martedì 5 dicembre 2017

 

TEMPO DI MOSTRI, FIUME DI DOLORE 

Autore: James Kahn
Titolo originale: World enough, and time (1980)
Anno: 1980
Lingua originale: Inglese
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Fantascienza catastrofica, Fantasy/SF
Editore (Italia): Mondadori
Pubblicazione (Italia): 26/12/1982Urania: n. 934 
Traduzione: Beata della Frattina
Copertina: Karel Thole
Sinossi:


"Un urlo rauco, profondo, inumano lacera il tessuto della notte. I sei abitanti della capanna di tronchi si guardano sbigottiti l'un l'altro poi guardano la finestra e la porta. "Dio mio!" dice la Madre. "Che sarà stato?" "Ho paura, mamma" dice il bambino più piccolo. Dopo un intervallo di silenzio l'urlo si rinnova più vicino, poi d'improvviso la porta scoppia all'indietro, strappata dai cardini, e tre esseri orrendi si precipitano sulla famigliola facendone scempio... Ma siamo appena all'inizio. Il romanzo - uno dei più lunghi e spettacolari presentati quest'anno da Urania - procede con lo stesso ritmo mozzafiato fino all'ultima delle sue fittissime pagine."

Trama:

In seguito a una tremenda calamità geologica, la calotta artica si è espansa giungendo fino alla California. La geologia del pianeta è stata stravolta e si è avuta la diffusione di numerose specie di esseri mostruosi. Alcuni di loro, come i Centauri, sono benigni e dotati di intelletto. Altri, come gli Abominii, i Vampiri, i Grifoni, sono invece potenze devastatrici in grado di apportare danni spaventosi ai superstiti del genere umano. Joshua è un cacciatore e appartiene alla setta degli Scribi, gli unici a conservare la scrittura in un'epoca di barbarie e di oblio. Rientrando da una spedizione, si trova di fronte a una drammatica realtà: la sua famiglia è stata distrutta e che la sua promessa sposa, Dicey è stata rapita da un gruppo di mostri: un Abominio, un Grifone e un Vampiro. Assieme al suo amico, il Centauro Beauty, Joshua inizia l'inseguimento. Nel rapire l'indomita Rose, amante di Joshua e moglie del Centauro, l'Abominio è rimasto ferito da una pugnalata e ha lasciato la fetida traccia del suo sangue, ben distinguibile. Così Beauty e il cacciatore-scriba si avventurano in un territorio ignoto e pericoloso, alla ricerca delle donne sottratte. Si imbatteranno in molte meraviglie e in molti orrori, facendo nuove sorprendenti conoscenze.   

Recensione:

Kahn disegna uno scenario surreale e sommamente implausibile, che può comunque essere goduto sospendendo l'incredulità, rinunciando ad applicare ogni minimo criterio di coerenza interna e tuffandosi nell'onirismo. Al giorno d'oggi una simile lettura potrebbe allontanare un neofita dalla Fantascienza anziché avvicinarlo, eppure all'epoca il romanzo aveva avuto qualche successo. Questo scrive l'anobiano Brush Steven: "Rileggerlo da adulto è stata una delusione". E ancora: "Premesso che lo avevo valutato 5 stelline, sulla base dei miei ricordi delle letture da adolescente. Mi è capitato sotto mano in libreria e ho deciso di rileggerlo... che delusione! quanto mi aveva entusiasmato 30 anni fa, oggi mi ha deluso. Degradato a tre stelline. mi sono ripromesso anche di rileggere il seguito, speriamo bene". Visto che non ho mai letto questa opera di Kahn quando ero giovane, ho deciso di imbarcarmi nell'impresa. All'inizio sono rimasto un po' perplesso. Mi sono subito trovato ai confini tra la Science Fiction obsoleta e un denso Fantasy, ma addentrandomi nella lettura ne sono in qualche modo rimasto avvinto e ho compreso che è un opera non priva di qualche contenuto interessante. Pertanto si perdoneranno alcune assurdità affioranti qua e là nella trama - come ad esempio questa perla di grande valore: "Estratti i coltelli, Josh ne impugnò uno per mano e cominciò a girare la maniglia." A poco a poco, tutto ciò che c'è di Fantasy trova una sua spiegazione scientifica ineccepibile: ad esempio si scopre che le numerosissime creature mitologiche sono in realtà il frutto dell'ingegneria genetica che imperversava prima del crollo tecnologico. Allo stesso modo si comprendono gli elementi incongrui come il fanatico culto di Nettuno, il Doge di Venezia, il Papa e via discorrendo: queste cose non hanno una continuità col nostro passato, essendo sorte nei giorni caotici del declino del genere umano. Ad esempio, Venezia non è la città italiana, bensì l'evoluzione di un parco giochi nei pressi di Los Angeles, diventato la capitale di un regno quando la costa californiana si è staccata dalla terraferma e hanno avuto origine nuovi arcipelaghi. 

La lingua degli Abominii

Una delle peculiarità del romanzo di Kahn è che dà spazio a una lingua non umana. Riportiamo alcuni brani molto interessanti, commentandoli brevemente. 

1) Le ultime parole di un Abominio morente.

     L'Abominio era là, appeso per il collo al grosso cavo spezzato che univa le pale al generatore. Stava per morire. Josh si arrampicò sulla scala, tagliò il cavo e l'orrida creatura cadde pesantemente a terra.
I due amici gli s'inginocchiarono accanto.
Uluglu domo — disse l'Abominio. Aveva il ventre squarciato. Era il marchio del Grifone.
— Cosa dice? — chiese Josh. — Conosci la sua lingua?
Beauty annuì. — Domo dulu — disse all'Abominio. — Odooo glutamo nol?
Il mostro aprì l'occhio e li guardò. — Ologlu Bal — disse, sputando sangue. — Bal ongamo, na ayrie gludemos, oglo du, Bal neglor nopar dos. Gluanda Bal seco, ologlu tas ululu. Endera Gor Murruru, gul endamo eglor.

Beauty annuì. — Nglimo tu? Nagena gli asta log mak to.
Glumpata no glas enti bora, ma noglu esta tas Bal o Scree tudama glu. Tudama gluanda, Gor es to narag.
Ednatu? — chiese Beauty.
Glisanda nef. Riaglo tor ologlu mindamo. Orogra tomo orogra mu. Ti do gorogla mel donu.
Beauty scrollò la testa. — Gluana no tomo, ululu gorono Gor.
Nef nef gliamo — disse l'Abominio. — Ologlu Bal enta gashto boro, ologlu lev Scree, es piram glu. Gogolasma. Engelli tor, glidon gliamo, miralli aj gol.
Fece una smorfia e spirò.

Come si può vedere, la lingua parlata dall'Abominio è complessa e articolata. Meriterebbe uno studio approfondito. Purtroppo non sono in grado di ottenere traduzioni per le singole parole a partire dalle frasi riportate, essendo il contesto combinatorio alquanto incerto. L'unica cosa sicura, perché spiegata nel seguito del brano riportato, è che Gor è il nome dell'Abominio, Bal è il nome del Vampiro e Scree è il nome del Grifone: Gor parla del tradimento e di come i suoi compagni gli abbiano teso un'imboscata, squarciandolo. L'Abominio poco prima di spirare dichiara una grandissima verità: "La vita è un fiume di dolore". Contenuti profondi che non ci si aspetterebbe da un bruto. Purtroppo non sono riuscito a isolare questi concetti e a conoscere le parole per "vita", "fiume", "dolore".  

