mercoledì 8 marzo 2017


L'ISOLA DI PASCALI

Titolo originale: Pascali's Island
Paese di produzione:
Gran Bretagna, Italia
Lingua: Inglese
Anno:
1988
Durata:
96 min
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Genere: Drammatico, spionaggio
Regia: James Dearden
Soggetto: Barry Unsworth
Sceneggiatura: James Dearden
Fotografia: Roger Deakins
Musiche:
Loek Dikker
Interpreti e personaggi:
    Ben Kingsley: Basil Pascali
    Charles Dance: Anthony Bowles
    Helen Mirren: Lydia Neumann
    Kevork Malikyan: Mardosian
    George Murcell: Herr Gesing
    Nadim Sawalha: Pasha
    Stefan Gryff - Izzet Effendi
    Vernon Dobtcheff - Pariente
    Sheila Allen - Mrs. Marchant
    T. P. McKenna - Dr. Hogan
    Danielle Allen - Mrs. Hogan
    Nick Burnell - Chaudan
    Giorgos Oikonomou - Ribelle greco
    Alistair Campbell - Capitano
    Ali Abatsis - Ragazzo nel bagno
    Brook Williams - Ufficiale turco
    Joshua "Josh" Losey - Soldato turco 
    Nick Karagiannis - Ragazzo in chiesa
Doppiatori italiani:
    Riccardo Cucciolla: Basil Pascali
    Gino La Monica: Anthony Bowles
    Serena Spaziani: Lydia Neumann

Trama:

La vicenda si svolge nel 1908, nella piccola isola egea di Nisi. Il territorio è un avamposto dell'Impero Ottomano, che ormai è un colosso dai piedi d'argilla destinato a un ineluttabile tramonto. L'ambiente è a dir poco turbolento. I ribelli greci preparano l'insurrezione, mentre rappresentanti di potenze europee tramano per spartirsi i resti dell'Impero in sfacelo. Basil Pascali è un bizzarro individuo che abita in quell'avamposto da vent'anni, facendo da guida ai turisti e svolgendo incarichi come interprete. La sua vera attività consiste tuttavia nello spiare i locali, inviando poi al Sultano resoconti che non hanno mai avuto un singolo riscontro. Lo stipendio dell'informatore arriva regolarmente, ma immutato dall'inizio, senza il benché minimo aumento, cosa che desta in lui grande frustrazione. A un certo punto arriva sull'isola l'inglese Anthony Bowles, che afferma di essere un archeologo e di avere intenzione di effettuare importanti scavi. Pascali, che lo reputa un agente dei ribelli greci, gli offre i suoi servizi di interprete e di mediatore con il Pascià - vedendosi appioppata ogni responsabilità in caso di insolvenza dell'inglese. Bowles è un galletto che non perde tempo in preamboli: riesce a sedurre con facilità la bella pittrice austriaca Lydia Neumann, da tempo amata da Pascali, destando il lui bramosia di vendetta. Così l'informatore riesce a intrufolarsi nella stanza del sedicente archeologo, scoprendo alcuni reperti falsi. Folle di gelosia, rivela le sue scoperte al Pascià. Come conseguenza soldati, i soldati colgono in un'imboscata notturna Bowles e la Neumann e li uccidono senza esitare. A questo punto gli eventi precipitano, la rivolta dei Greci divampa, l'Impero Ottomano crolla e il futuro di Pascali si fa istante dopo istante più incerto. Mentre tutto gli sta crollando addosso, mentre il suo minuscolo universo è in procinto di implodere, l'unica cosa che il protagonista può fare è scrivere quasi per un automatismo da zombie il suo ultimo rapporto.      

Recensione:

Il film è stato tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore inglese Barry Unsworth (1980), pubblicato negli States col titolo The Idol Hunter. Non ho letto il romanzo, ma da quanto si trova nel Web sulla sua trama, pare che sia stato trasposto accuratamente nell'opera di James Dearden. Il flusso della narrazione è introspettivo e inquietante in ogni dettaglio, ai confini del solipsismo. Sepsi dell'anima, come scrutare all'interno del cranio di un soggetto vivisezionato ed elucubrare sulle caverne scavate nella materia grigia dai fantasmi.  

Le origini di Pascali

C'è una cosa molto importante che va puntualizzata. Il protagonista, Pascali, porta un cognome di origine cristiana. Infatti proviene di certo da un precedente latino Paschalis, come il nome italiano Pasquale. Anche il suo nome, Basil, altro non è che il greco Basilios. Egli stesso chiarisce di essere figlio di una sfortunata ballerina inglese che si è persa nei perigliosi meandri dell'Impero Ottomano, il che spiega la stranezza del suo nome. Il personaggio è sicuramente il discendente di un cristiano convertito all'Islam. Se la sua famiglia paterna fosse stata islamica da molto tempo, l'informatore avrebbe avuto un nome ben diverso, caratteristico dei musulmani, come ad esempio Mehmet.

Una vita priva di senso

Pascali si ritrova imprigionato in un microcosmo asfittico che sembra non avere alcuna apertura verso l'esterno, nonostante sia visitato da non pochi europei - ma se anche fossero extraterrestri cambierebbe ben poco. Tutto è immobile e angosciante, come lo sarebbe essere imprigionati in un sogno che non è il proprio e da cui quindi non ci si può svegliare. Nella sostanza, l'informatore ottomano è l'Uomo Invisibile. Ad ogni sua azione non pare corrispondere alcuna reazione, come se fosse contenuto in una cella manicomiale dalle pareti di gomma, dove anche urlare con voce stentorea sarebbe inutile. Il Sultano che pensa di servire è inavvicinabile, come il Motore Immobile di Aristotele. Per la macchina burocratica che lo paga, Pascali è una nullità, una pedina talmente insignificante da essere considerata come un oggetto inanimato, dei cui sentimenti e delle cui aspettative non ci si può e non ci si deve preoccupare. Quello che l'uomo non sa, è che i suoi rapporti finiscono ogni volta al macero senza che nessuno li legga, in quanto ritenuti irrilevanti. Il suo stesso stipendio è dovuto alla pigrizia estrema dell'apparato burocratico: nessuno ha pensato di attivarsi per far cessare l'erogazione. 

Un Impero Ottomano ad alta gradazione alcolica

Quanto è sobria la Scandinavia odierna, tanto era ebbro l'Impero Ottomano, in cui gli uomini sfoggiavano il fez del color del sangue rappreso e trangugiavano damigiane di rakı, la tipica acquavite aromatizzata all'anice e alla menta, ottenuta distillando una varietà di ingredienti, tra i quali l'uva, le prugne, i datteri e le patate. Lo stesso Kemal Atatürk amava a tal punto quel liquore e tanto ne tracannò che il suo fegato finì cirrotizato. Tutto questo perché l'Islam dei Turchi era molto diverso dal radicalismo tanto di moda ai nostri giorni. L'anisetta e l'idromele erano utilizzati come surrogati del vino in non poche aree di fede maomettana. Sappiamo che il mercato degli alcolici era fiorente sotto la Sublime Porta, tanto che persino i religiosi bevevano di nascosto. Ogni tanto il Sultano si destava dal suo sonno e minacciava provvedimenti draconiani, ma il suo proibizionismo durava al massimo tre giorni. Tutto ciò è lontano anni luce dal rigore dei fanatici wahabiti che imperversano al giorno d'oggi. Così vediamo il protagonista Basil Pascali ordinare l'acquavite all'inserviente dell'hotel, con fare imperioso, battendo le mani: accorgendoci che è cosa normale e quotidiana anche tra genti tanto diverse, siamo tutti più sollevati.

Cose turche! 

Una volta alla settimana, Pascali si reca ai bagni e incontra un ragazzo. Forse qualche spettatore non l'ha capito, ma quel ragazzo è un eunuco che dietro compenso masturba e fa pompini. La cosa non deve stupire più di tanto. L'uso degli enunuchi come sfogo sessuale in quel contesto era la norma, mentre era molto difficile l'accesso al sesso femminile. Il mio sospetto, più che fondato, è che il protagonista del film abbia conosciuto soltanto le carezze dei castrati e che non abbia mai conosciuto nemmeno una volta le delizie femminili. Immaginate, se ci riuscite, una vita passata a sognare qualcosa di irraggiungibile, trovando ben vili e bassi surrogati in una realtà di uno squallore infinito. Nell'Impero Ottomano esistevano modi diversi per castrare un uomo. Era possibile rimuovere i testicoli ma non il pene, ottenendo gli eunuchi bianchi. Si poteva anche rimuovere il pene e lasciare i testicoli. In questo caso si ottenevano i cosiddetti eunuchi bruni, di una ferocia inaudita, che venivano usati come strumento di repressione. C'erano poi eunuchi privi sia del pene che dei testicoli: avevano soltanto il buco dell'uretra e per orinare dovevano servirsi di una cannuccia, con i connessi rischi di infezioni. Erano chiamati eunuchi neri. Altri sistemi, altamente rischiosi, consistevano nell'atrofizzare i genitali, spappolando i testicoli oppure torcendo i dotti seminali. Come ci si può attendere, nell'attuale contesto si tende a nascondere questi orrori e a censurarli, ma ancora agli inizi del XX secolo erano una realtà viva e vitale.

