giovedì 12 luglio 2018

ABITUDINI ALIMENTARI AGGRESSIVE TRA I PASSERIFORMI

In Facebook frequento numerosi gruppi dedicati alla fauna, in particolare a rettili, uccelli, insetti e altri artropodi. Ogni tanto mi imbatto in interventi di estremo interesse. Il 16 maggio 2018 nel gruppo ERPETOLOGIA: Official Group - Rettili, Anfibi, Aracnidi ed Insetti è comparso un post di Flavio Brand sulle raccapriccianti abitudini dell'avèrla, un simpatico passeriforme che compie spaventose opere di tortura e di macelleria ai danni delle proprie vittime, che possono essere lucertole, rospi, topi, insetti e persino altri uccelli. In realtà non si tratta di un'unica specie, bensì di una numerosa famiglia, i Laniidae. Il nome scientifico di questi uccelli deriva dalla parola latina lanius, di origine etrusca, che significa "macellaio", "sacrificatore", "carnefice".


Riporto in questa sede il post che ha attratto la mia attenzione, seguito dai commenti degli utenti. Errori e refusi sono degli autori. 

Flavio Brand:
Chi potrebbe essere così spietato da impalare una povera ed innocua lucertola? Fortunamente l'uomo non c'entra nulla in questo caso... colui che commette questi efferati crimini é l'avérla, un uccello passeriforme denominato Falconcello.
Questo passerotto molto carino ma sanguinario, é lungo circa 18 cm e pesa dai 35 ai 70 grammi. Uno dei tanti uccellini che si sentono cinguettare sulle colline e sui centri a più di 2000 metri sul livello del mare.
Anche in Italia si trova in quasi tutti i boschi o nei campi del paese, tranne in Sicilia e nel Salento. L’avrete quindi visto durante una gita in campagna e ne avrete lodato la simpatia, perché probabilmente non sapete che l’avèrla è uno degli assassini più spietati in natura. È chiamato anche uccello macellaio per la sua abitudine tutta particolare di puntare le prede da una postazione di avvistamento e poi di infilzarle su di un rovo o su qualcosa di acuminato e mangiarle piano piano qualora le prede siano di grosse dimensioni.
Una rarità nel regno animale, in cui solitamente i predatori uccidono alla svelta, solo per sopravvivenza.
L'averla si nutre di piccoli topi, di lucertole, di cavallette, di insetti e persino di altri uccelli, mangiandoli un po’ alla volta dopo che li ha impalati sullo spiedo, che può essere il rovo di un roseto o il filo spinato.
L'avèrla uccide anche quando non ha fame, impalando le vittime per poi tornare in seguito a nutrirsene.
Ovviamente la tecnica di caccia dell'averla, per quanto spietata possa sembrare é un espediente trovato per sopperire alla mancanza di artigli che hanno i predatori piu grandi ed assicurarsi pasti sostanziosi.

Marco Moretti:
Che non sia un "espediente" lo dimostra il fatto che tali costumi non sono affatto comuni tra i passeriformi.

Davide Noviello:  
La definizione di passerotto è davvero fuori luogo per un'averla, visto che appartiene al genere Lanius, famiglia Lanidi e non ha alcuna parentela con i passeri. Il fatto che appartenga all'ordine dei passeriformi non la accomuna ai passeri, del resto anche i corvidi sono passeriformi, ma nessuno chiamerebbe passerotto una cornacchia.

Stefano Piccioli:
Anche Cince e Cinciarelle non scherzano in fatto di aggressività alimentare, specie durante il freddo delle stagioni invernali. Queste due specie non esitano ad attaccare e ad uccidere altri Passeracei, come gli Organetti, per perforarne il cranio e nutrirsi del loro cervello, organo ricchissimo in lipidi, utili a questi piccoli "assassini" per difendersi dal freddo...

Gianfranco Zrcadlo Russo:
ho visto molte foto in cui le cince d'inverno ripuliscono le ossa spolpate dei cervi abbandonate dai lupi... rosicchiano i resti di grasso...

Google, come tutti i poteri del mondo, cerca con ogni mezzo di nascondere tutto ciò che è scomodo, così non è agevole reperire materiale fotografico sulle azioni scellerate dei sadici volatili. Ovviamente, se ci si mette d'impegno, si riesce a trovare il modo di superare gli ostacoli. Per contemplare cose davvero truci, suggerisco questi link: 



Stupisce la foto di un'avèrla che ha impalato un pettirosso, ridotto a un batuffolo di piume. Per non parlare di una lucertola trafitta da una lunga spina, con gli occhi pietrificati dalla sofferenza, come se in pochi secondi avesse incontrato un fato peggiore di mille morti. Davanti a questi orrori, i materialisti non sono in grado di fornire una risposta convincente. Cercano di razionalizzare le peggiori atrocità, pretendendo ogni volta di ridurle a qualcosa di accettabile che esenti la Natura da ogni colpa e che impedisca alle genti di vedere nell'esistenza qualcosa di negativo. Una simile propaganda, che per decenni ha avuto in Piero Angela il suo apostolo, si potrebbe definire banalizzazione del Male. La sua matrice, mi sembra utile farlo notare, poggia sulle dottrine evoluzionistiche di Darwin. Tanto si è dimostrato pervasivo il martellamento mediatico e scolastico, che ne vediamo all'opera i frutti anche in persone che non si definiscono materialiste. Così ecco che Flavio Brand nega innanzitutto la natura crudele delle avèrle aguzzine, quindi attribuire le loro attitudini a qualcosa di futile: non avendo questi uccelli artigli sviluppati, eccoli costretti ad evolvere raffinate tecniche di tortura per potersi nutrire. L'assurdità di una simile opinione è di per sé evidente. Sarebbe come affermare che avendo Ted Bundy i nervi delle mani un po' deboli, si è visto costretto ad assassinare decine di ragazze, sodomizzandole da vive e da morte, seppellendole nei boschi e andando di notte ad aspirare i lezzi della loro putrefazione!

Questo è riportato nel Compendio del Dualismo Anticosmico (cap. 5) a proposito dei materialisti che si affannano a far cozzare nelle categorie del Darwinismo aspetti della realtà non riducibili alla mera biologica: 

«Essi agitano davanti a noi lo spettro di un Rasoio di Occam utilizzato male, ossia di uno pseudo-Rasoio di Occam, e poi forniscono per ognuna delle evidenze da noi mostrate una spiegazione diversa e del tutto inverosimile, negando alla radice proprio quello strumento concettuale che dicono di utilizzare. Essi balbettano di “educazione all’istinto di caccia” di fronte alla crudeltà delle orche e di “conseguenze di un’epidemia di peste bovina” o di “mal di denti” di fronte ai Mangiatori di Uomini di Tsavo. Biascicano di “conseguenze di una malattia virale” di fronte alle vespe parassitogene e di “schizofrenia” di fronte ai cannibali. Una data aberrazione sessuale sarebbe dovuta a una “strategia riproduttiva”, mentre una data altra sarebbe dovuta a “parestesia”, ossia a “errata interpretazione dei dati sensoriali”. Un dato fenomeno naturale è per loro dovuto a qualcosa di completamente dissimile da ciò che muove un fenomeno diverso: non hanno alcuna visione di insieme. Così biasimano noi perché ammettiamo Due Princìpi in quanto mossi dalla necessità effettiva, mentre loro si fanno beffe di ogni principio di economia di pensiero e sciorinano enciclopedie di teorie per spiegare quelle che sono soltanto le conseguenze di un’unica causa: il Male Metafisico

Su Quora il problema della definizione del Bene e del Male desta ancor più inquietudine che su Facebook, specialmente in rapporto alla Natura. C'è chi nega la validità di questi concetti: essi semplicemente non esisterebbero, sarebbero creazioni umane. Altri cercano con ogni mezzo di abbattere i loro confini definitori, affermando che ci sarebbe un po' di Bene nel Male e un po' di Male nel Bene. Però uno stiletto di ferro, piantato nel cranio, che folgora il cervello di una persona uscendo da un'orbita oculare e spaccando un occhio, non è possibile definirlo come qualcosa di buono. Non serve un atto di fede nel soprannaturale per definire il concetto di demone: è un essere che esiste al solo scopo di infliggere dolore ad altri esseri, chiamati vittime.

