sabato 12 maggio 2018

ETIMOLOGIA DI KOALA

Il nome del koala (pronuncia /kəʊˈɑːlə/, /ˈkwɑːlə/) proviene dal Dharruk (Dharug) gula, con la variante gulawany. Date le difficoltà nel vocalismo, si è tentati di ipotizzare che il vocabolo a noi tutti ben noto si sia in realtà originato in una lingua diversa, anche se evidentemente imparentata con il Dharruk, o da un particolare dialetto di quest'ultimo. Infatti una vocale /u/ non avrebbe potuto evolgersi fino a dare /wa:/ nell'inglese dei coloni. Esiste l'idea che koala possa essere nato da gula tramite un errore di trascrizione di un copista e che poi ne sia derivata una pronuncia ortografica: il dittongo grafico oa sarebbe servito a trascrivere il suono di parole inglesi come toad, load, goal e via discorrendo, finendo quindi equivocato. Se devo essere franco, trovo questa ipotesi piuttosto improbabile, data anche la prevalenza dell'analfabetismo tra il volgo che concretamente usava vocaboli di questo genere. Come ha potuto il dittongo grafico oa finire pronunciato /wa:/ a dispetto del fatto che in un'infinità di parole inglesi suona //, /əʊ/? Resta il fatto che in altre varianti grafiche riscontrate, come colah, colo e kaola, il suono è di certo //, con ogni probabilità un tentativo di rendere /o:/. Forme come coolah, kula e kulla trascrivono invece pronunce con /u:/ o con /ʊ/. Come risolvere la questione? Eureka! Basta partire dalla forma gulawany, dove la -y finale trascrive una semivocale che si appoggia alla nasale /n/. Ecco svelato l'arcano. Da gulawany si è avuta una forma metatetica *guwalany, donde *guwala, *kuwala!  

La stessa forma gula del Dharruk si trova anche nella lingua Ngunnawal, tipica della regione di Canberra. Troviamo poi svariate trascrizioni di forme molto simili e di certo collegate, come cullawine (Nuovo Galles del Sud, Blue Mountains) e koolewong (Nuovo Galles del Sud, regione costiera centrale). Denominazioni più distanti si trovano in altre lingue. Alcune, come karbor (Regione di Murray, forse da *kwal-bor), gooda (forse da un precedente *gula) e kooraban (forse da *gulawan), potrebbero appartenere alla famiglia del Dharruk gula, mentre altre sono senza dubbio formate a partire da radici diverse. Così abbiamo una varietà di forme attestate:

bangaroo 
gumbawur
narnagoon
pucawan
burrunda

barrandang

boorabee 
tugaree

toongool

yarri
 

Vediamo all'istante che alcune sono tra loro imparentate: si può ricostruire un'origine comune per coppie come bangaroo - gumbawur e come burrunda - barrandang. Nella regione di Brisbane, nel Queensland, troviamo altre denominazioni altrettanto stravaganti:

dumbirrbi (lingue Yugara e Turubul)
marrambi (lingua Yugarabul)
borobi (lingua Yugambeh)    

Veniamo ora a un diffuso mito, anche se non certo dannoso come quello di kangaroo tradotto con "non ti capisco". Secondo moltissime persone, il termine koala significherebbe "senz'acqua" o "che non beve". In inglese le glosse più comuni sono "no water" e "no drink", ma non ne mancano di più bizzarre, come "thirst" e "water deficiency". Questa interpretazione non si fonda su evidenze scientifiche di sorta: si tratta di un'ingegnosa falsa etimologia formatasi dalle abitudini potorie del simpatico marsupiale, che ricava la maggior parte dell'acqua che gli serve masticando senza sosta enormi quantitativi di foglie di eucalipto. In realtà è stato constatato che se si dà all'animale dell'acqua in un trogolo, questo la trangugia senz'altro. L'etimologia più plausibile è dalla radice gali-, galu-, gala-, gula- "arrampicarsi", che ricorre nelle lingue della regione di Sidney. Una documentazione molto interessante è riportata in un post del blog Sidney Aboriginal Language Insights, ospitato da Blogspot e ormai morente: 

venerdì 11 maggio 2018

ETIMOLOGIA DI CANGURO

La parola canguro, inglese kangaroo, deriva dalla lingua Guugu Yimithirr: gangurru significa "canguro grigio". La pronuncia trascritta in caratteri IPA è /ɡaŋʊrʊ/. Questo nome fu registrato come kanguru il 12 luglio 1770 nel diario di Sir Joseph Banks, nel luogo ora chiamato Cooktown, sulle rive del fiume Endvour, dove il vascello Endevour stette spiaggiato per quasi sette mesi sotto il comando del luogotenente James Cook, per le necessarie riparazioni dei danni subiti sul Great Barrier Reef. Cook descrisse per la prima volta i canguri nel suo diario il 4 agosto. Il Guugu Yimithirr era proprio la lingua delle genti di quella regione.

Esiste un ridicolo mito, molto diffuso e nocivo, che riconduce l'origine del nome kangaroo all'adattamento di una grossolana quanto telegrafica frase aborigena il cui significato sarebbe "non ti capisco". Ricordo fin troppo bene la lettura di un deleterio brano sull'antologia nel primo anno dell'orrida scuola media, in cui si descriveva Cook nell'atto di domandare a un aborigeno il nome degli strani marsupiali saltellanti, ricevendone in risposta "can gu ru", ossia "non ti capisco". Questa vulgata era data per assodata ed era considerata indiscutibile, anche perché confermava i pregiudizi sulle lingue "primitive", le cui parole dovevano essere monosillabi dominati dalla vocale U, creduta un suono "scimmiesco". La religione cattolica, all'epoca ancora vitale, non ostacolava affatto questa visione darwinista tendente all'infraspeciazione. Nel testo scolastico di cui sopra, evidentemente apocrifo, si diceva che Cook avrebbe in seguito scoperto, con grande contrarietà, che i nativi chiamavano i canguri in modo diverso. Ormai era tardi: la parola riportata dall'ufficiale britannico si era già sparsa a macchia d'olio e non era possibile estirparla. Si era così creato un meme, destinato a diffondersi su tutto il pianeta. Questo dannosissimo pacchetto memetico fu confutato solo nel 1972 dal linguista John B. Haviland nel corso delle sue ricerche sulla lingua Guugu Yimithirr. Ovviamente ai lavori di Haviland è stata data ben poca diffusione tra il popolino. Un demente fa presto a creare una falsa etimologia, ma non sono sufficienti diecimila dotti per bloccarne il propagarsi.  

La forma canguro, comune all'italiano e allo spagnolo, presenta una vocale /u/ tonica nella seconda sillaba, che a prima vista non si spiega bene a partire dall'odierna forma inglese kangaroo /kaŋ.ɡəˈɹuː/ (USA /ˌkæŋ.ɡəˈɹu/), che ha l'accento sull'ultima sillaba e una vocale indistinta nella seconda. Tuttavia, basta notare che la parola inglese aveva un tempo la variante kangooroo, in grado di spiegare il vocalismo del nostro canguro. Anche il francese kangourou proviene da kangooroo. Come si può vedere, la variante kangooroo è più vicina dell'odierno kangaroo all'originale Guugu Yimithirr e mi auspicherei il suo ripristino.

Dal momento che esistono in Australia una sessantina di specie diverse di canguri, lascio immaginare l'incredibile numero di vocaboli usati per designare questi animali nelle varie lingue aborigene. Solo per fare un esempio, riporto queste denominazioni del marsupiale nella lingua Alyawarr, che peraltro sono riportate nel database del sito ausil.org.au come se fossero semplici sinonimi: 

aharlparingk
aherr
aherr akwerrk
ahern-areny
aherr ltya
antartwey
arranty
artar
athakwer
ltyayerr
terarl
terreterr
tyantwerr

Trovo verosimile che i vocaboli per indicare i canguri non provengano dai flussi demici dall'Asia che 3.500-4.000 anni fa portarono in Australia il dingo, l'antenato delle lingue Pama-Nyungan e la famiglia estesa. Sempre tenendo conto delle creazioni lessicali arbitrarie in ambito religioso, molti di questi nomi saranno stati presi dalle lingue più antiche come elementi di sostrato, essendo relativi a qualcosa di molto importante nel mondo concettuale dei primi popolatori del continente, il cui stanziamento risale forse a 50.000 anni fa.

giovedì 10 maggio 2018

ETIMOLOGIA DI DINGO

La parola dingo proviene dalla lingua Dharruk (Dharuk, Dharug), propria degli aborigeni dell'area di Sidney, in cui din-gu indica l'animale addomesticato. Nella stessa lingua la femmina del canide fulvo è chiamata tin-gu, mentre l'animale selvatico è chiamato warrigal.