Amore non corrisposto

Non penso che esista un tormento più crudele dello spasimare per una donna che non vuole saperne. Parafrasando Cioran, possiamo dire che amare una donna significa proiettare infiniti su una creatura di una sconcertante finitudine. Deve essere una cosa terribile amare una donna alla follia, senza destare in lei alcuna emozione, per vedersela poi soffiare da un finto archeologo, un bellimbusto biondiccio che somiglia vagamente a Rocco Siffredi. Gli orrori dell'amore non corrisposto sono spinti all'estremo limite in questo film. Per la pittrice Lydia Neumann, Basil Pascali è soltanto un mucchietto di nulla, del tutto impossibile da considerarsi come un uomo. Talvolta finge di provare per lui un certo affetto, simile a quello che può essere provato per un canarino. Qualcosa di ancor più umiliante di un aperto rifiuto. L'informatore ottomano non capisce se la sua musa lo voglia intenzionalmente mortificare. Fatto sta che talvolta le parole di una donna possono ledere un uomo anche quando in apparenza sembrano inoffensive. Solo per fare un esempio, sentirsi chiamare "amico" da una donna è a parer mio cosa molto peggiore che essere insolentiti, perché "amico" è una parola che si traduce così: "per me tu non conti niente, in quanto non ti vedo come un uomo e non potrò mai vederti come un uomo". Anzi, possiamo stenografare il concetto traducendo "amico" con "non sei un uomo" o addirittura con "eunuco".


Le convulsioni del genetico

La spaventosa tensione provata dall'informatore ottomano sfocia infine in un terribile fatto di sangue e di morte. Egli spia la donna amata insieme col suo amante. Entrambi sono nudi e fanno l'amore. Questo fa emergere in Pascali un sentimento che non è semplicemente invidia, come le fatue genti potrebbero pensare, ma disperazione. È così: tutto inizia dalla constatazione della nullità della propria vita sessuale. Il genoma maschile spinge, perché il suo solo fine è l'accoppiamento con una femmina. Se questo non avviene, ne nasce una serie infinita di orrori. Per il genoma, chi non riesce ad accoppiarsi e a trasmettere la vita è un indegno di esistere. A niente servono le lubriche manipolazioni di un eunuco. Dalla constatazione della propria nullità, Pascali passa alla tenebra assoluta. In questo marasma ecco accendersi una fibra d'odio. Coloro che rinfacciano, pur senza saperlo, al fallito genetico la consapevolezza della sua nullità essenziale, diventano oggetti di questo odio funesto, che divampa fino a diventare assoluto, duro come il diamante e nero come l'Abisso. L'uccisione della pittrice e del finto archeologo inglese si consuma così, in un'atmosfera plumbea e annichilente. Un punto di non ritorno, che segna l'annientamento dell'intera esistenza.

Reazioni nel Web

A quanto pare, il film non ha entusiasmato il pubblico italiano. Ha avuto invece un certo successo nel mondo anglosassone. Non ho trovato nel Web significativi interventi in lingua italiana, anche se forse questo si deve al fatto che non ho cercato abbastanza. Consiglio una pagina che riporta alcune recensioni in inglese: 

lunedì 6 marzo 2017


MONTENEGRO TANGO - PERLE E PORCI

AKA: Montenegro Tango - Le perle ai porci
Titolo originale: Montenegro or Pigs and Pearls
Titolo svedese: Montenegro eller Pärlor och Svin
Anno: 1981
Genere: Drammatico, grottesco, erotico  
Paese: Gran Bretagna, Svezia
Lingua: Inglese, Svedese, Romani balcanico
Sottotitoli: Svedese, Danese, Finlandese
Formato: Panoramico Colore
Durata: 103 min (secondo altri 93 min)
Regia: Dušan Makavejev
Produttore: Bo Jonsson
Produttori associati:
Christer Abrahamsen, Djordje
    Zecevic 
Produzione: AB Europa Film, Viking Film, Mart
    Egg Pictures
Sceneggiatura: Dusan Makavejev, Donald Arthur,
    Branko Vucicevic
Fotografia: Tomislav Pinter
Musiche: Kornell (Kornelije) Kovach
Distribuzione: Academy (Martino) - Domovideo
Progetto di produzione: Radu Boruzescu
Costumi: Inger Pehrsson
Trucco: 
   Kjell Gustavsson
   Sven Lndén
   Hilda Silvast
Gestione della produzione: Rune Hjelm
Assistente direttore: Bojana Marijan
Reparto artistico:
   Eric L. Johnson
   Jerry Pihlblad
Reparto sonoro:
   Ulf Darin,
   Sven Fahlén,
   Anders Ingermarsson,
   Lars Klettner,
   Jan-Erik Lundberg
Reparto fotocamera ed elettrico:
   Dan Myhrman,
   Tiuu Serenander
Costumi e guardaroba: 
  
Ingabritt Adrianson-Ejenstam
Gestore degli esterni:
  
Sven-Gösta Holst
Resto della squadra: Kerstin Eriksdotter, Susanne Falck,
   Anita Tesler

Interpreti e personaggi:   
   Lasse Aberg: L'ispettore delle dogane
   Susan Anspach: Marilyn Jordan
   Svetozar Cvetkovic: Montenegro
   Patricia Gélin: Tirke (ragazza rom)
   Nikola Janic: Mustapha
   Erland Josephson: Martin Jordan 
   Per Oscarsson: Dottor Aram Pazardjian
   Bora Todorovic: Alex Rossignol (capo rom)
   John Zacharias: Nonno Bill
   Lisbeth Zachrisson: Rita Rossignol (moglie del
       capo rom)
   Paul Smith: Il tassista
   Dragan Ilic: Assan 
   Marianne "Marianna" Jacobi: Cookie Jordan
   Marina Lindahl: Segretaria
   Milo Petrovic: Un rom bizzarro, cliente dello
       Zanzi Bar 
   John Parkinson: Pianista
   Jamie Marsh: Jimmy Jordan
   Kaarina Harvistola: La prima poliziotta
   Ewa Gisslen: La seconda poliziotta
   Bo Ivan Peterson: Se stesso
   Jan Nygre: Ufficiale di polizia

Titoli alternativi: 
  Belgio (fiammingo): Montenegro of Parels en zwijnen
  Finlandia: Montenegro eli helmhä ja herjoja
  Francia: Les fantasmes de Madame Jordan
 
Germaina Ovest: Die Ballade von Lucy Jordan
 
Grecia: Montenegro i gourounia kai margaritaria
  Perù: Montenegro: Cerdos y perlas
  Polonia: Czarnogóra, czyli perly i wieprze
  Portogallo: Montenegro ou Pérolas e Porcos
  Turchia: Karadag  



Trama:  

Marilyn è la bella moglie di Martin Jordan, un ricco uomo d'affari di Stoccolma. La donna, di origine americana, è inquieta e insoddisfatta. Le pesa in particolare l'assoluta inerzia sessuale del marito, che potrebbe essere definito "frigido". L'uomo pensa soltanto al lavoro e ad accumulare soldi: è completamente privo di reazioni erettili. Marilyn cerca invano di stuzzicarlo ghermendo una collana di perle con un piede nudo e mettendo in bella mostra le gambe perfette. Niente da fare, anche se gliela sbattesse in faccia non cambierebbe nulla. Constatato che sarebbe più facile produrre eccitazione in un robot, Marilyn comincia a dare segni di instabilità mentale. Divora tutte le cotolette alla viennese che aveva preparato per la famiglia, prendendole con le mani. Martin Jordan non si scompone per la cena saltata. Non avrebbe battuto ciglio neanche se si fosse trovato davanti un piatto di feci. La villa lussuosa in cui Marilyn abita col marito, con i due figli e con l'anziano suocero demente, le sembra ogni giorno di più una prigione. Per cercare di curare questo malessere della moglie, Martin non pensa nemmeno per un istante a provocarsi un'erezione, magari procurandosi un po' di materiale porno. Tutto si metterebbe a posto se la donna riuscisse ad avere un po' di sperma, ma lui non lo riesce a comprendere. Così le paga le visite da uno psichiatra di origine armena, il dottor Aram Pasardjian. La situazione precipita in occasione di un viaggio di Martin in Brasile. Un viaggio d'affari, è ovvio. Marilyn decide all'ultimo di partire col marito ma perde l'aereo a causa delle perquisizioni subite all'aeroporto, di una lungaggine e di una pedanteria esasperanti, in grado di trasformare Giobbe in Carl Panzram. Perde l'aereo e incontra una giovane zingara jugoslava di nome Tirke, che la presenta al suo capo, Alex Rossignol, il "rrom baró" della tribù. Alex porta la donna allo Zanzi Bar, un antro di turpitudini in cui i pagani si ritrovano per darsi alla crapula e all'orgia. Mentre Tirke si esibisce nuda in danze lubriche e gioca con un carro armato fallico radiocomandato, gli uomini della tribù esultano in preda all'eccitazione più belluina. Marilyn, ubriaca, si concede a Montenegro, un giovane rom che lavora allo zoo e che lei già conosceva di vista. Smaltita la sbornia, la donna ritorna nella villa-prigione, ma non si rassegna alla sua condizione squallida, così somministra alla sua famiglia il cianuro. Marito, figli e suocero cadono fulminati come la famiglia di Goebbels.

