il cognome inglese Harding proviene da un più antico Hearding "Figlio del Duro". L'omofono cognome tedesco ha la stessa origine e proviene dall'area settentrionale dove la seconda rotazione consonantica non è attecchita.

Un altro elemento incongruo: l'ostia consacrata

Se uno ci pensa bene, c'è qualcosa che stona non poco in un ambiente rigidamente protestante come quello delle città baltiche della Germania: l'uso dell'ostia consacrata come mezzo per fermare i vampiri. Si tratta di un elemento che proviene dal romanzo gotico del giornalista irlandese, concepito in un contesto del tutto dissimile. La critica dà per scontato che Bram Stoker fosse cattolico, proprio perché nativo dell'Irlanda, attribuendo a questa pretesa appartenenza religiosa l'abbondante uso di crocefissi e di ostie consacrate. Tuttavia ho potuto appurare che l'autore aderiva alla Chiesa Anglicana, in cui era stato educato fin da piccolo. La cosa non crea particolari problemi, dato che crocefissi e ostie erano usati anche in contesto anglicano, senza contare il fatto che in ogni caso Stoker era cresciuto tra fedeli della religione della Chiesa Romana e doveva risentire di questo in qualche modo. La Londra in cui si svolgono le gesta di Harker e di Dracula era una città abbastanza varia come composizione religiosa e i cattolici non erano in numero irrilevante. Difficile è attribuire i rituali antivampirici fondati su elementi di teologia cattolica alla popolazione di etnia tedesca della Transilvania, essendo questa di religione protestante. Herzog non deve aver approfondito troppo l'argomento.

Attualmente la statistica fornisce questi dati sulle religioni a Wismar: 18% protestanti, 3% cattolici, 3% altre religioni, 76% senza confessione. Nel XIX secolo la ripartizione doveva essere molto diversa. Chiaramente esisteva anche allora una minoranza cattolica, mentre è immaginabile che non ci fossero tanti atei o "cristiani indifferenziati" come oggi: la percentuale dei "senza confessione" deve essere cresciuta a tal punto grazie a protestanti che hanno abbandonato la loro religione per non abbracciarne nessuna o per professare una fede cristiana generica, priva di rapporti con qualsiasi congrega. Dato che la Riforma ebbe nel Meclemburgo e in Pomerania grandissimo successo, i cattolici superstiti non dovevano avere nel XIX secolo una fede molto ardente e di certo non erano aggressivi come nei paesi in cui erano la maggioranza. Quindi è difficile credere che in una città baltica ci fossero molte persone disposte a dare credito a rimedi contro i vampiri fondati sull'uso di ostie consacrate. Si noterà che Murnau ha tolto ogni riferimento religioso dal suo adattamento.

Una leggenda nera

Corre voce che durante la lavorazione del film i ratti siano stati sottoposti a spaventosi maltrattamenti. Si tratta di calunnie inventate da qualche adepta convulsionaria della setta antispecista, che opera per gettare discredito su tutto e su tutti al fine di imporre il proprio potere sulle genti e assoggettarle a una dittatura durissima. Si parla ad esempio di un trattamento aberrante quanto improbabile per tingere i ratti bianchi di grigio: immersi nell'acqua bollente per pochi istanti, avebbero finito col morire in gran numero e i superstiti si sarebbero messi a leccarsi nel tentativo di togliersi il colore, finendo col divorarsi a vicenda. Che tutto ciò sia una falsità confezionata a bella posta con l'intento di nuocere a Herzog lo dimostra la sua stessa insensatezza - oltre al fatto che i ratti mostrati nel film colpiscono lo spettatore per la loro robusta salute e per la loro capacità di pullulare a dismisura.

Alcune curiosità

Ogni scena con dialoghi fu girata separatamente in tedesco e in inglese, senza ricorrere al doppiaggio. Così esistono due versioni che mostrano lievi differenze nella parte visiva. Nel 2014 Herzog ha dichiarato che la versione in tedesco è quella più autentica. 

Martje Grohmann, che ha interpretato la parte di Mina, che all'epoca era la moglie di Werner Herzog. Ha lavorato anche in altri film del regista tedesco: Sorelle - L'equilibrio della felicità (1979), Aguirre furore di Dio (1972) e Segni di vita (1968). Se si cerca il suo nome in Google Images si fa molta fatica a trovare una sua foto, mentre saltano fuori moltissime foto di Isabelle Adjani: evidentemente l'Idiozia Artificiale non tiene conto del fatto che Herzog ha invertito i nomi di Mina e di Lucy: dato che nel romanzo di Stoker la moglie di Harker si chiama Mina, alla Grohmann viene attribuito l'aspetto della Adjani, che è la moglie di Harker nel film!

Lo stesso Herzog compare in una scena nel film: a lui appartiene la mano del funzionario doganale che ordina di aprire una cassa da morto per verificarne il contenuto dichiarato, finendo morsicato da un roditore. A quanto ha dichiarato, nessun altro in tutta la troupe aveva il coraggio di toccare i topi.

Le sequenze del pipistrello in volo si erano rivelate estremamente difficili da eseguire, così furono utilizzate sequenze tratte da un documentario scientifico.

La vettura che raccoglie Harker al Passo Borgo è un carro funebre che era ancora in uso in Bulgaria all'epoca delle riprese.

Klaus Kinski ha interpretato il ruolo di Renfield nel film Il Conte Dracula di Jess Franco (1970). Quando lo avrò visionato, non mancherà la recensione.

Herzog ha scritturato Roland Topor facendogli interpretare Renfield dopo averlo visto in uno show televisivo francese: era rimasto molto colpito dalla sua caratteristica risata compulsiva. Topor fu un notevole artista di origine ebraico-polacca famoso per i suoi disegni surreali e grotteschi, che hanno davvero dell'incredibile. Fu anche drammaturgo e paroliere. A quanto pare fu anche l'inventore della parola atelorrea, che indica il vomito senza fine.

Il 1979 ha visto pullulare i film sulla figura di Dracula. Oltre al film di Herzog abbiamo anche Dracula di John Badham, la commedia Amore al primo morso di Stan Dragoti, Nocturna di Harry Hurwitz e Il succhione di Carl Schenkel (Carlo Ombra). Sempre nello stesso anno sono usciti altri due film vampireschi: Sete di sangue di Rod Hardy e Le notti di Salem di Tobe Hooper.

lunedì 19 settembre 2016


NOSFERATU IL VAMPIRO

Titolo originale: Nosferatu, eine Symphonie des
     Grauens
Traduzione del titolo originale: Nosferatu, una
     sinfonia dell'Orrore
Paese di produzione:
Germania
Anno: 1922
Durata: 84 min
Colore: B/N; colorizzato
Audio: muto
Genere: orrore; propaganda antisemita
Regia: Friedrich Wilhelm Murnau
Soggetto: Bram Stoker (romanzo), adattamento di
    Henrik Galeen
Sceneggiatura: Henrik Galeen
Produttore: Prana-Film G.m.b.H.
Fotografia: Günther Krampf, Fritz Arno Wagner
Musiche: Hans Erdmann
Scenografia: Albin Grau
Costumi: Albin Grau

Interpreti e personaggi:
    Gustav von Wangenheim: Hutter
    Max Schreck: Conte Orlok
    Greta Schröder: Ellen Hutter
    Alexander Granach: Knock
    Georg H. Schnell: Harding
    Ruth Landshoff: Annie
    John Gottowt: professor Bulwer
    Gustav Botz: dottor Sievers
    Max Nemetz: capitano del Demeter
    Wolfgang Heinz: primo marinaio
    Albert Venohr: secondo marinaio
    Guido Herzfeld: oste
    Hardy von Francois: medico dell'ospedale
    Heinrich Witte
Location:
    Mar Baltico
    Helgoland (Germania)
    Lauenburg (Germania)
    Lubecca (Germania)
    Pomerania (Germania)
    Rostock (Germania)
    Wismar (Germania)
    Dolný Kubín (Slovacchia)
    Monti Tatra (Slovacchia)
    Castello di Orava (Slovacchia)
    Oravský Podzámok (Slovacchia)
    Váh (Slovacchia)
Versione sonorizzata: Waldemar Roger (1930),
     Die zwölfte Stunde
, aka Eine Nacht des Grauens
Restauri:
    Image Entertainment con 2 rimasterizzazioni
         pubblicate nel 1998 e nel 2001;
    Eureka Entertainment con 2 rimasterizzazioni
         pubblicate nel 2001 e nel 2007;
    Kino International con 2 rimasterizzazioni
         pubblicate nel 2002 e nel 2007.