In Australia sono documentate centinaia di lingue aborigene, che usano nomi molto diversi per indicare l'animale. In centinaia di siti Web sono riportate diverse denominazioni senza ulteriori considerazioni. In genere la procedura usata è quella del copia-incolla acritico da fonti precedenti. Ne forniamo un elenco: 

joogoong
mirigung
noggum
boolomo 
papa-inura 
wantibirri 
maliki
kal
dwer-da
kurpany

Se ne trovano anche alcuni altri, soltanto in un numero minore di siti o documenti: 

repeti
palangamwari
kua
aringka 

Alcune denominazioni sono semplici varianti di quelle viste sopra, o in ogni caso forme con esse chiaramente imparentate:

keli (vedi kal)
durda
(vedi dwer-da)
boololomo (vedi boolomo)
warang (vedi warrigal)

Questo è un tipico esempio di documento, i cui autori riportano 17 nomi del dingo, cavandosela con la citazione sintetica del lavoro di un antropologo (Corbett, 2004): 


Il guaio, ben dannoso, è che in nessuna pagina ritornata da Google è spiegato da che lingua proviene ciascuna di queste parole! Un vero flagello del Web: la trasmigrazione di pacchetti di informazione da un sito a un altro senza nessuna critica e senza nessun approfondimento. Né va meglio coi libri cartacei. Il vocabolario Zingarelli riporta la seguente nota etimologica: "dal n. australiano dell'animale (jūnghō, jūgūng, ...)". Si capisce al volo che le forme citate sono trascrizioni fonetiche di joogoong, ma sull'esatta attribuzione regna il silenzio. Si deve trattare di una lingua imparentata con il Dharruk, ma ben distinta, diciamo un po' come il tedesco è distinto dal francese. Lo stesso segmento dello Zingarelli è stato tradotto e riportato dall'Enciclopedia Croata online (http://www.enciklopedija.hr/). A causa della superficialità degli etimologi, pochi nomi australiani del dingo per possono essere identificati. La ricerca si è presentata molto più difficile di quanto apparisse a prima vista. Evidentemente le lingue aborigene australiane non sono ritenute molto interessanti dalla massima parte degli studiosi dagli stessi internauti. 

Per trovare qualche informazione in più, occorre fare ricerche estenutanti. Data la natura erratica del Web, si raccolgono informazioni minime sparse in antri reconditi. Il difficile è integrare questi dati sparsi e trarne qualche conclusione utile.

Sono riuscito a identificare aringka, dato che ho trovato la forma arengke, assai simile e attribuita alla lingua degli Arrernte (Aranda, di ceppo Pama-Nyungan). 

A volte ci si imbatte in notizie davvero curiose. In Mbabaram, il termine dog indica il dingo semidomestico ed è stata usato anche per indicare il cane introdotto dai coloni: uno slittamento semantico di questo genere è comune. La parola non ha nulla a che vedere con l'inglese dog, si tratta di una semplice omofonia. Anche se numerosi internauti incompetenti reputano la parola un prestito coloniale, mi pare chiarissimo che lo Mbabaram dog deriva dalla stessa protoforma comune da cui si è avuto il Dharruk din-gu, che si potrebbe ricostruire come *ndiŋgwuŋg. Da questa protoforma derivano anche noggum e joogoong.

Si può andare avanti a lungo. Le genti di Yarralin, nel Territorio del Nord, chiamano i dingo semidomestici walaku, mentre quelli selvatici sono detti ngurakin. Quest'ultima denominazione ricorre, con alcune varianti minime, in numerose altre lingue: potrebbe essere un antico prestito che si è sparso per motivi culturali.

Nella lingua Yanyuwa (Ngarna) il dingo è chiamato wardali, ma in occasioni cerimoniali riceve il nome yarrarriwira. Il termine rituale evidenzia l'importanza delle invenzioni lessicali in contesti religiosi.

Nella mia ricerca, mi sono imbattuto in un sito australiano che mi ha permesso di ottenere una grande mole di informazioni. Questo è il suo url:


Diamo un elenco di forme estratte dal database per ciascuna delle lingue trattate (con "dingo" si intende l'animale selvatico, con "cane" quello semidomestico, oltre al cane europeo):

Alyawarr
dingo: arengk artnwer
cane: anetyerlp-ayerr, arengk, arengk akwerrk, arengk apmer-areny, arengk artnwer, iltyepenh

Bilinarra
dingo: ngurragin
cane: guru, wangani, warlagu

Burarra
dingo: -muworduk, an-mugarla, an-gugurkuja, an-muworduk, an-mugat
cane: gulukula, wartunga

Djinang
dingo: murnibi
cane: guyiligirningi

Golpa
dingo: -
cane: watu

Gurindji
dingo: marrany, ngurrakin, punpulu
cane: kunyarru, kuru, punpulu, wangani, warlaku

Iwaidja
dingo: nurrkakany
cane: naki 

Maung
dingo: jalaj
cane: luluj

Tiwi
dingo: tayama, tayamini (pl. tayampi)
cane: kitarringani (pl. kitarringawi), wankini (pl. wankuwi), arripwatini, pulangumwani (pl. pulangumwawi), pamilampunyini (pl. pamilampunyuwi)

Walmajarri
dingo: marrany
cane: kunyarr

Warlpiri
dingo: kuna-palya, waltaki, warnapari, wingki-warnu (wirnki-warnu)
cane: jarntu, kuna-palya, liyi, maliki, punpulu, wirnki-warnu, wujuju, wungu-warnu

Wik Mungkan
dingo: ngekanam, ku'ngekanam, thoonth-ngekanam 
cane: iwal, ku', thoonth

Altre voci identificate tramite ricerche nel Web, ad esempio tramite l'opera di  Dixon e Blake, Handbook of Australian Languages.


Yugambeh (lingua Pama-Nyungan parlata nel Queensland)
dingo: urugin
cane: noggum

Jaran (lingua parlata dai Potaruwutji)
dingo: kal
cane: -

Nyawaygi
dingo: gawayal
cane: ŋarbu, gawayal

Uradhi
dingo: akwanumu, arkaymu
cane: utaγa

Yukulta
dingo: tyiriya
cane: ŋawuwa

Djapu (Yolngu)
dingo: wärraŋ
cane: wiŋgan

Dharawal, Tharawal, etc. (evidentemente imparentata col
     Dharruk) 
dingo: warigal, warrigal
dingo, cane: mirigung, mirigang, mirrigang, mirragang, merri, miriga, mirreega 

Gundunggura
dingo: miri, mirigan, mirreegang

Gummbaynggir
dingo: marlamgarlu

Wagiman
dingo: ngarrwan, ngarrulan
cane: lamarra

Anangu 
dingo: kurpany, papa inura
cane: papa
Nota: sembra che kurpany fosse il nome di una bestia diabolica di forma canina, non tanto del dingo. 

Si vede che non poche denominazioni sono state finalmente identificate. Altre purtroppo mancano ancora all'appello, ci vorrebbe un po' di tempo per avere un quadro completo. Dall'analisi di questa gran mole di dati scaturisce una seria critica alla ricostruzione di una lingua proto-Pama-Nyungan o addirittura proto-australiana. Non esiste una protoforma comune per indicare un animale non autoctono, introdotto dal sud est asiatico. Si sa per certo che l'Australia non era così isolata come sembrava, e che ci sono stati apporti genetici di popolazioni venute dall'India circa 3.500-4.000 anni fa. Secondo la vulgata corrente, questa migrazione è collegata alla diffusione delle lingue Pama-Nyungan, oltre che all'affermarsi dell'istituzione della famiglia allargata, che ha sostituito la più antica endogamia. In ogni caso è evidente che sono stati questi movimenti demici a importare il dingo nel continente. La parziale domesticazione di questo canide - che non è mai giunta alla selezione di razze - avrebbe dovuto causare l'introduzione di una protoforma comune, rappresentando una straordinaria innovazione culturale. Invece nulla: ovunque regna un incredibile marasma. La spiegazione più semplice è connessa al prevalere di fattori religiosi e tabuistici, oltre che a imponenti fenomeni di prestito intertribale. Non mi convince l'ipotesi dell'attribuzione al nuovo animale di nomi di animali selvatici già noti (e ben poco somiglianti). Del resto, è chiaro che il dingo è stato introdotto come animale semidomestico fin dal principio e che si è in parte inselvatichito in seguito. Altrimenti, se fosse stato solo selvatico, non sarebbe stato portato con sé dai nuovi venuti!

martedì 8 maggio 2018

LA FAKE NEWS DEGLI ECCLESIASTICI RAZZISTI DI MANDURIA: UN ESPERIMENTO ANTROPOLOGICO

Anno del Signore 2018, primo giorno di aprile. Ha destato molto scalpore un singolare episodio. A Manduria c'è stato un problema durante il rito pasquale della lavanda dei piedi: a quanto pare nel gruppo delle persone scelte per il pediluvio erano presenti alcuni migranti, a cui il servizio è stato rifiutato. Enuncio così i fatti per come sono ricostruibili, in quanto sono state diffuse dai mezzi di diffusione di massa più versioni tra loro contrastanti. Accertare l'accaduto non si presenta quindi impresa facile. C'è qualcosa di bizzarro in tutto questo. Riporto a questo punto una breve cronistoria.