Note etimologiche:
i nomi vernacolari dell'avèrla

In italiano il nome avèrla presenta alcune varianti: avèlia, vèlia, vèrla. La regione da cui queste forme si sono irradiate è la Toscana, ove è presente anche la forma ghièrla. Ovviamente l'etimologia è ritenuta incerta dai romanisti. Stando al dizionario Treccani, l'avèrla cenerina è chiamata ghièrla gazzina. La connessione di questi bizzarri uccelli con le gazze è assai popolare, forse per via della livrea e del carattere vivace. Questo ci suggerisce anche il vero etimo della parola, che è dall'etrusco. Il prenome etrusco Vel, da un più antico Venel, nelle iscrizioni bilingui etrusco-latine è tradotto in modo quasi sistematico con Gaius (cfr. Facchetti, 2000). Lo stesso professor Facchetti ha pensato di tradurre il prenome Gaius con "Felice", dato che in italiano esiste il ben noto aggettivo gaio (dal provenzale gai "vivace"). Anche se nella lingua di Roma non è attestato un aggettivo con questo significato, è assai possibile che dovesse esistere tra il volgo, essendo riconducibile alla stessa radice di gaudeo "gioisco, godo" e di gaudium "gioia" (*gaw-, presente anche in greco). A parer mio Vel (arc. Venel) è da una parola etrusca con lo stesso senso. Non è improbabile che avesse anche il significato di "gazza": lo stesso italiano gazza è da un più antico gaia. Così Velia, usato come antroponimo femminile (la forma arcaica è attestata come Velelia su un vaso trovato a Tragliatella), potrebbe essere realmente il nome etrusco dell'avèrla. Sono convinto che si tratti di un vocabolo etrusco sopravvissuto in Toscana.

In inglese l'avèrla è detta shrike /ʃraɪk/, dall'anglosassone sċrīc /ʃri:k/. Il vocabolo è verosimilmente di origine onomatopeica, avendo poi perso questa caratteristica per via della naturale evoluzione fonetica. Risultano alcuni paralleli in altre lingue germaniche (svedese skrika "ghiandaia; urlare", tedesco Schrei "grido").  

La grande avèrla grigia (Lanius excubitor) è nota in Germania con vari nomi di supposta origine cristiana, come Warkangel, Werkengel, Wurchangel (una variante Werkenvogel è rifatta con Vogel "uccello"). Il significato dovrebbe essere quello di "angelo sterminatore", "angelo assassino", preferibile all'improbabile "angelo soffocante" riportato nella Wikipedia in inglese e altrove. In tedesco standard Wu¨rg(e)engel significa proprio "angelo sterminatore". Anche in Inghilterra, nello Yorkshire, ricorrono forme dialettali derivate dalla stessa fonte che ha dato origine ai composti tedeschi: war(r)iangle e weirangle (che indicano l'avèrla piccola, Lanius collurio). Un tempo questa denominazione era più diffusa: in Chaucer waryangle è un termine offensivo e l'avèrla è descritta come "piena di veleno". Il primo membro di queste parole è chiaro: antico alto tedesco warag, warg, warch "fuorilegge", anglosassone wearg "fuorilegge; lupo". Dato che le forme inglesi corrispondono a quelle tedesche, come possono avere origine cristiana? Dovrebbero essere state importate in Britannia dai Sassoni pagani, in un'epoca ben anteriore a quella della cristianizzazione della Germania! L'associazione al concetto di "angelo" sarà quindi dovuta a falsa etimologia. Percorrendo la Germania troviamo interessantissime vestigia pagane. Lungo il corso superiore del Reno è attestato l'epiteto Linkenom, forse "Sinistro Prenditore", per quanto si possa trattare di un'etimologia popolare. Le forme più interessanti sono tuttavia quelle che coinvolgono il numero nove: basso tedesco Neghendoer e medio alto tedesco Nünmörder, documentato attualmente nella variante Neuntöter, che è usato per designare Lanius collurio. Il significato è "che uccide nove (tipi di vittime)". Questo è un dettaglio della massima importanza, a quanto pare ignorato dagli studiosi, che fa riferimento alla somma importanza del numero nove nella religione pagana germanica. Si deve ricordare che nove erano i tipi di legno usati per celebrare i sacrifici (blót) nell'antica Scandinavia (cfr. poesia di Trollkyrka). In Germania l'avèrla (di qualsiasi specie) doveva essere sacra a Wotan per via della sua ferocia.

domenica 8 luglio 2018

CONTRO L'ABUSO DEL RASOIO DI OCCAM

I nostri avversari che professano idee materialistiche usano opporre alle nostre argomentazioni il cosiddetto Rasoio di Occam, uno strumento logico escogitato dal teologo inglese Guglielmo da Ockham (1288-1349), dell’Ordine di Francesco d’Assisi. Questo principio logico può essere formulato in diversi modi, che elenchiamo nel seguito:

1) A parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire
2) Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem (Gli elementi non devono essere moltiplicati più del necessario)
3) Pluralitas non est ponenda sine necessitate (La pluralità non deve essere considerata se non è necessaria)
4) Frustra fit per multa quod fieri potest per pauciora (È inutile fare con più cose ciò che può essere fatto con meno cose)

In altre parole, se di un evento esistono diverse spiegazioni possibili, non deve essere scelta quella più più ingenua o che affiora alla mente in modo spontaneo, bensì quella più ragionevolmente vera e che non richiede inutili complicazioni tramite aggiunta di altri elementi causali. Si tratta di una forma di economia di pensiero: se per spiegare un fenomeno non occorre postulare un determinato ente, è ragionevole non postularlo, essendo logico scegliere la soluzione più plausibile e semplice. Ad esempio, se si può descrivere il meccanismo di formazione dei temporali a partire dalle caratteristiche delle nubi e dell’atmosfera, questo è preferibile all’idea di ammettere l’esistenza del dio Thor dalla barba rossa che scaglia folgori con un martello chiamato Mjöllnir.

Il francescano inglese ha sistemato logicamente qualcosa che era già noto al pensiero scientifico del Medioevo, impostando la sua critica sulla concezione volontarista della Creazione. In contrasto con Tommaso d’Aquino, che riteneva il mondo creato da Dio sulla base di volontà e intelletto, Guglielmo di Ockham credeva che la Creazione fosse unicamente un atto di volontà. Per questo motivo egli ha enunciato il Rasoio, per eliminare i concetti relativi a regole e leggi naturali, come ad esempio la Sostanza e gli Universali.

I molti usi illegittimi del Rasoio di Occam

Naturalmente, Frate Guglielmo da Ockham non sarebbe stato affatto contento dell’uso che i moderni fanno del suo strumento logico. Infatti esso viene applicato in modo assolutamente dissennato, senza nemmeno operare un controllo sull’effettiva necessità della sua applicazione. Esso viene utilizzato come metodo per risolvere qualsiasi questione filosofica ritenuta insolubile. Esiste Dio? Non esiste, dicono i materialisti, perché non serve: il Rasoio di Occam dimostra che non è necessaria la sua esistenza per spiegare il mondo. Esiste l’anima immortale? Esiste lo Spirito? Non esistono queste cose, dicono i materialisti, perché sono del tutto inutili: il Rasoio di Occam dimostra che un corpo funziona bene anche senza qualcosa di metafisico che lo faccia muovere.

Ad essere criticabile è proprio l’uso disinvolto del Rasoio di Occam, che dimostra la pochezza intellettuale di chi lo compie. Infatti di questi tempi esso è interpretato falsamente ed enunciato in questo modo:

1) La spiegazione più semplice è da preferire
2) Entia non sunt multiplicanda (Gli elementi non devono essere moltiplicati)
3) Pluralitas non est ponenda (La pluralità non deve essere considerata)
4) Frustra fit per multa aliquid (È inutile fare qualsiasi cosa con più cose)

Come si può osservare, è stato tralasciato qualcosa di fondamentale. Per quanto Frate Guglielmo sia stato chiaro ed abbia usato un linguaggio comprensibile, questo è ciò che di lui è arrivato ai contemporanei. Non viene compiuta quindi alcuna verifica sull’effettiva necessità di applicazione del Rasoio. Se si ignora il grado di complessità dell’argomento che si sta trattando, si corre il concreto rischio di eliminare informazioni cruciali.

Alcuni esempi dallo studio delle lingue

Nella lingua olandese esistono due interessanti parole: “Schande”, che significa “vergogna”, e “Schandaal”, che significa “scandalo”. Applicando il Rasoio di Occam senza disporre di altre informazioni, è naturale dedurre che “Schandaal” sia un derivato di “Schande”, che le due parole siano cioè imparentate tra loro. Questo non è tuttavia vero. Mentre “Schande” è un termine di origine germanica, “Schandaal” è derivato dal Greco del Nuovo Testamento “skandalon”, che significa “pietra d’inciampo”. Questo è un esempio di uso errato del Rasoio di Occam.

Nella lingua tedesca la parola “arm” significa “povero”. Così si dice “Dieser Mensch ist arm”, che significa “Quest’uomo è povero”. Orbene, in alcuni dialetti della stessa lingua esiste anche la parola “Armosen”, che significa “elemosina”, e che nell’idioma standard suona invece “Almosen”. Stando ai materialisti, se si considerasse soltanto l’ambito di un dialetto che ha “Armosen”, chi oserebbe negare che le due parole abbiano la stessa origine, visto che indicano entrambe qualcosa che ha a che fare con il concetto di povertà? Semplicità vorrebbe che questo “Armosen” sia un figlio naturale di “arm”, così come “Spirituosen”, che significa “alcolici” è un figlio naturale di “Spirit”, che significa “alcool”. Stesso suffisso, stessa procedura di derivazione: non possono esserci dubbi. Invece non è così, come già risulta evidente considerando la variante “Almosen”. È dimostrato che queste parole sono derivazioni del Greco del Nuovo Testamento “eleēmosynē”, che significa “questua”, e che deriva dal verbo ellenico “eleéō”, che significa “ho compassione”.