Recensione: 

Un film assurdo quanto divertente, che merita senz'altro di essere visto. A tratti è surreale: non vedo come altro definire una scena in cui un uomo resta vivo e vegeto con un coltello piantato nel cranio. Certo, si possono razionalizzare le sequenze di un sogno (o di un incubo), riducendole a categorie comprensibili al sentire comune. Resta però il fatto che la sostanza soggiacente alle vicende narrate ha qualcosa di compatto da cui irradia un'ontologia indecifrabile. Per questo ci colpisce: parla un linguaggio geroglifico che non può essere spiegato a parole. Il risultato è senza dubbio molto al di là delle intenzioni del regista serbo, tanto che sono indotto a crederlo un prodotto di forze ctonie cresciuto per autoaggregazione. Se si approfondisce il pensiero di Makavejev, si può constatare che consisteva in discorsi abbastanza banali sulla repressione sessuale: ogni sua proposizione era fondata sulla dicotomia insanabile tra popoli razionali asessuati e popoli istintivi, selvaggi, dionisiaci, pervasi da una sessualità panica. Non è da questi schemi che nasce un capolavoro.

Ricordi distorti

Il film andò in onda su Rai 3 quando ero ancora un liceale imberbe, un pivello che a malapena sapeva qualcosa della sessualità dalla fruizione di riviste pornografiche (sorvoliamo sul patetico corso di "educazione sessuale", che con grandissima pruderie tentava di ridurre gli esseri umani a celenterati). Così accadde che mentre i miei genitori erano impegnati in una discussione in cucina, cominciai a scanalare e vidi apparire sullo schermo un gigantesco cazzone di gomma. Presto risultò chiaro che il fallo era infisso su un carro armato radiocomandato, al posto del cannone. Si muoveva rapidamente e una ragazza nuda cercava di schivarlo, mentre i Rom si abbandonavano alla manustuprazione collettiva. Cambiai canale, arrossendo per la vergogna. Dopo qualche minuto girai di nuovo su Rai 3, ed ecco che un uomo stava montando la protagonista bionda, possedendola da tergo o, come dice il volgo, alla pecora. A scuola, il giorno dopo, potei constatare che anche alcuni compagni avevano visto parti del film in condizioni di clandestinità. Si parlò a lungo del "carro armato col cazzone". In realtà, quando rividi il film anni dopo, ormai saturo di tonnellate di materiale pornografico, potei constatare che il carro armato era piccolissimo, che l'itifallo plastico era un ben esiguo falletto e che i Rom non davano segni di masturbarsi. Giunsi alla conclusione che del film esistevano due versioni: una tagliata, edulcorata, e una più potente, piena zeppa di scene esplicite. In realtà era stata soltanto la mia immaginazione adolescenziale a ingigantire certe immagini erotiche, deformandole e rendendole ancor più grottesche.

Una ricerca a lungo infruttuosa 

Ricordo che con un amico scrissi addirittura una lettera a Rai 3 per ricevere informazioni sul film e per conoscerne almeno il titolo, che ignoravamo. Ci decidemmo a farlo dopo una serie di vane ricerche che nel corso degli anni ci avevano portato a noleggiare inutilmente alcuni film aventi come protagonisti i Rom, come ad esempio Gadjo dilo - lo straniero pazzo, nella speranza di ritrovare le sequenze assurde viste al liceo. La lettera inviata alla direzione di Rai 3 venne cestinata impietosamente, è ovvio, e non ebbe mai risposta alcuna. Solo quando avevamo ormai perso ogni speranza, mi emerse chissà come dalla memoria il nome "Montenegro", che collegai al film, così potemmo per insperata fortuna identificare con sicurezza e recuperare il film, che da allora è diventato un cult. 

I morti viventi

Nella lingua Romaní il morto vivente è chiamato muló (pl. mulé). È immaginato come un cadavere deambulante, a metà strada tra lo zombie e il vampiro. Attratto dalle feste, è avidissimo di vino e non perde occasione di nutrirsi anche di sangue. È possibile che l'avidità di vino derivi da una falsa etimologia: il vino in Romaní è chiamato mul (in alcuni dialetti mol). Così muló potrebbe essere stato interpretato come "avvinazzato". In realtà l'origine della parola è chiaramente la forma verbale muló "egli morì", dalla stessa radice di merel "egli muore", di chiara origine indoeuropea (la radice alla lunga è la stessa dell'italiano morire). Devo ammettere che le mie conoscenze di lingua Romaní non sono abbastanza buone per poter approfondire meglio la questione. Secondo le credenze di tali genti, per cacciare i morti viventi il sistema più efficace è l'aglio. Ecco perché alla festa allo Zanzi Bar pendono corone d'aglio dappertutto. 

Il nettare degli Dei

Il capo dei Rom, Alex Rossignol, invita Marilyn a partecipare a una bevuta collettiva. Lo slivovitz viene reso rosso col sangue di un agnello ucciso, e questa mistura viene definita dallo stesso Rossignol "il nettare degli Dei", con inatteso dottismo. Non mi aspetterei infatti di ritrovare una simile locuzione tra i Gitani, dato che persino tra le genti stanziali viene usata in modo scherzoso come reminiscenza scolastica. La donna bionda si unisce alle libagioni, tracannando il liquore misto a sangue - cosa che ai nostri giorni non potrebbe più essere mostrata in un film, a meno che non si voglia scatenare l'insurrezione dei fanatici animalisti e vegani. A questo punto gli uomini di Rossignol intonano una canto antico nella loro lingua, che è davvero suggestivo. Come l'americana chiede al capo tribù il significato delle parole in Romaní, quello le risponde sbrigativamente che il loro contenuto è sessuale e che gli uomini vorrebbero copulare con lei. Così a orecchio mi pare che si tratti di una bugia e che il significato dei canti sia del tutto dissimile: sarebbe interessante analizzare il testo, trascriverlo foneticamente e tradurlo per verificare la cosa.

Proibizionismo scandinavo 

Quando fui in Svezia e in Norvegia, era l'inizio degli anni '90, mi resi subito conto che non era affatto facile procurarsi dell'alcol decente. Si trovava soltanto una squallidissima birra mercantile, acquosa, che al massimo avrà avuto 3 gradi alcolici. Ricordo un orrido luogo chiamato Värnamo, che sorge vicino a un antico cimitero in cui al tempo degli antichi culti venivano sepolti gli aborti e i bambini deformi. Dopo il tramonto i giovani si radunavano e cercavano di intossicarsi ingollando galloni di quella birra quasi analcolica, finendo col vomitare. Ricordo ancora un pavimento tutto coperto di vomito: si camminava nel pastone. Forse qualcuno riusciva a procurarsi del liquore clandestino, ma non sono riuscito a vederne nemmeno una goccia. Un tale pensò di portarsi in camera una ragazza un po' alticcia, rischiando una doccia romana. Anche se pochi ne sono a conoscenza, a Stoccolma vige il proibizionismo, quasi come negli States ai tempi di Al Capone. I politicanti della triste nazione scandinava sono convinti che bere alcol sia un atto rivoluzionario e che appartenga al reame oscuro dell'eversione. Non potendo imporre un divieto assoluto, ricorrono ad ogni mezzo di dissuasione, come ad esempio una tassazione da capogiro e l'imposizione di un vero e proprio pizzo alle pochissime rivendite autorizzate. Queste premesse sono a mio avviso necessarie per comprendere il contesto di Montenegro Tango. In una scena si vede un rom che getta legna in una grande caldaia per alimentare un distillatore. La protagonista ne rimane turbata e fa notare che la produzione di alcolici è illegale. Lo zigano le risponde che lo Stato è cattivo perché non vuole dare alla gente ciò di cui ha bisogno. Folgorante come il responso di un monaco zen.

Reazioni nel Web 

Le recensioni che ho trovato nel corso delle mie navigazioni mi sembrano piuttosto banali. Tutta critica radical shit che in un film nota soltanto stronzate socio-culturali e si lascia sfuggire dettagli antropologici di estremo interesse. Mi limito a riportare due interventi, comparsi sul sito davinotti.com.

Cotola:
"La liberazione sessuale (con omicidio) come antidoto alla noia ed all'ipocrisia della vita borghese. Certo, non molto originale (visti i tempi in cui fu girato) ma il tema è caro al regista che non manca di condire il film con un umorismo al vetriolo e con almeno una trovata da antologia. Non tutto fila liscio, qua e là la noia non manca, ma alla fine il risultato non è malvagio. Il finale è un discreto sberleffo alla comune morale familista. Buona la confezione." 

Giacomovie: 
"Interessante produzione svedese i cui titoli di coda precisano che si tratta di un film basato su una storia vera, quella di una donna annoiata dal matrimonio che si concede un'avventura alla "Thelma senza Louise" per superare la noia di vivere. L'avvio è incerto ma poi matura con efficacia il contesto liberatorio della trama, con la presenza di elementi grotteschi, episodi passionali e qualche sorpresina nel finale."

sabato 4 marzo 2017

XENOGLOSSIA? NO. CRIPTOMNESIA.