2) Un Abomino esprime il suo disprezzo per gli esseri umani.

Ma Bal intervenne poco dopo dicendo: — Basta, Messer Uli. Un Umano morto è inutile. — Un Abominio, che aveva sentito, si voltò verso un suo compagno e disse: — Uman dugro. Oglo dor. — Tutti gli Abominii risero.

È possibile che "Uman dugro. Oglo dor" significhi proprio "Un umano morto è inutile". Certo, sarebbe davvero singolare se "uman" fosse un banale prestito dall'inglese human e significasse proprio "umano"

3) Un Abominio cerca di catturare la Gatta, volendo mangiarne le carni. Impreca quando capisce che l'impresa è al di là delle sue possibilità.

Iside aveva quasi finito di rosicchiare la corda quando l'Abominio sternuti e si svegliò. I suoi acuti occhi gialli si posarono istantaneamente sulla Gatta. — Glombo tog! — grugnì. La carne di gatto era una leccornia rara per gli Abominii.
Iside non attese oltre e con un balzo si precipitò fra i cespugli protetta dall'oscurità della notte.
Tog lumpu! — tuonò l'Abominio. — Oglondo tog! — e corse dietro a Iside.
Bal uscì dalla tenda. — Cosa sta borbottando quel bestione? — mormorò seccato.
— Mah, qualcosa a proposito di un gatto — rispose Uli che era uscito con lui.
L'Abominio le arrancava appresso finché non si fermò perché aveva capito che non sarebbe mai riuscito a raggiungerla. — Tog debluk — imprecò e tornò furibondo dai prigionieri che riteneva responsabili del contrattempo.

Mi sembra evidente:
tog = gatto
debluk = maledetto 
Infatti il vocabolo tog ricorre in tutte le frasi pronunciate dall'Abominio e indica anche l'oggetto dei suoi voraci desideri del momento: lo stesso felino. Se, come credo, gli aggettivi seguono i sostantivi e il nome del possessore precede il nome della cosa posseduta, si potrebbe postulare che valga lumpu = carne. Per il resto, posso soltanto dire che non ho la minima idea dell'origine di questo idioma così singolare.

Residui di francese e altre bizzarrie linguistiche

A quanto pare, oltre a una lingua veicolare derivata dall'inglese, esiste ancora una qualche conoscenza del francese, almeno in alcune espressioni tecniche ormai stereotipe usate dagli spadaccini: épée "spada", en garde "in guardia", allez! "su!", prét "pronto" (al posto del corretto prêt) e persino coupé-degagé dessous, che indica un tipo di attacco (degagé sta per il corretto dégagé). Si noterà che Beauty è chiamato Beauté Centauri da un suo compagno d'armi, un orso parlante il cui nome, D'Ursu Magna, reca traccia di una qualche lingua romanza non ben precisata o forse di una forma di latino sine flexione del tutto priva di concordanze grammaticali, non molto lontana dal famigerato latino dei metallari. Ovviamente Kahn, come tutti gli anglosassoni, non è in grado di comprendere le gravi condizioni di instabilità della lingua inglese d'America e i mutamenti a cui potrebbe dare origine in breve volgere di tempo. Si è limitato a proporre dialetti grafici (es. il nome della Neurumana Sum-Thin, formato a partire da "something"), o a cimentarsi in cervellotiche false etimologie basate su acronimi, come PINEAL fatto assurdamente derivare dalle iniziali di "Passion, Intuition, Nullity, Energy, Altruism, Libration". Una labile eco della lingua norrena si trova nel nome del Re Orso, Jarl - anche se non è in alcun modo spiegato come quel colossale orso dotato di favella abbia ricevuto quel nome. Interessanti le antiche e potenti formule che la promessa sposa di Joshua, essa stessa una Scriba, traccia sulla sabbia umida sperando di averne giovamento: Heil Hitler, A-OK, Abbacadabba e Apiti Sesamo (le ultime due nella versione italiana sono alterazioni per Abracadabra e Apriti Sesamo).

Bestialità erotica

Quando E-Doll di Francesco Verso vinse il Premio Urania, l'autore fu sottoposto a un linciaggio morale da parte di numerosi troll. Moltissimi uranisti insorsero contro di lui perché a detta loro la Science Fiction dovrebbe essere asettica, del tutto priva di qualsiasi allusione sessuale. Vediamo allora cosa ha da offrirci il libro di Kahn. Rose è sposata a un Centauro di nome Beauty e si capisce che non è un matrimonio bianco: è quindi inevitabile che gli provochi la fuoriuscita dello sperma, masturbandolo, fellandolo o copulando more ferarum. I numeri migliori però avvengono in un bordello che è un tempio della zoofilia tale da far impallidire il paese di Sodoma e Gomorra. Un gatto nero dagli occhi umani lecca avidamente una donna calva tra le gambe. Uno stallone in preda al calore molta una Centaura. Un Vampiro si fa sedere una piccola Driade in grembo, la penetra, le tocca i seni e le conficca i canini nel collo - lei ne prova grande piacere, visto che rivolge uno sguardo complice a Josh che la spia dalla finestra. Anche nel seguito scopriamo cose interessanti. Il Centauro Beauty fa l'amore con la Neurumana Jasmine, che si scopre aver avuto un'intensa relazione saffica con una sua simile, nella turpe città di Magas. Nelle bettole e negli angiporti di quel covo di depravazione si consumano orge al di là di ogni immaginazione e si allude persino ad atti di necrofilia. Diabole, direi che questi uranisti sono piuttosto disattenti nelle loro letture! 

Neurumani e Transumanismo 

La Neurumana Jasmine, una splendida semidea dai capelli fulvi, spiega per filo e per segno i misteri della sua origine. In un lontanissimo passato era un'umana, che si è ammalata di cancro a causa della contaminazione radioattiva. Per salvarsi si è sottoposta a un complesso intervento. Tutto il suo corpo, tranne il sistema nervoso centrale, è stato attaccato da un batterio divoratore ed è scomparso. Quindi il cervello, il midolo spinale e gli altri nervi, tenuti in animazione sospesa, sono stati collegati a vasi sanguigni in grado di veicolare sangue artificiale. Poi è stato ricostruito il resto del corpo, ricorrendo a materiali sintetici, fino a formare una nuova donna. Certamente questi contenuti appartengono al Transumanismo. Anche se le idee transumaniste hanno cominciato a fare la loro comparsa già nei primi anni '20 del XX secolo con l'opera di J.B.S. Haldane, si sono sviluppate nella loro forma moderna proprio a partire dagli anni '80, quindi il libro di Kahn può essere considerato come una testimonianza profetica e di estremo interesse.  

Altri contenuti profetici

Così dice Jasmine la Neurumana:

"Sono nata nel millenovecentoottantasei, l'anno del Grande Mutamento. Sai cosa accadde quell'anno?"
Lo Scriba Josh risponde:
"Non ne so molto, ma dai racconti che ho sentito credo che ci sia stato l'Avvento del Ghiaccio."
La Neurumana spiega:
"No, l'Avvento del Ghiaccio non si verificò in quell'anno, ma subito dopo l'estate del Grande Terremoto, l'estate del duemilacentonovantuno."
E ancora:
"Qualcuno l'aveva predetto, ma allora circolavano tante profezie che non si erano mai avverate, quindi... Bene, tornando all'anno della mia nascita, fu allora che si verificò il disastro del grande impianto nucleare all'est, nel quale perirono un milione di persone. Non lo ricordo personalmente perché ero appena nata, ma la gente continuò a parlarne a lungo commossa per anni e anni."