1 aprile. Entro nel sito de Il Fatto Quotidiano. Prima leggo che "I frati si sono rifiutati di fare la lavanda dei piedi ai migranti". Poi nell'articolo è riportata la seguente frase: "I due padri officianti il rito nella chiesa di San Michele Arcangelo, a Manduria, si è rifiutato di celebrare il rituale sacro perché tra i fedeli prescelti per partecipare c’erano alcuni immigrati." Salta subito all'occhio la discordanza del soggetto col verbo: "i due frati ... si è rifiutato...". <Con tutta probabilità il solecismo è dovuto alla necessità di correggere al volo la versione appena presentata - pratica che genera refusi a non finire.> Quindi si legge che ad essersi rifiutato di eseguire la lavanda dei piedi è stato solo uno dei due frati.

2 aprile. Entro nel sito del Corriere del Mezzogiorno, ed ecco che i frati (secondo l'articolo erano dell'ordine dei Servi di Maria) si sono addirittura trasformati in un prete! Anche il Corriere della Sera riportava questa versione. Il giorno dopo, 3 aprile, ecco che il titolo del Corriere della Sera era miracolosamente cambiato: nella versione nuova di zecca, il prete era sparito e c'erano di nuovo due frati, che però avrebbero litigato tra loro. Siccome le bugie, come ci insegna Collodi, hanno il naso lungo o le gambe corte, ecco che in Google è rimasta traccia della vecchia versione col prete. Se si digita nel motore di ricerca la chiave corriere razzismo manduria, ecco apparire la seguente chimera: 

Polemica a Manduria - Corriere della Sera
www.corriere.it/.../polemica-manduria-il-prete-si-rifiuta-lavare-piedi-migrati-37ba5864-...
2 apr 2018 - «Io non lavo i piedi ai migranti» Polemica a Manduria e lite tra i frati ... con commenti di questo genere: «Stasera il razzismo è salito sull'altare».

Nell'url c'è il prete scomparso! Sotto, nella descrizione, ci sono i frati.

 

Ora, è mio diritto di cittadino essere informato in modo corretto. Cos'è successo davvero a Manduria? Come mai tanta confusione? Chi ha provocato tutto questo scompiglio? Due frati tra loro concordi? Due frati tra loro litiganti? Un unico frate? Un prete? C'è stata un'improvvisa e prodigiosa metamorfosi di un prete in due frati? È proprio il caso di dirlo: tutto questo puzza, e non di piedi sporchi. Per l'esattezza, puzza di post-verità!

Ovviamente la spiegazione di fatti così nebulosi, presentati con una narrazione incoerente smontabile anche da un bambino di tre anni, per i giornalisti deve essere necessariamente il razzismo. Il razzismo ottocentesco e novecentesco fondato sul darwinismo biologico e sociale, è chiaro. Il razzismo di Adolf Hitler, del Mein Kampf e del Terzo Reich - perché resuscitare questi fantasmi arreca sempre grandissimi vantaggi. Oppure, come molti riportano, il razzismo religioso. Certo, a Manduria ci manca soltanto il Ku Klux Klan. 

sabato 5 maggio 2018

UN MIO CONTRIBUTO ALLA SCIENZA

Sono entrato in un sito di medicina alla ricerca di notizie curiose sulla coprofagia. Questo è il link:


Il brano che ha destato la mia attenzione è il seguente:

I gorilla mangiano le proprie feci e quelle degli altri esemplari. Molti studiosi di etologia attribuiscono questo costume alla necessità di riassorbire i nutrienti lasciati indigesti nel passaggio dei vegetali nell’intestino. Per questo la coprofagia è stata ribattezzata “seconda digestione”. L’ipotesi è contestata, in quanto se un sistema digerente lascia materia utile non digerita tra le feci, a maggior ragione sarà incapace di assimilare gli scarti durante il secondo passaggio. È perciò possibile che tali comportamenti siano originati da parafilie simili a quelle umane. 

Ebbene, la contestazione è interamente opera mia. Anni fa avevo scritto su Wikipedia queste mie obiezioni alle tesi degli etologi seguaci di Piero Angela. Obiezioni che a quanto pare hanno avuto fortuna e si sono diffuse!

giovedì 3 maggio 2018


SNUFF KILLER - LA MORTE IN DIRETTA

Titolo originale: Snuff killer - La morte in diretta
Aka: Snuff movie - La morte in diretta
Paese di produzione: Italia

Lingua originale:
Italiano

Anno:
2003
Durata: 88 min
Genere: Thriller, erotico
Regia: Bruno Mattei
Pseudonimi del regista: Pierre Le Blanc, Vincent
     Dawn
Soggetto: Bruno Mattei, Gianni Paolucci
Sceneggiatura: Bruno Mattei
Produttore: Gianni Paolucci
Casa di produzione: La Perla Nera
Fotografia: Luigi Ciccarese
Montaggio: Elio Lamari, Bruno Mattei
Musiche: Elio Lamari, Bruno Mattei
Costumi: Angela Altiero, Claudio Cosentino
Interpreti e personaggi   
    Carla Dujani Solaro: Michelle
    Gabriele Gori: Jean Luis
    Carlo Mucari: Peter
    Federica Garuti: Lauren
    Anita Auer: Dr. Hades
    Achille Brugnini: Rene
    Albert Ruocco: Roy
    Valerio Alessandrini: Karl
    Raul Tilli: Fidanzato di Lauren
    Antonio Calandrino: David Levy
    Roy Gerace: Agente delle modelle

Trama:

Michelle, la bella ed elegante moglie del politico René, vive a Parigi con la figlia Lauren, che ha diciotto anni. Un sera Lauren esce e non rientra. La mattina successiva, Michelle si rende conto della sua scomparsa. Si rivolge senza esitare a un investigatore, che la informa dell'esistenza del mercato illegale degli snuff movies, filmati in cui le vittime vengono realmente torturate e uccise: il sospetto è che Lauren sia stata rapita per essere utilizzata nella produzione di simile materiale. Michelle decide di calarsi nelle più squallide profondità dell'ambiente della pornografia, prensentandosi a quel mondo di papponi e di larve umane come una donna lasciva desiderosa di esplorare nuove fonti di piacere violento - cosa che poi non è così distante dal vero. Il suo intento è quello di individuare i produttori di snuff e di trarre in salvo la figlia. La sua ricerca non è facile: per trovare una traccia deve fare un pompino a un malvivente sulle cui condizioni igieniche intime è lecito porsi qualche domanda. Presto riesce a prendere contatto con un terribile nano tiroideo che è un emissario dell'organizzazione criminale che produce i filmati di torture e di uccisioni. Michelle, mettendosi a disposizione di questo atroce figuro, arriva fino in Germania, dove risiede fisicamente il capo dell'organizzazione, il Dr. Hades, che si rivela essere una donna dalla singolare quanto sgradevole fisionomia. Un passo falso dopo l'altro - con la protagonista che si getta tra le braccia di un sadico assassino credendolo il suo salvatore - si giunge al finale scontato quanto raffazzonato: Lauren viene trovata e tratta in salvo all'ultimo secondo tramite improbabili acrobazie degli agenti, il Dr. Hades viene catturato assieme ai suoi tirapiedi. In pratica tutto finisce a tarallucci e vino, salvo che per il politicante René, che si ritrova in testa una foresta di corna da far invidia a un cervo reale. 