Esiste in Messico una città che è chiamata Cuernavaca. Nulla di più naturale che vedervi una derivazione dalle parole spagnole “cuerno”, ossia “corno”, e “vaca”, ossia “vacca”, entrambe di chiara origine romanza e derivate dal Latino “cornu” e “vacca” rispettivamente. Per chi considera la lingua spagnola parlata in Messico come un sistema isolato, questa etimologia sarà ineccepibile. Invece il toponimo deriva dal Nahuatl “Cuauhnahuac”, che significa “Vicino agli Alberi”: nella lingua parlata dagli Aztechi “cuahuitl” significa “legno” e “albero”, mentre “nahuac” è un suffisso che indica il concetto di vicinanza. Una persona che ignora la lingua Nahuatl, applicando il Rasoio di Occam in modo improprio e superficiale, arriva senza dubbio a proferire il falso.

Esite una tradizione radicata quanto falsa che attribuisce ai Rom e ai Sinti origini egiziane. Per questo tali genti hanno ricevuto il nome di Gitani, ossia Egiziani. Orbene, il termine che essi usano per designare l’uomo della propria etnia è “rom”. Sapendo che nella lingua Copta, che è erede dell’Antico Egizio, uomo si dice “rōme”, un osservatore superficiale potrebbe essere tentato di ritenere la consonanza significativa, e applicando il Rasoio di Occam ritenere inutile ogni ulteriore discussione. Ma noi sappiamo, conoscendo qualcosa di più del lessico della lingua dei Rom e di quella Copta, che il modo simile di indicare l’uomo è frutto di mera coincidenza. Basti allo scopo un breve elenco. In Romani “pani” significa “acqua”, che in Copto è “mou”. In Romani “iag” significa “fuoco”, che in Copto è “krōm”. In Romani “phu” significa “terra”, che in Copto è “to”. In Romani “kham” significa “sole”, che in Copto è “rē”. In Romani “chhon” significa “luna”, che in Copto è “iooh”. In Romani “kasht” significa “legno”, che in Copto è “she”. In Romani “phral” significa “fratello”, che in Copto è “son”. In Romani “rat” significa “sangue”, che in Copto è “snof”. In Romani “me” significa “io”, che in Copto è “anok”. In Romani “oi” significa “egli” o “ella”, mentre in Copto “egli” è “ntof” e “ella” è “ntos”. È diversa a fonetica, è diversa la grammatica, sono diversi i vocaboli, i pronomi, i numerali: non esiste nulla in comune.

Un esempio dallo studio della matematica superiore

Esistono rapporti tra numeri che non danno esito definito, e per questo sono conosciuti col nome di “forme di indecisione”. Così ad esempio, se si divide una quantità tendente a zero per un’altra quantità tendente essa stessa a zero, non si ottiene alcun risultato determinabile eseguendo il suo limite. Allo stesso modo se si divide una quantità tendente a infinito per un’altra quantità tendente essa stessa a infinito.

Esiste uno strumento matematico noto come Teorema di De l’Hôpital, che permette in alcuni casi di risolvere queste forme di indecisione. Verificate certe condizioni sulle funzioni in questione, quando hanno forma di quoziente, detto teorema stabilisce che se si applica una procedura chiamata “derivazione” al numeratore e al denominatore del quoziente analizzato, si ottiene un numero che è eguale al quoziente del numeratore e del denominatore di partenza. Così, se con usando il Teorema di De l’Hôpital si ottiene un numero finito, ecco che la forma di indecisione può dirsi risolta.

Per queste sue caratteristiche in grado di trarre dall’imbarazzo il matematico in certe occasioni, ecco che il Teorema di De l’Hôpital ha acquisito fama immeritata ed è diventato tra gli studenti di Fisica e Matematica una specie di bacchetta magica, una panacea a loro detta in grado di risolvere ogni problema. Dall’uso si è giunti presto all’abuso: ecco studenti pronti ad utilizzare De l’Hôpital per risolvere i limiti di qualsiasi quoziente di funzioni, anche dove non esiste forma di indecisione – ed è dimostrato che in simili casi il numero fornito applicando tale teorema non è necessariamente quello corretto.

Riporto qui il caso di un professore ingegnoso che metteva alla prova gli studenti spingendoli ad usare al posto di De l’Hôpital uno strumento in apparenza difficile ma sicuro: lo sviluppo di Taylor di una funzione. Egli insegnava ad usare la testa, ma era visto come una specie di carnefice dagli studenti, che si sentivano defraudati della sicurezza offerta dal Dogma di De l’Hôpital. Il professore dava come problemi da risolvere quozienti di funzioni in cui usando De l’Hôpital si passava con gran fatica da una forma di indecisione ad un’altra, senza ottenere nulla. Così, andando in marasma, i candidati sbagliavano sempre nell’appicare gli sviluppi di Taylor, decomponendo le funzioni del problema in un numero troppo basso di addendi. Trascurando addendi importanti, in grado di svolgere una funzione determinante sull’approssimazione, ecco che fallivano miseramente, ottenendo numeri errati. Uno studente introverso, foruncoloso e schernito come “nerd”, ha capito – solo tra tutti – che se si scomponevano le funzioni in un gran numero di addendi, superiore ad esempio a dieci, non si sbagliava mai: si otteneva sempre il corretto limite, il numero richiesto.

Ecco come l’applicazione di un teorema in modo troppo disinvolto può traviare e condurre lontano dal Vero. 

Sono da preferire le teorie che spiegano più fatti

1) Immaginiamo di avere due teorie X e Y, in grado di spiegare quanto avviene nei due domìni A e B. La teoria X spiega ciò che avviene in A, la teoria Y ciò che avviene in B. La teoria X è più semplice della teoria Y, ma il dominio A è più piccolo del dominio B ed è in esso contenuto. Ossia, la teoria Y, più complessa di X, non solo spiega tutto ciò che ricade nel dominio A, ma anche altri fenomeni che X non può spiegare, perché B contiene A. La teoria Y, per quanto più complessa di X, deve essere preferita, perché rende conto di quanto accade nel dominio più vasto. Per poter applicare il Rasoio di Occam si deve avere parità di fattori.

2) Immaginiamo di avere n teorie a, b, c, …, che spiegano quanto avviene nei domini A, B, C,… Queste teorie sono, presa una per una, estremamente semplici, ma non hanno nulla in comune tra loro, in quanto pretendono di spiegare fatti diversi tra loro ricorrendo a cause dissimili. Immaginiamo ora di avere una teoria X, complessa ma capace di spiegare tutto ciò che avviene nei domini A, B, C, …, riducendo ogni fenomeno ivi studiato ad un’unica causa. Ecco che la teoria X, per quanto sia più complessa delle teorie a, b, c,…, deve essere ad esse preferita.

Non è possibile comprendere un sistema stando al suo interno

Si dice che gli antichi adoratori di Mithra ritenessero che i loro templi sotterranei, detti Mitrei, altro non fossero che raffigurazioni dell’Universo visto dall’esterno. Così in ognuna di queste cripte vi era una stele commemorativa che rappresentava il Dio Mithra in forma di giovane soldato in atto di uccidere un grande toro bianco, dando origine al Cosmo. Dal sangue scaturente dal dorso del Toro Cosmico trafitto dalla spada si formavano così spighe di grano, e i rivoli di fluido venivano lappati da un cane e da un serpente, mentre uno scorpione attaccava i genitali della vittima. Un corvo stava accanto al Dio, mentre i due Portatori di Torce, Cautes e Cautopates, rappresentavano rispettivamente il sole nascente e quello tramontante. Molte di queste reliquie della religione di Mithra possono tuttora essere viste, perché dopo l’epoca di Costantino le cripte sono state murate allo scopo di impedire saccheggi e si sono così conservate fino ai nostri giorni.

Hanno forse i materialisti una visuale privilegiata dell’Universo fisico? Guardano forse essi il mondo dall’esterno? No di certo. Usano forse essi parole di un altro Universo per spiegare le miserie di questo? No di certo. Non possono farlo. Quando si chiede loro cosa significhi “vedere”, essi possono soltanto rispondere che “vedere” equivale a “percepire la realtà circostante servendosi degli occhi, dei nervi ottici e dell’area del cervello preposta al senso della vista”. Spiegano cioè la “zuppa” definendola “pan bagnato”. La realtà del fenomeno che si chiede loro di descrivere non è minimamente spiegata. Possono essi spiegarla davvero ricorrendo a molte parole dove nella vita quotidiana se ne usa una sola? No di certo: la loro spiegazione fa riferimento – come ogni spiegazione concepibile – a mattoni fondamentali che sfuggono a ogni ulteriore analisi. Atomi di pensiero, dove la parola “atomo” deve essere intesa nella sua etimologia greca che rimanda al concetto di “indivisibile”.

