giovedì 30 aprile 2020


L'ESERCITO DELLE 12 SCIMMIE 
 
Titolo originale: 12 Monkeys
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Lingua: Inglese
Anno: 1995
Durata: 129 min
Rapporto: 1,85 : 1
Genere: Thriller, fantascienza
Sottogenere: Distopia, mondo postapocalittico, viaggi nel
    tempo
Regia: Terry Gilliam
Soggetto: Chris Marker (cortometraggio)
Sceneggiatura: David Webb Peoples, Janet Peoples
Produttore: Charles Roven, Lloyd Phillips
Produttore esecutivo: Robert Kosberg, Gary Levinsohn
Casa di produzione: Universal Pictures
Fotografia: Roger Pratt
Montaggio: Mick Audsley
Effetti speciali: Vincent Montefusco
Musiche: Paul Buckmaster
Scenografia: Jeffrey Beecroft, William Ladd Skinner
Interpreti e personaggi:
    Bruce Willis: James Cole
    Joseph Melito: James Cole da piccolo
    Madeleine Stowe: Kathryn Railly
    Brad Pitt: Jeffrey Goines
    Frank Gorshin: Dottor Fletcher
    Christopher Plummer: Dottor Leland Goines
    Joey Perillo: Detective Franki
    Christopher Meloni: Tenente Jim Halperin
    LisaGay Hamilton: Teddy
    Vernon Campbell: Tiny
    David Morse: Dottor Peters
    Jon Seda: José
    Bob Adrian: Geologo
    Simon Jones: Zoologo
    Bill Raymond: Microbiologo
    Carol Florence: Astroficiso Jones
    Thomas Roy: Predicatore di strada
Doppiatori italiani:
    Luca Biagini: James Cole
    Laura Boccanera: Kathryn Railly
    Pino Insegno: Jeffrey Goines
    Nando Gazzolo: Dottor Leland Goines
    Mauro Gravina: Tenente Jim Halperin
    Roberto Pedicini: Dottor Peters
Traduzioni del titolo:
    Spagnolo: Doce Monos
    Francese: L'Armée des douze singes
    Polacco: 12 małp
Colonna sonora:
    Tema principale:
        Suite Punta del Este, di Astor Piazzolla
    Testi e musiche di Paul Buckmaster:
       1. "Introduccion", da Suite Punta Del Este (12 Monkeys)
       2. Coles' Frist Dream / Volunteer Duty / Topside
       3. Silent Night
       4. Spider Research / "Introduccion" (We Did It ) / The
           Proposition
       5. Time Confusion / To The Mental Ward / Planet Ogo
       6. Wrong Number / Cole's Second Dream / Dormitory
          Spider / "Introduccion" (Twin Moons Tango)
       7. Vivisection (Charles Olins)
       8. Sleepwalk (B.J. Cole)
       9. "Introduccion" (Escape To Nowhere) / Scanner Room /
           Capture And Sedation
       10. Cole's Third Dream
       11. Interrogation / Time Capsule / Cole Kidnaps Railly
       12. Blueberry Hill (Fats Domino)
       13. What A Wonderful World (Louis Armstrong)
       14. Coles' Fourth Dream
       15. Comanche (Link Wray e The Wraymen)
       16. Earth Died Screaming (Tom Waits)
       17. "Introduccion" (Quest For 12 Monkeys)
       18. Fateful Bullet / A Boot From The Trunk / Cole's Longing
       19. Photo Search / Mission Brief
       20. Back In '96
       21. Fugitives / Fateful Love / Home Dentistry
       22. "Introduccion" (12 Monkeys Theme Reprise) / Giraffes
           & Flamingos
       23. This Is My Dream / Cole's Call / Louis & Jose
       24. Peters Does His Worst
       25. Dreamers Awake

 
 