Recensione:

Guardando il film di Mattei, ci si rende subito conto che la narrazione è derivata da quella di da 8mm - delitto a luci rosse (Joel Schumacher, 1999), con forti influssi di Hardcore (Paul Schrader, 1979). Tale è la somiglianza con la pellicola di Schumacher che intere conversazioni vi sono state prese senza quasi subire modifiche. La principale innovazione è il fatto che la discesa agli Inferi ha come protagonista una donna, cosa che lascia al regista qualche grado di libertà in più. Una fascinosa signora può immergersi nella melma, degradandosi fino a livelli difficilmente concepibili per un investigatore di sesso maschile. Infatti Michelle fa un pompino in cambio di informazioni, si fa penetrare nell'ano per convincere il nano maligno di non essere una spia, infine si concede a un gangster senza avere il minimo sentore della sua natura. Molti spettatori provano un certo sinistro godimento a osservare la discesa di una bella donna nel vortice dell'abiezione, ecco perché la scelta di Mattei è stata capace di compensare le numerose carenze strutturali del film. Diciamo anzi che è stato l'unica carta che valesse la pena di essere giocata. Per essere eufemistici, potremmo dire che Snuff killer è un insieme di sequenze accidentate, qualcosa di indigeribile, con gravi discontinuità nella narrazione. Alcuni critichi hanno fatto notare che i contenuti erotici si mantengono entro i confini del softcore per poter raggiungere un pubblico sufficientemente vasto. Eppure vediamo due scene abbastanza crude. L'orrendo nano dalle membra sproporzionate, la cui laidezza non conosce confini, fa rompere l'ano di una ragazza bionda con un piede di porco. La povera giovane emette urla strazianti e contrae il volto in modo atroce. Nella dimora del Dr. Hades, vediamo un breve snuff scorrere su un video: a una ragazza terrorizzata viene puntata la pistola a una tempia e in breve il cervello misto a sangue le erutta dal cranio. Non sono sequenze da nulla, diciamo che un posto nella storia del cinema, seppur di nicchia, lo meritano di certo.  

Snuff killer fa parte del vasto novero dei film direct-to-video, che sono prodotti a basso costo non destinati alla distribuzione cinematografica, ma commercializzati unicamente per supporti Home video (in questo caso DVD). Anche se la produzione è italiana, il film è stato pensato soprattutto per il mercato estero: è uscito nel 2003 in Russia e soltanto nel marzo dell'anno successivo in Italia. Bruno Mattei ha diretto un certo numero di film erotici e splatter, continuando questa attività febbrile fino alla sua morte avvenuta nel 2007: difficilmente avrebbe potuto farlo dopo il decesso.

Altre recensioni e reazioni nel Web: 

Basta fare qualche ricerca per constatare che il film di Mattei non è particolarmente amato dagli internauti. Riporto il bellissimo e spassoso l'intervento di Uskebasi, apparso su Filmscoop.it

Appare il titolo a caratteri cubitali sia all'inizio che alla fine: "Snuff Movie", ma ufficialmente si chiama "Snuff Killer". Alla regia c'è Vincent Dawn, che ufficialmente si chiama Bruno Mattei. E' la prima persona che usa pseudonimi sia per se stesso che per il film. In effetti è una buona idea complicare le indagini su "chi ha fatto cosa", se hai fatto una cosa del genere.
Parla del porno con una telecamera e una fotografia da film porno.
C'è una milfona alla ricerca della figlia scomparsa e del fallo.
C'è un detective privato che viene eliminato dalla sceneggiatura da un secondo all'altro.
C'è un uomo che è l'esatto incrocio tra Toto Cutugno - Ligabue - e il mio babbo.
C'è un dialogo tra questo ibrido e la milfona da pelle d'oca: parlano come se stessero insieme da 46 anni quando in realtà si conoscono da 6 ore, 5:40 delle quali passate a trombare.
Ci sono momenti morti e sepolti con la milfona che cammina giusto per arrivare a un'ora e venti.
C'è un'ultima frase comica detta dalla sadica cattivona del film, cose del genere si sentono solo nei cartoni animati dei bambini di 5 anni.
Scopro con piacere dagli altri commenti che è pure il gemello incidentato di un altro film.

Tutto questo è Snuff Movie...
Scusate, Snuff Killer.

lunedì 30 aprile 2018


IL PROFUMO DELLA SIGNORA IN NERO

Paese di produzione: Italia
Anno: 1974
Durata: 105 min
Lingua: Italiano
Titoli tradotti: 
   Germania: Das Parfüm der Dame in Schwarz
   Francia: Le Parfum de la dame en noir
   Brasile: O Perfume da Senhora de Negro
   UK: The Perfume of the Lady in Black
   Spagna: El perfume de la mujer de negro 
Genere: Thriller, orrore
Regia: Francesco Barilli
Soggetto: Francesco Barilli,
     Massimo D'Avack
Sceneggiatura: Francesco Barilli,
     Massimo D'Avack
Produttore: Giovanni Bertolucci
Casa di produzione: Euro International Films
Distribuzione (Italia): Euro International Films
Fotografia: Mario Masini
Montaggio: Enzo Micarelli
Musiche: Nicola Piovani
Scenografia: Franco Velchi
Costumi: Piero Cicoletti
Trucco: Manlio Rocchetti
Ispettore di produzione: Attilio Viti
Aiuto regista: Giorgio Scotton
Interpreti e personaggi   
    Mimsy Farmer: Silvia Hacherman
    Maurizio Bonuglia: Roberto
    Mario Scaccia: Signor Rossetti
    Jho Jhenkins: Andy
    Nike Arrighi: Orchidea
    Daniela Barnes (Lara Wendel): Silvia bambina
    Alexandra "Aleka" Paizi: Signora Cardini
    Renata Zamengo: Marta Hacherman, madre
          defunta di Silvia
    Roberta Cadringher: Antiquaria
    Sergio Forcina: Antiquario
    Gabriele Bentivoglio: Garzone del tassidermista
    Luigi Antonio Guerra: Collega di Silvia
    Carla Mancini: Elisabetta
    Donna Jordan: Francesca Vincenzi
    Orazio Orlando: Nicola
    Margherita Horowitz (non accreditata): Signora
         Lovati
    Aldo Valletti: Uomo della setta
    Ugo Carboni: Uomo della setta
    Renato Chiantoni: Luigi, il portinaio
Doppiatori originali    
    Vittoria Febbi: Silvia Hacherman
    Michele Gammino: Roberto
    Laura Gianoli: Francesca
    Lydia Simoneschi: Signora Lovati
Colonna sonora:
  1. Mimsy (2:46)
  2. Il profumo della signora in nero (2:07)
  3. Rondo' in Mib Magg. K371 (Mozart) (3:21)
  4. Mimsy (2:22)
  5. Silvia's Nightmare (1:53)
  6. Mimsy (3:26)
  7. Silvia (1:57)
  8. Mimsy End (1:37)
  9. Il profumo della signora in nero (2:09)
  10. Mimsy (1:41)
  11. Silvia (2:36)
  12. ll profumo della signora in nero (3:09)
  13. Scaring Little Girl (2:30)
  14. Il profumo della signora in nero (2:18)
  15. Scaring Little Girl (5:01)
  16. Mimsy (2:02)
  17. Scaring Little Girl (2:21)
  18. Silvia (1:39)
  19. Mimsy (1:38)
  20. Mimsy End (1:53)


Trama:

Silvia Hacherman è una splendida ashkenazita dalla fisionomia nordica e dai capelli biondissimi (solo alla fine si scoprirà che è tinta). Vive a Roma, dove dirige con entusiasmo un laboratorio chimico. Ha tutto ciò che una donna potrebbe volere dalla vita. Il suo fidanzato, Roberto, è un uomo assai prestante e dotato. Le pur brevi sequenze hot dicono molto sui loro rapporti: lui la cavalca con irruenza, leccandole con avidità gli orifizi dopo il coito e ingerendo il seme appena iniettato nel canale procreativo. Tuttavia, qualcosa nell'esistenza di Silvia non va per il verso giusto. A ossessionarla sono i ricordi della sua traumatica infanzia. Figlia di un marinaio, da bambina viveva con la madre. Questa, una fascinosa signora dalle chiome corvine, approfittando dell'assenza del marito si era tirata in casa un robusto energumeno dai tratti oltremodo grotteschi, tali da far apparire delicato anche il più rude ominide della più buia preistoria. Silvia è perseguitata da tremendi flash: vede il pitecantropo nell'atto di possedere carnalmente la madre, ancheggiando come un osceno priapo sempre martellante. Quando gli occhi del bruto incrociano quelli della bambina, si accende in lui una passione mostruosa. Così esce dalla vagina della donna e avanza verso la piccola Silvia, con il membro eretto e il volto stravolto dalla libidine più belluina. Lei non sta certo a subire violenza: afferra un paio di forbici e ferisce il mostro bucandolo sotto un occhio, facendolo arretrare urlante. Questo però non è tutto. Adirata con la madre, rea di essersi concessa a un uomo tanto ripugnante, la bambina la spinge giù dal balcone, facendola precipitare sulla ringhiera acuminata. La donna resta uccisa sul colpo. Proprio questo è l'atroce segreto che la bellissima Hacherman si porta dietro, anno dopo anno, cercando con ogni mezzo di seppellirlo negli antri dell'Oblio. Il punto è che non esiste sepoltura abbastanza profonda per simili aberrazioni, che risalgono come un cadavere gettato in una palude. Sconvolta dalla paranoia e dalla schizofrenia, Silvia non si rende conto che tutte le persone che la circondano nutrono nei suoi confronti attenzioni morbose e sospette. Il fidanzato, Roberto, ha sì un poderoso Schwanzstücker, ma non sembra capire quali voragini albergano nella sua donna: ha un comportamento molto futile in ogni occasione. Non lavorando e vivendo di rendita, il bellimbusto ha molto tempo libero. Accade così che un giorno invita Silvia a una cena per farle conoscere un caro amico, Andy, un elegante mandingo giunto dall'Africa. Questo Andy non è un selvaggio giunto dalla giungla. È un esponente dell'alta borghesia africana e un professore in una delle pseudoscienze più nocive: la sociologia. Silvia rimane colpita da un suo discorso sui riti stregonici, descritti come una realtà onnipresente e sinistra che pervade l'intero Continente Nero. Per Silvia è l'inizio di una discesa agli Inferi. Durante una partita a tennis con Andy, si punge un dito e non capisce che la ferita è il punto d'ingresso di un potente allucinogeno. La sua vita rimane sconvolta da orride visioni, così dense da sembrare reali. Si trova davanti a sé stessa da bambina, riuscendo a parlare e a interagire fisicamente con questa sua copia. In seguito fa la conoscenza di una sensitiva cieca che riesce a leggerle nel profondo dell'anima, minacciando di far emergere davanti a tutti gli orrori più reconditi. La situazione precipita, tanto che la povera Silvia arriva a credere di essere stuprata dall'energumeno, Nicola, e di averlo ucciso fracassandogli il cranio. Queste allucinazioni sono così destabilizzanti che in un crescendo la portano al suicidio. A questo punto si comprende una verità sconvolgente: tutti coloro che circondavano la morta erano adepti di una mostruosa setta cannibalica! Ci sono tutti, Roberto, Andy, l'anziano vicino petulante, la fiorista, la veggente cieca e molti altri. Rapiscono il suo corpo, lo denudano, lo collocano in un sotterraneo. Quindi il suo ventre, che un tempo tanti uomini avevano desiderato, viene squarciato da Roberto con un pugnale sacrificale. Andy strappa per primo un pezzo di fegato alla vittima, seguito da uno spiritato signor Rossetti che ne approfitta per abbuffarsi. Uno dopo l'altro, posseduti da una bramosia demoniaca, tutti immergono le mani nelle viscere della morta, prendendo ciascuno un boccone da ingurgitare. La medium si lecca le dita cosparse di sangue, persa in un sogno erotico. Finita l'orgia, la conventicola si disperde nelle tenebre dei cunicoli. 

 

Recensione:

Ritengo Il profumo della signora in nero un grande capolavoro horror e thriller. Purtroppo è stato a lungo sottovalutato dalla critica, che in non poche occasioni si è dimostrata più acida di un pastone gastrico. Soltanto in tempi più recenti hanno fatto la loro comparsa giudizi positivi. Girando nel Web mi sono imbattuto in una serie di recensioni, alcune molto stringate e puramente descrittive, altre più estese, che tuttavia sembrano tutte fotocopie dello stesso prototipo. L'argomento che ossessiona i critici a quanto pare è la supposta derivazione del film di Barilli da Rosemary's Baby (1968) di Roman Polanski. Sono considerate fonti di ispirazione anche Repulsion (1965) e L'inquilino del terzo piano (1976), sempre di Polanski, anche se le tesi addotte non mi sembrano molto convincenti. Altri recensori colgono differenze o analogie con qualche opera di Dario Argento, creduto il metro e la misura dell'horror. Sono esasperato da questo modo gratuito di commentare i film, come se esistessero sempre e soltanto in funzione di qualche legame esterno con opere ritenute più autorevoli. Gli argomenti che più interessano, ad esempio i riti africani e la natura della setta degli antropofagi, non vengono nemmeno sfiorati. Per molti sembra quasi un'ossessione la Roma deserta, estiva e straniante mostrata dal regista. Passa invece del tutto inosservato il carattere surreale dell'intera vicenda. Le allucinazioni che colpiscono Silvia, facendola sprofondare nel solipsismo, sono mostrate senza alcuna soluzione di continuità con la realtà dei fatti. In questo modo lo stesso spettatore non capisce nemmeno più cosa sia reale e cosa sia frutto della droga, perché gli organi di senso non percepiscono differenza alcuna nelle sequenze: soltanto l'inverosimiglianza degli accadimenti funge da campanello d'allarme. Notevole la scena in cui Silvia infrange l'immagine della madre sulla lapide, provocando la fuoriuscita di alcuni coleotteri neri - insetti di abitudini necrofaghe che non possono essere scaturiti dalla putredine contenuta nella tomba. Se devo essere sincero, sono molto scettico sull'esistenza di un allucinogeno in grado di provocare visioni indistinguibili dalla realtà di veglia, né credo che a Barilli interessasse davvero presentare qualcosa di plausibile. Trovo infine meritevole di nota la struggente colonna musicale, opera di un ottimo Nicola Piovani. 

 

Un conato di Africa reale in un mare di menzogne 

Senza rendersene conto, il sociologo Andy rompe un grande tabù. Parla delle grandi e moderne città dell'Africa. Si tenga conto che all'epoca in cui il film è stato girato, le convinzioni prevalenti in Italia sulla situazione dell'Africa subsahariana erano modellate dai mass media e dalla Chiesa Romana. Questi potentati avevano inculcato nelle plebi idee molto lontane dal vero. A sud del Sahara, a sentir la pretaglia e i giornalisti sciacalli, c'erano soltanto sconfinate foreste in cui vivevano poche tribù selvagge perennemente piagate da tremende carestie, dove nessuno poteva contare nemmeno su un boccone di pane. Nessuna nazione, soltanto villaggi. L'Africa era dipinta come un immenso lebbrosario, un luogo desolato in cui vegetavano soltanto bambini moribondi dal ventre gonfio di vermi. Nel '74 non si poteva dire, per nessun motivo, che nell'Africa Nera c'erano enormi metropoli con grattacieli svettanti. Quello di Barilli è stato forse un lapsus? Quale fosse la sua intenzione, di certo le parole sulle metropoli africane sono passate inosservate al pubblico e ai critici. Viene squarciato il velo su quella che giù allora era una realtà in turbolenta crescita, che avrebbe poi sversato in Europa le proprie eccedenze demografiche. Per sdrammatizzare, richiamiamo l'attenzione sull'uso della pubblicità occulta: il regista ci presenta Andy non lontano da una bottiglia di buon whisky J&B! 

 

Alcune note sull'esoterismo cannibalico 

Andy non è giunto in Italia su un barcone. Negli anni in cui il film fu girato non erano ancora iniziati i grandi flussi migratori dall'Africa. La presenza del bizzarro sociologo nel tessuto del film è dunque ancor più sorprendente. Un elemento incongruo, quasi erratico. Non dico che sia come vedere un marziano, anche se poco ci manca. Le chiavi di lettura della narrazione barilliana sono due. 

1) Andy è riuscito a trapiantare a Roma una setta di adoratori diabolici i cui riti sono eminentemente africani. Avrebbe quindi portato in Italia una realtà in precedenza sconosciuta.
2) Andy si è aggregato a una realtà autoctona, a dimostrazione che le sètte sataniche sono un fatto ubiquitario su questo pianeta, una realtà non etichettabile come esclusiva del contesto africano. 