Trama:

Hutter è un giovane agente immobiliare che vive nella città fittizia di Wisborg. Il suo datore di lavoro lo invia in Transilvania da un nuovo cliente, il Conte Orlok. Hutter non dà peso ai funesti presentimenti della moglie, Ellen, che affida alle cure dell'amico Harding prima di partire per il rischioso viaggio. Raggiunto un villaggio dei Carpazi, si ferma in una taverna. Le genti del luogo sono terrorizzate alla sola menzione del nome del Conte e gli sconsigliano di proseguire per il suo castello, considerato un luogo maledetto. Incurante di quelle che considera superstizioni, Hutter raggiunge la sua destinazione e viene accolto dal Conte, che presto rivela la sua natura demoniaca. L'agente immobiliare si risveglia con segni di morsi sul collo e presto sospetta che il suo ospite sia proprio Nosferatu, l'Uccello della Morte di cui era scritto in un libro da lui trovato alla locanda. Durante un giro di esplorazione raggiunge una cripta e scopre il Conte che dorme nella sua bara. In preda all'orrore, dalla finestra della sua stanza assiste alla partenza di un carico di bare piene di terriccio contaminato, che teme possano essere dirette proprio a Wisborg. Il sinistro nobiluomo parte assieme al macabro carico. A questo punto Hutter fugge dal maniero e si mette subito in viaggio per rientrare nella sua città. Ritrova sua moglie, che per tutto il tempo era stata in preda alla febbre e sconvolta da oscuri presagi. Ben presto Hutter si accorge che la propria salute è stata minata dai mefitici influssi del Vampiro. Nel frattempo le bare del Conte vengono trasportate su una zattera lungo il fiume e caricate su una nave. Durante la traversata si scatena un'epidemia a bordo e i marinai muoiono uno dopo l'altro. Le casse di rivelano piene zeppe di ratti. Il capitano è l'ultima vittima. Quando la nave arriva a Wisborg sembra essere abbandonata. Il Conte Orlok passa inosservato e si trasferisce nella casa che ha acquistato. La nave viene ispezionata dalle autorità portuali e i medici capiscono che l'equipaggio è stato ucciso dalla peste. Si scatena il panico e cominciano a registrarsi in città numerosi decessi causati dal morbo. La nuova dimora del Non Morto è situata proprio di fronte a quella di Hutter. La creatura delle Tenebre osserva dalla finestra Ellen, pensando di farne la sua prossima vittima. La donna non si perde d'animo: saputo che il solo modo per sconfiggere un vampiro è di trattenerlo fino ad esporlo alla luce del sole, decide di sacrificarsi per il bene comune. Si offre così a Nosferatu permettendogli di soddisfare la bramosia di sangue. Riesce nel suo intento. Come i raggi del sole che sorge sorprendono il Conte intento a nutrirsi, per lui è la fine. Assieme all'emissario del Male scompaiono sia la pestilenza che la maledizione di Hutter.   

Recensione:  

Pilastro portante del genere horror e massima manifestazione dell'espressionismo nel cinema, il Nosferatu di Murnau è stato definito da Mymovies.it "il solo film vampirico ammesso nelle discussioni colte dei critici". La complessità di questa pellicola è tale che difficilmente può essere esaurita in un singolo intervento. Cercherò in ogni modo di iniziare un'analisi, seppur abbozzata.  


Oppressione e censura!

Pochi film hanno patito come questo persecuzioni ad opera dei tribunali e del potere di Mammona. Non avendo pagato i diritti d'autore per l'adattamento del romanzo Dracula di Bram Stoker, Murnau ha pensato di mettersi al riparo da azioni legali con un semplice stratagemma, cambiando tutti i nomi dei personaggi, l'ambientazione e introducendo alcune significative modifiche alla trama. Tutto ciò non è stato sufficiente ad evitare che la moglie del defunto autore irlandese, Florence Balcombe, lo denunciasse per plagio. Nel 1925 Murnau perse la causa e il tribunale ordinò che tutte le copie del Nosferatu venissero distrutte. Il regista riuscì a salvare miracolosamente i negativi, così nel 1929 il film ricomparve negli Stati Uniti, dove nel frattempo i diritti d'autore dell'opera di Stoker si erano estinti. Se l'iniqua tirannia dei diritti d'autore fosse riuscita a prevalere, noi non conosceremmo questo capolavoro, sarebbe stato perduto per l'eternità. 


Il contesto storico

Il film riflette la durissima realtà della Germania di Weimar con le sue spaventose tensioni e le sue contraddizioni insanabili. Senza dubbio si tratta di un adattamento del romanzo di Bram Stoker, ma di certo non è soltanto questo. La sconfitta della Germania nella Grande Guerra ha provocato nella popolazione una crisi ontologica insanabile e senza precedenti, ponendo fine al mito dell'Invincibilità. I Tedeschi non poterono trovare modo di spiegare la disfatta, così nacque la Dolchstoßlegende, ossia la "Leggenda della pugnalata alle spalle". La ricerca del colpevole non si materializzò soltanto nella ricerca di un concreto capro espiatorio: produsse la pervasiva e ineliminabile consapevolezza di una presenza mostruosa, aliena alla natura della Nazione, che aveva reso possibile la sua nemesi. Ebbene, questa presenza sinistra si incarna proprio nel mito del Vampiro. Non sarebbe possibile spiegare il Nosferatu di Murnau scorporandolo dal contesto che l'ha visto nascere. Tutto questo fa del film un documento storico preziosissimo. 

 

Nosferatu e il Nazionalsocialismo

Esiste una rigogliosa tradizione esegetica che interpreta il capolavoro di Murnau come un'opera profetica che utilizzò il Vampiro e la Peste per preconizzare l'ascesa del Nazismo e la sua diffusione in Europa. Ricordo addirittura una recensione, comparsa una trentina di anni fa su un quotidiano d'ispirazione cattolica, che parlava senza mezzi termini del "dilagare dei pestilenziali ratti di fogna nazisti". A parte il fatto che definire un gruppo di persone "pestilenziali ratti di fogna" è un tipico strumento retorico del Nazionalsociasmo, cosa che rende il giudizio a dir poco paradossale. Il punto è questo: coloro che identificano il Conte Orlok con Adolf Hitler sono in errore. Il regista ha plasmato il mostro con un intento completamente diverso: quello di rappresentare la figura dell'Ebreo tratta dalla più feroce propaganda antisemita. L'Ebreo nelle sue caratteristiche di propalatore dell'Internazionalismo Socialista e al contempo di rappresentante del capitalismo usuraio. In altre parole, Nosferatu rappresenta un Geltjude, ossia un "ebreo del denaro", che inganna le genti con la Socialdemocrazia per portare alla dissoluzione tutti gli stati non semiti. Vediamo che in Germania l'Internazionalismo era avvertito come un pericolo gravissimo alla sopravvivenza dei concetti stessi di Nazione e di Popolo (Volk) e paragonato in modo ricorrente alla peggiore di tutte le piaghe: la peste. Il trionfo del Marxismo, si legge nel Mein Kampf, equivarrebbe per l'umanità a cingersi il capo con la corona funebre. Non a caso il Conte Orlok, il Non Spirato (questo significa in rumeno Nosferatu), ha tutti i tratti fisici caricaturali e grotteschi che la propaganda antisemita attribuiva all'Ebreo, ad esempio il caratteristico naso aquilino. Il suo nutrirsi di sangue sottratto ai viventi è senza dubbio una metafora dell'attività usuraia. La corruzione del sangue di coloro che sono parassitati da questa spaventosa creatura rappresenta l'avvelenamento del Volk. La somiglianza con la propaganda convulsa di Julius Streicher è stridente. Non è vero, nel modo più assoluto, che i Nazisti hanno cercato di piegare alle esigenze della loro propaganda le tematiche del film di Murnau: è invece vero e di per sé evidente che tale film ha preso la metafora della peste da quella stessa fonte che ha alimentato la propaganda del Nazionalsocialismo nella sua forma più virulenta e violenta. Non è stato necessario piegare nulla: la metafora era già diffusa e utilizzabile così com'era