Riporto in questa sede un brano di Samuel Taylor Coleridge comparso sul blog di Romolo Capuano: 

Un caso del genere accadde in una città tedesca di confessione cattolica romana uno o due anni prima del mio arrivo a Gottinga e da allora continua a essere argomento frequente di conversazione. Una giovane di ventiquattro o venticinque anni, che non sapeva né leggere né scrivere, contrasse una febbre nervosa, durante la quale, secondo quanto testimoniato da tutti i sacerdoti e i monaci del vicinato, fu posseduta, a quanto pare, da un diavolo coltissimo. La donna non smetteva mai di parlare in latino, greco ed ebraico, affettando toni assai solenni e pronunciando le parole in maniera molto chiara. Che fosse posseduta appariva probabile in virtù del fatto, a tutti noto, che era o era stata un’eretica.
Voltaire consiglia spiritosamente al diavolo di stare alla larga dagli uomini di medicina; un consiglio che avrebbe giovato alla sua reputazione, se lo avesse seguito in questa occasione. Il caso aveva attirato l’attenzione di un giovane medico e, stando alle sue dichiarazioni, molti eminenti fisiologi e psicologi visitarono la città e indagarono la vicenda sui due piedi. Pagine su pagine furono riempite delle farneticazioni della giovane, e fu scoperto che esse consistevano di frasi coerenti e intellegibili
(sic), se prese a una a una, ma scarsamente o per nulla connesse tra loro. A proposito delle parole in ebraico, solo una piccola parte di esse poté essere rinvenuta nella Bibbia; il resto sembrava un dialetto rabbinico. Fu esclusa ogni possibilità di trucco o complotto. Era evidente che la giovane era una persona semplice e innocua e che soffriva per una febbre nervosa. In città, dove viveva da molti anni come domestica di varie famiglie, nessuno seppe spiegare il fenomeno. Il giovane medico, tuttavia, decise di indagare meticolosamente la sua esistenza passata; la paziente, invero, non era in grado di rispondere in maniera razionale alle domande che le si facevano. Il medico, riuscì, infine, a trovare il luogo dove vivevano i genitori della ragazza: vi si recò e scoprì che non erano più in vita, ma che lo era uno zio; da lui apprese che la paziente era stata caritatevolmente accolta da un vecchio pastore protestante all’età di nove anni, e aveva vissuto con lui per diversi anni, fino alla morte del vecchio. Lo zio non sapeva nulla del pastore, tranne che era una brava persona. Con grande difficoltà, e dopo molte ricerche, il nostro giovane medico filosofo trovò una nipote del pastore, che aveva vissuto con lui come sua governante, e che ne aveva ereditato i beni. Ricordava la ragazza; raccontò che  il venerando zio era stato troppo buono con lei, che non riusciva a rimproverarle niente; aggiunse che avrebbe voluto tenere la ragazza con sé, ma che, dopo la morte del suo mentore, la giovane non aveva voluto più rimanere. A questo punto, il medico condusse un’indagine serrata sulle usanze del pastore; e infine trovò la spiegazione del fenomeno. Sembra che, per anni, il vecchio avesse avuto l’abitudine di percorrere avanti e indietro un corridoio della sua abitazione che conduceva alla porta della cucina, leggendo ad alta voce i suoi libri preferiti. La nipote ne possedeva ancora molti. Aggiunse che era un uomo assai colto e un grande ebraista. Tra i suoi libri fu trovata una raccolta di scritti rabbinici e di libri dei padri latini e greci. Il medico riuscì a identificare molti brani simili a quelli annotati al capezzale della giovane, e nessun uomo dotato di ragione ebbe alcun dubbio sulla vera origine delle impressioni che avevano colpito il sistema nervoso della paziente. Traduzione di Romolo Capuano (?)*

*Immagino che il gestore del blog abbia eseguito la traduzione inedita del testo di Coleridge, dato che non sono stato in grado di trovare altra traccia della versione italiana in Google. Un'altra possibilità è che lo stesso blogger l'abbia reperita in un libro e l'abbia digitata parola per parola. Tuttavia l'uso della parola "intellegibile" al posto del corretto "intelligibile" mi fa propendere per la prima ipotesi: il refuso in un libro avrebbe avuto maggiori probabilità di essere eliminato in fase di correzione delle bozze.

Questo è il brano originale di Coleridge, in inglese:

A case of this kind occurred in a Catholic town in Germany, a year or two before my arrival at Göttingen, and had not then ceased to be a frequent subject of conversation. A young woman of four or five and twenty, who could neither read nor write, was seized with a nervous fever; during which, according to the asseverations of all the priests and monks of the neighbourhood, she became possessed, and, as it appeared, by a very learned devil. She continued incessantly talking Latin, Greek, and Hebrew, in very pompous tones and with most distinct enunciation. This possession was rendered more probable by the known fact, that she was or had been a heretic. Voltaire humorously advises the devil to declme all acquaintance with medical men; and it would have been more to his reputation, if he had taken this advice in the present instance. The case had attracted the particular attention of a young physician, and by his statement many eminent physiologists and psychologists visited the town, and cross-exammed the case on the spot. Sheets full of her ravings were taken down from her own mouth, and were found to consist of sentences, coherent and intelligible each for itself, but with little or no connection with each other. Of the Hebrew, a small portion only could be traced to the Bible; the remainder seemed to be in the rabinical dialect. All trick or conspiracy was out of the question. Not only had the young woman ever been a harmless, simple creature; but she was evidently labouring under a nervous fever. In the town, in which she had been resident for many years as a servant in different families, no solution presented itself. The young physician, however, determined to trace her past life step by step; for the patient herself was incapable of returning a rational answer. He at length succeeded in discovering the place where her parents had lived: travelled thither, found them dead, but an uncle surviving; and from him learnt that the patient had been charitably taken by an old protestant pastor at nine years old, and had remained with him some years, even till the old man's death. Of this pastor the uncle knew nothing, but that he was a very good man. With great difficulty, and after much search, our young medical philosopher discovered a niece of the pastor's, who had lived with him as his house-keeper, and had inherited his effects. She remembered the girl; related that her venerable uncle had been too indulgent, ana could not bear to hear the girl scolded; that she was willing to have kept her, but that after her patron's death, the girl herself refused to stay. Anxious inquiries were then, of course, made concerning the pastor's habits; and the solution of the phenomenon was soon obtained. For it appeared that it had been the old man's custom, for years, to walk up and down a passage of his house into which the kitchen door opened, and to read to himself with a loud voice, out of his favourite books. A considerable number of these were still in the niece's possession. She added, that he was a very learned man and a great Hebraist. Among the books were found a collection of rabinical writings, together with several of the Greek and Latin fathers; and the physician succeeded in identifying 80 many passages with those taken down at the young woman's bedside, that no doubt could remain in any rational mind concerning the true origin of the impressions made on her nervous system.

Tratto dalla Biographia Literaria,
riportato nel Blackwood's Edinburgh Magazine, Volume 3

https://books.google.it/books

Davvero un diavoletto dottissimo, non c'è che dire! Tuttavia non si è dimostrato abbastanza dotto: l'uso attento e minuzioso del metodo scientifico e della logica riesce a dipanare anche le matasse più ingarbugliate. A dire il vero il medico indagatore citato da Coleridge si è mosso come uno Sherlock Holmes ante litteram, ma non si è avvalso fino in fondo del mezzo più potente: la filologia. Poche constatazioni sulla pronuncia usata dalla ragazza già porterebbero a conclusioni certe i moderni latinisti, grecisti e semitisti. Più raccolgo evidenze sul fenomeno della xenoglossia, più mi convinco della bontà delle mie idee e della fondatezza del mio profondo scetticismo.

Nel frattempo attendo ancora con pazienza che mi sia riportato un caso di xenoglossia autentico, non riconducibile a ricordi nascosti o a mistificazioni di vario genere. Attendo qualcosa di assolutamente eclatante, in grado di ampliare l'orizzonte delle nostre conoscenze. Armandomi della stessa pazienda del famoso cinese che in riva al fiume è sicuro di veder prima o poi la testa del suo nemico trascinata dalla corrente, attendo di leggere la notizia di uno xenoglosso in grado di parlare in genuino etrusco o nell'autentica lingua egiziana del Medio Regno. Attendo qualcuno che possa illuminarci sulle antiche lingue dell'Europa Neolitica, sulle lingue preagricole del Paleolitico, su come parlavano gli uomini di Neanderthal, sulla remota preistoria espressiva dei primi abitatori del pianeta. Inutile dire che difficilmente avrò questa soddisfazione. Eppure non sarebbe così difficile produrre interessanti risultati se alla base della xenoglossia ci fosse davvero qualcosa di concreto e di soprannaturale.