Ebbene, proprio nl 1986 ci fu il disastro di Chernobyl. Le stime delle morti in eccesso dovute alla contaminazione sono estremamente incerte e vanno da 5.000 a 6.000.000. Un milione di vittime sull'intero pianeta nel corso degli anni potrebbe anche essere una stima verosimile. Certo, se si prosegue la lettura ci si rende conto che la fulva Neurumana parla di un atto di terrorismo alla centrale nucleare di Oceanspring, con un milione di morti nell'immediato, affermando che quella fu la fine dell'energia atomica. Resta comunque la singolare coincidenza dell'anno.

Energia nucleare e ingegneria genetica

Nel romanzo di Kahn, l'incidente di Oceanspring ha traumatizzato talmente il genere umano da portare all'immediata abolizione delle centrali nucleari. Nella nostra realtà un simile risultato sarebbe puramente utopico: nemmeno la sindrome oceanica prodotta dall'incidente di Fukushima del 2011 ha insegnato qualcosa, e il pianeta è in ostaggio della vetustà di molti impianti, che minacciano di cedere in ogni istante o di essere colpiti da attentati terroristici. Per contro, il rapporto che il mondo descritto da Kahn aveva con l'ingegneria genetica era estremamente disinvolto, mentre nella nostra realtà si è ben lontani dalla produzione di esseri ibridi, essendovi una fortissima ripugnanza verso tali opere. Se anche qualcuno sapesse in concreto come produrre centauri, hobbit e sirene, non riuscirebbe nemmeno a mettere per iscritto gli schemi genetici di tali creature senza incontrare una feroce opposizione.   

Il Ciclo del Nuovo Mondo

Tempo di mostri, fiume di dolore ha avuto un seguito: L'oscuro fiume del tempo (Time's Dark Laughter, 1982), pubblicato in Italia da Mondadori nel 1983 (Urania n. 948). Si menziona poi un terzo romanzo, Timefall (1987), che a quanto mi risulta non è mai stato tradotto in italiano. Sembra che non sia un vero e proprio seguito dei primi due, ma una sorta di contorto spin-off fondato su un'architettura di universi paralleli in cui pullulano doppioni dei personaggi (doppelgänger). Non ho mai letto né L'oscuro fiume del tempo né tantomeno Timefall. Quando l'avrò fatto, non mancheranno le recensioni. 

Alcune note sull'autore

A quanto pare, James Kahn non è molto noto in Italia, pur essendo l'autore delle novellizzazioni di alcuni importanti film: Il ritorno dello Jedi, Indiana Jones e il tempio maledetto, Poltergeist, Poltergeist II e I Goonies. Ha anche scritto per alcune serie televisive come Melrose Place e Star Trek: The Next Generation. Oltre ad essere uno scrittore, si è laureato in medicina all'Università di Chicago e ha completato i suoi studi specialistici in medicina di emergenza all'Università della California (UCLA). Senza dubbio una personalità stravagante e degna di nota. 

giovedì 30 novembre 2017


NON È VER CHE SIA LA MAFIA

Aka: L'era della follia
Titolo originale: The Syndic
Autore: Cyril M. Kornbluth
Lingua originale: Inglese
Prima edizione: 1953
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Fantascienza sociologica, distopia,
    fantapolitica, apologia mafiosa
Editore (it.): Mondadori
Urania:
   I romanzi di Urania n. 72 (feb. 1955)
   Urania Classici n. 6 (sett. 1977)
Traduzione: 
   Tom Arno (1955),
   Antonangelo Pinna (1977)
Copertina: 
  Curt Caesar (1955),
  Karel Thole (1977)
Premi: Premio Prometheus (Hall of Fame), 1986

Trama:

XXI secolo. L'America del Nord è sotto il dominio di Cosa Nostra, che ha sconfitto e costretto all'esilio il Governo federale. Il territorio di quelli che un tempo erano chiamati States è diviso tra due denominazioni mafiose rivali: il Consiglio a est del Mississippi, e i Ribelli a ovest. Tra queste due potenze vige un equilibrio che garantisce la pace, e le condizioni della popolazione sono prospere. Il Governo del Nordamerica non si è dissolto nel nulla. Sopravvissuto come un'organizzazione militare marittima che ha le sue basi in Islanda, sulle coste irlandesi e in altre isole dell'Atlantico, è diventato una tirannia spietata e incredibilmente corrotta, fondata sulla schiavitù. Gli schiavi sono sottoposti a trattamenti spaventosi e uccisi tra i più atroci supplizi a ogni minimo accenno di insubordinazione. Nel resto del mondo non si ha alcuna vestigia di civiltà. L'Europa è ricoperta da fitte foreste e la sua popolazione è sprofondata nella barbarie del Paleolitico, ripristinando una struttura tribale e una sanguinaria religione pagana fondata sui sacrifici umani. In questo scenario fosco, Charles Orsino, un giovane membro del Consiglio affiliato alla famiglia Falcaro, viene inviato in missione come infiltrato nel Governo. Lo prepara e lo accompagna la bionda Lee Falcaro, esperta nelle desueta scienza della psicologia e nelle arti ipnotiche, ma qualcosa va storto e le strade dei due si separano. Dopo ogni sorta di peripezie, Charles e Lee finiranno col ritrovarsi e verranno a conoscenza di un fatto terribile: il Governo e i Ribelli si sono alleati per combattere contro il Consiglio. 

Recensione: 

Sulla pagina del sito di MondoUrania relativa all'edizione del '77 del romanzo di Kornbluth, si usano toni di grande entusiasmo, iniziando col riportare il commento del New Herald Tribune: "Un libro immorale, sovversivo, stimolante, divertentissimo". Quindi il recensore uranista prosegue: "Kornbluth descrive, dopotutto, un'America felice, libera, pacifica, dove i cittadini sono contenti della società e la società dei cittadini. Non ci sono burocrati, e tutto funziona benissimo. Non ci sono tasse, costrizioni, poliziotti, spese militari, apparati ed enti parassitari." A un paio di domande retoriche viene data risposta: "Dov'è l'immoralità? Dov'è la sovversione? Be', c'è un piccolo particolare. A far marciare sul velluto questa serena utopia non è il Governo degli Stati Uniti, è la Mafia." La conclusione lascia esterrefatti: "Un paradosso? Una feroce satira? Lo sbocco logico dell'anarchismo individualistico? O un sogno segreto e irraggiungibile di libertà assoluta?"   

Detto tra noi, a me non sembra né paradosso né feroce satira. Verosimilmente l'autore, un uomo problematico e complessato, si è invaghito della stravagante figlia di un boss di un'importante famiglia mafiosa e quindi si è messo a cantare le lodi di Cosa Nostra. Leggendo qualche nota biografica su Kornbluth, mi sono fatto un'idea del tipo, caratterizzato da timidezza estrema e totale assenza di igiene orale, tanto che i suoi denti erano ricoperti da una patina verdastra, per non parlare dell'alito pestilenziale. Questi fatti mi fanno credere che l'amore non sia stato corrisposto dalla femmina di mafia; del resto una simile liaison sarebbe stata oltremodo rischiosa per l'ashkenazita, che sarebbe potuto finire in un plinto di cemento. Non bisogna lasciarsi ingannare: The Syndic fa l'apologia di una realtà brutale e diabolica che non può in nessun caso portare libertà alcuna. 