Trama:
Anno del Signore 2035. James Cole è un prigioniero che consuma una vita grama nella cella di un carcere ctonio, proprio sotto le rovine di Filadelfia. I pochi sopravvissuti della specie umana sono costretti a vivere nel sottosuolo da quando un virus letale ha provocato miliardi di morti, nel lontano 1996. La superficie è ancora contaminata e inabitabile. Cole è mentalmente instabile e ossessionato da un sogno in cui viene ucciso a colpi di pistola in un aeroporto, ma le autorità scientifiche non possono permettersi il lusso di guardare troppo per il sottile, così lo selezionano per una missione oltremodo pericolosa, facendolo addestrare per un viaggio nel tempo. Il suo compito è tornare nel 1996 e cercare con ogni mezzo di scoprire la vera origine della pandemia e il modo in cui il virus si è sviluppato, fornendo così gli scienziati la possibilità di trovare una cura. L'unica informazione che le autorità possiedono è che forse il virus è stato rilasciato nell'ambiente da un gruppo di ecoterroristi conosciuto come "L'esercito delle 12 scimmie". Qualcosa va storto e Cole si ritrova nell'anno sbagliato, il 1990, a Baltimora. Finisce rinchiuso in un manicomio, sulla base della diagnosi fatta dalla dottoressa Kathryn Railly. In questo girone infernale fa la conoscenza di Jeffrey Goines, un giovane biondiccio farneticante, la cui mente offuscata è un calderone ribollente di complottismo, animalismo, ambientalismo apocalittico e anticorporativismo. Cole cerca di spiegare alla commissione medica che il contagio del virus letale è già in corso, ma non viene ascoltato. Sedato e rinchiuso in una cella, scompare inspiegabilmente: è stato richiamato alla base, nel 2035. Qui subisce un interrogatorio. Le autorità scientifiche gli fanno ascoltare una registrazione in cui una voce distorta sostiene un collegamento tra il virus e l'Esercito delle 12 scimmie. Gli vengono anche mostrate diverse foto di persone ritenute coinvolte, e tra queste c'è anche quella del pazzoide Goines. Così a Cole viene offerta una seconda possibilità. Rispedito indietro nel tempo, arriva per errore nel 1917, in un fangoso campo di battaglia nella Grande Guerra, dove viene accidentalmente ferito a una gamba da una pallottola. Raggiunto da un secondo crononauta, viene trasportato di colpo nel 1996. La dottoressa Railly sta tenendo una conferenza in cui presenta il suo libro sul complesso di Cassandra, illustrando strani casi di uomini che in epoche passate hanno profetizzato l'annientamento dell'umanità in una pestilenza, prevista proprio nel 1996. Al termine della singolare lettura, la scienziata viene avvicinata da un giovane uomo dai capelli rossi come il fuoco, raccolti in un codino. Questi è il dottor Peters, che fa alla donna strani discorsi sulla condizione terminale della specie umana. Quando la dottoressa Railly esce dalla sala delle conferenze, trova ad attenderla una sua vecchia conoscenza, James Cole, che la rapisce. La costringe a guidare fino a Filadelfia. A un certo punto i due apprendono che Jeffrey Goines è il fondatore dell'Esercito delle 12 scimmie. Lo raggiungono nella villa di suo padre, il dottor Lenand Goines, che è un famoso virologo. Quando affrontano lo psicopatico, questi non soltanto nega ogni coinvolgimento con l'organizzazione ecoterrorista, ma accusa Cole di aver partorito l'idea di spazzare via l'umanità con un virus, nel 1990, al manicomio di Baltimora. Si scatena un putiferio. Quando Cole sta per essere catturato dalla polizia, sparisce e ritorna nel 2035. Ritornato indietro nel 1996, raggiunge la dottoressa Railly, che nel frattempo ha trovato le prove decisive del suo viaggio crononautico nel 1917, scoprendo che era stato proprio lui a preconizzare il morbo. I due così partono per la Florida, proprio alla vigilia dello scoppio della pestilenza. Lungo il tragitto scoprono di essersi sbagliati su Goines Junior: l'Esercito delle 12 scimmie risulta un insieme di coglioni il cui solo scopo era liberare gli animali da uno zoo, dopo aver rinchiuso in gabbia il padre del fondatore. La situazione precipita. Raggiunto l'aeroporto di Filadelfia, per puro la dottoressa Railly scopre che il vero responsabile della pandemia è il dottor Peters: il biologo fulvo è l'assistente del dottor Leland Goines, a cui ha sottratto il patogeno - e ora sta partendo per un viaggio in giro per il mondo, con l'intento di propalare la pestilenza. Nel vano tentativo di fermare Peters, Cole finisce ucciso dalla polizia, a colpi d'arma da fuoco. L'attenzione della dottoressa Railly è attratta dallo sguardo di un bambino e comprende l'atroce verità: quello è il piccolo James che assiste alla sua stessa morte.   
 