Nessuno è mai riuscito a riprodurre anche soltanto frasi etrusche semplicissime come queste, da me ricostruite a partire da elementi noti della lingua:

ca θi mlaχ ame "quest'acqua è buona"
mi une alce vinum mlaχ "ti ho dato del vino buono"
ei mur θui "non restare qui"
ein al cn śpanza clenśi enas "non dare questo piattino a nostro figlio"  

Nessuno è mai riuscito a riprodurre anche soltanto poche parole di egiziano del Medio Regno con il vocalismo ricostruito secondo i più accurati studi moderni, come quelli di Loprieno: 

/'Ɂu:sa/ "Iside" e non l'egittologico /ist/ 
/'Ɂu:rǝp/ "vino" e non l'egittologico /irp/

/'na:fa/ "bello" e non l'egittologico /'nɛfer/
/'nafra/ "bella" e non l'egittologico /'nɛfert/ 
/'na:ta/ "dio" e non l'egittologico /'nɛtʃer/, /'nɛter/
/na'tu:ru/, /na'turw/ "dèi" e non l'egittologico
    /'nɛtʃru/, /'nɛtru/

martedì 28 febbraio 2017

LA VITA COMINCIA NELLA BARA!


Erano i tempi di Splinder, quando mi capitò per la prima volta di sentir pronunciare da un'amica questa sconcertante frase: "La vita comincia a 40 anni."

A dire che la vita comincia a 40 anni era un'avida fellatrice spermatofaga che spremeva uomini e che ancora adesso è affetta dall'equivalente femminile della sindrome di Peter Pan.

All'epoca non lo sapevo, ma la locuzione è un calco dell'inglese "Life Bigins at Forty". La prima attestazione nota è il titolo di un film statunitense del lontano 1938, seguito da un'omonima serie televisiva britannica dei tardi anni '70. Nel '79 John Lennon scrisse un brano con questo titolo.

Avevo pensato di interpretare così le sconcertanti parole: dopo i 40 anni la vita si fa più stabile e certi sconvolgimenti giovanili si placano. "Si è meno stressati e più felici" (cit.). Nulla di più lontano dal vero.   

Col passare degli anni la frase in questione si è andata lentamente trasformando, fino a diventare "La vita comincia a 50 anni". 

Secondo un articolo comparso su Repubblica, dai cinquant'anni in su si assiste alla trasformazione degli uomini in mandrilli scatenati. Ingurgitano casse di Viagra e si alzano in piedi!  


Possiamo attenderci che questa tendenza prosegua e che si arriverà a dire "La vita comincia a 60 anni" e addirittura - perché no? - "La vita comincia a 70 anni". Senza dubbio è così. Ancora un articolo di Repubblica conferma il trend:


Tutto ciò non basta, esiste anche un libro che ci illumina: 


La propaganda del sesso senile non conosce freni né limiti: 


C'è una sorta di ingordigia all'origine di questi fatui motti, mista alla consapevolezza dell'assoluta vanità dell'istante che passa.  

Non volendo ammettere che la vita è una condizione afflittiva e un affare in perdita, ecco che si rende necessario esaltarla, proiettando aspettative messianiche sugli anni a venire.

La tendenza a dire che la vita comincia sempre più in là negli anni è provocata senza dubbio dalle attese esagerate riposte nel pensionamento, che pure subisce continui posticipi per la maggior parte dei lavoratori. 

Un tempo, nel Medioevo, la gente credeva nella Salvezza e voleva conquistarsi il Paradiso. Oggi la gente crede nella pensione ed è convinta che con la fine del lavoro avrà inizio una condizione idilliaca e beata assimilabile all'immortalità.

Portiamo dunque tutto ciò alle estreme conseguenze e riveliamo senza indugio il mondo che ci attende: "LA VITA COMINCIA NELLA BARA".

Quello che Cioran chiamava "dinamismo dei cimiteri" è una condizione invidiabile! La morte non è affatto la fine della sessualità! La famosa canzoncina delle osterie, che parlava di due cadaveri putrefatti che si inculavano come matti, non è frutto di morbosa fantasia: dice il vero! 

sabato 25 febbraio 2017

HACKER CEREBRALI!



HACKER E ONDE CEREBRALI, L'ULTIMA FRONTIERA SARA' LA NOSTRA MENTE   

Le nostre convinzioni più profonde e le nostre idee più segrete non sono inviolabili come pensavamo: secondo una ricercatrice dell'università di Washington possono anzi esserci estratte contro la nostra volontà in modo relativamente semplice
di ALESSANDRO CREA
(
continua a leggere)

Il contenuto dell'articolo di Repubblica è passato sotto silenzio, confuso nell'incessante flusso di fake news. Eppure è sconvolgente e non fa che confermare quanto vado sostenendo da anni: la captazione telepatica esiste.  

Nessun pensiero prodotto dai nostri cervelli è al sicuro: è già possibile eseguire il monitoraggio delle onde cerebrali e arrivare a trarne informazioni su idee politiche, religiose, morali e filosofiche. È possibile ad esempio stabilire se una persona ha pregiudizi razziali, svelarne le perversioni sessuali, scandagliare le sue condizioni di salute. Questa messe di informazioni può essere raccolta, trasmessa a centri di elaborazione, archiviata e tradotta in informazioni fruibili, a disposizione dei poteri del mondo e del mercato. A tutto può essere attribuito un valore, tutto può essere monetizzato.  

Hai gravi problemi metabolici? Ingurgiti alcolici fino ad intossicarti? Rischi un ictus o un infarto ogni giorno che passa eppure procedi con la tua vita insalubre? Un tumore ti sta crescendo dentro? Una malattia degenerativa sta cominciando a privarti del senno? Sei un feticista dei piedi femminili? Sei pervaso dal desiderio di lambire il boccone del prete a ogni donna che ti attizza, avendone spaventose erezioni? Ti piacciono i transex? Ebbene, tutto questo qualcuno lo conosce come lo conosci tu stesso. Sei ancora fortunato se a riguardarti sono amenità come quelle menzionate: l'istituzione della Precrimine non è lontana.  

Ormai è di pubblico dominio il fatto che siamo seguiti in ogni nostro movimento da un esercito di spie invisibili. Tuttavia le genti non immaginano nemmeno lontanamente la vera realtà dei fatti. In genere si crede che ad essere tracciati siano soltanto i nostri acquisti tramite bancomat o carta di credito, le nostre telefonate e le nostre navigazioni nel Web. Se fosse così, vivremmo in un mondo idilliaco e tutto sommato abbastanza sicuro. Il pericolo incombente è ben più drammatico, anche se nessuno vuole pensarci: corriamo il rischio di essere trasformati in zombie, del tutto svuotati di ogni nostro contenuto cognitivo e destinati a vagare ridotti a vani simulacri, in balìa di predatori spaventosi. 

A chi mi accusasse di essere un complottista, opporrò soltanto pochi argomenti. Quotidiani che non sono immondezzai bufalari, per quanto non immuni da articoli inconsistenti, danno da anni la notizia di inquietanti esperimenti telepatici che dovrebbero togliere il sonno a tutti. È ormai possibile, così ci dicono, captare i pensieri delle persone e costruire ammennicoli in grado di telecomandare con la mente computer e altri strumenti: sono i cosiddetti elmetti telepatici. Non si tratta di pseudoscienza. Ecco alcuni articoli interessanti: 





Non mi sembra di fare un gran volo pindarico quando sostengo che queste tecnologie siano già perfettamente operative e usate segretamente da Zuckerberg, da Elon Musk e da altri plenipotenziari satanici attivi sul nostro pianeta. Per non parlare dei Poteri Oscuri che si agitano nel Darkweb. Direte che è fantascienza, come se l'uso di questa parola fosse in grado di esorcizzare ogni timore, di rintuzzare ogni inquietudine. Questa non è semplicemente fantascienza. È la fantascienza che è diventata realtà. Ha smesso di essere letteratura pornografica schernita eppure in grado di destare inspiegabili pruriti. Si è trasformata nel contesto in cui viviamo. Siamo immersi in un incubo cyberpunk.    

Il principio è molto semplice. Tu fornisci i mezzi tecnologici per fare qualcosa, per quanto schifosa sia, e qualcuno li userà. Ineluttabilmente. Come al giorno segue la notte. L'uso di questi mezzi non sarà necessariamente etico o rispettoso delle persone. Qui non si parla semplicemente di privacy, bensì della possibilità di rubare la vita a ignare vittime e di annientarla. Tutto questo con buona pace di coloro che si ostinano a idolatrare il futuro e a pensare che dalla cosiddetta Singolarità Tecnologica potranno scaturire soltanto meraviglie. Le cose non stanno così: la Fisica ci insegna che viviamo in un sistema termodinamico altamente entropico in cui le cose possono soltanto peggiorare.

mercoledì 22 febbraio 2017

ALCUNE CONSIDERAZIONI SCETTICHE SUGLI IPERPOLIGLOTTI



Il contadino che conosce 100 lingue: "Ricordatemi per il mio lavoro, non come fenomeno"
Riccardo Bertani, 86 anni, dopo le elementari ha studiato da autodidatta idiomi dimenticati: dal mongolo alle lingue siberiane, pubblicando oltre 1000 volumi. La sua casa è diventata un Fondo e lui invita gli appassionati di lingue scomparse ad andarlo a trovare

di GIACOMO TALIGNANI
(continua a leggere

L'articolo in questione, pubblicato su Repubblica, ha destato il mio vivo interesse, come tutto ciò che di straordinario e di mirabolante ha a che vedere con i misteri del linguaggio umano. Già qualche tempo prima mi ero imbattuto nella figura di Riccardo Bertani da Campegine nel corso di alcune mie letture sugli iperpoliglotti, persone che parlerebbero fluentemente un gran numero di lingue. La definizione di iperpoliglotta spesso cambia a seconda degli autori, ma potremmo ritenere tale, senza timore di smentite, una persona in grado di padroneggiare almeno dieci lingue.   