Non è possibile dirimere una questione di cui si ignorano i fattori

Non è affatto lecito utilizzare il Rasoio di Occam allo scopo di risolvere questioni a cui la Scienza dei materialisti non è stata in grado di trovare una risposta. Il fatto che la risposta non sia stata trovata applicando il Metodo Scientifico significa che non sono state trovate prove irrefutabili capaci di decidere la questione. Così si deve ammettere che non si conoscono i fattori, e che pertanto il Rasoio non può essere applicato. Se non si è in grado di dare una definizione di ‘autocoscienza’, non si può pretendere che questa sia generata dal cervello e dalla sua neurochimica. Ora per quanto i materialisti si sforzino, non esiste nessuno tra loro che sia capace di definire l’oggetto delle questioni insolubili che affliggono la filosofia. Cos’è l’esistenza? Non essendo possibile dare una definizione dell’esistenza stando all’interno di ciò che esiste in questo universo, come potrà essere stabilito che non è necessaria una causa per l’universo stesso? Cos’è la percezione? Ogni possibile risposta si trova per necessità nell’ambito stesso della percezione. Pertanto, tutto ciò che i materialisti possono affermare a questo proposito pertiene alla sfera del metalinguaggio.

Il materialista e il televisore

Immaginiamo uno scienziato materialista in un remoto pianeta ove si trova un gigantesco televisore. Questo apparecchio ha uno schermo incastrato in una grande parete nera, tanto che nessuna sua componente interna è visibile a coloro che visitano il pianeta. Il televisore trasmette film e telegiornali di lontane galassie, ma il materialista non può comprendere quale sia la sorgente delle trasmissioni. Per noi, tutto è chiaro: il televisore è alimentato da corrente elettrica che viene prodotta in qualche recesso del pianeta e che alimenta l’apparecchio tramite una presa e dei cavi, in grado di far funzionare lo schermo. Senza questo flusso di corrente elettrica, il televisore non può funzionare. Allo stesso modo, esiste da qualche parte una sorgente di onde elettromagnetiche che il televisore riceve e decodifica, convertendole in immagini sul video e in parole che escono dal microfono. Senza la stazione che invia segnali video e audio, e senza un decodificatore, il televisore non potrebbe in alcun modo funzionare, seppur alimentato correttamente con il flusso di corrente elettrica: il video sarebbe nero e nessun suono intellegibile uscirebbe dall’altoparlante. Il materialista, non potendo indagare sull’origine della corrente elettrica che mantiene acceso il televisore, né tanto meno sul campo elettromagnetico oscillante che codifica immagini e parole, arriverebbe alla conclusione che l’apparecchio genera da sé la propria capacità di funzionare. In nome del Rasoio di Occam, ecco che i lontani generatori e la rete elettrica non sono necessari, ne viene dunque dichiarata l’inesistenza. Ecco che coloro che assemblano i programmi e li trasmettono nello spazio siderale sono mera fantasia, perché ammetterne l’esistenza è cosa troppo complicata. Dato però che il televisore esiste e che trasmette immagini e suoni la cui esistenza non può essere negata – in quanto oggetto dei sensi – ecco che il suoi funzionamento è dichiarato un prodotto del caso o della selezione naturale di elementi dapprima inerti che hanno acquisito un’inesplicabile animazione senza alcuna causa riconoscibile. Così se un uomo saggio spiega al materialista che antichi uomini hanno portato sulla desolata superficie del pianeta quella macchina, e che una civiltà di un lontano mondo madre tuttora trasmette film e documentari che vengono captati, ecco che il materialista insorge, pieno di furia, dichiarando ‘folle’ il saggio. I limitati sensi del materialista non scorgono le parti che costituiscono il televisore, e parimenti egli non ha nozione della civiltà che diffonde le trasmissioni, così dichiara entrambe le cose inesistenti – anche se esse sono dotate di una concreta esistenza a dispetto di ogni dissennato giudizio.

Le obiezioni dei nostri avversari materialisti a un simile argomento sono numerose. Essi dicono ad esempio che il cervello deve essere la sorgente prima dell’autocoscienza, perché se un suo qualsiasi componente subisce danno, la percezione stessa si altera o scompare del tutto, mutandosi la coscienza del paziente colpito in uno stato crepuscolare o in coma. A questa obiezione possiamo facilmente controbattere, affermando che il cervello è qualcosa che permette l’autocoscienza, che le rende possibile dimorare nel corpo, ma che non è la sua causa prima. Se infatti un componente di un televisore, di un computer o di altra simile macchina va in avaria, tale macchina smetterà di funzionare. Eppure è sotto gli occhi di tutti che tale macchina è solo un mezzo e non l’origine di quanto compie. I materialisti confondono l’utente di un televisore o di un computer con l’apparecchio da lui usato. Il fatto che un componente di un televisore o di un elaboratore si rompa non significa che la rete elettrica è venuta meno, né che a subire il danno sia stato l’utente stesso.

Corpi senz’anima e falsi uomini di Scienza

Può il materialista enunciare in modo chiaro il problema che affligge la Scienza e si vuole risolvere in questa sede? No. Si vede soltanto totale ignoranza del problema stesso. Come si può pretendere di radere la complessità e di ridurre ogni cosa alla spiegazione più elementare se non si conoscono neanche le ipotesi? Abbiamo a che fare con falsi uomini di Scienza, che non seguono alcuna logica rigorosa e che pretendono di sentenziare senza neppure enunciare i termini del problema. Cos’è necessario? Cos’è superfluo? Essi dicono: “Un corpo senz’anima funziona altrettanto bene di un corpo dotato di anima, quindi non è necessario avere un’anima perché un corpo funzioni”. Se però si chiede loro di definire il concetto di anima e di spiegare come il funzionamento di un corpo avviene in concreto, non sono in grado di farlo. Noi vediamo che a un televisore o a un computer è necessaria corrente elettrica per funzionare, altrimenti abbiamo solo inutili carcasse metalliche e plastiche senza barlume di attività propria. Questo perché i televisori e i computer che utilizziamo sono stati costruiti dalla nostra civiltà e conosciamo a grandi linee i principi secondo cui funzionano. Come possiamo quindi, messi di fronte a macchinari costruiti e concepiti da altri, dichiarare con arroganza che non esiste la fonte del loro funzionamento, alimentandosi essi da sé ed essendo stati plasmati senza causa? Prima di far agire il Rasoio di Occam noi dobbiamo investigare ciò che compone l’oggetto del nostro studio e trovare una serie di possibili risposte ai nostri interrogativi – da vagliare con attenzione. I materialisti non agiscono in questo modo: usano uno pseudo-Rasoio di Occam con arroganza e fanatismo, come crociati in una guerra di religione, e reagiscono in modo furioso ad ogni critica. Questo loro modo di procedere si è ormai consolidato in una vera e propria medodologia stereotipa.

Enti complessi devono avere cause complesse

Qualcuno obietterà che non si può paragonare un essere umano a un televisore o a un computer, in quanto si tratta di realtà completamente dissimili che non funzionano allo stesso modo. Infatti le persone nascono dall’accoppiamento di altre persone di sessi diversi, perdendosi la genealogia nella notte dei tempi, mentre le macchine sono assemblate da artefici umani a partire da componenti fatti di materia inanimata. In altre parole, un essere vivente sarebbe il naturale prodotto delle leggi dell’Evoluzione, mentre il manufatto è artificiale e non avrebbe in Natura alcuna esistenza. Tuttavia si vede che un essere vivente, come ad esempio una persona umana, è infinitamente più complesso di un televisore o di un computer. Essendo i viventi tanto complessi, devono per necessità avere cause complesse, che non è facile determinare seguendo filosofia o metodo scientifico. Pertanto, dato che le cause sono complesse e che ci sfuggono i fattori che le definiscono, risulta provata una volta di più l’illegittimità dell’uso del Rasoio di Occam come strumento risolutore.