Recensione:
Questo film di Terry Gilliam è liberamente ispirato al cortometraggio La Jetée del francese Chris Marker (1962). Se molti sono i punti in comune tra le due opere, è altrettanto vero che ci sono numerose differenze non di poco conto, che spero di riuscire ad analizzare in modo esauriente. Innanzitutto la trama di 12 Monkeys è molto complessa, non ha nulla a che fare con l'estrema linearità con cui si svolge l'azione ne La Jetée. Questo si deve anche al fatto che il budget in dotazione a Gilliam era ben diverso dai pochissimi e spesso rudimentali mezzi su cui poteva contare Marker. Eppure, a quanto pare, Gilliam non aveva nemmeno visto La Jetée quando girò 12 Monkeys. Per quanto possa sembrare strano pensare che un regista possa ispirarsi a qualcosa di cui non ha mai preso visione, questa informazione è contenuta nel grande database IMDb, che considero una fonte molto affidabile. La natura della catastrofe è molto diversa nelle due opere: La Jetée ci mostra l'Apocalisse Nucleare e il mondo postatomico, mentre 12 Monkeys ci mostra l'Apocalisse Virale e il mondo postpandemico. Il rimedio all'Apocalisse Nucleare è una fonte di approvigionamento energetico e di cibo, in grado di permettere la ricostruzione. Cosa che in effetti avviene. Il rimedio all'Apocalisse Virale può essere di due tipi:
1) Impedire tramite il viaggio nel passato che si diffonda il virus;
2) Riportare dal passato informazioni sul virus che permettano di trovare una cura e di rendere di nuovo abitabile la superficie del pianeta.
Nessuno di queste due possibili soluzioni va in porto. Non solo non viene impedita la morte di miliardi di persone, ma non viene nemmeno scoperto il modo di garantire l'abitabilità del pianeta. Il fallimento è assicurato, nulla può permettere la fuga da un destino di morte eterna e di degradazione ontologica.
 
 
Ontologia temporale 
 
Come nel cortometraggio di Chris Marker, La Jetée, siamo di fronte a un angosciante loop, un circuito temporale chiuso da cui non c'è possibilità di fuga. Va però notato quanto segue: La Jetée ci mostra un crononauta che torna indietro nel tempo nei giorni precedenti la Terza Guerra Mondiale, ma non la scatena, perché essa era già inevitabile, data l'estrema bellicosità della Germania. Gli eventi erano già in atto. Invece in 12 Monkeys i viaggi crononautici costituiscono proprio l'innesco diretto della catastrofica pandemia. Un primo viaggio nel passato fa sì che un uomo approdasse in un villaggio vicino a Stonehenge nel 1396 e che si mettesse a profetizzare una pestilenza che avrebbe spazzato via l'umanità dopo 600 anni. Il suo inglese suonava come una lingua sconosciuta alla gente dell'epoca, ma qualcosa è stato compreso e un cronista ha riportato il portentoso accaduto in una sua opera - che giungerà dopo secoli a conoscenza della dottoressa Railly, studiosa del complesso di Cassandra. Altri due viaggi sono stati disastrosi: ben due crononauti, tra cui il protagonista, sono finiti nel bel mezzo della Grande Guerra, in una trincea fangosa delle Fiandre. Parlando inglese, proprio James Cole ha profetizzato la pestilenza del 1996, e anche questo episodio incongruo verrà riportato in un documento raccolto dalla dottoressa Railly. Ebbene, senza questi eventi, la dottoressa non avrebbe mai pubblicato un libro sulle profezie. Non avrebbe quindi destato il morboso interesse del fulvo dottor Peters. È stato soltanto per via delle profezie sul 1996 come anno della pestilenza, che il biologo in questione si è detto: "Che bello, ho proprio a disposizione in laboratorio il virus in grado di raddrizzare tutti i torti una volta per tutte! Perché non usarlo adesso?" Mai potrebbe essere più appropriata la locuzione "profezia che sia autoavvera".  