Una recensione assai critica del romanzo di Kornbluth si trova sul sito Biblioteca Galattica. Ne riporto un estratto che trovo particolarmente significativo:   

"L'idea di base del romanzo, un'utopia liberista e libertaria, è intrigante e abbastanza originale, certamente un motivo non abusato; il modello liberista è, infatti, quasi sempre obiettivo di ritratti distopici. La realizzazione lascia però delusi; la maggior parte dell'azione, infatti, si svolge fuori dal territorio della Mafia, sul quale quindi si aprono solo piccoli scorci non sufficienti a dare al lettore un quadro completo e coerente dello scenario sociologico tratteggiato. Anche la sconfitta del Governo è presentata come un dato di fatto calato dall'alto, non argomentato da convincenti ricostruzione storiche.
Nel complesso, quindi, l'intero contesto manca di verosimiglianza e risulta poco articolato. L'intreccio si presenta come di classica matrice avventurosa, con tanto di componente sentimentale tra il protagonista e il personaggio femminile principale; lasciano davvero perplessi i tratti magici e pseudo-mistici con cui è ritratta una pazzesca civiltà tribale di indigeni irlandesi dell'entroterra in cui Orsino si imbatte in fuga dal Governo.
In conclusione, si tratta di un'opera sicuramente sui generis, particolare e originale sotto diversi aspetti, ma che nell'insieme raccomandiamo soltanto agli appassionati dell'autore o del genere sociologico." 

Grottesco pseudo-celtico

Kornbluth non doveva nutrire grande ammirazone per le genti dell'Irlanda. In un luogo del romanzo afferma addirittura che in quell'isola i "sanguinari riti celtici" erano sopravvissuti in segreto nel corso dei secoli. Tutto ciò che si dice nel libro sugli antichi Celti e sulla loro religione è pura e semplice paccottiglia, un denso pastone di anacronismi, di aberrazioni e di inconsistenze. Si tratteggia un isterico matriarcato di Erinni grondanti di mestruo, con più di mezzo secolo di anticipo sullo scandalo Weinstein! Questa esasperata ostilità anticeltica può ben essere venuta allo scrittore dalla sua amata, dato il livore degli italoamericani nei confronti degli irlandesi - ed è a parer mio una prova in più della bontà della mia ricostruzione dei fatti.

Etnografia del Nordamerica mafioso

La componente italoamericana appare minima e tra i mafiosi abbondano cognomi di ogni tipo: anglosassoni, scozzesi, irlandesi, polacchi e via discorrendo. In buona sostanza, gli unici cognomi italiani che rammento sono Orsino e Falcaro. Cosa comprensibile, non si ha la benché minima traccia dei cognomi delle principali famiglie di Cosa Nostra in America. Sembra che l'intera popolazione abbia subìto una profonda assimilazione ai canoni mafiosi senza aver perso i propri connotati etnici d'origine. Verso la fine, un arrogante rampollo dei Regan, notabili dei Ribelli, apostrofa Charles Orsino con toni spregiativi e razzisti per via dei suoi tratti somatici, definiti "mediterranei"

Titoli problematici 

Come spessissimo accade, le trasposizioni italiane del titolo originale sono alquanto fantasiose, quasi ispirate dal peyote. Non è improbabile che la sequenza di parole "Non è ver che sia la mafia" sia stata scelta più per il suo impatto fonetico ed emotivo che non per il fumoso significato espresso. Cosa dovrebbe mai voler dire in concreto? Va un po' meglio con l'altro titolo, poi abbandonato, "L'era della follia", che sembra però troppo vago e sfumato: ogni riferimento alla realtà mafiosa scompare e non è possibile indovinarlo se non si è letto il libro. Per contro, The Syndic fa riferimento a un fatto molto interessante che dovrebbe gettare una luce sinistra sul concetto stesso di sindacalismo: la setta mafiosa è anche nota come Sindacato. In America, l'aggettivo syndical "sindacale" è a tutti gli effetti sinonimo di mafioso. Credo che sia per questo motivo che l'opera di Kornbluth non ha ricevuto il titolo "Il Sindacato" ai tempi di Monicelli e neppure ai tempi di Fruttero e Lucentini: a quanto pare si è ritenuto prudente evitare questo nodo semantico sia nel '55 che nel '77.

L'omosessualità e i famosi tagli di Urania

A quanto ho appreso e ho potuto constatare di persona, prima del 1985 quasi tutti i romanzi pubblicati in Urania venivano sottoposti a tagli brutali. The Syndic non fa eccezione. Ho letto il romanzo nella sua edizione uraniana del 1955 e ho subito notato il linguaggio pieno di errori e di imprecisioni: nella sostanza la traduzione di Tom Arno è fatta coi piedi. Non ho potuto accedere alla versione del 1977, ma ho visto alcuni curiosi dettagli nella Wikipedia in inglese. Nel riassunto si spiega che nel Territorio del Consiglio la morale sessuale è assai lassa, cosa che ho potuto constatare nel corso lettura: sono ammessi comportamenti come la poligamia e la poliandria. Sulla Wikipedia anglosassone si specifica però che non è ammessa l'omosessualità maschile. Il divieto in questione non deve stupire: è ben noto che Cosa Nostra ha feroci leggi non scritte che puniscono con la morte un affiliato di cui si scoprano comportamenti omosessuali. Il punto è che nel testo il riferimento a queste cose non l'ho proprio trovato. Ne deduco che sia stato espunto dalle forbici degli accorciatori di testi, tantopiù che nell'Italia di quell'epoca l'omosessualità non poteva in nessun modo essere menzionata.

Un finale precipitoso

Nella traduzione di Arno, le peregrinazioni di Charles Orsino e di Lee Falcaro si concludono con il loro rientro in treno nel Territorio del Consiglio. I due amanti si baciano in bocca e un viaggiatore rimane sconvolto dalla battaglia di lingue, così esclama: "Disgustoso! Ma è proprio l'èra della follia, questa!". Questa è proprio l'origine del titolo della versione del '55. La cosa mi pare contraddittoria: quel treno era frequentato da pendolari, che saranno stati abituati ai costumi del Territorio del Consiglio, così una reazione tanto veemente la sia capisce poco. La Wikipedia in inglese menziona un finale del tutto diverso. Charles Orsino incontra il suo mentore Frank W. Taylor e gli racconta le avventure che ha vissuto, consigliandogli di organizzare il Consiglio come uno stato vero e proprio, in modo tale da permettere di affrontare meglio i pericoli. Tuttavia il notabile mafioso rifiuta la proposta. Non avendo letto la traduzione di Pinna, non so in cosa differisca da quanto ho letto, ad esempio se i tagli siano diversi. In ogni caso, sia il finale uranico tagliato che quello originale sembrano raffazzonati e troppo veloci, addirittura interlocutori.  