Non si può usare il Rasoio di Occam per negare che un evento abbia una causa

Molti nostri avversari, che hanno nome di materialisti, sostengono che la creazione dell’universo fisico abbia avuto luogo a partire da un evento simile in tutto a un’immensa deflagrazione, a cui attribuiscono il nome di Big Bang. Tuttavia, quando essi sono interrogati sulla natura esatta di tale evento cosmico, rispondono che non ha avuto causa alcuna, e che anzi non ha senso domandarsi cosa ci fosse prima di detta deflagrazione. Essi sostengono che dal Big Bang hanno avuto origine le leggi fisiche, oltre a tutti i parametri matematici e le caratteristiche geometriche che definiscono in mondo in cui viviamo, e che sono uguali in ogni luogo del Cosmo, dalla Terra fino ai quasar più remoti. Seguendo quanto Aristotele ci insegna, tutto ciò deve per necessità avere una causa. Eppure i materialisti, per non dover ammettere la necessità di un Artefice, sorprendentemente affermano che tutte queste leggi fisiche si sono formate senza alcuna necessità di una causa qualsiasi. Interrogati sull’argomento ed esortati a fornire informazioni più approfondite, essi sostengono che il Rasoio di Occam è proprio ciò che rade la necessità del Fattore del Cosmo, in quanto le leggi fisiche, nate da sé senza causa dal Big Bang, spiegherebbero altrettanto bene il funzionamento di ogni cosa, visibile ed invisibile. Purtuttavia, se una legge fisica si trova ad operare nel mondo sensibile, e il suo funzionamento esatto è provato dall’applicazione del Metodo Scientifico, come possiamo concepire che la sua esistenza non scaturisca da sorgente alcuna? Possiamo noi definire detta legge “priva di causa” solo perché il Metodo Scientifico stesso non ci consente ancora di esplorare il suo universo d’origine? I nostri organi di senso e i nostri strumenti di indagine non possono sondare ciò che vigeva prima del Big Bang, ma affermare che da questa impossibilità derivi l’inesistenza è pura e semplice stoltezza. Anzi, l’idea dei materialisti viene ora ad assomigliare molto a quella di coloro che ammettono per dogma la Creazione dal Nulla ad opera di Dio, visto che essi pensano di risolvere il problema dell’assenza di causa chiamando “Dio” una particella che a loro detta causerebbe la coesione di tutta la materia e l’energia del Cosmo. Altri di loro affermano che debba invece chiamarsi “Dio” l’insieme delle leggi fisiche, scaturite appunto dal Big Bang, ingannando così le genti con un ambiguo metalinguaggio. Etichettando eventi e prodotti di una causa sconosciuta, di cui negano l’esistanza, con il nome fittizio di “Dio”, che i Monisti attribuiscono a detta causa, credono così di aver risolto ogni problema. Questo occorre riconoscere, che a un simile imbroglio verbale e a una simile insipienza non si deve dare il nome di Metodo Scientifico, dacché si tratta invece di un grave abuso delle facoltà razionali dell’essere umano. Si dovrà una volta di più chiamare Arroganza l’uso dello pseudo-Rasoio di Occam volto a negare l’esistenza delle cause degli eventi.

Compendio del Dualismo Anticosmico, cap. 5 - Obiezioni al Dualismo, loro confutazione

giovedì 5 luglio 2018

IL CERVELLO DI BOLTZMANN E L'USO ABUSIVO DELL'IPOTESI ERGODICA

Chi ha mai sentito nominare il cervello di Boltzmann? Pochi, immagino. Con questa locuzione non si intende la materia grigia un tempo contenuta nell'augusta scatola cranica del geniale fisico austriaco Ludwig Boltzmann (1844-1906), da lungo tempo ridotta in polvere. Il nome di cervello di Boltzmann indica un'entità autocosciente, ovviamente ipotetica, formatasi casualmente a partire da una fluttuazione statistica in un universo in morte termica. Vediamo di capire meglio il concetto.

Il secondo principio della termodinamica afferma che in un sistema isolato lontano dall'equilibrio termico, l'entropia aumenta nel tempo in modo irreversibile. Questo aumento è destinato a continuare fino al raggiungimento dell'equilibrio termico del sistema stesso, che non scambia energia e materia con l'esterno. L'entropia è una misura del disordine presente in un sistema fisico e ha le dimensioni di un'energia divisa per una temperatura: la sua unità di misura è Joule/Kelvin. L'enunciato matematico del principio in questione è il seguente: 

ΔS ≥ 0

dove ΔS è la variazione di entropia nell'unità di tempo, che non è mai negativa. Vale la relazione ΔS = ΔQ/T, essendo ΔQ la quantità di calore scambiata nell'unità di tempo alla temperatura T. Possiamo dire che in qualche modo il calore si degrada e va ad aumentare il moto disordinato degli atomi nella materia, diventando inutile ai fini di produrre lavoro. L'entropia è proprio questa parte di calore degradato, che non possiamo più utilizzare - ossia convertire in altre forme di energia, come ad esempio quella meccanica.

Essendo possibile definire l'universo come un sistema isolato, si deduce che la sua entropia aumenterà fino al raggiungimento di uno stato di equilibrio che possiamo definire morte termica. Una volta raggiunta la morte termica non potranno più verificarsi scambi di calore tra le parti del sistema, essendo tutto il calore disperso ed essendo quindi impossibile usarlo per compiere lavoro. L'inquietante domanda di Boltzmann è dunque questa: "Come mai l'universo non ha ancora raggiunto le condizioni di equilibrio, ossia di morte termica?" 

Certo, Rovelli farebbe meglio di me. Proverò comunque a spiegare come stanno le cose, usando i mezzi più efficaci a mia disposizione.

Nel mondo ideale di Piero Angela esistono soltanto trasformazioni reversibili. Se ad esempio si fa scorrere all'indietro la sequenza filmata del moto uniformemente accelarato di un corpo, si ottiene un'altra sequenza, di un moto uniformemente decelarato, che non viola alcuna legge ficisa. I corpi, detti mobili o gravi, non hanno struttura interna, sono indeformabili, non possono essere scalfiti o infranti, non sono nemmeno composti da atomi. Sono corpi ideali e ogni cambiamento in un simile mondo dei Puffi è parimenti ideale. 

Chiunque capisce che se da un corpo ideale passo a un corpo reale, gli esempi fatti da Piero Angela non valgono più. Se lascio cadere un bicchiere, causandone la rottura, accade una cosa mirabile: facendo scorrere all'indietro la sequenza filmata dell'evento, ottengo un'altra sequenza, che non ha senso alcuno. I cocci di vetro tornerebbero infatti a comporsi spontaneamente, fino a riformare il bicchiere infranto. Allo stesso modo, se ingurgito una decina di brioche, le digerisco e defeco, la sequenza inversa mostrerebbe le feci strisciare come serpenti, salire nel mio ano, farsi strada nell'intestino e riformare le brioche ingerite, che sarebbero infine rigurgitate tornando integre. Qualcosa non quadra, è evidente.  

Il moto uniformemente accelerato spiegato agli studenti da generazioni di insegnanti non esiste in condizioni reali. Un corpo dovrebbe muoversi nel vuoto assoluto per non incontrare resistenza. Nella realtà dei fatti, si manifesta questa resistenza, detta attrito. L'attrito genera calore, ossia provoca la trasformazione dell'energia cinetica in energia termica. Come conseguenza, il grave decelera fino a fermarsi. 

Questa discrepanza tra il mondo di Piero Angela e la realtà fisica osservabile ha le sue radici proprio nel secondo principio della termodinamica, da cui scaturisce la freccia del tempo. Dopo aver affermato in lungo e in largo che il tempo nelle equazioni fondamentali della Natura non lo si trova, lo stesso Carlo Rovelli è stato costretto ad ammettere che esiste una notevole eccezione: dovunque compaia l'entropia. Proprio lì il tempo c'è, eccome! Anzi, si può dire che ne venga generato.

Entropia, attrito, dispersione del calore, degradazione dell'energia, irreversibilità! I sistemi naturali sono assai complessi e non possono essere descritti con gli strumenti concettuali di un liceale. Può sembrare lapalissiano, eppure non si insisterà mai abbastanza su questo punto. Come può un meccanico classico descrivere un organismo come un cavallo? Approssimandolo a una sfera rotolante, come in una famosa barzelletta che circolava quando studiavo all'università. Facendo così perderà informazioni e non potrà codificare un numero incalcolabile di caratteristiche del cavallo stesso. Eppure si possono capire molte cose usando la termodinamica. Il corpo di un animale, umani inclusi, si manterrà in condizioni ben definite di bassa entropia ingerendo acqua e nutrienti, che permettono alle cellule di mantenersi in funzione. I residui dei processi di assorbimento di materia ed energia produrranno entropia in eccesso, che verrà espulsa con le feci, l'orina e il sudore. Se il disordine nel corpo crescerà, ad esempio ad opera di un patogeno, si avrà una condizione di malattia. Se crescerà oltre un certo limite tollerabile, si avrà la morte, e il corpo stesso diverrà entropia da smaltire, un dono per i carognari.

Se il predominio del disordine vi sembra schiacciante e vi causa angoscia, vi dirò che nell'universo l'entropia è in genere sorprendentemente bassa. La radiazione solare è una sorgente di bassa entropia. Certo, se un essere umano sta esposto ai raggi del sole, la sua entropia aumenterà e finirà per crollare (si chiama insolazione). Tuttavia se i raggi del sole colpiscono un vegetale, grazie alla fotosintesi clorofilliana permetteranno la produzione di nutrienti. I raggi del sole, incidendo su un pannello fotovoltaico, ci permetteranno di ottenere energia elettrica, che potrà essere convertita in energia meccanica e via discorrendo. Gli esempi sono innumerevoli. Si utilizzano forme di energia di cui possiamo disporre, si produce lavoro e si aumenta l'entropia nell'ambiente in cui viviamo. Se facciamo diminuire l'entropia in una porzione del nostro mondo, refrigerando una stanza, la faremo aumentare altrove. Quindi, essendo sempre crescente l'entropia del sistema isolato che è l'universo, essa dovrà essere stata ancora più bassa in passato. Com'è possibile questo? Da dove proviene tutta questa bassa entropia? 