La prima possibilità è quella che sembra più verosimile nel contesto del film. Si nota che a un certo punto Andy compare assieme ad alcuni suoi conterranei, che sembrano avere qualche ruolo nell'organizzazione settaria e nella sua diffusione. Anche la moglie del sociologo sembra svolgere una parte importante. Durante l'orgia cannibalica, è proprio Andy a porgere a Roberto il coltello con cui viene squarciato il cadavere della splendida Silvia Hacherman, svolgendo così un ruolo di primaria importanza. Secondo alcuni critici, il responsabile dell'attecchimento dei riti antropofagi a Roma sarebbe invece Roberto, uomo ambiguo e malvagio. La pellicola di Barilli non si sofferma troppo su questi aspetti cruciali. Resta un fatto a mio avviso grande come un macigno. Il cannibalismo non si trasmette come il raffreddore. Pur esistendo antropofagi in Europa, come in altre parti del mondo, il tabù nei confronti del consumo di carne umana resta fortissimo in gran parte della popolazione autoctona. Non è dimostrato che sia possibile spingere una persona che nutre orrore per gli atti cannibalici a desiderare di compierli. Ancor più difficile è pensare che gli abitanti di un condominio - tutti romani de Roma - possano essere convertiti in massa a una religione esoterica africana implicante ingestione di organi umani. Perché ciò possa avvenire, dovrebbero infatti adottare una visione della realtà e una religiosità a loro del tutto estranea. Fatte queste considerazioni, sono assai scettico sul presupposto centrale del film, che è la natura trasmissibile di riti cannibalici alloctoni. In questo senso, il finale mi pare allucinatorio quasi quanto la comparsa di Silvia bambina.


Le società segrete africane 

Senza dubbio è vero che in Africa esistono moltissime società segrete che praticano riti cruenti. In questa galassia di sètte, alcune hanno finalità politiche, altre hanno invece intenti di purificazione, altre ancora hanno tutte le caratteristiche di gruppi criminali. Non sempre è facile tracciare una linea di demarcazione. Resta però un fatto innegabile: queste sono organizzazioni la cui base è etnica. L'Africa subsahariana non è un fazzoletto di terra: comprende un enorme numero di popoli diversi tra loro. Così accade che ogni setta in genere inizia ai suoi riti soltanto membri della stessa etnia che costituisce la sua precipua ragion d'essere, potendo in taluni casi estendersi a qualche gruppo finitimo o arrivare a diventare tipica di una nazione. Solo per fare un esempio, si può citare la società dei Mau-Mau, una terribile setta politica che seminò il terrore in Kenya negli anni '50 fino ai primi anni '60 dello scorso secolo, combattendo una feroce guerriglia contro l'esercito britannico. Tra i Mau-Mau sono attestate pratiche atroci di cannibalismo e di tortura di animali: gli adepti erano convinti che sottoporre leoni e altre fiere a spaventose sevizie, bevendone il sangue, potesse trasfondere in loro forze soprannaturali, rendendoli invulnerabili alle pallottole. I Mau-Mau sono nati e cresciuti tra i Kikuyu, estendendosi soltanto in un secondo tempo tra gli altri gruppi tribali. In Congo esistono i seguenti gruppi settari: Nkamba, Nkanda, Nkimba (società religiose); Ikung, Malanda, Nda (associazioni sacerdotali); Mwaungu, Ngi (custodi di tabù e leggi); Ndembo, Mukanda (società di mutuo soccorso); Bweti (società politica). L'elenco è ben lungi dall'essere esaustivo. Se si volesse fare un censimento di queste associazioni nell'intero Continente Nero, sarebbe necessario compilare ponderosi volumi. Una trattazione a parte merita la religione voodoo, tipica dell'Africa occidentale ed esportata nelle Americhe nel corso dei secoli a causa della deportazione di un immenso numero di schiavi. Altamente esoterica e sincretica, questa religione mescola elementi cristiani a culti di demoni primordiali e pervade un grandissimo numero di sètte. Il potere del sangue versato vi riveste un ruolo fondamentale. La Nigeria attuale è tutta un brulicare di gruppi criminali di una violenza inenarrabile e impregnati di culti sanguinari di tipo voodoo. In genere si danno nomi inglesi e sono caratterizzati da una grande aggressività. Nel corso delle nostre vite assistiamo al preoccupante diffondersi di queste confraternite in Europa a causa degli imponenti flussi demici dall'Africa occidentale. Si può citare a questo proposito il caso raccapricciante di Pamela M. (RIP), del cui stupro e del cui smembramento sono stati accusati alcuni nigeriani. Non è assurdo ipotizzare l'appartenenza degli assassini a una pericolosa associazione; gli organi della ragazza uccisa, mai ritrovati, potrebbero essere stati divorati. Tuttavia va detto questo: non si è potuto dimostrare che anche solo una di queste maligne associazioni abbia mai iniziato anche soltanto una persona di etnia caucasica. In altre parole, siamo di fronte a un patogeno sociale le cui conseguenze ci possono uccidere, ma che non possiamo contrarre. Il desolante quadro della realtà dei fatti, pur includendo crimini oltremodo brutali e aberrazioni di ogni genere, si fonda su dinamiche alquanto dissimili da quelle che ci mostra Barilli nella sua pellicola.

 

Il meme della psiche che materializza 

Il Morandini definisce il presente film "Indigesto cocktail di psicanalisi, horror cruento e cinema esotico di spavento di un ex attore (...) che pur rivela un gusto figurativo non comune". Questo giudizio, non certo eulogistico, ha a parer mio il suo fondamento in una singolare credenza molto diffusa nello scorso secolo: le masse acefale avevano distorto la falsa scienza della psicologia, arrivando a credere che la mente umana, e in particolar modo il cosiddetto inconscio, avesse il potere di materializzare entità fisiche in carne ed ossa, dotate di codice genetico proprio come gli esseri viventi. Ecco così che l'inquietante bambina con l'aspetto di Silvia da piccola non sarebbe altro che il prodotto di una tale forza psichica. Anche la madre di Silvia e l'orrendo Nicola avrebbero questa origine. Negli anni '70 il pubblico trovava molto facile credere a un simile processo di formazione di entità fisiche dal nulla, cosa che ovviamente non ha in sé alcunché di reale. Questa superstizione ai nostri giorni sembra essersi molto affievolita, anche se non escludo che in futuro possa riprendere vigore.

 

Una traduzione discrepante

Il film può essere visto in streaming in Youtube, in italiano con sottotitoli in spagnolo. Mi è saltata all'occhio la differenza tra alcune parole del molesto Rossetti, interpretato da un ottimo Mario Scaccia, e la loro traduzione scritta. L'anziano signore, che si rivelerà un cannibale particolarmente efferato, a un certo punto dice: "Mi hanno messo in pensione". Dal tono della voce traspare una certa rassegnazione, ma nulla di che. La versione in spagnolo è invece un ben più drammatico "Me obligaron a retirarme". La spiegazione non sembra difficile. In Spagna non sussistono le aspettative messianiche nella pensione così tipiche dell'Italia. Mentre da noi il pensionamento è visto come una condizione paradisiaca, per i nostri cugini iberici a quanto pare è inteso quasi come una maledizione, come un obbligo, un grosso rospo da mandar giù con un abbondante cucchiaio di bicarbonato. Posso immaginare che gli spagnoli comprendano senza troppe difficoltà una verità di per sé evidente: quando si va in pensione si diventa invalidi e dementi. E si muore. Dopo lunga macerazione nella merda, in un gerontocomio. Da noi ci si culla nell'idea idilliaca che la pensione sia l'inizio di un cinquantennio di vita in perfetta salute. Sono cose che dovrebbero farci pensare.

giovedì 26 aprile 2018


ULTIMO RIFUGIO: ANTARTIDE
(VIRUS)
 

Titolo originale: Fukkatsu no hi (復活の日
       "Il giorno della resurrezione")
Titolo internazionale: Virus
Paese di produzione: Giappone
Lingua: Giapponese, inglese, francese, tedesco 
Anno: 1980
Durata: 156 min
Genere: Drammatico, fantascienza
Sottogenere: Apocalittico, postapocalittico,
      fantapatologia  
Regia: Kinji Fukasaku
Soggetto: Kinji Fukasaku, Kōji Takada,
     Gregory Knapp, dal romanzo di Saky
ō
     Komatsu (Fukkatsu no hi)
Sceneggiatura:
 David Koepp, Robert Towne
Fotografia: Daisaku Kimura
Montaggio: Akira Suzuki Shore
Musiche: Teo Macero, Rogers St. Johns, Lalo
     Schifrin
Scenografia: Gregory Knapp, Rogers St. Johns
Altri titoli:    
    Germania: Overkill – Durch die Hölle zur
           Ewigkeit
    Norvegia: Dødelig virus