Cose sporche 

Questo libro pernicioso ha avuto una sua influenza politica, cosa che in Italia sembra essere ignorata. Su di esso si fonda la teoria del cosiddetto anarco-capitalismo e più in generale del libertarianismo radicale. L'ispirazione ultima di queste piaghe è proprio la struttura politica e sociale del Territorio del Consiglio. Questo nonostante Kornbluth sia stato accusato di aver tratteggiato in modo assai vago la società governata da Cosa Nostra. Mi pare evidente che quanto abbozzato dallo scrittore ashkenazita sia stato sufficiente a produrre danni assai gravi. Mi spingo ancora oltre: si può affermare senza timore di smentita che l'anarco-capitalismo sia un output mafioso. Nella buona sostanza, la teoria politica anarco-capitalista propone l'instaurazione di una società priva di tassazione, dove ogni servizio venga offerto dai privati delle famiglie mafiose tramite spesa "volontaria" denominata pizzo - e nella quale sia eliminato ogni ricorso alla coercizione attraverso il superamento dello Stato, ritenuto intrinsecamente autoritario e sostituito dalla vigilanza dei picciotti. L'abolizione dello Stato, propugnata dai settari anarco-capitalisti, è un colossale imbroglio. Ora svelerò i loro trucchi. Prendono la parola Stato e la identificano con l'oppressione. Quindi, così dicono, la sua negazione deve per forza essere la parola Libertà, dipinta come un idillio puffesco che andrà a vantaggio di tutti. Se questa negazione è la mafia, ecco che reputano buona la mafia. Non è così: è una catena di non sequitur. Loro però con somma disonestà intellettuale vogliono tenerlo nascosto. Ecco a questo punto un sudicio e guittesco gioco di prestigio: far passare per utopia quella che nella dura realtà dei fatti è libertà assoluta per i padroni e oppressione infinita per gli schiavi! Consiglio di leggere questo interessantissimo articolo:


Citazioni: 

Riporto due estratti significativi (traduzione di Tom Arno). Forse a modo loro sono profetici: potrebbero benissimo essere stralci di propaganda grillina.

1) Il Governo degli ultimi banchieri: e hanno avuto tutto quello che si meritavano, quei bravi signori innamorati del laissez-faire. Però volevano le tariffe protettive, l'esenzione fiscale, sussidi!, sacrifici, sacrifici, sempre sacrifici da imporre alla nazione. Tanto che alla fine il Governo perse la fiducia di quella nazione i cui interessi era stato chiamato a tutelare. Il debito pubblico... non voglio nemmeno spiegarti che cosa fosse, se non che era una maledizione che faceva aumentare il costo di ogni cosa. Tanto che venne il giorno che alla stragrande maggioranza della popolazione i prezzi troppo elevati inibirono il godimento di quasi tutto ciò che di bello ha la vita.

2) Mi si permetta di rilevare per sommi capi i principi su cui si fonda il cosiddetto Governo: tassazione brutale, proibizione assoluta dei giochi d'azzardo, i semplici piaceri della vita negati a tutti meno che ai molto ricchi, puritanismo e ipocrisia sessuali resi esecutivi da leggi di un'impressionante barbarie, limitazioni e coercizioni interminabili, innumerevoli, preposte a ogni azione dei singoli in ogni momento del giorno e della notte. 

domenica 26 novembre 2017

LA VERA CAUSA DELL'ESTINZIONE DEI MAMMUT


La questione delle cause dell'estinzione del mammut (gen. Mammuthus) è dibattuta da lungo tempo e a quanto pare i paleontologi non sono arrivati a nulla di fatto. Molti sono i potenziali indiziati, tra i quali la caccia da parte degli umani e i cambiamenti climatici, eppure le evidenze decisive non sono state trovate. Quello che si sa per certo è che il pachiderma dalle zanne imponenti non ha superato l'ultima glaciazione. L'unica popolazione sopravvissuta alla fine del Pleistocene è stata quella dell'isola siberiana di Wrangel. Questi estremi superstiti hanno ridotto le proprie dimensioni per far fronte alla scarsità di risorse, vivendo in quelle condizioni di nanismo insulare fino all'epoca dei Faraoni ed estinguendosi soltanto verso il 1700 a.C.

Un inferno defecatorio

Ho compreso la causa dell'estinzione di tali animali quando mi sono imbattuto in un singolare dettaglio, che a quanto pare è stato reputato irrilevante dagli accademici. I mammut avevano una membrana ricoperta di pelo che ricopriva l'ano: a detta dei paleontologi serviva a proteggere quella regione sensibile dall'intenso freddo del periodo glaciale. Mi sembra evidente. Quella membrana lanuta e opprimente, finita la glaciazione, ha provocato ai mammut sofferenze spaventose. Prurito, dolore, infestazioni da parassiti, infezioni. Immaginate lo sterco che non riusciva a defluire e si accumulava, creando ascessi, sacche suppuranti, ulcere e cancrene. Ecco svelato l'enigma. I mammut sono stati condannati da una caratteristica anatomica divenuta inutile e nociva in un nuovo contesto climatico. Il genio maligno dell'Evoluzione è sempre all'opera, ma spesso imbocca vicoli ciechi, condannando le sue creature alla tortura e a una morte abietta - con buona pace di Piero Angela e del suo positivismo materialista.


Esploratori anali e tuffatori intestinali

Pochi sanno che gli stessi elefanti odierni hanno fastidiosi problemi intestinali, inclusa la stipsi ostinata. Gli esemplari adulti dell'unica specie addomesticabile di elefante oggi vivente, quello asiatico, necessitano di interventi piuttosto degradanti in grado di favorire l'evacuazione delle feci. Questi orrori sono ben evidenti in India, dove ogni volta che un pachiderma diventa stitico, un membro della casta dei Dalit deve infilargli le nude braccia in profondità nell'ano, cercando con ogni mezzo di afferrare a mani nude il coacervo escrementizio compatto che impedisce la corretta defecazione. Si tratta di veri e propri fecalomi, che nei casi più gravi richiedono un vero e proprio tuffo nell'intestino: il povero intoccabile è costretto a infilare la testa e il busto nelle viscere elefantine, rischiando il soffocamento nei gas mefitici!

Nel seguito riporto un interessante video. Purtroppo chi posta questo tipo di materiale crede di divertire e di fare "intrattenimento".

mercoledì 22 novembre 2017

UN'ISCRIZIONE GIAPPONESE SU UNA XILOGRAFIA DI HANS BALDUNG?


Hans Baldung, detto Grien, nacque a Schwäbisch Gmünd (Germania, Baden-Württemberg) nel 1485 circa e morì a Strasburgo nel 1545. Fu un allievo del fulvo Albrecht Dürer, ed egli stesso famoso pittore, disegnatore, incisore e xilografo. Proprio una xilografia ha attratto la mia attenzione per un dettaglio di non poco conto. Si tratta del Sabba delle streghe, che risale al 1510 ed è conservato al Germanisches Nationalmuseum di Norimberga. Se si guarda quest'opera con attenzione, noterà che una delle streghe nude ha tra le gambe un vaso su cui si vede chiaramente un'iscrizione enigmatica. Non è difficile riconoscerne i caratteri: si tratta della scrittura sillabica giapponese denominata katakana e di un ideogramma numerico. A quanto sembra, nessuno ci ha mai fatto caso.


Questo è un prospetto del sillabario katakana:


Questi sono i caratteri giapponesi usati per trascrivere i numeri:


Possiamo azzardarci a leggere l'iscrizione, completando alcuni tratti mancanti: 

ワ三スイエ

Traslitterazione:

...WA-SAN-SUI-E

WA significa IO in antico giapponese (potrebbe essere un arcaismo)
SAN significa TRE
SUI significa ACQUA ed è sinonimo di MIZU
Il tratto superiore del kana エ è insolitamente obliquo. Il segno ricorda molto un kana oggi obsoleto usato per trascrivere la sillaba YE, come sintesi dei segni delle due sillabe I e E. Tuttavia questo kana sintetico è stato introdotto all'inizio dell'Era Meiji, quindi dopo il 1868: il suo uso in un testo del XVI secolo sarebbe un anacronismo.

La forma SANSUI "tre acque" esiste ed è documentata.