Adesso possiamo capire meglio come Boltzmann sia riuscito a concepire la sua risposta molto originale a questo quesito dalle conseguenze esistenziali devastanti. In realtà il nostro universo a bassa entropia non esiste affatto. Le condizioni di morte termica, ossia di equilibrio universale, sono dominanti da eoni. Una fluttuazione termica imprevista e rarissima, quale si può produrre in miliardi di anni, avrebbe allora causato l'aggregazione di una struttura in grado di prendere coscienza di sé: è proprio il cervello di Boltzmann. Inorridito dal caos in cui si è trovato a sussistere, questo organismo si è chiuso nel solipsismo, concependo un universo inesistente, come i mondi onirici in cui ci illudiamo di vivere ogni notte, quando ci immergiamo nel sonno detto REM. Forse lo scienziato viennese avrebbe potuto dirci di più su questa orrifica prospettiva. Purtroppo è stato esasperato a tal punto dalla moglie e dalla figlia da impiccarsi per sfuggire al tormento, mentre si trovava in vacanza a Duino.

Statisticamente, si può dire che la formazione di un cervello di Boltzmann in un universo in equilibrio sia molto più probabile dell'evoluzione di un universo implausibile come il nostro a partire da condizioni di bassissima entropia, che sono ancora più incomprensibili. A questa conclusione si dà il nome di Paradosso del cervello di Boltzmann. A quanto pare, queste splendide elucubrazioni boltzmanniane sono state tenute nascoste per decenni, riemergendo soltanto agli inizi del XXI secolo. La stessa locuzione "cervello di Boltzmann" è stata coniata da Lorenzo Sorbo e da Andreas Albrecht nel 2004, proprio nello stesso anno in cui ho iniziato la mia poco proficua carriera di blogger. 

Ergodicità abusiva! 

In Quora è stata posta una domanda cruciale, che tormenta il genere umano da sempre. 

È stata data una risposta al perché esiste la vita?

Così ha risposto Roberto Weitnauer:

"La risposta è molto semplice: perché può esistere. Si può applicare la legge di Murphy, non c’è problema a stabilire questo ponte concettuale tra comicità e scienza."

"In questo universo tutto ciò che prima o poi, in qualche modo o per qualche verso può accedere, prima o poi, in qualche modo o per qualche verso, accade. Esiste dopotutto la versione scientifica della legge di Murphy. Si tratta di una nota teoria statistica, detta Ipotesi ergodica - Wikipedia. Vorrei qui esemplificarla con una scimmietta immortale che batte a caso sui tasti di un computer." 

"Sfruttando le alternative a disposizione, questo animale instancabile produce dell’informazione. Esso sortirà ogni genere insulso di simboli e di sequele di caratteri alfanumerici. Informazione non vuole dire infatti significato. Tali successioni saranno enormemente superiori alle eventuali sporadiche parole che potrebbero avere un senso in qualche lingua. Eppure, continuando instancabilmente a battere sui tasti, la scimmietta arriverà a un bel momento a una sequenza casuale di caratteri che corrispondono alla “Divina Commedia” di Dante o magari a “Ulisse” di Joyce in serbo-croato. Non solo, alla lunga, questo succederà un numero illimitato di volte." 

E ancora: 

"Possiamo scherzare sulla legge di Murphy o sulla scimmietta ergodica, ma i concetti sottostanti sono tutt’altro che banali. Il punto è che la vita non è in alcun modo incompatibile con le leggi fisiche note. Contrariamente a quanto qualcuno pensa, essa non ha affatto le sembianze di un miracolo o di qualcosa di eccezionale rispetto al comportamento della materia e dell’energia. Esistono persino delle condizioni termodinamiche favorenti la comparsa di sistemi auto-organizzati. In effetti, la vita sul nostro pianeta è uno di questi: la biosfera è una struttura dissipativa perfettamente descrivibile in termini termodinamici." 

Ora, nessuno dubita che la biosfera sia perfettamente descrivibile in termini termodinamici. Quello che Weitnauer descrive come soluzione del problema, è invece il problema stesso. Sembra sfuggirgli che la somma improbabilità delle condizioni di partenza e dell'evoluzione del sistema universo non possono essere descritte come il prodotto di una banale combinazione di elementi semplici come le lettere dell'alfabeto. C'è di mezzo l'abisso della fisica quantistica e della non commutatività delle sue variabili!

In poche parole, un cervello di Boltzmann non sorge come sorgerebbe un verso di Dante da una continua estrazione casuale di lettere da un contenitore, essendo qualcosa di infinitamente più complesso. Per non parlare di un intero universo improbabile a bassa entropia! Le tesi di Weitnauer sono insostenibili: ci troviamo una volta di più di fronte all'argomento fallace della scimmietta della Città degli Imperatori, già confutato da me in un precedente contributo: 


Per quanto riguarda l'ipotesi ergodica, ecco un sunto facilmente ricavabile dal Web e assai utile: 

"Il termine ergodico è stato introdotto da Ludwig Boltzmann (1844-1906) con riferimento ai sistemi meccanici complessi capaci di assumere spontaneamente tutti gli stati dinamici microscopici compatibili con il loro stato macroscopico. Le particelle costituenti il sistema, cioè, assumono ogni insieme di valori istantanei di posizione e velocità le cui caratteristiche medie corrispondono allo stato macroscopico del sistema."
(Fonte: Wikipedia)

"In meccanica statistica, l'ipotesi ergodica dice che, dopo un tempo sufficientemente lungo, il tempo speso da una particella in un volume nello spazio delle fasi di microstati della stessa energia è proporzionale al volume stesso; equivalentemente alle condizioni termodinamiche, il suo stato può essere uno qualunque di quelli che soddisfano le condizioni macroscopiche del sistema." (Fonte: Wikipedia)

Si comprende facilmente che è stato fatto un uso abusivo del termine "ergodico" e della stessa teoria di Boltzmann. 

Immaginiamo ora un congegno che estrae simboli alfanumerici, posto nei pressi di un quasar distante da noi dieci miliardi di anni luce. Immaginiamo che quando è partita la luce che raggiunge in questo istante un attuale astronomo, il congegno abbia ottenuto questa sequenza: 

NELMEZZODELCAMMINDINOSTRAVITA

Avrebbe un senso? No. Per nulla. Einstein ci dice che non esiste un unico presente in tutto l'universo. Tuttavia ci dice anche come tutti i presenti dell'universo sono tra loro connessi. Per certo quando il congegno ha estratto la sequenza dantesca, non esistevano né Dante Alighieri né la lingua italiana, né la protolingua del genere umano, né la vita multicellulare. Questo perché la sequenza NELMEZZODELCAMMINDINOSTRAVITA è stata estratta dal congegno dieci miliardi di anni prima del nostro presente. Non basta che si generi una sequenza di elementi alfanumerici: è necessario che esista qualcuno ad attribuirle un senso.

Si arriva così a un altro paradosso. Un cervello di Boltzmann è un codice. Un codice non è un semplice insieme di elementi inerti senza relazione reciproca. Un codice è un aggregato di elementi simbolici che veicolano informazione. Un cervello di Boltzmann deve essere un codice. Per essere consapevole, deve includere algoritmi, ossia procedimenti che permettono la risoluzione dei problemi mediante un numero finito di passi elementari. Questo però non è possibile: il caso non genera codici.

domenica 1 luglio 2018

L'INGLESE È E RESTA UNA LINGUA GERMANICA OCCIDENTALE

Kristin Bech (Università di Oslo) e George Walkden (Università di Manchester) sono gli autori del lavoro English is (still) a West Germanic language, ossia "L'inglese è (ancora) una lingua germanica occidentale". Si può leggerlo seguendo questo url:


Il contributo di Bech-Walkden nasce per confutare un'idea balzana e pseudoscientifica fatta passare per seria, ossia la discendenza dell'inglese dall'antico nordico. Riporto una sintetica cronistoria di quella che ha tutta l'aria di essere una burla, a tal punto contrasta con ogni principio elementare della logica.

Nel novembre dell'anno 2012 una singolare ipotesi è stata presentata al mondo da Jan Terje Faarlund nel corso di un'intervista per la rivista dell'Università di Oslo, Apollon: la lingua inglese dovrebbe essere classificata come lingua germanica nordica sulla base della sintassi, mentre l'inglese appartenente al germanico occidentale si sarebbe estinto nel corso del Medioevo. Seguendo queste folli proposizioni, l'inglese medio sarebbe de facto una forma moderna del norreno. Questa dichiarazione stravagante e demente ha avuto qualche eco nei media globali, tuttavia il dibattito si è presto spento, dal momento che non è stata seguita dalla pubblicazione di alcun materiale utile alla sua dimostrazione. Soltanto alla fine del 2014 è comparsa la monografia English: The Language of the Vikings, ossia "L'inglese: la lingua dei Vichinghi", edita dalla Università Palacký di Olomouc (Repubblica Ceca). Gli autori del lavoro sono Jan Terje Faarlund e Joseph Embley Emonds. Dato che nei paesi slavi è molto popolare ogni forma di pseudoscienza, la cosa non stupisce più di tanto.

