Bundy fu giustiziato sulla sedia elettrica il 24 gennaio 1989 nel penitenziario di Starke, Florida. Per quale ragione, a distanza di decenni, si continua a parlare di lui? Secondo Ann Rule, Bundy “ha lasciato una tale quantità di cicatrici, incubi e ricordi da non poter essere dimenticato”. Questo però vale anche per altri assassini seriali: Richard Ramirez, Gary Ridgway, Albert Fish, John Wayne Gacy, abominevoli degenerati seminatori di dolore, morte e disperazione.
L’eccezionalità di Ted Bundy consiste in qualcos’altro: le sue personalissime caratteristiche, del tutto insolite per uno psicopatico criminale. Bundy era un uomo di bell’aspetto, laureato, socialmente inserito e avviato a una brillante carriera. Come ha potuto un individuo del genere compiere gesti così atroci? Le sue orrende perversioni, i suoi atti di ferocia, sono tanto più sconvolgenti in quanto sfuggono alle categorie abitualmente utilizzate dagli esperti per razionalizzare questi eventi.
Ann Rule osserva: “Credo che Ted fosse un sadico sociopatico che traeva piacere dal dolore altrui e dal controllo esercitato sulle proprie vittime, fino al momento della morte e anche in seguito. (…) Chi soffre di un disturbo della personalità conosce la differenza tra giusto e sbagliato – ma non se ne cura poiché si considera speciale, meritevole di avere e di fare qualunque cosa desideri. E’ lui il centro del mondo. Noi tutti siamo sagome di cartone prive di importanza”.
Che Bundy fosse un sadico è lapalissiano; altrettanto evidente risulta l’impossibilità di postulare un rapporto di causa-effetto fra disturbi della personalità e condotta omicida.
“Sono il più spietato figlio di puttana che incontrerete mai”, disse di sé Bundy in uno dei rari momenti di sincerità. Caratteristiche quali la mancanza di scrupoli e l’insensibilità non bastano tuttavia a spiegare l’enormità dei suoi crimini.
Sarebbe vano percorrere la biografia di Bundy nella convinzione di potervi rintracciare fatti e circostanze capaci di svelare l’enigma che la sua figura racchiude. Accantonata questa pretesa, adottato un approccio sobrio e realistico, si potranno, non di meno, ricavare da tale ricognizione elementi utili a consentire una migliore conoscenza del suo profilo.
Ted Bundy nacque il 24 novembre 1946, con il nome di Theodore Robert Cowell, presso la Casa d’accoglienza per ragazze madri Elizabeth Lund, un edificio in stile vittoriano sito nella città di Burlington, Vermont1. Sua madre, la ventiduenne Louise Cowell, era nubile; l’uomo con cui aveva concepito Theodore, non identificato e irreperibile. Dopo aver partorito, Louise tornò a casa dei genitori a Philadelphia, Pennsylvania. Il piccolo Ted trascorse i primi tre mesi di vita nella Casa d’accoglienza di Burlington, accudito dalle infermiere. Poiché suo nonno Samuel intendeva adottarlo, Louise andò a prendere il bimbo e lo portò a casa. All’epoca una ragazza madre era motivo scandalo e i figli illegittimi venivano derisi e trattati come paria. Così, nel tentativo di preservare l’immagine pubblica di Louise, Ted fu presentato come figlio dei nonni. Benché la decisione di adottare il bambino non denoti un animo insensibile, Samuel Cowell venne descritto da taluni come “un individuo tremendo”, dal carattere tirannico e violento, temuto sia in casa che dai vicini. Fatto sta che Ted nutrì affetto e rispetto nei suoi confronti e, in seguito, definì “piacevoli” gli anni trascorsi nella casa del nonno. Il 6 ottobre 1949, Louise chiese ed ottenne da un tribunale di Philadelphia che il proprio cognome fosse cambiato in Nelson. Pochi mesi dopo, fece i bagagli e si trasferì con il figlio a Tacoma, nello Stato di Washington, a casa dei cugini. La ragione del mutamento di cognome, all’epoca inspiegabile non avendo Louise contratto matrimonio con alcun signor Nelson, fu rivelata anni più tardi. La donna non desiderava che suo figlio fosse preso in giro avendo il medesimo cognome del prozio, Jack Cowell. Nel 1951 Louise conobbe un veterano, John