A quanto ho potuto appurare, gli errori marchiani di questo filone maggioritario della critica corrente sono riconducibili all'opera del saggista Siegfried Kracauer, che fuggì dalla Germania all'ascesa della NSDAP. Un dettaglio che mi pare altamente significativo. Egli ha semplicemente diffuso la sua esegesi per rendere torbide le acque. Per dare un'idea di questi argomenti, riporto un estratto di un articolo di Fred Thom in cui si parla dell'identificazione del Conte Orlok con Adolf Hitler (la traduzione è mia):

"Mentre la tesi del Nazismo necessita un'elaborata spiegazione politico-storica che gli interessati possono studiare nel libro di Kracauer, è chiaro che il vampiro simboleggia Hitler. Nosferatu lascia il suo paese per espandere il suo potere all'estero. Il suo morso rende pupazzi delle sue vittime, servitori corpo e anima del potente padrone, fanatici ciechi che rappresentano il popolo tedesco, mentre Knock, il suo servo all'estero, è forse confrontabile a un collaborazionista. I ratti che il Conte porta con sé nella sua imbarcazione per propagare nel paese straniero, portando con sé la peste, simboleggiano l'ideologia nazista che si diffonde attraverso l'Europa. Inoltre, questo è confermato sapendo che il Nazismo fu esso stesso ritenuto come la peste nera ai suoi tempi. A causa di ciò, Nosferatu è senza dubbio un film visionario, la telecamera di Murnau è una sorta di sfera di cristallo che proietta al mondo l'avvertimento del regista riguardo a un futuro cupo."  

Coloro che vedono Hitler nel Vampiro commettono una fallacia evidente e questo per un motivo molto semplice: guardano il film con gli occhi dei moderni e lo interpretano usando i criteri del mondo contemporaneo. Si rifiutano di guardare un prodotto tedesco dell'epoca di Weimar con gli occhi di un tedesco dell'epoca di Weimar. Utilizzano le attuali categorie proiettandole indietro nel tempo in un contesto in cui sarebbero state considerate incomprensibili. Attualmente le masse sono ipersensibili a qualsiasi tematica relativa al razzismo e all'antisemitismo. Gli errori di Kracauer attecchiscono facilmente perché un moderno tenderà facilmente a identificare un mostro con Hitler. Viene trascurato il fatto che all'epoca in cui il Nosferatu di Murnau fu prodotto, l'antisemitismo razziale era dilagante. La sua diffusione era capillare e non soltanto in Germania. Non capire questo e non tenerne conto è pura e semplice follia. In altre parole, una critica come quella di Kracauer e del suo emulo Fred Thom è puro e semplice revisionismo


Antisemitismo novecentesco e
antisemitismo moderno

Non ha senso neppure il meme che vorrebbe Murnau "traumatizzato e terrorizzato dall'antisemitismo", cosa incredibile che ho avuto occasione di scoprire nel Web. Chi prova orrore e sgomento per qualcosa non fa il fulcro di una sua opera. E perché mai Murnau avrebbe dovuto provare orrore e sgomento per qualcosa che era sentire comune? Il fatto che il mondo moderno non abbia riconosciuto la natura del Vampiro e della Peste, indica evidentemente che questi memi antisemiti sono de facto quasi estinti, con buona pace dei buonisti che in preda alla droga continuano a parlare come se sui palazzi di Berlino garrisse tuttora lo Hakenkreuz, come se il Führer ormai ultracentenario tenesse ancora i suoi discorsi a Norimberga. Se così non fosse, ci sarebbe un immediato riconoscimento di questo linguaggio e dei suoi simboli da parte delle masse, il che a quanto pare non avviene. All'ipersensibilità verso il concetto di antisemitismo non corrisponde la capacità di riconoscerne le manifestazioni. Nell'epoca moderna esiste un antisemitismo diffuso e popolare, ma si esprime in modo diverso: non ha base razziale e non segue affatto la natura memetica dell'antisemitismo del secolo XIX e della prima metà del XX. Questo antisemitismo moderno è essenzialmente di sinistra e coincide con l'antisionismo, propagato dagli insegnanti buonisti nella fucina di demenza che è la scuola, quegli stessi insegnanti che hanno trasformato il Nazionalsocialismo in una realtà metastorica. Eppure il Nazionalsocialismo è defunto quando Hitler si è fulminato ingurgitando il cianuro e sparandosi nel cervello, quando Goebbles ha avvelenato i suoi sei figli uccidendosi a sua volta assieme alla moglie. Ma si sa, con il pianeta che sta sprofondando nel baratro a causa della dissennatezza degli umani, c'è sempre qualcuno pronto a giurare che il vero problema sono i fantasmi del '45.


Nosferatu e la globalizzazione

Come ulteriore obiezione a Fred Thom posso riportare due significative citazioni tratte dal Mein Kampf, che riproduco in questa sede per necessità di conoscenza:

"L’Ebreo è e rimane un parassita, uno scroccone, che come un bacillo pernicioso si espande su larghe aree quando qualche area favorevole lo attrae. L’effetto prodotto dalla sua presenza è come quello di un vampiro: ovunque si stabilisca, il popolo che gli garantisce ospitalità è presto o tardi costretto alla morte." 
Adolf Hitler

"L’Ebreo è la larva di un corpo in corruzione, una pestilenza, peggio della peste nera del passato ed è un portatore di bacilli della peggior specie, l’eterno fungo divisore dell’umanità, il calabrone scansafatiche che s’introduce presso gli altri, il ragno che succhia lentamente il sangue delle nazioni, una banda di topi che si battono a sangue, il parassita nel corpo di altri popoli, il parassita tipico, uno scroccone, che va a moltiplicarsi come un microbo dannoso, l’eterna sanguisuga, il parassita delle nazioni, il vampiro dei popoli."
Adolf Hitler

E non è questo un riassunto sintetico della vicenda mostrata da Murnau nel suo Nosferatu? Non basta. Questo è quanto afferma Fred Thom, a proposito di Nosferatu e della globalizzazione:

"Il film coincide con l'inizio della globalizzazione e in particolare con l'investimento di capitali stranieri nell'economia locale. Il Conte, che è ovviamente un predatore, qui incorpora il fenomeno della globalizzazione, a quell'epoca considerata un pericolo. Certo, la più chiara allusione è quella che egli investe nel reale Stato tedesco. Questo tema dell'investimento di capitale straniero è confermato da una delle scene che fu tagliata dalla versione finale. Quando Nosferatu è visto mentre viene attaccato nella strada da un ladro e pugnalato al cuore, anziché il sangue, vediamo monete d'oro sul suolo."  

Teufel! E questo non è antisemitismo allo stato puro? Julius Streicher non avrebbe potuto esprimersi in modo più chiaro di quanto ha fatto Murnau in quella scena perduta! Fred Thom contraddice così quanto aveva detto poco prima a proposito di Nosferatu e del Nazismo. Nosferatu con il denaro al posto del sangue non è semplicemente Nosferatu il Capitalista nell'accezione moderna del termine: un tedesco dell'epoca di Weimar vi avrebbe visto all'istante Nosferatu l'Ebreo.


Il sole che sorge: una spiegazione

Murnau profetizzò l'avvento del Nazionalsocialismo in un modo che la critica non ha compreso e che l'opinione pubblica moderna troverebbe sconvolgente. Nel film non è infatti la pestilenza a rappresentare l'ascesa del Partito di Hitler, ma il sorgere del sole.

C'è un'altra cosa da puntualizzare a questo proposito: il mito del sole che uccide i vampiri ha la sua origine proprio nel film di Murnau. Non esisteva in precedenza. Il Dracula di Bram Stoker è sì indebolito dalla luce solare, ma in caso di necessità è ben capace di muoversi in pieno giorno: Van Helsing spiega che il vampiro nelle ore diurne è confinato nella sua forma puramente materiale e perde la capacità di metamorfosi. Se la memoria non m'inganna, nel romanzo si narra che quando Jonathan Harker e i suoi compagni si trovavano durante il giorno in un appartamento londinese usato dal Conte come nascondiglio, erano in ansia per via del possibile arrivo del proprietario. Dall'uscita del Nosferatu di Murnau in poi, di vampiri in grado di camminare e di operare alla luce del sole a quanto mi consta non si è più parlato.