Le 12 scimmie e Philip K. Dick 
 
Tra le fonti di ispirazione di 12 Monkeys è spesso citato un racconto di Philip K. Dick, pubblicato per la prima volta nel 1952: Il teschio (The Skull). Ne riporto la trama sintetica. Il protagonista è Conger, un detenuto a cui viene offerta la libertà in caso accetti di tornare indietro nel tempo, nel 1960, per uccidere un uomo. Gli viene dato un teschio per identificare la vittima designata, un predicatore fanatico che ha dato vita a una nuova religione, cambiando in modo radicale il mondo nei secoli successivi. Eliminando il predicatore, i mandanti di Conger intendono cancellare la sua religione, sommamente afflittiva. Il problema è che Congera un certo punto si rende conto che il teschio è il suo. Capisce di essere proprio lui la causa di ciò che è stato mandato a estirpare. Possiamo aggiungere a The Skull un altro racconto dickiano di argomento simile: Il fattore letale (Meddler), pubblicato per la prima volta nel 1954. Un crononauta viene mandato nel futuro e trova la Terra completamente spopolata. Homo sapiens è una specie estinta. Il viaggiatore si imbatte quindi in una pericolosa varietà di farfalle, che identifica come la causa della catastrofe. Quando torna al proprio luogo d'origine, un bozzolo di una farfalla assassina resta attaccato allo scafo della crononave. Qual è l'origine di queste farfalle? 

Le 12 scimmie e Anne Lear 

Nel racconto L'avventura del viaggiatore globale (The Adventure of the Global Traveller), di Anne Lear (1978),  si narra che il professor Moriarty, sopravvissuto alla lotta con Sherlock Holmes alle cascate di Reichenbach, avrebbe costruito una macchina del tempo, schiantandosi nell'Inghilterra dell'epoca di Shakespeare e perdendo ogni possibilità di ritorno. Finito su un palco mentre si recitava il Macbeth, avrebbe improvvisato la parte del terzo sicario. In origine i sicari erano soltanto due. Shakespeare, rimasto colpito dall'interpretazione dell'intruso, avrebbe deciso di includerla nel Macbeth, dando così origine al personaggio del terzo sicario. Tuttavia Moriarty ha improvvisato recitando quei versi perché li aveva appresi a memoria quando era a scuola. La domanda che affligge il matematico criminale è destabilizzante. Quei versi chi li ha scritti? Non c'è una vera risposta. Quei versi sono acausali: è come se provenissero da un altro universo. Proprio come la guerra biologica condotta dal dottor Peters contro l'intero genere umano.  

Tecnologia crononautica 

Il viaggio nel tempo può avvenire soltanto a partire dal 2035 al passato, con ritorno annesso al punto di origine. Non è invece possibile viaggiare nel futuro a partire dal 2035. Il viaggio avviene tramite una macchina che proietta il crononauta nell'anno di destinazione e che poi lo riporta all'origine, senza servirsi di veicolo fisico. Non c'è una crononave paragonabile a quella concepita da H.G. Wells. Quando il crononauta arriva a destinazione, è in completa balia degli elementi. Senza l'aiuto di un tecnico della sua epoca di partenza, sarebbe condannato a rimanere dove si trova, non potrebbe fare ritorno. Tutto ciò è molto diverso dall'idea portante del cortometraggio di Marker, in cui si ha un viaggio chimico, senza bisogno di alcun macchiario. Una sostanza chimica, iniettata negli occhi del crononauta, provoca la sua caduta in un sonno profondo e la sua proiezione nell'epoca desiderata, tramite formazione di un vero e proprio Doppelgänger che diventa fisico. Il tipo più elementare di viaggio nel tempo, possibile soltanto verso il passato (con ritorno) è quello descritto da Jack Finney nel suo romanzo Indietro nel tempo (Time and Again, 1970): il crononauta è proiettato nel passato senza veicolo né mezzi chimici, soltanto servendosi della potenza della suggestione ipnotica. Possiamo chiederci, di fronte all'elaborata tecnologia crononautica di 12 Monkeys, come possa una civiltà così avanzata da permettere viaggi nel tempo essere messa in difficoltà da un semplice virus. 
 