Interpreti e personaggi   
    Glenn Ford: Presidente Richardson
    Robert Vaughn: Senatore Barkley
    Henry Silva: Generale Garland
    Chuck Connors: Capitano McCloud del 
         sommergibile Nereide
    George Kennedy: Ammiraglio Conway
    Olivia Hussey: Marit
    Bo Svenson: Maggiore Carter
    Edward James Olmos: Capitano Lopez
    Masao Kusakari: Dottor Shûzô Yoshizumi
    Tsunehiko Watase: Yasuo Tatsuno
    Isao Natsuyagi: Comandante Nakanishi
    Sonny Chiba: Dottor Yamauchi
    Kensaku Morita: Ryûji Sanazawa
    Toshiyuki Nagashima: Akimasa Matsuo
Budget: 2 milioni di ¥

Trama: 

Un giapponese esausto e coperto di stracci vaga per la cordigliera andina, diretto verso sud. A Machu Picchu entra in una piccola chiesa e la trova piena zeppa di scheletri. Sfinito dalla marcia, comincia a dialogare con un cadavere (o forse con il crocefisso?). La meta di quel viaggio sovrumano è la Terra del Fuoco, dove il nipponico ha un appuntamento con la sua amata. Inizia così la rievocazione degli eventi che hanno portato il pianeta alla distruzione. Tutto ha inizio nel 1982, quando uno scienziato della Germania Est, il dottor Krause, incontra alcuni agenti segreti statunitensi, dando loro una fiala contenente un patogeno esiziale detto MM88. Si tratta di un virus capace di aumentare in modo esponenziale la virulenza di qualsiasi virus o batterio con cui venga in contatto. Durante un'irruzione degli agenti della Germania Est, Krause viene ucciso. Gli americani fuggono in aereo, volando a bassa quota per non farsi scoprire, ma hanno un incidente sulle Alpi. Il velivolo precipita, la fiala cade e si rompe. Poco tempo dopo, inizia a Milano una pandemia devastante, chiamata "influenza italica", che si diffonde nel mondo intero menando stragi inaudite. All'inizio, la gravità della situazione non viene compresa fino in fondo. Gli ospedali sono intasati da un crescente flusso di persone infette, i medici sono sottoposti a un superlavoro massacrante, impossibilitati a staccare anche solo un attimo, finendo essi stessi con l'ammalarsi e morire. Presto si rivela la realtà delle cose in tutta la sua tragedia: su decine, su centinaia di milioni di pazienti non c'è un solo superstite! Anche se chiuso nella sua torre d'avorio, il presidente degli Stati Uniti Richardson langue malato: il contaminante non risparmia neppurre il Faraone e i suoi cortigiani. I giorni della classe dirigente americana sono contati. Pur nel delirio della febbre, Richardson riesce a capire che il genere umano può contare soltanto sui circa 850 coloni stanziati in Antartide, dato che il virus si disattiva a temperature inferiori ai -10 °C. Trasmette quindi un estremo messaggio alle basi antartiche, annunciando che tutto è ormai perduto, che la sopravvivenza della specie grava interamente sugli uomini di quegli estremi, fragili avamposti. La popolazione dell'Antartide, composta da scienziati e da tecnici, si stringe intorno all'ammiraglio Conway, comandante in capo della Palmer Station, abbandonando ogni traccia di nazionalismo e di rivalità per dare origine al Consiglio Federale dell'Antartide. Questo organismo è formato da americani, russi, argentini, norvegesi, giapponesi e da tutte le altre nazioni presenti sul continente ghiacciato. Subito si presenta una situazione difficile: un sottomarino russo, il cui equipaggio è in preda al contagio e già mostra sintomi evidenti, chiede il permesso di attraccare a Palmer Station. Il permesso viene negato senza indugio. Il sottomarino britannico Nereide, che si trova nelle stesse acque, interviene prontamente. Il suo comandante McCloud dà ordine di intercettare il sottomarino russo, distruggendolo. Il Nereide, essendo in navigazione da prima dell'esplosione della pandemia, ne è immune. Così McCloud e il suo equipaggio possono unirsi agli uomini di Conway. Ha inizio una serie di viaggi, in cui il Nereide raggiunge diverse capitali ormai deserte, osservandole tramite una specie di drone e constatando la presenza del micidiale patogeno nell'aria: ogni esplorazione da parte di persone in carne ed ossa è precluso. In Antartide tutto sembra andare per il meglio, anche se a un certo punto si presentano problemi dovuti al fatto che ci sono pochissime donne e un numero soverchiante di uomini. Si registra un caso di stupro, che viene spiegato come un meccanismo biologico che si attiva per garantire la sopravvivenza della specie. Si capisce che non è possibile mantenere la monogamia, così si decide che ogni donna debba avere rapporti con più uomini. Presto da queste relazioni nascono bambini, la nuova generazione dei superstiti. Un giorno accade un evento portentoso e funesto. La costa orientale di quelli che furono gli Stati Uniti viene colpita da un terremoto apocalittico. Questa è una grande criticità. Il geologo giapponese Yoshizumi prevede che nuove scosse ancor più potenti colpiranno Washington. Accortosi della previsione, ecco che Carter, un ex agente della CIA, fa sapere all'ammiraglio Conway qualcosa di terribile. Il sisma, simulando un attacco nucleare, farà scattare in automatico il sistema missilistico americano, facendo partire l'intero arsenale nucleare. Come reazione, una volta che i missili colpiranno l'Unione Sovietica, partirà a sua volta l'intero arsenale nucleare russo, portando all'Armageddon. Il punto è che la base di Palmer Station, fa sapere Carter, è stata inclusa tra i bersagli dai sovietici, essendo creduta una base missilistica. Scatta l'allarme generale. L'unica speranza è che qualche volontario si imbarchi sul Nereide, vada a Washington e disinneschi il meccanismo di risposta automatica. Per la missione si offrono Carter e Yoshizumi, che partono subito. Dato che le possibilità di riuscita sono scarse, le donne e parte del personale di Palmer Station si imbarcano su una nave rompighiacci destinata a raggiungere la Terra del Fuoco. Mentre il sottomarino viaggia verso l'America, il medico di bordo fa un'eccezionale scoperta. Il virus MM88, sottoposto alle radiazioni del reattore nucleare, si inattiva e permette la sintesi di un vaccino. Il compito di Carter e di Yoshizumi è ancor più gravoso: dovranno iniettarsi il vaccino per sperimentarlo sulla propria pelle, senza alcuna garanzia. L'esperimento riesce. Arrivati nel bunker nucleare, i due uomini stanno per disattivare il meccanismo di difesa nucleare automatica, quando una formidabile scossa di terremoto distrugge la base. Carter muore sul colpo e i missili partono. A questo punto si capisce che Yoshizumi è il giapponese coperto di stracci che trova gli scheletri nella cappella di Machu Picchu, essendovi giunto da Washington, diretto verso la Terra del Fuoco!   

Recensione:

Purtroppo sembra che la pellicola di Fukasaku riesca a raccogliere soltanto recensioni negative. Assai numerose sono le persone che ne dicono peste e corna, al punto che si notano nel Web addirittura incitazioni al rogo. Questo linciaggio ha luogo in un'epoca in cui quasi nessuno ha idee originali, visto che una gran mole di lavori consiste in squallidi rifacimenti e in simile immondizia. Quando qualcuno un'idea originale ce l'ha, come Ridley Scott ad esempio, gli mettono la corona di spine, lo frustano, gli fanno portare la croce sul Golgotha e ve lo inchiodano. Il produttore Haruki Kadokawa, già fondatore della Kadokawa Production Company, non lesinò sforzi per contrastare lo strapotere del cinema americano, che minacciava di annichilire le produzioni asiatiche ed europee. A un certo punto ebbe una grande visione e si convinse che una sola cosa poteva unire il mondo intero: il terrore dell'annientamento dell'umanità. Così acquistò i diritti del romanzo di Sakyō Komatsu, Fukkatsu no hi, allo scopo di trasfonderlo in un film. Il budget del progetto fu colossale, in assoluto il più grande mai impiegato nell'Arcipelago fino a quell'epoca. Eppure, nonostante questi ottimi auspici e l'ingente quantità di mezzi impiegati, il film fu un totale fallimento. 