Questa è la traduzione ipotetica del frammento: "... io le tre acque..."

Probabilmente dopo WA SAN SUI c'era un verbo. Qualcosa come "io le tre acque faccio scaturire" o qualcosa del genere. Il giapponese è una lingua SOV (soggetto-oggetto-verbo), quindi quanto affermo non è così peregrino.

Resta il fatto che prima di WA c'è un altro carattere, che non si legge. Potrebbe essere la parte finale di una parola, essendo l'iscrizione circolare. La stessa sillaba WA potrebbe essere la particella del soggetto, una specie di marca del nominativo, che in giapponese suona proprio in questo modo. Tutto ciò rende quasi impossibile cogliere il significato esatto dell'iscrizione originale. Non sono un esperto di lingua giapponese, ma credo che sia più probabile la prima ipotesi da me enunciata, con WA "io" e SAN "tre".

È curioso notare che i primi due caratteri del testo trascrivono foneticamente la parola WASAN, che significa "matematica" (etimologia da WA "giapponese" e SAN "computo"). Nell'uso comune la parola in questione si trascrive in ideogrammi (kanji) come 和算. Tuttavia questa interpretazione non è possibile e si può confutare con facilità, in quanto si sa per certo che WASAN è un termine coniato nell'Era Meiji, esattamente negli anni '70 del XIX secolo, per distinguere la matematica nativa da quella occidentale.  

Il punto è questo:

1) Non può trattarsi di una coincidenza: i caratteri sono chiaramente leggibili e non hanno la benché minima possibilità di somiglianza con qualsiasi cosa sia stata partorita in Occidente;
2) Nel 1510 non poteva essere presente in nessuna nazione europea alcuna nozione dell'esistenza del sillabario katakana e dei kanji dei numerali: fu soltanto nel 1542 che i primi navigatori portoghesi giunsero nell'arcipelago nipponico, e per molto tempo giunsero nel vecchio continente soltanto nozioni fumose sulla cultura isolana da poco scoperta. 

Come si spiega dunque il vaso dipinto da Baldung? Questi sono i veri misteri, non le baggianate dei complottisti!
Anche se i navigatori portoghesi giunsero in Giappone una trentina di anni dopo la creazione della xilografia di Baldung, è pur sempre vero che gli isolani intrattenevano da secoli rapporti con la Corea e con la Cina. Il vaso, venduto a un mercante cinese, potrebbe aver viaggiato verso Occidente giungendo infine in Germania, dove lo stesso Baldung deve averlo visto con i propri occhi e riprodotto. Se l'iscrizione è stata riportata a memoria, questo può spiegare l'esecuzione difettosa dei caratteri, con lievi distorsioni e tratti mancanti.

lunedì 20 novembre 2017

ETIMOLOGIA DELLA FORMULA HOCUS-POCUS E DI HOAX 'IMBROGLIO'

La formuletta hocus-pocus, usata da illusionisti e giullari anglosassoni, in origine era una bestemmia. Accadde infatti che la formula di consacrazione eucaristica hoc est corpus meum "questo è il mio corpo" venne alterata dai guitti in hoc est porcus meum, frase agrammaticale il cui significato è tuttavia incontrovertibile: "questo è il mio porco". La trasformazione è avvenuta tramite una semplice metatesi. Quindi si è giunti al famoso hocus-pocus /'həʊkəs 'pəʊkəs/ (-oʊ-).

Come accennato, la frase blasfema e guittesca con metatesi non è corretta: se corpus è un neutro (gen. corporis) con il corretto pronome hoc dello stesso genere, è a tutti chiaro che porcus è un maschile (gen. porci), come da antichissima tradizione indoeuropea (< *pork'os). Quindi i pronomi hoc e meum non sono adatti: dovrebbe essere hic est porcus meus, ma a quel punto la parodia della messa cattolica sarebbe stata meno chiara - ed è un fatto che i guitti non si sono mai curati della grammatica latina!

Si noteranno gli slittamenti semantici subiti da hocus-pocus, ben presto usato per indicare gli stessi maghi da strapazzo e i giullari che usavano tale frase nei loro spettacoli. Al giorno d'oggi la locuzione si trova usata col significato di "sciocchezze inventate".

Questo è riportato nel dizionario etimologico Etymonline.com, evitando con grande cura di menzionare in modo esplicito la bestemmia d'origine:

hocus-pocus (interj.)

    magical formula used in conjuring, 1630s, earlier Hocas Pocas, common name of a magician or juggler (1620s); a sham-Latin invocation used by jugglers, perhaps based on a perversion of the sacramental blessing from the Mass, Hoc est corpus meum "This is my body." The first to make this speculation on its origin apparently was English prelate John Tillotson (1630-1694).

E ancora:

       I will speak of one man ... that went about in King James his time ... who called himself, the Kings Majesties most excellent Hocus Pocus, and so was called, because that at the playing of every Trick, he used to say, Hocus pocus, tontus tabantus, vade celeriter jubeo, a dark composure of words, to blinde the eyes of the beholders, to make his Trick pass the more currantly without discovery.
[Thomas Ady, "A Candle in the Dark," 1655]

Lo stesso dizionario accosta hocus-pocus a una formula di derivazione latina (hiccus doccius) e a un'altra la cui origine ultima è greca (holus-bolus < gr. holos "tutto" + lat. bolus "grossa pillola", dal gr. bôlos "massa di terra"):

Compare hiccus doccius or hiccus doctius, "formula used by jugglers in performing their feats" (1670s), also a common name for a juggler, which OED says is "conjectured to be a corruption of" Latin hicce es [sic] doctus "here is the learned man," "if not merely a nonsense formula simulating Latin." Also compare holus-bolus (adv.) "all at a gulp, all at once," which Century Dictionary calls "A varied redupl. of whole, in sham-Latin form." As a noun meaning "juggler's tricks," hocus-pocus is recorded from 1640s.

Le cose sono molto semplici: dallo stesso blasfemo hoc est porcus, attraverso hocus-pocus, derivò evidentemente la parola hoax "imbroglio", a dispetto della sua apparenza enigmatica e della sua ortografia esotica. Questo è riportato in Etymonline.com:

hoax

1796 (v.) "ridicule; deceive with a fabrication," 1808 (n.), probably an alteration of hocus "conjurer, juggler" (1630s), also "a cheat, impostor" (1680s); or else directly from hocus-pocus. Related: Hoaxed; hoaxing.