Criptozoologia transilvana

In una sequenza del film si vede un esemplare di un animale che con la fauna della Transilvania non ha nulla a che spartire. Colpisce per la sua incongruità. Sembra proprio una iena striata (Hyaena hyaena), ben riconoscibile dal tipico disegno della pelliccia sulla zona ventrale, anche se ha la testa insolitamente piccola e con fattezze volpine. La sua spettrale comparsa avviene nel bel mezzo di una tempesta nei Carpazi, mentre Hutter si trova all'osteria. I cavalli ne avvertono la presenza e sono colti dal terrore. Poco dopo l'animale mostruoso compare di nuovo e questa volta lo si vede più da vicino. Nel suo sguardo c'è qualcosa di umano! Cos'è la bestia dal pelo variegato? Un'ombra suscitata dall'Erebo o forse una delle tante possibili metamorfosi di Nosferatu? Non dobbiamo infatti dimenticare che al Vampiro sono attribuiti molti strabilianti poteri che di rado trovano piena traduzione nel mondo del cinema: secondo la tradizione può apparire infatti in diverse forme animali diverse da quella classica del pipistrello, come ad esempio la zecca, il ragno, il lupo e il ratto. Perché dunque il Conte Orlok non potrebbe essersi trasformato in un animale carognaro affine alla iena? 


Max Schreck, realtà e leggenda

L'attore che interpreta il Conte Orlok, Max Schreck, aveva un nomen omen. Infatti in tedesco Schreck significa "spavento". Nonostante fosse un uomo nato da una donna e dotato di corpo composto da carne, sangue e ossa, su di lui fiorirono presto leggende a dir poco stravaganti. Alcuni dissero che dietro lo pseudonimo di Schreck si nascondesse in realtà lo stesso Murnau travestito. Per altri invece Schreck era un vampiro autentico, trovato da Murnau nel corso di un suo viaggio nei Carpazi. Eppure abbiamo le prove che l'attore che interpretò in modo tanto magistrale il Conte Orlok non era un personaggio fantomatico. Il suo vero nome era Friedrich Gustav Max Schreck. Nato a Berlino-Friedenau nel 1879, non era uno sconosciuto nel mondo del cinema. Una cosa è certa: non si nutriva di sangue umano. Fu stroncato da morte improvvisa e prematura dopo aver recitato il ruolo del Grande Inquisitore nel Don Carlos, a Monaco di Baviera nel 1936.


Altre differenze tra Orlok e Dracula

Mentre il Dracula di Bram Stoker trasmette la condizione di vampirismo alle sue vittime, Orlok ha un morso che provoca semplicemente la malattia e la morte. In altre parole, egli è incapace di trasmettere la propria condizione ai viventi del cui sangue si nutre. Può sembrare un dettaglio di poco conto, mentre in realtà è di capitale importanza. Infatti è proprio questa impossibilità di trasformare le vittime in vampiri a rendere possibile il finale ottimistico. Quando la luce del sole trionfa, Hutter guarisce come per incanto dalla consunzione causata dal morso del Conte Orlok. La moglie Ellen muore e non risorge in forma vampirica. Il finale del Nosferatu di Herzog, come vedremo, è drammaticamente diverso e questo sancisce una diversità ontologica insanabile tra i due lavori.  


Una sessualità torbida

Il sentire dei Weimariani in materia di sesso era molto diverso dal nostro. Nel primo dopoguerra a Berlino si svolgevano spettacoli ributtanti di pedofilia e di bestialità, in cui bambini erano costretti ad accoppiarsi con adulti e persino con animali, ma alcune sequenze del film di Murnau erano definite pornografiche. Hutter, a tavola col Vampiro, taglia il pane nel modo tradizionale (a mio parere piuttosto illogico), facendo scorrere il coltello nella pagnotta verso il suo pollice, che finisce così col tagliarsi. Il Conte Orlok, eccitatissimo alla vista del sangue, cerca di succhiarlo. Un chiaro atto di fellatio omosessuale. Carico di erotismo è anche l'abbandono di Ellen tra le braccia di Nosferatu, anche se mostrato solo per pochi istanti: è la manifestazione di un invincibile cupio dissolvi mentre il suo sangue fugge nell'avida bocca del tenebroso amante, il cui assalto evoca una volta di più motivi antisemiti cari a Julius Streicher.  


Alcune curiosità

L'oste, un robusto sassone di Transilvania dotato di imponenti baffoni biondi, somiglia in modo stupefacente ad Alois Schicklgruber, il padre di Adolf Hitler.

Fu eseguita una colorizzazione della pellicola, il risultato è semplicemente osceno. Se ne può vedere un saggio su Youtube. Ogni ombra risulta abolita, ogni profondità è cancellata. Il Conte Orlok vi appare in abiti sgargianti e sembra essersi trasformato come per incanto nel Grande Puffo. Per i responsabili di questo orrendo crimine proporrei un processo davanti a un tribunale militare prussiano. 

Il film fu bandito in Svezia per "eccessivo orrore". La piaga del buonismo politically correct già imperversava in quell'infelice nazione nella prima metà dello scorso secolo. Potessero le genti del Nord tornare ad avere il sangue ardente dei Vichinghi!


Un furto sacrilego 

Per serendipità mi sono imbattuto in una notizia a dir poco inquietante. Nel 2015 ignoti profanatori si sono serviti di spranghe per violare la tomba del regista, sepolto del cimitero di Stahnsdorf, quindi hanno staccato e trafugato la testa dal suo cadavere imbalsamato. Le altre tombe della famiglia non sono state toccate, il che porterebbe ad escludere un semplice atto vandalico. Nei pressi della sepoltura violata sono stati rinvenuti residui di cera, il che ha portato gli investigatori a supporre legami con il mondo dell'occultismo e dei riti satanici. E se il movente fosse stato la vendetta? 

Altre recensioni nel Web

Riporto questi link a post oltremodo interessanti, la cui lettura raccomando senz'altro: 




giovedì 15 settembre 2016

IL FARNETICANTE RIDICOLO MARAVOT

Espongo al pubblico ludibrio il seguente sito farlocco, di certo un prodotto dell'Accademia di Lagado:

www.maravot.com/Etruscan_Phrases_a.html

Ovviamente non lo linko per non regalargli visite, anzi raccomando a chi voglia entrarvi di usare un sito che anonimizza le visite: 


L'autore del sito Maravot, certo Mel Copeland, parte dalla falsa idea (molto diffusa tra i dilettanti, soprattutto albanesi) che le Tavole Iguvine siano scritte in etrusco; da questa base erronea egli ricostruisce uno pseudo-etrusco interamente formato a partire da radici latine e addirittura da forme romanze, alterandone le desinenze e reinterpretandole allo scopo di provare la natura italica della lingua.

Poco importa a questo webmaster che sia di per sé evidente la natura del tutto dissimile della lingua delle Tavole Iguvine e di quella del Liber Linteus. Il fatto che l'una non serva ad interpretare l'altra non lo tiene nella minima considerazione: egli pretende di piegare la realtà dei fatti alle sue idee deliranti. La sua nociva invenzione dello pseudo-etrusco italico è da esporre alla gogna e all'irrisione come monito ai ricercatori.

Il principio su cui si fonda è quello della grossolana assonanza. Tra le "perle" del sito si può menzionare la coniugazione HV "io ho", HE "tu hai", HA "gli ha". Incredibile dictu, Mel Copeland ha tratto queste false agnizioni direttamente dalla lingua italiana! Ha preso parole italiane fatte e finite, le voci della coniugazione del verbo avere, quindi le ha proiettate indietro nel tempo fino a trapiantarle all'epoca dei Lucumoni. Inutile dire che tutto ciò farebbe ridere persino i polli.