Wikipedia elenca un certo numero di poliglotti e di iperpoliglotti a partire dall'Evo Antico e dal Medioevo per arrivare a tempi più recenti, fornendo per ciascuno la data di nascita e di morte, annotando brevemente molti nominativi con qualche dettaglio biografico. Si parte da Mitridate, Re del Ponto, che gli Antichi ci dicono fosse capace di amministrare la giustizia nelle ventidue lingue parlate nel suo regno, passando per Federico II di Svevia, soprannominanto Stupor Mundi, percorrendo secoli e giungendo infine a soggetti ancora viventi, come l'attore Viggo Mortensen - che a quanto pare parlerebbe soltanto sei lingue.


Non è certo mia intenzione negare a priori l'esistenza del fenomeno dell'iperpoliglottismo. Semplicemente non posso evitare di nutrire qualche dubbio. Nella sostanza, sento di essere profondamente scettico. Cominciamo con l'analizzare alcuni contesti in cui più facilmente possono trovarsi soggetti in grado di parlare diverse lingue. Presso le popolazioni in cui si ha convivenza di lingue diverse, spesso da secoli, è naturale che si sviluppi una certa capacità di parlare o almeno di comprendere diversi idiomi oltre al proprio. Posso citare i seguenti casi:

1) Gli Israeliti sono abituati a parlare diverse lingue e ne apprendono facilmente di nuove. Non per nulla sono spesso chiamati cosmopoliti dai gentili. In non pochi casi le loro famiglie sono composte da coniugi di diversa origine. Rammento i signori S., che conobbi a Sassello e che ormai sono defunti (Z''L). Il capofamiglia proveniva dall'Austria e parlava tedesco, oltre allo Yiddish. Sua moglie era di origine turca e conosceva il turco, il tedesco e lo Yiddish. Entrambi si esprimevano in un buon italiano e parlavano l'ebraico in modo fluente, tanto che intercalavano i loro discorsi con parole ed espressioni di tale lingua (e si mostrarono sommamente inquieti quando diedi prova di capire quello che dicevano). 
2) I Cinesi apprendono facilmente per motivi di affari lingue assai diverse dalla propria nella fonetica e nella struttura. Possono trovare utile apprendere anche lingue in via di estinzione, al punto che ho potuto udire un cinese rispondere a tono in perfetto brianzolo alle provocazioni di T., un anziano parlante di quel dialetto gallo-italico. Accadde in un ristorante cinese. Comportandosi da cafone, T. aveva borbottato qualcosa come "U mangià da schivi". Al che il cameriere, per nulla intimorito, lo seccò con un "Basta che te pàghet". Se noi dovessimo imparare il cinese, non riusciremmo neanche a memorizzare poche espressioni stereotipate, senza contare le infinite possibilità di essere fraintesi per via della natura tonale della lingua e delle numerosissime omofonie. Le genti della Cina invece già solo gestendo un ristorante arrivano a imparare sempre meglio la nostra lingua, tanto dissimile dal loro idioma natio nei suoni e nel modo in cui sono formate le parole.
3) Tra le genti Papua della Nuova Guinea ci sono uomini capaci di apprendere numerose lingue di tribù vicine, spesso molto distanti dalla propria. Le condizioni di diversità linguistica in certe aree impervie e poco conosciute sono a dir poco incredibili, tanto che in una singola valle si possono trovare tribù che non hanno nulla in comune. Non sempre quelle genti mostrano curiosità e interesse per i loro vicini: lo stato di belligeranza non è una rarità e si danno anche episodi di esocannibalismo, tutte cose che non favoriscono lo scambio di informazioni. Uno studioso ha provato a registrare le voci di un gruppo che viveva a un'estremità di una valle e le ha fatte poi sentire a un altro gruppo che viveva all'imbocco della stessa valle, a pochi chilometri di distanza. Risultato: le frasi risultavano del tutto incomprensibili, come se fossero giunte da un altro pianeta.
4) Nel Nordovest dell'Argentina imperava il caos linguistico. Vi erano genti come i Diaghiti, che oltre alla propria lingua Kakán conoscevano spesso anche il Tonocoté, il Quechua e una lingua affine all'Atacameño. I membri di non poche popolazioni parlavano di norma quattro o cinque lingue, avendo conoscenza passiva di altrettante per via della convivenza in zone ristrette di un gran numero di etnie dissimili. Ancora oggi nella regione del Gran Chaco può capitare di trovare casi di multilinguismo di contatto come quelli descritti, in cui convivono lingue di ceppo Mataco (Mataguayo) con lingue di ceppo Guaycurú, anche se tutte sono minacciate dall'azione corrosiva dello spagnolo, vero e proprio idioma infestante responsabile della perdita di un gran numero di idiomi che un tempo avevano moltissimi parlanti. 
5) Le genti del Caucaso abitano in valli di altissima densità linguistica. Come già visto nel caso della Papua Nuova Guinea, anche nel Caucaso esistono distribuizioni strane di lingue diversissime all'interno di aree ristrette. Vi sono enclavi in gran numero e i casi di multilinguismo non si contano. Le lingue del ceppo nord-caucasico sono tra loro tanto diverse che si fatica non poco a ricostruirne una protolingua che renda conto di tanta diversità. Esistono anche lingue del ceppo kartvelico o sud-caucasico, come il georgiano, che non hanno alcuna relazione con le lingue nord-caucasiche: la denominazione è soltanto di carattere geografico. Il georgiano è una lingua di una tale complessità che ben pochi stranieri sono riusciti a impararla. Convivono con queste lingue difficilmente classificabili alcune lingue di diversa origine come quella degli Osseti, che è indoeuropea di tipo iranico e che discende dalla lingua degli Alani. Per inciso, stupirà molti sapere che un tempo esistevano parlanti della lingua alanica anche nella pianura padana, giunti con i Longobardi. Poco a sud dell'area del Daghestan si estende l'Azerbaijan, la cui lingua è di tipo turcomanno, appartenente al gruppo altaico.

Cosa spicca nell'analisi di tutte queste situazioni? Innanzitutto si vede subito che sono parlate sì diverse lingue, ma sempre in numero limitato: abbiamo a che fare con poliglotti, non con iperpoliglotti. Di norma si tratta al massimo quattro o cinque lingue e in alcuni casi sono tra loro imparentate; già non si arriva a trovare persone che ne parlino dieci. Le persone capaci di parlare diverse decine di lingue sembrano figure mitologiche e a quanto pare si trovano con la stessa facilità dello Yeti, degli unicorni o delle sirene. Tutto ci porta ad essere profondamente critici ogni qual volta si discute della stessa esistenza di genuini iperpoliglotti in grado di parlare cento lingue con la stessa naturalezza della propria. Inoltre l'apprendimento delle varie lingue avviene per esposizione diretta col parlato fin dalla più tenera età e non per studio tramite materiale scritto. Nessuno è mai diventato poliglotta grazie all'istituzione scolastica, alla scrittura e ai corsi. 

Dovremmo tutti porci una domanda. Come mai un tempo si parlava tanto degli iperpoliglotti e in questi tempi non se ne parla quasi più? Per capirlo è necessario fare un bizzarro paragone antropologico.

Un tempo esistevano numerosissimi settimini, ossia bambini prematuri che le giovani madri mettevano al mondo dopo soli sette mesi di gestazione. I primi figli in certe zone della Lombardia erano quasi tutti settimini. Perché questo? Semplice. Perché i fidanzati copulavano in gran segreto e non esistevano metodi contraccettivi, demonizzati dalla Chiesa Romana, così quando una ragazza si smutandava davanti a un uomo, restava incinta e si gonfiava subito. Ecco dunque la necessità delle cosiddette nozze riparatrici organizzate in fretta e furia. Molta gente ignorante e ingenua credeva che ci fosse davvero un motivo fisiologico per tale abbondanza di settimini: si pensava o si fingeva di pensare che una donna primipara mettesse naturalmente al mondo un bambino prematuro. Tuttavia quando giunse l'emancipazione sessuale, la Chiesa Romana si indebolì fino a decadere, si propagò la pornografia e fu possibile usufruire di stratagemmi per evitare la gravidanza, i settimini sparirono all'improvviso. Non se ne trovano quasi più. 