False etimologie

Come sempre accade, c'è chi si diletta ad inventare false etimologie, per ignoranza, per motivi ideologici o per il semplice gusto di aumentare la confusione. Così sono state fabbricate due ipotesi: la prima riconduce hocus-pocus alla figura di un fantomatico mago della tradizione nordica, Ochus Bochus, mentre la seconda cerca le origini della formula nella supposta locuzione gallese hovea pwca, glossata con "scherzo di folletto". Ochus Bochus non ha affatto l'aspetto di un nome norreno e non può essere molto antico: di certo non si deve farlo risalire all'antichità pagana. Alcuni riportano la variante Oker Boker, che sarebbe più congrua, ma nonostante ciò non si trovano informazioni utili. Secondo alcuni Bochus (Boker) sarebbe di un'alterazione del nome di Bacco, tramite passaggio da Bacchus a Bochus, da cui il nome del mago, con parziale reduplicazione del teonimo. Resta il fatto che è più facile che sia stato l'inglese hocus-pocus a dare origine a Ochus Bochus e simili. Se è ben attestato il gallese pwca "folletto", corradicale dell'inglese puck "spirito ingannatore" (dall'antico inglese puca, pucel "folletto"), va detto che *hovea "scherzo" è più che altro fanta-gallese: sembra un masso erratico piovuto dal Paese di Fantàsia. Non sono riuscito in alcun modo a tracciarlo e non pare compatibile con la fonotattica e con l'ortografia delle parole gallesi. Sapete che penso? Il termine doveva essere *howca, ma la -c- è stata letta -e- a causa di una lettura errata dal corsivo ed è stata inventata la forma *hovea, poi diffusa in tutto il Web tramite copia-incolla. Un refuso propagato. Per quanto riguarda questo *howca pwca, posto che davvero sia esistito, sarebbe un prestito da hocus-pocus e non la sua origine.

giovedì 16 novembre 2017

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: I DIMINUTIVI BACILLUM E SPECILLUM

Se ci si addentra nei meandri della lingua latina, si trovano innumerevoli situazioni che non sono spiegabili dai nostri avversari, coloro che ritengono la pronuncia ecclesiastica come una realtà sussistente ab aeterno.
Già abbiamo analizzato un caso di diminutivo formato col suffisso -ill-: pugillus "manciata", derivato da pugnus "pugno".


Ora analizziamo altri due vocabili di questo tipo:

1) BACULUM "bastone" - BACILLUM "bastoncino"

i) Derivati volgari di baculum:
   > it. bacchio "tipo di pertica"
  *bac(u)lare > bacchiare "percuotere col bacchio"

  *adbac(u)lareabbacchiarebacchiare
   abbacchio "agnello destinato al macello"
   Secondo alcuni l'abbacchio ha ricevuto questo nome perché era legato ad un bastone conficcato nel terreno; secondo altri perché in origine era ucciso a bastonate. Trovo più verosimile la seconda ipotesi. Da rigettarsi per motivi fonetici e morfologici i tentativi di ricondurre la parola a una forma diminutiva di ovis "pecora".
ii) Derivati dotti di baculum e di bacillum:
  > lat. scient. baculum "osso penico"
  > lat. scient. bacillus /ba'tʃillus/ (con cambio di genere)
iii) Derivati di bacillum in lingue non romanze:
  lat. bacilla (pl.) > basco makila "bastone"

2) SPECULUM "specchio" - SPECILLUM "specchietto; sonda" 

i) Derivati volgari di speculum:
  > it. specchio

ii) Derivati dotti di speculum:
   > lat. scient. speculum "strumento per scrutare un orifizio"
iii) Derivati di speculum in lingue non romanze:
  > tedesco Spiegel "specchio" (antico alto tedesco spiagal)
  > basco ispilu "specchio"
iv) Derivati dotti di specillum:
  > it. dotto specillo "tipo di strumento chirurgico"

Si capisce alla perfezione che i suoni palatali in bacillum e in specillum, attribuiti dal latino ecclesiastico nelle pronunce /ba'tʃillum/ e /spe'tʃillum/, sono secondari e prodotti dalla vocale anteriore del suffisso. Quindi non è possibile proiettarli all'infinito nel passato. La situazione d'origine era diversa.

Forme di partenza con suffisso strumentale -lo-:

*bak-lom la -l- era velarizzata ("oscura")
['bakłom]
così si ebbe nel latino classico /'bakulum/ ['bakʊłũ].

*spek-lom
la -l- era velarizzata ("oscura")
['spɛkłom]
così si ebbe nel latino classico /'spekulum/ ['spɛkʊłũ]

Diminutivi con suffisso diminutivo -lo- aggiunto all'omonimo suffisso strumentale:

*bak-l-lom
La prima -l- era sillabica, la seconda -l- era puramente consonantica e non era velarizzata:
['bakḷlom]
Così nacque la vocalizzazione con -i-, poi si spostò l'accento e si ebbe nel latino classico
/ba'killum/ [ba'kɪllũ].

*spek-l-lom
La prima -l- era sillabica, la seconda -l- era puramente consonantica e non era velarizzata:
['spɛkḷlom]
Così nacque la vocalizzazione con -i-, si spostò l'accento e si ebbe nel latino classico
/spe'killum/ [spɛ'kɪllũ]
.

lunedì 13 novembre 2017

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: IL PRONOME DIMOSTRATIVO ENFATICO HICE, HICCE

A partire dalla particella enfatica indoeuropea *ghe / *gho si è evoluto regolarmente il pronome latino hic /hi:k/ (f. haec /haek/, n. hoc /hok/), con l'aspirazione /h/ assai debole che si è persa presto. La -c finale tipica di molte forme del paradigma di hic, haec, hoc è frutto dell'evoluzione di un'antica particella rafforzativa, che in origine suonava /-ke/, derivante dal pronome dimostrativo indoeuropeo *k'e-, *k'ey- "questo". In poesia la forma neutra hoc davanti a vocale aveva una scansione anomala, come se fosse stata scritta *hocc, e Velio Longo ci dice che hoc est era pronunciato hoccest /'hokkest/. Il motivo della geminazione della consonante finale è chiaro: questo *hocc deriva da un precedente *hodce con assimilazione, dove la consonante -d è la stessa caratteristica dei neutri singolari pronomilali come quod, quid, aliud, istud, illud.

Ecco il paradigma:

Sing. M F N
Nom. hic
haec hoc
Gen. huius huius huius
Dat. huic huic huic
Acc. hunc hanc hoc
Abl. hoc hac
hoc
Pl. M F N
Nom. hi hae haec
Gen. horum harum horum
Dat. his his his
Acc. hos has haec
Abl. his his
his

Questo è il link al dizionario online Olivetti:


Esistono alcune varianti censurate dal sistema scolastico: al dat./abl. plurale di tutti i generi troviamo anche la forma hibus. Al dat. sing. m./n. si può trovare anche la forma hoc, mentre al dat. sing. f. si trova anche haec.

Da questo tema pronominale derivano alcune singolari forme avverbiali con valore locativo:

hic /hi:k/ "qui"
hac /ha:k/ "per di qua"
hinc /hink/ "da questa parte"
huc /hu:k/ "qui, in questo luogo; da questa parte"

Si noterà che si tratta di antiche forme di declinazione fossilizzate, cosa che a scuola viene taciuta. Possiamo identificare facilmente il relitto di un caso in seguito estinto: l'avverbio huc /hu:k/, che in origine era uno strumentale del pronome dimostrativo.

Il punto è che ancora in epoca classica esistevano anche forme conservative con l'antica particella -ce integra: hice /'hi:ke/ /f. haece /'haeke/, n. hoce /'ho:ke/), con la variante hicce (f. haecce, n. hocce). La forma hicce con consonante geminata è dovuta all'analogia: il neutro *hodce ha dato regolarmente hocce, e da questa forma si è estesa la geminazione anche ad altre forme del paradigma. Per contro, da hocce si è sviluppato hoce /'ho:ke/ con consonante semplice secondo la ben nota alternanza vocale breve + consonante doppia : vocale lunga + consonante semplice.