Riporterò a questo punto un singolare aneddoto il cui scopo è quello di far comprendere la natura degli osceni abusi introdotti da Mel Copeland nel Web. Ricordo che un amico da giovane affermava di parlare il cinese. Caspita, ero davvero stupito, nella mia ingenuità di quell'epoca, da una simile capacità. Ecco che egli sciorinava i primi quattro numerali cinesi, che fornisco con a fianco la trascrizione in ortografia anglosassone:

unci (oonchie)
dunci (doonchie)
trinci (treenchie)
cali-calinci (kaly-kaleenchie)
 

Non andava oltre nella numerazione: evidentemente non era riuscito a costruire forme convincenti per le unità più alte. A queste voci cantilenate aggiungeva, come prova della sua presunta dimestichezza col mandarino, anche una frasettina che a sua detta i mariti cinesi avrebbero rivolto alle mogli prima di coricarsi:

cià-ciu-cia-chì (chah-choo-chah-kee)

Il punto è che questa sequenza di sillabe ha effettivamente senso compiuto... ma in dialetto milanese. Per coloro che ignorano l'idioma meneghino, darò la traduzione della frase: "Dai, succhia qui". Davvero poco a che fare con la lingua del Celeste Impero. 

C'è tuttavia una grande differenza, nonostante l'analogia nel metodo, tra questo pseudo-cinese e lo pseudo-etrusco di Maravot. Il primo è un prodotto ingenuo della gioventù spensierata ed esuberante. Il secondo è un prodotto doloso, una nociva menzogna che ha lo scopo di contaminare la Scienza, traviando gli sprovveduti per far loro credere cose molto distanti dalla realtà dei fatti. 

Riporto infine i numerali autentici del cinese mandarino:

一  yī "uno"
二 
èr "due"

三  sān "tre"
四 
sì "quattro"

wŭ "cinque"
liù "sei"
qī "sette"
bā "otto"
jiŭ "nove"
shí "dieci" 

lunedì 12 settembre 2016

I LIMITI INTRINSECI DEL PALLOTTINISMO

Una caratteristica comune tra gli archeologi è il pretendere di pronunciarsi su questioni linguistiche e rifiutare ogni confronto con gli interlocutori che hanno competenze diverse: l'archeologia appare fin troppo spesso come setta dogmatica che di fronte ad avverse argomentazioni ne nega l'esistenza e si chiude nell'autismo. A quanto pare manca alla maggior parte degli archeologi il metodo scientifico e tale carenza risulta ben evidente ogni volta che essi cercano di dedicarsi all'indagine linguistica.

Massimo Pallottino giustamente ha cercato l'etimologia etrusca di lemmi latini problematici: in un lampo di felice intuizione è riuscito a trovare nell'etrusco tus "letto" il corrispondente e l'antenato del latino torus "letto". Poi non è stato in grado di proseguire. Non ha infatti potuto comprendere che tus - torus dimostra la presenza del rotacismo in proto-latino: *tozos > torus - o meglio, non ha potuto capire le conseguenze cruciali e altamente produttive di questa assunzione, che non si limitano certo a una sola parola. Non ha capito che è possibile che anche altri vocaboli latini con -r- intervocalica risalgano a parole etrusche con -s-, e ha cercato in modo sistematico corrispondenti etruschi con -r-. Per contro Pallottino ha suggerito forme etrusche con -r- anche quando la corrispondente voce è attestata in latino arcaico e mostra invece -s-, fallendo in modo grossolano. Ad esempio ha cercato erroneamente nella base etrusca lar- il prototipo del latino Lares, nonostante il Carmen Arvale dimostri che anticamente si diceva Lases - il che prova che l'antenato etrusco di Lares era il teonimo Lasa e non la radice lar-.

La metodologia da applicare è la seguente:
1) individuare un lemma latino problematico, sospettato di essere di origine etrusca;
2) cercare la forma latina arcaica attestata (anche nell'antroponimia);  
3) cercare un termine etrusco (anche nell'antroponimia) che sia adatto a spiegare il lemma latino in questione.

Un'incompleta applicazione del metodo scientifico può portare a risultati simili a quelli prodotti dal Pallottino per il caso Lares. Così vediamo etimologie difettose proposte da Massimo Pittau, che pure è un linguista e che ha vigorosamente attaccato l'approccio degli archeologi agli studi etruschi. Prendiamo ad esempio il lemma etrusco fanu (con i suoi derivati). Come già Pallottino, anche Pittau è incline a vedere in esso l'antenato del latino fanum /'fa:num/ "tempio, luogo santo". Eppure sappiamo che il latino arcaico aveva fasnom. La forma etrusca corrispondente al vocabolo latino in questione non potrebbe mai essere fanu, in quanto in etrusco l'antico nesso -sn- non diventa -n- come in latino. Dovremmo avere semmai *fasnu o *faśnu, posto che f- sia un corrispondente corretto - il che non è detto. Infatti considerazioni etimologiche ci permettono di far risalire il latino antico fasnom a una forma con *dh-, da paragonare a greco θεός (thes) < *thesos, e all'armeno dik' "divinità pagane". L'origine ultima di questa radice è sconosciuta: è tradizionalmente considerata indoeuropea perché presente in alcune lingue di ottima tradizione indoeuropea: greco, armeno, latino e osco. Anche i dettagli dei singoli esiti di questa radice non sono esenti da problemi: ad esempio la vocale -a- del latino fanum rispetto alla vocale breve -e- del greco θεός, alla vocale lunga del latino fe:stus, fe:ria, e alla vocale lunga -ii- dell'osco fiisnam (acc.). La parola latina ha un vocalismo che è come un pugno in un occhio e che ha portato alcuni a postulare una variante della protoforma con una vocale indistinta (schwa) -ə-.

Siccome in caso di isoglosse tra etrusco e indoeuropeo, a forme IE con *dh- corrispondono forme etrusche in θ-, dovremmo aspettarci di trovare come parallelo una parola etrusca *θasnV o *θaśnV (V indica una vocale non determinabile), al momento non attestata. Sarà esistita? Non sarà esistita? Per ora nessuno lo sa, ma se il latino fanum ha avuto un corrispondente etrusco genuino (non dovuto a prestito), dovrebbe essere quello da me ricostruito.

In sintesi ci sono queste possibilità:

1) *fasnV o *faśnV - se è stato l'etrusco a prendere il lemma dall'italico (latino arcaico, etc.); 
2) *θasnV o *θaśnV - se è stato l'italico a prendere il lemma dall'etrusco (che a sua volta potrebbe aver preso a prestito il lemma da una lingua IE in una fase più antica); 
3) le forme in questione non esistono, la radice non ha avuto origine dalla lingua etrusca e non vi è mai giunta come prestito.

La questione non può ancora essere decisa con gli scarsi dati a nostra disposizione. Occorre attendere tempi migliori.

L'etrusco fanu invece è un participio passato passivo formato con il classico suffisso -u che si trova in moltissimi altri casi. Il significato deducibile dal contesto delle iscrizioni è "dichiarato". Giulio Facchetti sostiene questa interpretazione esplicitamente. Per quanto mi riguarda, concordo appieno con le sue conclusioni, anche se non ho una chiara idea sull'origine ultima della radice. Oltre a questo, egli ha identificato nella forma finora enigmatica zarfneθ che ricorre nel Liber Linteus un composto che contiene questo fan- in forma foneticamente ridotta. Il primo membro del composto è corradicale di zeri "rito", così zar-fn-eθ "che dichiara rituale". Forse la radice etrusca fan- corrisponde in qualche modo alla forma IE *bha:- che si trova nel latino for, fa:ris, fa:tus sum, fa:ri: "dire", con l'aggiunta di un'estensione in consonante nasale. Sergei Starostin nel suo database The Tower of Babel riporta i discendenti di questa radice nelle seguenti lingue: sanscrito, armeno, greco antico, slavo, proto-germanico, latino, osco. Rimando al sito per una trattazione più approfondita.  