Le radici del catastrofismo nipponico

La tragica sconfitta nella seconda guerra mondiale segnò per sempre l'anima del popolo giapponese. Fu tutto un susseguirsi di eventi apocalittici: i bombardamenti incendiari su Tokyo, le esplosioni atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Poi qualcosa di ancor più destabilizzante: l'Imperatore Hirohito rinunciò alla propria divinità, la bandiera imperiale col sole rosso perse i suoi raggi. Il periodo postbellico fu caratterizzato dalla necessità di ricostruire il paese devastato. Non soltanto di ricostruirlo, a dire il vero, bensì di fargli riacquistare il posto dovuto tra le potenze industriali mondiali. Fu richiesto a tutti di lavorare in modo forsennato, oltre le naturali possibilità di un essere umano. Noi guardavamo al Sol Levante e ci stupivamo dell'omologazione dei suoi lavoratori, degli alberghi le cui stanze erano cubicoli, delle aziende che procuravano persino la moglie ai dipendenti. Guardavamo, facevamo di tale realtà l'argomento di sketch grossolani, ma non capivamo la tragedia sottostante. Migliaia e migliaia di giovani morivano già allora di karoshi (ka "eccesso" + "lavoro" + shi "morte"), soltanto che la parola non la conosceva ancora nessuno. La vita era per quegli infelici come un dente cariato, come un cancro alle ossa. Insopportabile. Per il giapponese, l'Onore è tutto. La società è un insieme complesso di gerarchie rigidissime, in cui l'individuo soccombe davanti alla necessità e a convenzioni che noi non siamo nemmeno capaci di immaginare. Non è possibile alcuna via di fuga da questo peso spaventoso, se non il suicidio etico. Una via d'uscita che richiede eroismo e che non è da tutti. Così matura l'anelito a una soluzione che ponga termine allo strazio dell'esistenza annientando il mondo intero. Un deus ex machina che porti la Liberazione. Questo può essere un cataclisma geologico, come nel film Pianeta Terra: anno zero (di Shirō Moritani, 1973), che inizia a disgregare la spina dorsale del mondo, il Giappone, per poi condannare allo stesso fato tutti i continenti (non sarà poi un caso se il film di Moritani è stato tratto da un romanzo di Komatsu, proprio come Virus). Il deus ex machina può anche essere la contaminazione nucleare con tutte le sue inattese conseguenze: ecco così formarsi un mostro come Godzilla (in giapponese Gojira), che in inglese sembra quasi un "God Zilla". Se ci pensiamo, a salvare può essere qualsiasi cosa, purché non lasci speranza, almeno a lungo termine. Nel film di Fukasaku vediamo un insieme di cause della catastrofe finale. Un patogeno nato da tentativi di produrre un'arma biologica, che sintetizza lo strumento definitivo di morte. Il conflitto termonucleare, anche se scatenatosi in modo automatico, a causa della furia degli elementi. Infine, le scarse risorse genetiche della comunità superstite. 

Catastrofismo nipponico
e catastrofismo americano
 

Le genti del Giappone non credono nel Principio Antropico, proprio come non ci credo io. Non hanno alcun concetto di un Dio onnipotente e onnisciente, creatore di tutto ciò che esiste. Non hanno alcuna idea chiara e definita sull'oltretomba, anzi, non credono affatto che l'essere umano abbia in sé un principio in grado di sopravvivere alla morte. In poche parole, non esiste nulla in comune tra il Giappone e gli Stati Uniti d'America a livello di antropologia, di filosofia e di credenze religiose. Questo abissale divario si ripercuote, com'è ovvio, anche nel modo di intendere la catastrofe. Non nego affatto l'esistenza di menti eccelse tra le genti d'America, capaci di concepire cose che all'uomo comune sfuggono e di costruire scenari raggelanti senza via d'uscita. Né vado affermando che ogni film americano debba per forza avere lieto fine. Tuttavia, va detto che l'uomo medio americano ha un concetto piuttosto puerile: non può davvero concepire la fine del genere umano, perché l'unica cosa che può turbarlo è soltanto la minaccia dell'annientamento. L'immaginario dell'Homo americanus popola il pianeta di eroi in grado di rintuzzare ogni irrompere del Caos, restaurando la società normale composta da individui normali, che costituiscono famiglie normali facendo sesso in modo normale, cagando da vagine normali mocciosi normali destinati a diventare altri omiciattoli normali capaci soltanto di avere pensieri normali. Ecco quindi che sorge Capitan America, campione dei normali e affetto da proctofobia, quasi una versione imberbe e cristianizzata del Thor dei Vichinghi, sempre pronto a combattere per respingere i Giganti nei loro abissi, per far tornare sulla Terra il regno della torta di mele, del cane di nome Bill e della messa domenicale! Date queste premesse, si capisce facilmente come mai il pubblico americano non abbia affatto apprezzato un film come Virus, che è stato proiettato soltanto in un piccolo numero di cinema degli States, avendo suscitato reazioni furiose. La pellicola è quindi stata venduta alle televisioni via cavo, subendo pesantissimi tagli.    

La biologia della violenza sessuale

Fukasaku tratta un tema che non cessa di presentarsi a dir poco problematico, in Occidente quanto in Oriente: lo stupro. Solo parlare di questo argomento genera tuttora discussioni furibonde che non portano da nessuna parte, dato che imperano storture ideologiche di ogni tipo che impediscono la comprensione dell'origine del fenomeno. I settari psicologi non sono in grado di capire cos'è la violenza sessuale e quale sia il modo di porvi un freno. Eppure la spiegazione non è troppo difficile. Lo stupro non è un fatto socio-culturale, come continuano a ripetere le fanatiche femministe nei loro sproloqui. Sapete cos'è invece? È sistema limbico. È impulso rettiliano. Infatti le lucertole, che hanno solo il sistema limbico e sono sprovviste di neocorteccia, non possono trattenersi in alcun modo: ogni atto sessuale è per loro violento. Il maschio morde l'addome della femmina, la trattiene in questo modo mentre le inietta nella cloaca uno dei suoi due peni. Si capisce una cosa: gli stupratori sono individui in cui il sistema limbico azzera la neocorteccia e ne elude i meccanismi di controllo. Non esiste quindi alcuna misura politica, sociale o culturale che possa cancellare tale impulso. In un contesto come il nostro, l'unico sistema - seppur palliativo - sarebbe applicare supplizi atrocissimi, come quelli che si usavano nel medioevo, con finalità di deterrenza. Molto più difficile è pensare a una soluzione quando ci sono solo 8 donne su 855 uomini, a meno che non riesca a convertire all'omosessualità il maggior numero possibile di maschi. Fukasaku associa l'emergere dello stupro in condizioni estreme, quando la sopravvivenza della specie umana è a rischio, all'evoluzionismo di Darwin. Per quanto l'atto in sé sia ripugnante e abbia effetti devastanti, ha come fine la sola cosa che alla Natura interessa: la continuazione del genere umano. Se devo essere sincero, penso che un cicchetto di acido cianidrico a testa, col suo buon profumo di mandorla amara, sarebbe un rimedio molto più efficace a ogni sommovimento del genoma.

Progenie rachitica

Se a un'occhiata superficiale può apparire che il finale del film lasci qualche speranza, analizzando bene il problema si capisce che per i coloni antartici non c'è futuro di sorta, né in Terra del Fuoco o altrove. Immaginiamo anche che tutte le otto donne superstiti dell'umanità riescano ciascuna a sfornare una decina di macchinette urlanti e smerdanti. Immaginiamo che metà di questi mostriciattoli siano di sesso femminile. Sarebbero circa quaranta bambine, costrette a copulare con gli adulti appena giunta l'età del menarca, in un inferno di pedofilia e di incesto. In realtà, un conflitto termonucleare globale porterebbe contaminanti radioattivi dovunque, su tutto il globo, rendendo gli uteri delle sopravvissute ben poco fecondi. Se poi si considerano le mutazioni genetiche deleterie, si vede bene che la situazione, già drammatica con donne in salute e in grado di procreare bambini sani, sarebbe compromessa in modo irrimediabile. Si dimostra quindi, a partire dalla biologia e da quanto conosciamo, che l'epilogo descritto da Fukasaku è uno solo: l'Estinzione. Con ogni probabilità, il titolo Fukkatsu no hi, ossia "Il giorno della resurrezione", è da ritenersi ironico.