Tutte queste forme sono censurate dal sistema scolastico, o quanto meno ad esse non è data la benché minima rilevanza. Questo è il paradigma di base:

Sing.
M
F
N
Nom.
hice
haece
hoce
Gen.
huiusce
huiusce
huiusce
Dat. huice
huice
huice
Acc.
hunce
hance
hoce
Abl.
hoce
hace
hoce
Pl. M F N
Nom. hisce haece haece
Gen. horunce,
horunc
harunce,
harunc
horunce,
horunc
Dat. hisce hisce hisce
Acc. hosce haece haece
Abl. hisce hisce hisce

Questo è il link al dizionario online Olivetti:


Altre informazioni si possono trovare nel sito Perseus.tufts.edu


Vediamo che questo -ce compare anche al genitivo singolare: huiusce, attestato anche HVIVSQVE (la labiovelare è dovuta a ipercorrettismo). Questo pronome, spesso definito "arcaico" ed "enfatico", mostra forme oltremodo interessanti: nominativo plurale maschile hisce /'hi:ske/, con una notevole sibilante -s- che non si trova affatto nella forma semplice hi; genitivo plurale maschile e neutro horunc /'ho:runk/, ma anche horunce /ho:'runke/; genitivo plurale femminile harunc /'ha:runk/, ma anche harunce /ha:'runke/. Si noti che queste particelle sono attestate anche con altri pronomi dimostrativi: istic "costui, questo qua" (f. istaec, n. istuc); illic "quello là" (f. illaec, n. illuc).



Se facciamo pronunciare queste forme enfatiche secondo la pronuncia ecclesiastica, otteniamo forme assolutamente incoerenti: le forme con -s-ce come huiusce, hisce, verranno pronunciate con una sibilante palatale /ʃ/: /u'juʃʃe/, /'iʃʃe/, che non ha alcun senso; negli altri casi, -ce sarà pronunciato con un'affricata /tʃ/: /'i(t)tʃe/, /'untʃe/, etc.
La finale in -c sarà invece velare ("dura") come nella pronuncia restituta: horunc /'orunk/, harunc /arunk/, in nettissimo contrasto con le forme piene horunce /o'runtʃe/, harunce /a'runtʃe/. Se per assurdo la pronuncia ecclesiastica valesse ab aeterno, come i nostri avversari sostengono, questa situazione sarebbe inesplicabile.

L'avverbio hic(c)e, derivato dal pronome enfatico con -ce, era usato anche nella lingua popolare e sopravvisse a lungo. Infatti, nell'evoluzione dal latino al romanzo, vediamo che da hicce est, è derivato tramite palatalizzazione il moderno italiano c'è. Più in generale, la forma ci, ce, è poi derivata direttamente da hicce con valore locativo. Così hicce stat si è evoluto in ci sta.

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: I VOCATIVI DEI NOMI IN -IUS

Come è ben noto, i nomi maschili della seconda declinazione (temi indoeuropei in -o-) hanno il vocativo in -e, di tradizione antichissima, che si contrappone in modo deciso al nominativo in -us (< IE -os).
Vediamo tuttavia che quando il nome termina in -ius, il vocativo di alcuni nomi comuni e di tutti i nomi propri di persona non termina in -ie come ci si potrebbe attendere, ma in -i (la vocale è lunga, /-i:/). In altre parole, si è prodotta una forma ridotta già in epoca antica.

Nomi comuni con vocativo ridotto:

filius /'fi:lius/ "figlio", voc. fili /'fi:li:/
genius /'genius/ "genio", voc. geni /'geni:/

Nomi comuni con vocativo regolare:

socius /'sokius/ "socio", voc. socie /'sokie/

Nomi propri (prenomi, nomi, teonimi, etc.):

Laurentius /lau'rentius/, voc. Laurenti /lau'renti:/
Lucius /'lu:kius/, voc. Luci /'lu:ki:/
Marius /'marius/, voc. Mari /'mari:/
Mercurius /mer'kurius/, voc. Mercuri /mer'kuri:/*
Pompeius /pom'pe:jus/, /pom'pejjus/, voc. Pompei
    /pom'pe:i:/

Publius /'publius/, voc. Publi /'publi:/
Valerius /wa'lerius/, voc. Valeri /wa'leri:/*

*Stando alle leggi dell'accentazione latina, avrebbe dovuto pronunciarsi con l'accento sulla prima sillaba, ma evidentemente la riduzione da -ie a -i è avvenuta dopo che l'accento si è fissato sulla penultima (altri pensano a un livellamento analogico).

Dall'analisi di questo elenco, una cosa salta subito all'occhio. Laurenti ha /t/ anche nella pronuncia ecclesiastica, rispetto a Laurentius che è pronunciato con un'affricata /ts/, come /lau'rentsjus/.
Siccome Laurenti proviene da un precedente *Laurentie, è chiaro che l'affricata /ts/ negli altri casi della declinazione non può essere ab aeterno. Se fosse come i nostri avversari vanno affermando, avremmo una forma *Laurentie pronunciata /*lau'rentsje/ dai preti e dagli insegnanti del liceo, dato che l'alternanza /ts/ - /t/ risulterebbe incomprensibile. Se poi notiamo che Laurentius è formato con un suffisso -i- a partire dal toponimo Laurentum "Laurento", e che esiste anche l'aggettivo laurentinus /lauren'ti:nus/, vediamo con la massima chiarezza che la forma più antica ha /t/ e che la forma ecclesiastica con /ts/ può soltanto essere derivata.

Non si creda che il vocativo Laurenti sia una reliquia senza importanza, sparita senza lasciare traccia: esso è sopravvissuto quasi immutato nel basco Laurendi "Lorenzo".

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: IL VERBO ONOMATOPEICO VAGIRE

La più comune e ovvia sillaba onomatopeica che descrive il verso del neonato è WA, con la variante WE. Ci si può attendere che in diverse lingue le parole per indicare questo concetto siano derivate da questo suono. Evidentemente per un antico romano il neonato faceva WAG, così da questo ideofono si formò il verbo vagio /'wa:gio:/ "vagisco" (paradigma vagis /'wa:gi:s/, vagii /'wa:gii:/ o vagivi /wa'gi:wi:/, vagitum /wa:'gi:tum/, vagire /wa:'gi:re/), dove il carattere IPA /g/ è la velare sonora, quella che i popolani chiamerebbero "g di gatto". Sappiamo che la vocale -a- della radice verbale è lunga. Nella lingua classica, lo stesso verbo indicava anche il verso della capra e del maiale. Questo è il link al lemma nel dizionario online Olivetti:


Coloro che postulano la pronuncia ecclesiastica ab aeterno, realizzano invece il verbo latino come /'vadʒ(i)o/, /'vadʒis/, /'vadʒii/ o /va'dʒivi/, /va'dʒitum/, /va'dʒire/, con un suono postalveolare o palatale /dʒ/, quello che i popolani chiamerebbero "g di getto". Il punto è che la presenza di questo suono è incompatibile con l'origine onomatopeica della parola, che risulta evidente e innegabile. 

Si deduce così che il verbo latino vagio, vagis, vagire ha alterato il suo suono nel corso dei secoli, perdendo il suo carattere onomatopeico. Un po' come è successo a pipio /'pi:pio:/ "colombo, piccione", dalla cui forma accusativa pipionem /pi:pi'o:nem/ (> /pi:'pjo:nem/) è derivato l'italiano piccione. In realtà vagire è un verbo dotto, che non è giunto in italiano dalla genuina e naturale usura popolare di un termine ereditato: è stato introdotto dal latino dei letterati in epoca abbastanza tarda, come è accaduto per tantissimi altri lemmi. Una lingua è un dialetto con un esercito e una marina, disse qualcuno. Non soltanto: una lingua è un dialetto con un esercito, una marina e uno stuolo di topi di biblioteca detti "grammatici" e "letterati", che costantemente importano voci morte da secoli, donando loro una vita artificiale.