Voi mi direte: "Che c'entrano i settimini con gli iperpoliglotti?" C'entrano eccome. Un tempo l'uomo che aveva fama di essere iperpoliglotta era considerato un fenomeno da baraccone. Si esibiva. Mostrava a tutti le sue presunte capacità di parlare decine di lingue. Il punto è che di ogni lingua il presunto iperpoliglotta conosceva soltanto un elenco di parole più o meno nutrito e un frasario di base, il resto era spesso un grammelot simulato. Molta gente ignorante ha poi l'idea che basti conoscere qualche parola per parlare una lingua e rimane subito impressionata. Questo non avviene soltanto in Italia. In Inghilterra numerosissime persone ottuse sono convinte di parlare italiano perché sanno dire "buon giorno", "buona sera", "buon appetito", "pizza", "spaghetti", "mandolino", "mafia". Se poi sanno dire anche "picciotto", "padrino", "stiletto", "vendetta", "ricatto", "pizzo", "minchia", "famiglia", allora si ritengono dantisti. Poi non sanno reggere una normale conversazione, in quanto ignorano persino le parole per dire "acqua", "terra", "fuoco", "pietra", "mano", etc. A prender per buone le millanterie di questi inglesi, si avrebbe un'idea del tutto distorta della realtà. Per fissare le idee, penso che gli iperpoliglotti abbiano subìto lo stesso fato dei settimini, sparendo nel nulla non appena si è diffusa una maggior conoscenza delle lingue e soprattutto non appena si è avuta la possibilità di verificare le informazioni. Si vuole affermare ad ogni costo l'esistenza di autentici iperpoliglotti? Si può dimostrare che si tratta in ogni caso di allucinazioni cognitive.

Non conosco il signor Bertani e di certo ho per lui il massimo rispetto, perché in ogni caso bisogna riconoscere che ha dedicato l'intera sua vita allo studio. Nutro tuttavia il fondato dubbio che le sue conoscenze siano più che altro tratte dai libri e che non abbia altrettanta dimestichezza con le lingue parlate. Forse è per questo che declinò sempre gli inviti in Russia. Probabilmente non temeva tanto di trovarsi di fronte alle rovine della Grecia dopo essersi nutrito di Omero, ma di impappinarsi, di non distinguere bene i suoni pronunciati dai suoi interlocutori, di fare una brutta figura passando dal russo dei libri a quello articolato da persone in carne ed ossa, che spesso ha suoni sfuggenti e indistinti. Cosa umanissima e comprensibilissima. Le miei ipotesi non sono poi così peregrine. Basti ascoltare con attenzione le parole dello stesso Bertani, documentate nel video da me riportato in questo mio contributo. Egli con grande onestà intellettuale ci dice di trovarsi perfettamente a suo agio con il russo scritto, ma di avere qualche difficoltà col russo parlato. Risulta un ottimo traduttore delle lingue scritte, che usando grammatiche e dizionari riesce a venire a capo di testi difficilissimi. Essere un ottimo traduttore delle lingue scritte non implica necessariamente essere in grado di seguire un parlante madrelingua in una normale conversazione. Sono due capacità diverse, con buona pace di quei navigatori che non riescono a distinguere tra lingua parlata e lingua scritta.

Per inciso, certe opinioni dello stesso Bertani sono a dir poco sconcertanti. Sentir affermare che i Longobardi fossero "genti ugriche" e che fossero originari degli Urali e della Russia meridionale, è cosa che ad esser sinceri lascia come minimo di sasso. Evidentemente lo studioso ha assimilato concetti antiquati, che potevano essere creduti veri all'epoca di Bram Stoker. Infatti nel capolavoro dello scrittore irlandese il Conte Dracula affermava che i suoi antenati erano le tribù ugriche dell'Islanda. Siccome le parole hanno un loro significato ben preciso, va ricordato che ugrico è un aggettivo usato per indicare le lingue del ceppo uralico a cui appartiene l'ungherese, non indoeuropee e molto distanti dalle lingue germaniche. Orbene, uno studioso che non ha chiari questi concetti di per sé semplicissimi potrebbe essere definito un esperto di filologia germanica solo in un mondo in cui tale disciplina è per la massima parte delle persone un libro chiuso e un tabù. Sorprende il fatto che il contadino di Campegine affermi di non conoscere l'inglese e neppure il tedesco. Condizioni ideali per approfondire lo studio della filologia germanica e per avere accesso alla letteratura scientifica! Il perché di queste gravissime lacune è un mistero. Non voglio credere che tutto si riduca a una viscerale quanto banale avversione politica per la Germania dei brutti e cattivi nazisti e per l'America dei brutti e cattivi capitalisti! 

Reazioni nel Web

Tutte le mie perplessità le ho illustrate seguendo un filo conduttore razionale. Eppure quando si parla di iperpoliglotti, si scopre che non pochi navigatori nel Web affrontano l'argomento di pancia, scossi da furori e da flussi ormonali, reagendo con stizza indicibile ogni volta che un utente mette in discussione l'autenticità dell'iperpoliglottismo. Così pure si noterà che gli scettici sono sorprendentemente pochi. Non solo, non mi pare di averne trovato nemmeno uno in grado di argomentare e di tenere testa ai furibondi fan degli iperpoliglotti. Tutto parte da alcuni commenti sui video di falsi poliglotti postati in gran copia su Youtube. Gli autori di questi filmati non possono essere nemmeno lontanamente paragonati agli antichi fenomeni da baraccone, in quanto manca qualsiasi interattività: si capisce lontano un miglio che si tratta di sciorinatori di frasettine apprenditicce ripetute a macchinetta, con assoluta impossibilità di verifica della loro capacità di dire qualsiasi altra cosa. Sono un po' come quei presentatori russi dell'epoca sovietica che potevano presentare un programma in italiano perché avevano studiato la loro parte a memoria senza capire assolutamente nulla e senza saper dire assolutamente null'altro.

Riporto un interessante video dell'utente Flaze3, intitolato "Disonestà del mondo poliglotta", con link alla pagina di Youtube con i commenti: 



Flaze3 afferma giustamente: "Molti cosiddetti poliglotta ritengono di riuscire a palare in più di 8, 9 lingue, ma se le uniche cose che sanno dire sono 'mi piace imparare lingue' e 'questa lingua è bella', per me non costituisce 'parlare in un'altra lingua', e infatti è piuttosto disonesto."

Felix lama commenta: "Come dico sempre, più lingue si conoscono, più è basso il livello della media delle lingue parlate. La maggior parte dei "poliglotti" non sono tali."

Ecco la reazione scomposta di un certo Alessandro B., le cui affermazioni sarebbero considerate naïf persino tra i Puffi: "Falso! Quelli che come dici tu si spacciano per poliglotti e parlano oltre 8, 9 lingue lo hanno dimostrato in dei convegni parlando queste lingue con dei madrelingua! Inoltre sono stati intervistati da TV straniere! E non sanno dire solo "mi piace imparare lingue" . Queste persone che sono su youtube e che in realtà sono pochissime, i loro nomi escono addirittura su wikipedia. Il caso più famoso di poliglottia era Emil Krebs parlava e scriveva 68 lingue e ne aveva studiati altre 120! questa è storia non cavolate! Sono casi rarissimi!!! in quest' ultimo caso! Infatti il cervello di krebs funzionava diversamente! In vita c'è un Italiano che attualmente detiene un record si Chiama RICCARDO BERTANI è Italiano! Parla 100 lingue! La sua conoscenza è attualmente utilizzata dal "Grande Dizionario UTET" con cui collabora. Parliamo di persone cui le loro competenze sono state DIMOSTATE E SONO DI AIUTO AL MONDO DELLE ENCICLOPEDIE! E tu dici che è falso. ahahahahahahahahha"

Certo, Emil Krebs è su Youtube ed è stato intervistato da TV straniere. Come no! Oltre al fatto che Youtube ha notoriamente la stessa autorità del Vangelo 😄. Appurato che Riccardo Bertani scrive in 100 lingue e che traduce da 100 lingue, più che parlarle in modo fluente, dubito molto che il Grande Dizionario UTET contenga assurdità come l'attribuzione dei Longobardi al ceppo ugrico.

Nel mondo anglosassone qualcuno ci va giù abbastanza duro, come si vede dai seguenti articoli: 



In un farneticante thread apparso su Reddit, si leggono le incredibili parole dell'utente Electronp, che adduce aneddoti su Tesla come prova dell'esistenza dell'iperpoliglottismo. Oh bella! Forse ignorano che Tesla non fa testo perché era un alieno rettiliano 😀. Lo stesso Electronp, che vive nel mondo incantato delle favole, non si limita ad enumerare i miracoli compiuti dal fisico extraterrestre naturalizzato serbo. Arriva ad affermare quanto segue:

"Europeans have a very high standard for fluency; lots of euros I know will hold a conversation in perfect fluent English--after apologizing, in perfect fluent English, for their poor English. your English must be excellent, as I have never heard a European using the tone and terminology of your sentence: " ... anecdotal BS that makes for a good story but nothing else. How convenient the man is dead..."
you sound exactly like a snotty, 20-30 year old American male!
good job.