Proto-IE: *bhā-
Meaning: to say

   Old Indian: sa-bhā́ f. `assembly, congregation'
   Armenian: ban, gen. -i `Wort, Rede, Vernunft, Urteil, Sache'; bay, gen. bayi `Wort, Ausdruck' (*bhǝti-s)
   Old Greek: phǟmí `sage', pháskō, inf. att. phánai̯, hom. phámen, ipf. éphǟn, inf. phásthai̯, aor. phǟ̂sai̯, pf. m. péphatai̯, ipv. pephásthō, va. pható- `sagen, erklären, behaupten'; phǟ́mǟ f. `Ausspruch, Kundgebung, Gerücht, Ruf, Rede'; phǟ̂mi-s, -ios f. `Rede, Gerede', pl. phḗmata = rhḗmata, phásmata Hsch., hüpo-phǟ́tǟ-s m. `Deuter, Ausleger', hüpo-, pro-phǟ́tōr m. `id.', pháti-s f. `Ausspruch, Gerücht, Kunde', phási-s `id.', phátǟ-s `pseústēs' Hsch., phōnǟ́ f. `Laut von Menschen und Tieren, Ton, Stimme, Aussprache, Rede, Sprache, Äusserung'
    Slavic: *bā́jātī, *bā́jǭ; *bāsnь; *bālьjь
    Germanic: *bō-n-ī(n-) f., *ba-nn-a- vb., *ba-nn-a- m., etc.
    Latin: for (Gramm.), fārī, fātus sum `sprechen', fācundus, -a `redegewandt', fātum, -ī n. `Schicksalsspruch, Orakel, Weissagung; Schicksal, Geschick', fāma f. `Sage, Gericht, Kunde; öffentliche Meinung (Gerede der Leute); Ruf, Leumund; guter und schlechter Ruf', fābula f. `Rede, Gerücht; (erdichtete) Erzählung, Sage, Fabel; Theaterstück'; fateor, fatērī, fassus sum `zugestehen, einraumen; bekennen, kundtun'; fās n. (indecl.) `das göttliche Recht'; nefās `Unrecht, Sünde'; fascinum n., fascinus, -ī m. `Behexung'; īnfāns, -antis `wer noch nicht sprechen kann'
    Other Italic: Osk faamat `ēdīcit', faammant `ēdīcunt', famatted `ēdīxīt, iussit'; fatíum `fārī'

L'origine ultima della radice è oscura. Il fatto stesso che la forma proto-indoeuropea sia ricostruibile con una vocale -a:- depone a favore di un antichissimo prestito. Come si vede le cose non sono tanto semplici: è un ginepraio che non può essere facilmente districato. Per giungere a conclusioni sicure sono necesari studi molto lunghi e complessi che difficilmente potrebbero essere portati a compimento da una sola persona. Le competenze di Pallottino in materia di lingue indoeuropee diverse dal latino erano abbastanza labili e ben lontane da quanto richiesto per esplorare un vasto paesaggio di rovine sprofondate nell'Oblio. Tale esplorazione tra l'altro all'archeologo romano non interessava minimamente, dato che era uno studioso politicizzato, cosa che lo portà a decretare la sostanziale illiceità di ogni seria ricerva volta a determinare l'origine degli Etruschi e la natura della loro lingua.

sabato 10 settembre 2016

QUANDO LA LINGUISTICA TIPOLOGICA È INUTILE, ABUSIVA E NOCIVA

Negli ultimi anni si è andata imponendo sempre più la cosiddetta linguistica tipologica, che consiste in un procedimento comparativo il cui fine è ricercare fenomeni strutturali comuni alle lingue, senza considerare in alcun modo la loro parentela genealogica. Le caratteristiche individuate da questi studi possono riguardare elementi morfologici o sintattici, come l'ordine delle parole nella frase. Si vengono così a definire diversi "tipi linguistici". Le tipologie morfologiche individuate sono le seguenti: 

1) Lingue agglutinanti
2) Lingue isolanti
3) Lingue flessive
   - Sottotipo: Lingue sintetiche
  
   - Sottotipo: Lingue analitiche

4) Lingue polisintetiche

Rimando al materiale reperibile nel vasto Web per approfondimenti. Se a qualcuno non basta, esistono i libri. Per quanto riguarda le tipologie sintattiche, sono state definite due diverse classificazioni. La prima è relativa al posizionamento del soggetto, del verbo e dell'oggetto all'interno delle frasi. Abbreviando il soggetto in S, il verbo in V e l'oggetto in O, ecco i tipi linguistici individuati:


La seconda classificazione tipologica sintattica prevede la distinzione seguente: 

1) Lingue ergativo-assolutive
2) Lingue nominativo-accusative 
3) Lingue sia ergative che accusative
4) Lingue attivo-stative 

Tutto splendido, schematico, cristallino come acqua di fonte e ben definito dal punto di vista logico. La linguistica tipologica dovrebbe essere un sublime giardino di perfezione. Di cosa dunque mi lamento? 

In poche parole: il problema è il seguente. Nel mondo anglosassone, così affetto da psicorigidità, gli studiosi tendono automaticamente a credere che le classificazioni di natura tipologica siano ipso facto anche genealogiche, nonostante nella definizione stessa di questa branca della linguistica sia fatta esplicita menzione del fatto che si tratta soltanto di classificazioni strutturali. Così ci si imbatte spesso in proposizioni futili che condizionano la ricerca, specialmente quando dallo studio delle singole lingue si passa allo studio della loro evoluzione nel tempo e della loro origine. Elenco alcuni pregiudizi di base: 

1) Due lingue appartengono a una stessa tipologia, quindi devono essere imparentate.
2) Due lingue non possono essere imparentate se appartengono a tipologie diverse.
3) Da una serie di lingue con una data struttura tipologica deve essere ricostruita una protolingua con uguali caratteristiche.

Da questi principali errori ha origine un vero e proprio perniciosissimo stupidario, che appesta il mondo accademico con aberrazioni di ogni tipo. 

Il basco è una lingua ergativo-assolutiva, quindi i suoi parenti vengono ricercati per necessità tra le lingue ergativo-assolutive. Se qualcuno proponesse una lontana parentela con una lingua non ergativo-assolutiva, sarebbe considerato un mezzo deficiente e guardato dall'alto in basso con spocchia da accademici che in realtà sono emeriti minchioni. Questo non perché ci sia del falso nella proposta, ma perché essa è scartata a priori.

Un altro esempio significativo è quello della tipologia sintattica dell'ipotetica protolingua dell'Umanità: a volte si trovano articoli su qualche quotidiano online cha aggiornano sullo stato delle ricerche, garantendo che l'ordine sintattico nella lontana preistoria doveva essere OSV. Viene poi fornito a titolo esplicativo il classico esempio della frase di Yoda "tuo padre lui è" non è calzante perché il verbo "essere" non regge l'accusativo - lo imparano anche i bambini alle elementari durante le lezioni di grammatichina e di analisi logica. Meglio sarebbe dunque citare come esempio un'altra sentenza del Maestro Yoda: "Quando lo scolo fatto sei volte tu avrai, dritto non piscerai".

Quando si considera l'evoluzione delle lingue, è futile cercare di classificare le lingue in funzione dell'ordine delle parole nella frase: tale ordine può infatti cambiare nel corso della loro storia. Basti citare il caso del latino, che ammette frasi come philosophum non facit barba "la barba non fa il filosofo", in cui l'ordine OVS sarebbe dai linguisti tipologici considerato un'anomalia inaccettabile se paragonato all'ordine SVO tipico delle lingue romanze. Eppure le lingue romanze sono derivate dal latino. Quello di cui certi accademici psicorigidi non tengono conto è un fatto molto semplice: l'usura fonetica degli apparati grammaticali porta a ridefinire nuove strutture, a rendere rigido qualcosa che prima era più libero. Le lingue del genere umano non sono sistemi in equilibrio. Quando dalla consunzione dei morfemi nasce l'ambiguità, la sopravvivenza impone di far scattare un sistema che permetta di risolvere il problema alla radice.

Per fissare le idee, in latino forme come canis (soggetto) e canem (oggetto) sono ben distinte a livello fonetico, mentre in italiano abbiamo una sola forma, cane, sia per il soggetto che per l'oggetto. Di conseguenza un romano poteva dire ursus laniavit canem "l'orso straziò il cane", ma anche canem laniavit ursus o ursus canem laniavit. Per dire "il cane straziò l'orso" si può scegliere tra canis laniavit ursum, ursum laniavit canis o canis ursum laniavit, senza problema alcuno. In italiano c'è invece una sola alternativa possibile: esprimere il soggetto e l'oggetto tramite la posizione nella frase: "l'orso straziò il cane" è una frase del tutto diversa da "il cane straziò l'orso"

La stessa esagerata importanza attribuita alla linguistica tipologica deriva dalla rigidità dell'inglese moderno: gli anglofoni reputano la propria lingua il centro dell'universo e proiettano su ogni cosa le proprie categorie mentali. Dal ritenere tali categorie "innate" al crederle intrinseche al linguaggio in quanto tale, il passo è più breve di quanto non sembri. Per la maggior parte degli anglosassoni, è sufficiente che una lingua posponga l'aggettivo al nome per essere automaticamente etichettata come "difficile", figuriamoci se ha caratteristiche come una diversa collocazione del verbo o l'ergatività. La natura sclerotica della sintassi dell'inglese, in cui una regola ammette ben poche eccezioni o non ne ammette affatto, porta a pensare che in tutte le lingue viga una stessa struttura inviolabile, assoluta e definibile in poche parole, quando invece vediamo che in molte lingue convivono diversi schemi sintattici. Il rischio di fraintendimento è molto elevato. La ricerca sulle origini genetiche delle lingue rischia di essere disturbata e di venire meno. 