Come Bech e Walkden fanno notare, non è la prima volta che l'inglese dopo il Medioevo viene considerato alla stregua di un cuculo nel nido. Nel 1977 Bailey e Maroldt dichiararono che l'inglese medio è un creolo formatosi dalla mescolanza tra antico inglese e francese normanno; nel 1982 Poussa ha pure sostenuto un'origine creola, ma coinvolgendo il norreno anziché il francese. Tuttavia a quanto pare il lavoro di Faarlund e di Emonds presenta una caratteristica mai vista prima, dal momento che postula la morte dell'antico inglese e una sostanziale discontinuità occorsa durante il Medioevo. In quest'ottica l'antico inglese avrebbe fatto la fine del gotico di Wulfila, mentre il medio inglese continuerebbe in linea diretta il norreno.

Gli autori della monografia del 2014 non hanno alcuna conoscenza di linguistica storica dell'inglese e più in generale della filologia germanica. Emonds è un esperto di sintassi teorica, mentre Faarlund è un esperto di sintassi specializzato nelle lingue della Scandinavia. Gran parte della loro opera è focalizzata sulle caratteristiche morfologiche e sintattiche dell'inglese medio, nel tentativo di dimostrare che queste sono meglio spiegate come eredità diretta della lingua scandinava parlata nel nord dell'Inghilterra e in Scozia. Quello che non accetto della posizione di Bech-Walkden è la supposta necessità di abbassarsi allo stesso piano dei chierici traditori e di usare i loro stessi mezzi per confutarne le tesi. Questo principio è enunciato nella seguente frase: "The proposal, like any other, should be evaluated on the basis of the evidence and argumentation provided" (pag.). Non sono assolutamente d'accordo con un simile approccio, perché le prove e le argomentazioni fornite da Faarlund-Emonds hanno meno valore di un mucchio di feci. Anzi, dirò che i due studiosi di sintassi, ben consapevoli della rigidità mentale del mondo accademico, hanno fabbricato artatamente il loro otre di veleni e di pus, al preciso scopo di far perdere tempo e risorse a chi cercasse di confutarli seguendoli sul loro terreno. Seguirò un filo conduttore ben diverso da quello di Bech-Walkden.

Influenza del norreno sull'inglese

L'importazione di parole norrene in inglese è stata significativa in epoca medievale. A partire dal IX secolo ci sono stati folti stanziamenti di coloni scandinavi nell'Inghilterra e in Scozia. A un certo punto una vasta area che andava dal Middlesex fin oltre a York ha ricevuto il nome di Danelaw, alla lettera "Legge dei Danesi" (norreno Danalǫg), poiché in essa la legge danese prevaleva su quella anglosassone. Gli elementi scandinavi, particolarmente forti nei territori settentrionali, hanno continuato ad influenzare le genti anglosassoni e la loro lingua per secoli. Così nel XIII secolo - l'èra vichinga era da tempo conclusa - l'influsso del norreno continuava e gli scandinavismi divenivano capillari. Alcuni di questi prestiti erano pertinenti al lessico di base, altri facevano parte del lessico culturale. Non pochi si sono conservati ancor oggi. Possiamo a buon diritto parlare integrazione anglo-norrena. Il processo non è stato così massiccio come l'integrazione anglo-romanza o come l'integrazine anglo-latina, ma ha fornito elementi di fondamentale importanza. Alcune parole si sono inserite nel lessico di base e ancor oggi ricorrono in moltissime frasi di uso quotidiano. Ecco un elenco di sostantivi e di aggettivi che l'inglese moderno ha ereditato dall'antico nordico:

anger "ira" < angr "afflizione"
awe "soggezione" < agi "terrore" 

awkward
"disagevole"(1) < ǫfugr "inverso,
     contrario"

big
"grande" < *byggr "grosso"(2)
black
"nero" < blakkr "nero, blu scuro"
cake "torta" < kaka "torta"
dirt "sozzura" < drit "sterco"
dregs "feccia" < dregg "sedimento"
egg "uovo"(3) < egg "uovo" 
fellow
"compagno" <
félagi
"compagno"
flat "piatto" (agg.) < flatr "piatto" (agg.)
gap "apertura; divario" < gap "abisso"
gift "dono" < gipt "dono"
guest "ospite" < gestr "ospite"
happy "felice" < hapinn "fortunato"
hawk "falco" < haukr "falco"
husband "marito" < húsbóndi "padrone di casa"
ill "malato" < illr "cattivo"
keel "chiglia" < kjǫlr "chiglia"
kid "capretto"(4) < kið "capretto"
knife "coltello" < knífr "coltello"
law "legge" < lǫg (pl. tantum)
leg "gamba" < leggr "gamba"
low "basso" < lágr "basso"
odd "bizzarro; dispari" < oddi "terzo numero"
rotten "marcio" < rotinn "putrefatto"
skill "abilità" < skil "discernimento"
skin "pelle" < skinn "pelle di animale"
skipper "vogatore" < skipari "marinaio"
skirt "gonna" < skyrta "gonna"
sky "cielo" < ský "nuvola"
tarn "lago" < tjǫrn "lago morenico"
thrall "schiavo" < þrǽll "schiavo"
ugly "brutto" < uggligr "spaventoso"
weak "debole" < veikr "malato"
window "finestra" < vindauga "finestra"
wing "ala" < vǽngr "ala d'uccello"
wrong "sbagliato" < rangr "ingiusto"(5)

(1) Il suffisso -ward è di origine anglosassone.
(2) In Norvegia si trova il termine dialettale bugge "grande uomo", "uomo grosso". Secondo alcuni l'aggettivo norreno non attestato deriverebbe dal verbo byggja, byggva "abitare" e avrebbe avuto il significato di "abitabile", donde "spazioso". La semantica sembra piuttosto macchinosa.
(3) Prima che la forma settentrionale, di origine norrena, si imponesse, a Londra e in tutto il Sud si usava ey "uovo", pl. eyren "uova". Il prestito può essere stato favorito dalla somiglianza fonetica della forma nativa con eye "occhio".
(4) Il significato di "bambino" è oggi diffusissimo. In molte varietà dell'inglese d'America, kid è arrivato a sostituire quasi del tutto child.
(5) La forma inglese deriva da una forma arcaica *vrangr. Il norreno a cui siamo abituati ha invece rangr. Quando la parola è entrata nel lessico inglese, il nesso /wr-/ non si era ancora semplificato.

Questo è un elenco di verbi:

to bask "crogiolarsi" < baðask "lavarsi, bagnarsi"
to busk
"prepararsi" < búask "prepararsi" 
to call
"chiamare" < kalla "chiamare"
to cast "gettare"(1) < kasta "gettare"
to clip "tagliare, recidere" < klippa "tagliare"
to crawl "strisciare" < krafla "gattonare"
to die "morire"(2) < deyja "morire"
to gape "spalancare la bocca" < gapa "spalancare la
      bocca"
to gasp "spalancare la bocca" < geispa "sbadigliare"
to get "ottenere"(3) < geta "ottenere"
to give "dare" < gefa "dare"
to glitter "brillare" < glitra "brillare"
to kindle "accendere" < kynda "infiammare"
to raise "sollevare, alzare" < reisa "sollevare,
      alzare"
to seem "sembrare" < sǿma "stimare, onorare"  
to skip "sorpassare" < skopa "fare una corsa"(4)
to stain "macchiare" < steina "dipingere"(5)
to take "prendere"(6) < taka "prendere"
to want "volere" < vanta "mancare"

(1) Il verbo nativo, to throw "gettare", è rimasto in uso a fianco della forma di origine norrena.
(2) Il verbo nativo ha assunto un significato più ristretto: to starve "morire di fame" (cfr. tedesco sterben "morire").
(3) Questo verbo ha avuto una fortuna immensa in inglese, formando una moltitudine di forme unite ad avverbi (phrasal verbs), come to get in "entrare, salire", to get into "entrare", to get out "uscire, scendere", to get up "salire; alzare; alzarsi", to get down "scendere; star giù", to get over "superare", to get off "scendere; lasciare" e via discorrendo. Le forme sono davvero tante, la semantica è spesso sfuggente e il loro giusto uso non è sempre facile.
(4) La semantica è perfetta, ma è difficile spiegare la vocale del verbo inglese, che nel XIV secolo significava "fare un piccolo salto".
(5) La forma norrena trae la sua origine dal fatto che i pigmenti erano ottenuti macinando pietre (steinn "pietra"). Il sostantivo inglese stain "macchia" è stato retroformato dal verbo to stain "macchiare". Un notevole caso di slittamento semantico. 
(6) Senza l'influsso del norreno, useremmo to nim, verbo che si trova in effetti in qualche dialetto, ma col significato di "rubare". Una fine ben ingloriosa per un verbo corradicale del tedesco nehmen "prendere".