Bundy, che lavorava come cuoco al Madison Hospital di Fort Lewis, Washington. I due si sposarono in quello stesso anno. La coppia ebbe quattro figli. Secondo Kevin M.Sullivan, fu all’età di dieci anni che Ted scoprì la verità intorno alle sue origini, visionando una copia del proprio certificato di nascita sul quale alla voce “paternità” compariva il termine: “ignota”. Questa tesi non è condivisa da altri autori, secondo i quali la scoperta avvenne più tardi. Gli anni della scuola non furono contrassegnati da eventi eclatanti. Ted era un giovane di aspetto gradevole e per questa ragione benvoluto dalle coetanee. Il fascino che esercitava sulle donne crebbe col trascorrere degli anni. Bundy non era solo “un bel giovanotto” ma un buon parlatore, capace di esprimersi con proprietà e con garbo. Diplomatosi alla Wilson High School di Tacoma nel 1965, Bundy si iscrisse all’Università dello Stretto di Puget. Qui conobbe Carla, una ragazza proveniente da una famiglia agiata di San Francisco, e se ne innamorò venendo ricambiato. Li accomunava la passione per lo sci. Sembra che, per pagarsi i dispendiosi fine settimana in montagna, Bundy commettesse non pochi furtarelli. La propensione al furto fu una costante della sua vita scellerata. Le differenze di classe sociale fra i due ebbero un ruolo non lieve nel determinare la fine della relazione, il cui naufragio fu parallelo a quello della carriera universitaria di Bundy. Questi, nel 1969, decise di interrompere gli studi. Per un certo periodo svolse dei lavoretti scarsamente retribuiti e poco gratificanti, fino a che un vecchio amico non gli offrì l’opportunità di lavorare per Art Fletcher, un consigliere comunale afroamericano repubblicano che concorreva alla carica di vice governatore dello Stato di Washington. Bundy accettò immediatamente. Durante la campagna elettorale fece da autista e guardia del corpo per Fletcher. Questi non venne eletto e Bundy vide sfumare il suo sogno di poter ottenere un incarico nell’amministrazione. All’epoca era, da tempo, un consumatore incallito di pornografia violenta: prediligeva i filmati di genere sadico, traendo piacere dal vedere le donne sottoposte alle più degradanti umiliazioni. Nella nota intervista resa il 24 gennaio 1989 al dr.James C.Dobson, Bundy disse al riguardo:
“Sono cresciuto assieme a 4 fratelli e sorelle in una splendida casa con due genitori amorevoli e devoti. Noi bambini eravamo lo scopo principale delle loro vite. Andavamo regolarmente in chiesa. I miei genitori non bevevano né fumavano o giocavano d’azzardo. Non c’erano maltrattamenti fisici o litigi in casa.
Da ragazzino, intorno ai 12-13 anni, scoprii la pornografia softcore all'interno dei drugstore [esercizi commerciali in cui si vendono riviste, cosmetici e alimentari, ndr]. Come si sa, i ragazzini esplorano le strade laterali e i vicoli dei quartieri, in cui la gente spesso deposita la spazzatura e ciò che ha rimosso dalle case facendo le pulizie. A volte vi trovavamo riviste pornografiche più hard di quelle reperibili nei drugstore, inclusi i "detective magazine".
La più dannosa forma di pornografia – e parlo sulla base della dura esperienza personale – è quella che coinvolge la violenza, sessuale e non. La combinazione fra queste due forze, come so sin troppo bene, conduce ad atti che sono troppi terribili da descrivere.
La mia esperienza con la pornografia è che quando ne diventi dipendente -e io la considero una forma di dipendenza -, vai alla ricerca di cose sempre più forti, che ti facciano provare la massima eccitazione, finché cominci a domandarti se, mettendo in atto certi comportamenti, non otterresti qualcosa di più che dal leggerli e dal guardarli.
Non sto dando la colpa alla pornografia. Non sto dicendo che mi portò ad ammattire e a fare certe cose. Mi assumo la piena responsabilità di ciò che ho fatto. Non è questo il punto. Il punto è in quale modo questo genere di letteratura contribuisca ed aiuti a plasmare e influenzare simili condotte violente.”