Il caso del norreno

Oltre a quanto visto per la lingua di Roma, si possono fare infiniti esempi. In antico nordico la ricchezza dell'apparato morfologico dei sostantivi e degli aggettivi rende possibile una grande libertà sintattica, inconcepibile nelle lingue germaniche odierne come ad esempio l'inglese. È sufficiente riportare alcuni esempi salienti per vedere come le tipologie sintattiche SVO e OVS convivano nella lingua dei Vichinghi senza alcun problema. Questo dovrebbe bastare a gettare forte discredito sulle pretese di certi linguisti tipologici, se il buonsenso governasse.

Dalle parole dvergr "nano", eiga "possedere" e baugr "anello", si hanno due diversi modi per tradurre la frase "il nano ha un anello"

dvergrinn á baug
baug á dvergrinn

La prima frase è SVO, la seconda è OVS. Non sussiste alcuna ambiguità per via della morfologia: il nominativo maschile singolare di dvergr e di baugr è marcato da un suffisso rotico -r che manca nell'accusativo. In inglese si direbbe "the dwarf has got a ring", con un ordine rigido. Invertendo i membri si otterrebbe una frase senza senso: "*a ring has got the dwarf", vietata dalla logica delle cose. Il verbo to have (got) non si presta a usi metaforici, si eviti quindi di pensare al Gollum e al suo famoso tessoro. Nemmeno nel mondo dei Puffi può accadere che un oggetto inanimato sia il proprietario di un essere animato. 

Passiamo ora a una frase più complessa: "Olaf vide la vecchia donna". Queste sono le due traduzioni possibili in norreno: 

Óláfr sá konu þá ina gǫmlu Konu þá ina gǫmlu sá Óláfr 

Anche in questo caso, la prima frase è SVO e la seconda è OVS. Si noterà che in inglese abbiamo "Olav saw the old woman". Invertendo i membri della frase si inverte in automatico anche il significato, dando origine a "The old woman saw Olav", ossia "la vecchia donna vide Olaf". Se vogliamo invertire il senso nella frase norrena, dobbiamo cambiare la morfologia. Così per dire "la vecchia donna vide Olaf" abbiamo le seguenti possibilità: 

Óláf sá kona sú in gamla Kona sú in gamla sá Óláf.

Decisamente troppo per una mente irrigidita in schemi e schemini per necessità banali, che si limita all'ABC del mondo detestando ogni indagine.

martedì 6 settembre 2016

ANCORA SULLA LONTANANZA DELLA LINGUA NEOEBRAICA DA QUELLA SCRITTURALE

Riporto in questa sede la mia traduzione dell'abstract di un articolo oltremodo interessante di Ghil'ad Zuckermann dell'Università di Adelaide, intitolato Hybridity versus Revivability: Multiple Causations, Forms and Patterns.   


«Lo scopo di questo articolo è suggerire che per via di causazioni multiple ubiquitarie, il revival di una lingua non più parlata è improbabile senza la fertilizzazione incrociata dalla lingua (o dalle lingue) del revivalista. Così, ci si aspetta che gli sforzi di rivitalizzazione risultino in una lingua con una struttura genetica e tipologica ibrida. L'articolo evidenzia costruzioni morfologiche e categorie salienti, illustrando la difficoltà nel determinare una singola fonte per la grammatica della lingua di Israele. L'impatto europeo in queste caratteristiche è evidente tra le altre cose nella struttura, nella semantica e nella produttività. Essendo un articolo piuttosto che non un lungo libro, questo scritto non tenta di essere grammaticalmente esaustivo, ma piuttosto di gettare nuova luce sul parziale successo del revival linguistico in generale, e in particolare sulla genetica della lingua israeliana.
La causazione multipla è manifesta nel Principio di Congruenza, secondo il quale se una caratteristica esiste in più di una lingua che contribuisce <alla lingua rivitalizzata>, è più plausibile che persista nella lingua emergente. Questo articolo discute la causazione multipla
(1) nell'ordine costitutivo,
(2) nel sistema dei tempi verbali,
(3) nell'accrescimento della copula,
(4) nei calchi, e
(5) nella corrispondenza fono-semantica in israeliano (Zuckermann 1999, in modo un po' equivoco a.k.a. ‘ebraico rivitalizzato’ / ‘ebraico moderno’).
Ciò suggerisce che la realtà della genesi linguistica è di gran lunga più complessa di quanto permesso da un semplice sistema di albero familiare. È improbabile che le lingue ‘rivitalizzate’ abbiano un solo genitore. Parlando in generale, mentre la maggior parte delle forme dell'israeliano sono semitiche, molti dei suoi schemi sono europei. Si assume che
(1) mentre l'ebraico era sintetico, l'israeliano – seguendo lo Yiddish ecc. – è molto più analitico;
(2) l'israeliano è una lingua "habere" (cf. latino habere ‘avere’, che regge l'oggetto diretto), in forte contrasto con l'ebraico(*);
(3) le lingue europee talvolta dettano il genere delle parole israeliane coniate;
(4) la produttività (nascosta) e la semantica del sistema dei modelli verbali dell'israeliano, presumibilmente completamente ebraico sono, di fatto, spesso europee;
(5) in ebraico c'era una polarità di concordanza di genere tra nomi e numerali, es. ‘éser banót ‘dieci ragazze’(**) contro ‘asar-á baním ‘dieci ragazzi’(***) (femminile). In israeliano c'è un più semplice sistema europeo, es. éser banót ‘dieci ragazze’, éser baním ‘dieci ragazzi’;
(6) lo Yiddish ha plasmato la semantica del sistema verbale israeliano nel caso dell'incoatività;
(7) seguendo lo ‘standard medio europeo’, le proclitiche israeliane be- ‘in’, le- ‘a’ e mi-/me ‘da’, così come la congiunzione coordinata ve- ‘e’, sono fonologicamente meno dipendenti che in ebraico;
(8) la formazione di parole in israeliano abbonda di meccanismi europei come le parole macedonia.»

(*) Le lingue "habere" indicano il possesso con un verbo, mentre le lingue "non-habere" utilizzano una frase esistenziale (NdT)
(**) Più propriamente 'dieci figlie' (NdT)
(***) Più propriamente 'dieci figli' (NdT) 

Alcuni esempi concreti 

Lo stato costrutto non è più realmente produttivo, così anziché dire 'em ha-yéled "la madre del bambino", si dice ha-íma shel ha-yéled.

Abbondano costruzioni verbali analitiche che nella lingua biblica sono inconcepibili. Così sam tseaká "urlò" (lett. "mise un urlo"), natán mabát "guardò" (lett. "diede uno sguardo"), heíf mabát "guardò" (lett. "gettò uno sguardo"). Si tratta palesemente di calchi dallo Yiddish, es. gébṇ a kuk "dare uno sguardo" per "guardare".

Lo Yiddish ha dato un'infinità di calchi nella fraseologia corrente. Le radici usate sono genuinamente ebraiche, ma il loro uso idiomatico è Yiddish e non ha nulla a che vedere con la mentalità di un antico parlante di una lingua semitica. 
m
á nishmá "come stai?" (lett. "cosa si sente?"),
     cfr. Yiddish vos hert zikh
khamúda-le "ragazza carina", formato da khamuda
     "carina"
 e dal suffisso Yiddhish -le;
miluim-nik "riservista", formato da milu
ím
     "riserva"
  (lett. "riempimento") e dal suffisso
     Yiddish -nik.