Tale fu l'influenza norrena, che penetrarono in inglese persino elementi pronominali:

they "essi, esse" < þeir "essi"
them "loro" (acc./dat.) < þeim "loro" (dat.)
their "loro" (gen.) < þeirra "loro" (gen.)

Queste forme sostituirono quelle native, ossia hī, hīe "essi", him, heom "loro" (dat.), hira, heora "loro" (gen.), che si prestavano a grande confusione col singolare. Senza il norreno, oggi si userebbe *he al posto di they; *him al posto di them; *her al posto di their - e questo per entrambi i generi! Una situazione a dir poco scomoda, che spiega bene il successo delle forme importate dai Vichinghi.

I dialetti settentrionali e lo Scots 

Nello Yorkshire un tempo si parlava il dialetto che aveva la più alta percentuale di parole di origine norrena in tutta l'Inghilterra. John Geipel nel suo lavoro The Viking legacy: The scandinavian influence on the English and the Gaelic languages (1971) riporta un testo che include alcuni scandinavismi evidenziati in corsivo:

“pigs were grice, heifers quees, and bulocks stots, yellow was gool, soft was blowt, large was stor and steep was brandt; bairns would laik where nowadays children play and a man would risp if he had a lop on his rig where today he would scratch if he had a flea on his back” (p.77). 

C'è una gran massa di parole norrene in numerosi dialetti settentrionali e nello Scots, la lingua delle Lowlands scozzesi separatasi dall'inglese già in epoca medievale. Questo è un breve elenco di termini tipici: 

bigg "orzo" < bygg "orzo"
clegg "tafano" < kleggi "tafano" 
haver(s) "avena" < hafri "avena"
ing "prato" < eng "prato"
ket "carogna" < kjǫt "carne"
kirk "chiesa" < kirkja "chiesa"
mun "bocca" < munnr "bocca"
oast "formaggio" < ostr "formaggio"
oc "e" < ok "e"
scrat "folletto" < skratti "demone"
skellum "furfante" < skelmr "furfante; diavolo"
toom "vuoto" < tómr "vuoto; vano"
trigg "sicuro" < tryggr "sicuro, fedele" 

Si potrebbero fare moltissimi altri esempi. Per un approfondimento rimando a questo link: 


Confronto lessicale tra inglese e norreno 

Mi rendo conto che per gli specialisti in linguistica tipologica le mie parole sembreranno scandalose e blasfeme, eppure oso proferirle. La sintassi non conta nulla nel definire la natura di una lingua. Bisogna smetterla con stronzate del tipo "in questa lingua l'ordine delle parole è OV (oggetto-verbo), in quell'altra è VO (verbo-oggetto), quindi non sono imparentate" o "queste due lingue sono entrambe VO, quindi sono senz'altro imparentate". Simili macchinazioni dei linguisti tipologici sono soltanto ammassi di sterco fumante, come ho già avuto modo di affermare e di dimostrare.


Il lessico di base è ciò che decide la natura dell'inglese. La stessa morfologia è meno efficace, dato che si è molto semplificata durante il dominio dei Normanni - eppure anche le declinazioni residuali e le coniugazioni dell'inglese medio ci appaiono a colpo d'occhio come continuazioni dirette di quelle dell'inglese antico. Si capisce al di là di ogni dubbio che l'inglese appartiene alle lingue germaniche occidentali a dispetto di qualsiasi influenza e di qualsiasi massa di prestiti possa aver assimilato durante i secoli - e anche a dispetto di qualsiasi cambiamento nella sintassi. Questa non è una mia opinione che può essere accettata o respinta in un ambito di demenza berkeleyana generalizzata. Quanto affermo è un dato di fatto ed è possibile dimostrarlo. Conosciamo la fonetica dell'antico inglese e quella del norreno. Conosciamo i mutamenti fonetici occorsi nelle due lingue in questione a partire dalla fase del protogermanico. Possiamo seguire queste trasformazioni con una precisione che ha dell'incredibile. Possiamo distinguere a colpo d'occhio i prestiti dal norreno dalle voci ereditate. Non solo: produciamo un breve elenco di parole importanti, per mostrare come possiamo capire all'istante che le forme inglesi moderne sono la diretta continuazione di quelle anglosassoni e non di quelle norrene.

Inglese: ale "birra"
Antico inglese: ealu, ealo "birra"
Norreno: ǫl "birra" 

Inglese: bear "orso"
Antico inglese: bera "orso"
Norreno: bjǫrn "orso" 

Inglese: bishop "vescovo"
Antico inglese: bisċop "vescovo"
Norreno: biskup "vescovo" 

Inglese: church "chiesa"
Antico inglese: ċiriċe "chiesa"
Norreno: kirkja "chiesa"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova kirk "chiesa", evidente prestito.

Inglese: churl "contadino, zotico"
Antico inglese: ċeorl "uomo libero di bassa casta"
Norreno: karl "uomo, maschio"

Inglese: dwarf "nano"
Antico inglese: dweorh, dweorg "nano"
Norreno: dvergr "nano" 

Inglese: eye "occhio"
Antico inglese: ēaġe "occhio"
Norreno: auga "occhio" 

Inglese: fire "fuoco"
Antico inglese: fȳr "fuoco"
Norreno: funi "fuoco" (poet.)*
*La parola comunemente usata è eldr "fuoco".

Inglese: fish "pesce"
Antico inglese: fisċ "pesce"
Norreno: fiskr "pesce"
Nelle parole di origine norrena in inglese, il gruppo /sk/ si conserva. La consonante /ʃ/ è tipica delle parole di origine anglosassone. 

Inglese: five "cinque"
Antico inglese: fīf "cinque"
Norreno: fimm "cinque" 

Inglese: hand "mano"
Antico inglese: hand, hond "mano"
Norreno: hǫnd "mano"

Inglese: head "testa"
Antico inglese: hēafod "testa"
Norreno: hǫfuð "testa"
La forma norrena ha una vocale breve (< protogerm. *xaβuðan), mentre la forma anglosassone ha un dittongo (< protogerm. *xauβuðan).

Inglese: high "alto"
Antico inglese: hēah "alto"
Norreno: hár "alto" 

Inglese: I "io"
Antico inglese: "io"*
Norreno: ek "io"
*Se fosse sopravvissuta la forma più antica, oggi la parola per dire "io" suonerebbe esattamente come itch "scabbia". La forma attualmente in uso deriva da una variante settentrionale senza palatalizzazione, comunque dissimile dalla forma norrena.

Inglese: is "è"
Antico inglese: is "è" 
Norreno: er "è"*
*La forma arcaica è es

Inglese: mead "idromele"
Antico inglese: medu, meodu "idromele"
Norreno: mjǫðr "idromele" 

Inglese: mouth "bocca"
Antico inglese: mūþ "bocca"
Norreno: munnr "bocca"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova mun "bocca", evidente prestito.

Inglese: need "bisogno"
Antico inglese: nēad, nēod "necessità"*
Norreno: nauðr, nauð "tribolazione"
*Con bizzarre varianti (nīed, nēd, nīd, nȳd).

Inglese: oak "quercia"
Antico inglese: āc "quercia"
Norreno: eik "quercia"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova aik "quercia", evidente prestito.

Inglese: red "rosso"
Antico inglese: rēad, rēod "rosso"
Norreno: rauðr "rosso"

Inglese: seven "sette" 
Antico inglese: seofon "sette"
Norreno: sjau "sette" 

Inglese: shield "scudo"
Antico inglese: sċield, sċild "scudo"
Norreno: skjǫldr "scudo" 

Inglese: ship "nave"
Antico inglese: sċip "nave"
Norreno: skip "nave" 

Inglese: star "stella"
Antico inglese: steorra "stella"
Norreno: stjarna "stella"

Inglese: stone "pietra"
Antico inglese: stān "pietra"
Norreno: steinn "pietra"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova stain "pietra", evidente prestito. Nella lingua standard stain significa "macchia" (vedi sopra).

Inglese: tooth "dente"
Antico inglese: tōþ "dente"
Norreno: tǫnn "dente" 

Inglese: water "acqua"
Antico inglese: wæter "acqua"
Norreno: vatn "acqua" 

Inglese: yarn "filato"
Antico inglese: ġearn "filato"
Norreno: garn "filato"
Nei dialetti inglesi settentrianali si trova garn "filato", evidente prestito.

Inglese: year "anno"
Antico inglese: ġear "anno" 
Norreno: ár "anno" 

Inglese: yellow "giallo"
Antico inglese: ġeolo, ġeolu "giallo"
Norreno: gulr "giallo"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova gool "giallo", evidente prestito.

Inglese: yoke "giogo"
Antico inglese: ġeoc "giogo"
Norreno: ok "giogo"

Inglese: young "giovane"
Antico inglese: ġeong "giovane"
Norreno: ungr "giovane" 

Potremmo andare avanti a lungo, ma credo che quanto mostrato sia sufficiente.