Sullivan ipotizza, con fondati motivi, che il trasferimento di Bundy dalla città di Philadelphia alle regioni boscose del Nord Ovest sia da ricondurre al fatto che, in una città affollata, occultare i cadaveri delle vittime sarebbe stato problematico. Nella primavera del ’69 Bundy affittò un appartamento nel distretto universitario di Seattle. Una sera di settembre, in un bar della zona, conobbe una divorziata che si innamorò di lui. Ripresi gli studi, Bundy si laureò in psicologia nel 1972. Con una donna al suo fianco e una laurea in tasca, Bundy decise di puntare di nuovo sulla politica per coronare le proprie ambizioni. Si mise a disposizione del candidato governatore (repubblicano) Daniel J.Evans, per il quale funse da informatore: il suo compito era di seguire l’avversario (democratico) di Evans durante i comizi, registrarne i discorsi e fare rapporto personalmente ad Evans. Ad Evans le cose andarono meglio che a Fletcher. Una volta eletto, per ricompensare Bundy dei suoi servigi, lo nominò al Comitato Consultivo per la Prevenzione del Crimine di Seattle, un incarico tutto sommato singolare per un sadico psicopatico con inclinazioni omicide. Nel 1973, Bundy divenne l’assistente di Ross Davis, presidente del partito repubblicano dello Stato di Washington.
L’anno dopo, cominciarono a sparire giovani donne dai campus dell’Oregon e dello Stato di Washington.
Nell’autunno del 1974, Bundy si iscrisse alla facoltà di Legge dell’Università dello Utah e si trasferì a Salt Lake City. A novembre perpetrò due aggressioni: travestito da poliziotto aggredì una giovane donna, Carol DaRonch, che riuscì, lottando con tutte le forze, a sfuggirgli, fornendo in seguito alla polizia una descrizione dell’automobile – una Volkswagen – e dell’uomo alla guida; poche ore dopo Bundy assalì una diciassettenne e ne fece sparire il corpo.
Nel medesimo periodo, degli escursionisti rinvennero resti umani in un bosco nello Stato di Washington, in seguito identificati come appartenenti a donne scomparse.
Nel frattempo, Bundy seguitò a spargere sangue spostandosi come un lupo affamato da uno Stato all’altro. Nel 1975 uccise tre giovani donne in Colorado, la prima delle quali, Caryn Campbell, madre di due bambini. Nel mese di agosto fu fermato per guida pericolosa da una pattuglia della stradale, a Salt Lake City. Nel bagagliaio della sua Volkswagen furono ritrovati: manette, un punteruolo da ghiaccio, un piede di porco, dei collant con dei buchi per gli occhi e altro materiale sospetto. I poliziotti constatarono inoltre che il sedile anteriore del passeggero era stato rimosso. Bundy fu tratto in arresto.
La vettura e gli oggetti in essa ritrovati coincidevano con quelli descritti da Carol DaRonch nell’autunno precedente. Durante un “confronto all'americana”, la ragazza riconobbe immediatamente Bundy nella fila dei sospettati. Accusato di tentato rapimento, Bundy andò sotto processo nel febbraio del 1976, fu giudicato colpevole e condannato a 15 anni di carcere. Nell’ottobre del ’76 Bundy fu accusato dell’omicidio di Caryn Campbell ed estradato dallo Utah in Colorado per essere processato.
In Colorado di verificarono due episodi a dir poco incresciosi: nel giugno del 1977, mentre si trovava all’interno del tribunale della contea di Pitkin ad Aspen per un’udienza preliminare, Bundy – che aveva revocato l’incarico al proprio legale per difendersi personalmente - chiese ed ottenne di poter consultare un volume nella biblioteca situata al secondo piano dell’edificio. Gli furono tolte le manette affinché potesse prendere senza difficoltà i libri dagli scaffali. Una volta nel locale, individuata una finestra seminascosta da una libreria, la aprì e saltò da basso, slogandosi una caviglia. La polizia istituì posti di blocco tutto intorno ad Aspen. Bundy cercò di fuggire attraverso i boschi ma si perse. Vagando trovò un auto con le chiavi nel quadro e se ne impadronì. Fu fermato da due agenti sei giorni dopo la fuga, mentre, stanco e affamato, zigzagava da una corsia all’altra, alla guida della vettura rubata. Venne immediatamente ricondotto al carcere della contea di Garfield. Qui acquistò un seghetto da un altro carcerato e riuscì ad accumulare la somma di 500 dollari in banconote ricevute sottobanco da vari visitatori, quindi si mise all’opera: con circospezione e costanza, ritagliò