Esiste un massiccio uso di mezzi produttivi internazionali (suffissi e prefissi):
bitkhon-
íst "uno che valuta tutto dalla prospettiva
     della sicurezza nazionale"
: suffisso -ist 
kiso-lógya "arte di trovarsi un seggio in
     parlamento"
: suffisso -logya 
anti-hitnatkut "anti-disimpegno" : prefisso anti-
post-milkhamt
í "postbellico": prefisso post- 
pro-arav
í "pro-arabo": prefisso pro-
Alle orecchie del Re Davide questi elementi sarebbero suonati alieni come se fossero giunti dalla lingua delle genti di Altair o di Vega: non avrebbe avuto nemmeno la minima idea della natura di queste sillabe o della loro origine. 

Le forme ebraiche sono state riplasmate, reinterpretate per adattarsi agli schemi delle lingue europee. Così anziché il corretto yesh l-i ha-séfer ha-zè "è a me questo libro" (i.e. "io ho questo libro) - in cui ha-séfer ha-zè "questo libro" è il soggetto - si dice yesh l-i et ha-séfer ha-zè "io ho questo libro" - in cui et ha-séfer ha-zè "questo libro" è l'oggetto, come si evince anche dall'uso della particella accusativa et. La forma yesh l-i "è a me" non sembra essere più compresa ed è vista come traduzione dello Yiddish ikh hob, khob "io ho"

Si ha un uso massiccio di prestiti dallo Yiddish per formare verbi:
la-khróp "russare" < Yiddish khr
ópṇ 
le-fargén "non invidiare" < Yiddish farg
ínən 
le-hafl
ík "schiaffeggiare" < Yiddish flik "buffetto"
le-hashpr
íts "spruzzare" < Yiddish shprits "spruzzo"
le-hashv
íts "vantarsi" < Yiddish shvits "sudore"
le-katér "gemere" < Yiddish kótər "gatto maschio" 

Si ha un uso massiccio di prestiti internazionali (in genere inglesi) per formare verbi: 
le-daskés "discutere" < discuss
le-fakés "focalizzare" < focus
le-flartét "flirtare" < flirt
le-hasn
íf "sniffare coca" < sniff
le-natrél "neutralizzare" < neutralize
le-tarpéd "sabotare" < torpedo

Rispetto ai contenuti dell'articolo, aggiungo alcune note sulla consunzione fonetica. Nella lingua parlata in Israele in questi tempi si sono prodotte numerose e singolari contrazioni che la renderebbero assolutamente incomprensibile agli Antichi. Così avviene che il termine biblico avikhem "vostro padre" è sostituito da aba shelkhem, che a rigor di logica, stando alla pronuncia vigente, dovrebbe suonare /a'ba ʃel'xem/. Invece è in auge una sua contrazione /abaʃ'xem/. Ditemi voi cosa avrebbe capito Isaia.

Commenti e considerazioni

Noi ci opponiamo ad ogni interazione tra la lingua madre del revivalista e la lingua oggetto di rivitalizzazione. Un buon prodotto non deve mostrare calchi che non sarebbero comprensibili a un parlante della lingua estinta su cui quella da rivitalizzare si fonda. Noi rifiutiamo il concetto di carattere genetico e tipologico ibrido. Soprattutto insidiosi sono i calchi grammaticali, specialmente quelli di natura sintattica. Il caso del neoebraico insegna. La conlang neoebraica è una lingua profondamente differente da quella biblica e non può in nessun caso essere vista come un suo sviluppo naturale nell'ambito di un'evoluzione storica continua. È una creazione artificiale in larga misura abusiva. Se ignorassi la natura irreversibile di ogni evento e di ogni processo di questo mondo, direi che il neoebraico necessiterebbe di un profondo processo di riforma. Sono tuttavia pienamente consapevole che un simile progetto fallirebbe prima ancora di cominciare. 

Una soluzione semplice

È chiaro che ormai la lingua di Israele è ben consolidata nell'uso e che evolverà seguendo il suo percorso, finendo col divenire ancor più irriconoscibile. In ogni caso non posso fare a meno di notare che molti problemi sarebbero stati evitati se fosse stato scelto l'aramaico come lingua ufficiale dello Stato di Israele.

LA LINGUA NEOEBRAICA: I COSTI DELLA RIVITALIZZAZIONE

Spesso si loda l'opera di resurrezione della lingua ebraica, presentandola come il caso di maggior successo nell'opera di revival linguistico - se non l'unico davvero riuscito - ma non si considerano alcuni effetti collaterali. Già ho introdotto l'ostico argomento in un post in cui commentavo un'affermazione di Amos Oz, facendo notare come la lingua neoebraica sia una conlang a tutti gli effetti e come si discosti non poco dall'ebraico biblico. Ora analizzerò un'altra questione.

I sistemi usati dallo Stato di Israele per imporre il neoebraico come unica lingua possono essere considerati pertinenti al concetto di etnocidio. Il Governo di Israele ha infatti stabilito l'affermazione di un'unica cultura ebraica - recente e ricostruita secondo criteri abbastanza arbitrari, emanazione artificiale del Movimento Sionista - decretando l'annientamento sistematico di tutte le genuine identità ebraiche della Diaspora. Pochi sanno della persecuzione dei parlanti Yiddish e della distruzione sistematica della lingua Karaim.

A chi voglia approfondire l'argomento rimando senza indugio a un documento oltremodo interessante di Elizabeth Freeburg dell'Università di Yale, intitolato The Cost of Revival: The Role of Hebrew in Jewish Language Endangerment.


Queste cose le genti non le sanno e non le vogliono sapere, perché non suscitano alcun interesse: la loro analisi richiede l'uso di uno strumento piuttosto impopolare chiamato "cervello". L'istituzione scolastica, fucina di demenza e propalatrice della peste della political correctness e di numerose altre storture, non si occupa affatto di questioni linguistice, giudicate futili. La vulgata si limita infatti alle solite baggianate isteriche sugli Israeliani cattivi e sui poveri Palestinesi, appiattendo la realtà tridimensionale e facendone una sfogliatina di banalità perché sia assimilabile dagli intelletti larvali degli studenti-zombie.  

Lo Yiddish era giudicato treif dalle autorità, ossia non kosher, ancor più impuro della carne di porco. In alcuni casi, come ci dice la Freeburg, i parlanti Yiddish furono addirittura minacciati e fatti oggetti di intimidazioni in perfetto stile mafioso: l'uso dell'idioma avito doveva essere scoraggiato con ogni mezzo. La lingua Yiddish resiste ed è tuttora rigogliosa soltanto presso la setta dei zeloti Haredim, gli Ultraortodossi. Questi parlano soltanto Yiddish, perché la lingua delle Scritture, chiamata Loshn Kovdesh (ebraico lāshōn qādōsh), è loro proibito parlarla per scopi profani. Così essi distinguono nettamente la lingua biblica dal neoebraico, chiamato Ivrít, che pure rifiutano per quanto possibile - arrivando a uno stile di vita che potremmo definire isolazionista. 

La lingua Karaim appartiene al ceppo delle lingue altaiche: è in sostanza una varietà di turco con influenze ebraiche nel lessico. In origine era parlato in Crimea e trovo ragionevole concludere che si tratti di un discendente dell'originaria lingua dei Khazari, popolazione di ceppo turco convertita all'Ebraismo tra la fine del VIII secolo e l'inizio del IX. L'immigrazione di Karaiti nello Stato di Israele fu forte nell'ultimo dopoguerra. Essi portarono con sé la loro lingua, che era usata anche per scopi liturgici. Il successo nella sua eradicazione fu tale che su 30.000 Karaiti etnici che attualmente vivono in Israele, non si trova nemmeno un singolo parlante di Karaim.

Solo in apparenza meno drammatica è la situazione del giudeo-spagnolo, detto anche Ladino o Judezmo. Si tratta di una varietà di castigliano con influenze ebraiche ed aramaiche, che nello Stato di Israele è ancora parlato da circa 70.000 persone. Se però si considera che attualmente i parlanti nel mondo sono in tutto 100.000, e che soltanto nel 1977 in Israele erano ben 300.000, si capisce che il declino della lingua è vertiginoso. Parlato quasi soltanto da persone anziane, il Ladino non viene più appreso dai giovani e si pensa che possa scomparire nel giro di una o due generazioni. Tutto segue senza ostacoli il piano generale: attrarre nel Paese di Canaan il maggior numero possibile di minoranze linguistiche ebraiche per estinguerle.