Certo, certo! Le genti dell'Unione Europea parlano tutte le lingue del pianeta in modo fluente senza sforzo alcuno e in particolare sono esperte di fonetica inglese! Se questo è vero, allora il pene di Jimmy Savile era inoffensivo! 😁

domenica 19 febbraio 2017

LONGOBARDO RICOSTRUITO: DUE INCANTESIMI PER LE API

Primo testo in longobardo (ricostruito):

CHRIST, IMPI IST UZZE! NU FLIUH THU, FIO MINAZ, ERA FREDO FRAUNO IN GODES MUND, AIM ZO QUEMAN CASUND. SITZI, SITZI, PIA, INPAUT THIR SANCTA MARIA. ORLAUP NI ABE THU: ZO ULZE NI FLIUH THU, NOH THU MIR NI ANDRINNES, NOH THU MIR NI ANDUINNES. SITZI FILO STILLO, GUERCHI GODES GUILION. 

Trascrizione fonologica (semplificata):

/'krist, 'impi ist 'u:tstse! nu 'fliuχ 'θu:, 'fio 'mi:nats, 'ɛra 'fredo 'frauno in 'gɔdes 'mund, 'aim tso: 'khwɛman ka'sund. 'sitstsi 'sitstsi 'pi:a, in'paut θir 'sankta ma'ri:a. 'ɔrlaup ni 'abe 'θu:, tso: 'ultse ni 'fliuχ 'θu:, nɔχ 'θu: mir ni and'rinne:s nɔχ 'θu: mir ni and'winne:s. 'sitstsi 'filo 'stillo, 'gwɛrxi 'gɔdes 'gwiljon./ 

Traduzione:

Cristo, lo sciame è fuori! ora mio sciame vola qui nella pace del Signore, nella protezione di Dio, per tornare sano a casa. Posati, posati ape, te lo ordinò Santa Maria.
Che tu non abbia il permesso, non volare nel bosco, non sfuggirmi e non allontanarti da me. Posati tranquilla, fai la volontà di Dio.

Testo di partenza in antico alto tedesco (francone renano, X sec.):

Krist, imbi ist hucze! nu fliuc du, uihu minaz, hera fridu frono in godes munt, heim zi comonne gisunt. sizi, sizi, bina: inbot dir sancte Maria.
hurolob nihabe du: zi holce nifluc du, noh du mir nindrinnes, noh du mir nintuuinnest.
sizi uilu stillo, vuirki godes uuillon.

Per approfondimenti rimando al lavoro di Eleonora Cianci (2004).

Commenti:

In protogermanico esistevano le due varianti *imbja- e *umbja- per indicare lo sciame d'api. Mentre in antico inglese è usata la forma con -u- (anglosassone ymbe), nell'area alto tedesca si trova la forma con -i-. L'attestazione degli antroponimo longobardi IMPO e IMPERT (< *IMPIPERT) conferma la forma ricostruita IMPI.

A.a.t in godes munt "nella protezione di Dio": si noti l'uso del ben noto termine giuridico comune al longobardo, tipico del diritto germanico. 

Si osserva che la formula longobarda ricostruita ha una rima in SITZI SITZI PIA, INPAUT THIR SANCTA MARIA, che manca nella formula di partenza, dato che la parola francone per "ape" suona bina, che non rima con Maria. In un altro caso si ha una rima in entrambe le versioni: longobardo ricostruito NI ANDRINNES - NI ANDUINNES : francone renano nindrinnes - nintuuinnest. Longobardo ricostruito ANDRINNAN "allontanarsi" è formato a partire da RINNAN "correre", mentre ANDUINNAN "fuggire" corrisponde a a.a.t. intwinnan, da winnan < *winnanan "lottare", nei composti "spingere, allontanare". Per contro in un altro verso vi è una rima imperfetta nel testo in longobardo ricostruito: STILLO - GUILION : francone renano stillo - guillon

Secondo testo in longobardo (ricostruito): 

GUIDER IMPI, NIM ERDA, OBERUERF MIT THINERU ZESUON ANDI, UNDAR THINEMO ZESUON FOZI, ANDI QUID:  

   FAHU IH UNDAR FOZ, FUNDI IH IZ
   GUAZ, ERDA MACH GUIDER ALLERO GUECTO CAUELICHA  
   ANDI GUIDER ANADON ANDI GUIDER AAMINDI 
   ANDI GUIDER THEA MICHILON MANNES ZUNCON.  
ANDI MIT THIO FERUERF OBER CREUS, THARANA THEO SUARMIAND, ANDI QUID:
   SITZI THU, SICHEUIP, SINCH ZO ERDU
   NI AI THU GUILDIS ZO GUIDON FLEUGAN
   GUIS THU SUA CAMUNDIGA MINES GODES
   SUA IST MANNISCO CAUELIH MATZES ANDI ODELES.

Trascrizione fonologica (semplificata):

/gwider 'impi, 'nim 'ɛrda, ɔber'wɛrφ mit 'θi:neru 'tsɛswo:n 'andi undar 'θi:nemo 'tsɛswon 'fo:tsi, andi 'khwid :
'fa:hu iç undar 'fo:ts, 'fundi iç 'its  
'gwats, 'ɛrda 'maχ gwider 'allero 'gwɛkto ka'wɛli:çça 
andi gwider 'anadon andi gwider 'a:mindi
andi gwider θea 'miççilo:n 'mannes 'tsunko:n
andi mit 'θio fer'wɛrφ ɔber 'kreus̪, θa:r'ana θeo 'swarmjand, andi 'khwid :
'sitstsi 'θu: 'sixewi:p, 'sinkh tso: 'ɛrdu 
ni 'ai θu: 'gwildi:s tso: 'gwidon 'fleugan
'gwis 'θu: swa: ka'mundi:ga 'mi:nes 'go:des
swa: ist 'mannisko ka'wɛli:ç 'matstses andi 'o:deles/ 
 

Traduzione: 

Contro uno sciame d'api, prendi della terra, gettala con la tua mano destra sotto il tuo piede destro e di':
    Io prendo sotto il piede, là ho trovato ciò.
    Che abbia potere la Terra contro tutte le creature,
    e contro la malizia e contro la dimenticanza
    e contro la grande lingua di un uomo.
E con ciò, getto la ghiaia sopra, dove esse sciamano, e dichiara:
    Siediti, donna vittoriosa,  affonda fino a terra!
    Non volare mai via nei boschi.
    Sii tu così grata del mio beneficio,
    Come ogni umano lo è del cibo e della patria. 

Testo di partenza in anglosassone: 

Wið ymbe, nim eorþan, oferweorp mid þinre swiþran handa under þinum swiþran fet, and cwet:
    Fo ic under fot,    funde ic hit.
    Hwæt, eorðe mæg    wið ealra wihta gehwilce
    and wið andan    and wið æminde
    and wið þa micelan   mannes tungan.
And wiððon forweorp ofer greot, þonne hi swirman, and cweð:
    Sitte ge, sigewif,   sigað to eorþan!
    Næfre ge wilde  to wuda fleogan.
    Beo ge swa gemindige   mines godes,
    swa bið manna gehwilc   metes and eþeles. 

Commenti:

Mentre la prima formula è interamente cristianizzata, la seconda è di chiara origine pagana senza alcun adattamento alla nuova religione. C'è qualcosa di profondamente ambivalente: se nel testo cristianizzato l'ape è amica e cara a Maria, a Cristo e a Dio Padre, si vede che nel testo pagano l'ape è sinistra e nemica, capace di dare all'uomo grandi benefici col suo miele e con l'idromele che se ne ricava, eppure ingrata e potenzialmente pericolosa. Si noterà che in anglosassone esisteva già l'uso di dare del voi (con verbo a volte al plurale e a volte al singolare, in modo incostante), mentre il longobardo ricostruito ha soltanto l'uso del tu, che sia per rivolgersi a un servo, a un semilibero, al Duca, al Re, alla Regina, a Godan o allo stesso Cristo. In antico alto tedesco le prime testimonianze dell'uso del voi risalgono a Otfrid (X sec.). Il fastidioso Sie del tedesco moderno era del tutto sconosciuto e risale ad epoca abbastanza recente. 

Ags. under può reggere il dativo e l'accusativo, come in a.a.t.; è usato col dativo in under þinum swiþran fet, mentre compare con l'accusativo poco dopo in under fot. Abbiamo mantenuto questo uso in longobardo ricostruito.

Ags. andan "malizia; ira invidia" (acc.): questo sostantivo maschile è identico ad a.a.t. anado, anto "ira"

Ags. æminde "dimenticanza": stesso identico prefisso aa- del longobardo attestato aamund "libero, senza tutela" (< protogermanico *æ:-). 

Ags. sigað /'si:ɣað/ "affondate" (imp.): il verbo deriva da *si:ɣanan e corrisponde a a.a.t sīgan "gocciolare", longobardo ricostruito SIGAN /'si:gan/ "gocciolare". Un verbo imparentato è *si:xwanan "filtrare", a.a.t. sīhan, longobardo ricostruito SIHAN /'si:han/. Abbiamo ritenuto opportuno usare longobardo ricostruito SINCHAN /'sinkhan/ "affondare" (intr.), SANCHIAN /'sankhjan/ "affondare" (tr.), "sommergere", di ottima tradizione germanica.