da un pannello nel soffitto della cella un’apertura che immetteva in un’intercapedine. Per potersi introdurre nello stretto varco si sottopose a una dieta ferrea, perdendo parecchi chili. Prima di fuggire, effettuò alcuni giri di perlustrazione. Evase il 30 dicembre, approfittando dell’assenza per ferie di alcuni secondini. Dall’intercapedine si calò nell’appartamento di un ispettore di polizia penitenziaria che in quel momento era fuori con la moglie, indossò abiti civili ed uscì in tutta tranquillità dalla porta. La sua fuga fu scoperta 17 ore più tardi. Bundy, che in quel lasso di tempo aveva rubato un automobile, si trovava già a Chicago. Nel mese di gennaio aveva raggiunto la città di Tallahassee, dove affittò sotto falso nome un appartamento nei pressi dell’Università statale della Florida. Servendosi di carte di credito rubate, pagava le consumazioni presso i bar del college. Per ingannare il tempo assisteva alle conferenze. Una settimana dopo il suo arrivo a Tallahassee, Bundy commise uno dei suoi crimini più nefandi. Nella notte di sabato 14 gennaio 1978, introdottosi nella sede dell’associazione studentesca femminile Chi Omega, Bundy colpì ripetutamente con un ramo di quercia due ragazze che dormivano, uccidendole. In preda a una furia selvaggia, morse ripetutamente una delle due. Così facendo impresse su una natica della vittima la propria impronta dentale. Si spostò quindi in un’altra stanza, dove colpì, ferendole gravemente al viso, altre due ragazze. Dopo aver lasciato l’edificio, Bundy, percorsi pochi isolati, penetrò all’interno di un’abitazione e percosse brutalmente una studentessa universitaria. Il 12 febbraio Bundy colpì ancora: questa volta, a cadere vittima della sua smania diabolica fu una ragazzina di dodici anni. Bundy la rapì all’uscita da scuola, la violentò e infine la uccise. Una settimana dopo fu arrestato nella città di Pensacola alla guida di un’auto rubata.
Bundy era un necrofilo: questo aspetto della sua personalità va accuratamente evidenziato. Dopo aver stuprato, seviziato e ucciso – mediante strangolamento o servendosi di oggetti contundenti – la propria vittima, ne occultava la salma, preferibilmente in un’area boschiva: la Taylor Mountain Forest presso Issaquah, nello stato di Washington. L’assassinio non placava tuttavia le sue brame. Nei giorni successivi al delitto, Bundy tornava nei boschi per copulare nuovamente con la vittima. Queste pratiche cessavano solo nel momento in cui il cadavere cominciava ad esalare nauseabondi lezzi putrefattivi. Poco tempo prima di essere giustiziato, Bundy confessò di aver portato a casa, a mo’ di souvenir, cinque teste mozze. Nella propria abitazione, dopo aver applicato rossetto e fondotinta alla testa mozzata, se ne serviva sessualmente.
Forse il giudizio più efficace che sia stato espresso su Bundy può essere ricavato da un’intervista rilasciata nell’ottobre del 2016 a Crime Watch Daily da John Henry Browne, avvocato difensore penalista di Seattle:
“Se lei dovesse classificare Ted Bundy in una scala da uno a dieci, dove dieci sta ad indicare il peggio del male, quale posizione sarebbe adatta a Bundy?”“Dodici. Non ho mai creduto che la gente nasca malvagia, e ancora non voglio crederci, ma ho cambiato opinione dopo aver trascorso quattro-cinque anni lavorando con Ted. Ted era nato malvagio, era semplicemente malvagio.”
John Henry Browne, The Devil's Defender: My Odyssey Through American Criminal Justice from Ted Bundy to the Kandahar Massacre, Chicago Review Press, 2016.
Kevin M.Sullivan, The Bundy Murders: A Comprehensive History, Jefferson (NC), McFarland & Company, Inc., 2009.
Ann Rule, The Stranger Beside Me, New York, New American Library, 1986.
J.W. Ocker, The New England Grimpedium. A Guide to Macabre and Ghastly Sites in the Northeast U.S., New York, Countryman Press, 2010.
Charles Montaldo, The Profile of Serial Killer Ted Bundy, ThoughtCo.com.
George R. Dekle Sr, The Last Murder: The Investigation, Prosecution, and Execution of Ted Bundy, Praeger (ABC-CLIO), Santa Barbara, 2011.
Robert K.Ressler, Tom Schachtman, Whoever Fights Monsters: My Twenty Years Tracking Serial Killers for the FB, New York, St. Martin's Press, 1992.
Stephen G. Michaud, Hugh Aynesworth, Ted Bundy: Conversations with a Killer. The Death Row Interviews, Authorlink Press, 2000.