Una realtà carceraria e manicomiale
 
Il crononauta de La Jetée fugge da un terribile presente di rovine e riesce a raggiungere un passato che gli dona un po' di serenità - per quanto effimera. Tra un viaggio e l'altro trova persino l'amore di una donna. Certo, alla fine rimane ucciso (e intrappolato nel loop), ma intanto ha potuto godere un po' di speranza. Un esile raggio di sole illumina le tenebre che lo opprimono. Invece James Cole sperimenta soltanto l'incubo lungo tutto il suo tragitto terreno. La sua intera esistenza è frenetica e afflittiva, ricca di ogni genere di dolori: non conosce nemmeno un momento di tregua. Ha il corpo coperto di ferite, come il profeta Mercer di dickiana memoria, è un uomo che assume su di sé il peso di tutto il Male dell'Universo. Passa da un manicomio all'altro. Coloro che lo hanno mandato nell'inferno di una sudicia cella, si accorgono di lui soltanto per teletrasportarlo nel suo luogo di origine, che è a sua volta l'inferno di una sudicia cella. Lo sventurato Cole non riesce nemmeno ad avere un contatto fisico con la dottoressa Railly, di cui si è innamorato. Egli è un uomo che non ha mai fatto l'amore. Non ha mai stretto una donna tra le sue braccia, non le ha mai fatto dono del proprio sperma. Non sa nemmeno che il dottor Peters è il vendicatore ultimo di tale ingiustizia. 
 
 
Il percorso del Virus Apocalittico  
 
Il biologo fulvo ha intrapreso, facendolo passare per una vacanza, un lungo e tortuoso viaggio aereo con diversi scali. Le località da lui raggiunte, partendo da Filadelfia, sono state le seguenti: San Francisco, New Orleans, Rio de Janeiro, Roma, Kinshasa, Karachi, Bangkok e Pechino. Un'arzilla cougar ride cordialmente, divertita al pensiero che il simpatico uomo dai capelli rossi voglia spassarsela e scaricare il proprio materiale genetico in ogni angiporto del globo. Lui abbozza un risolino, con complicità. In realtà sta pensando a tutt'altro. Direi che si sente la mancanza di un simile personaggio risolutore, che è un vero e proprio Messaggero dell'Apocalisse. Cos'altro potremmo aggiungere? Le idee e la volontà non mancano, ma non sono sufficienti a porre fine a questo mondo così deprimente. Non sussiste al momento alcun mezzo per cauterizzare una volta per tutte la mostruosa anomalia cosmica chiamata "vita". Solo nella Science Fiction certe cose diventano reali, e anche lì si nota qualche riluttanza a portarle alle estreme conseguenze!

Curiosità 

Durante la presentazione del suo libro, la dottoressa Railly proferisce uno sproposito sesquipedale. Questo sono le sue parole: "Ovviamente queste immagini da Giorno del Giudizio sono decisamente più suggestive della realtà che accompagna un'epidemia virale, sia che si tratti di peste bubbonica o di AIDS". Il punto è che la peste bubbonica è una malattia causata da un batterio, la Yersinia pestis, e non da un virus. 

Il ragno mangiato da James Cole è un ragno delle banane, detto anche Golden Globe Weaver (nome scientifico: Nephila clavipes). Il problema è che questa specie vive nelle regioni del Sud degli Stati Uniti, soprattutto in Florida. Non alligna in città settentrionali dal clima temperato, come ad esempio Boston. 
 
All'inizio del film, il protagonista raccoglie un grosso scarafaggio che zampetta sulla neve. Oltre al fatto che gli scarafaggi non sono attivi in inverno, quell'esemplare appartiene a una specie tipica del Madagascar (nome scientifico: Gromphadorhina portentosa), che non si trova in America. Trovo che la consulenza di un entomologo sarebbe utile ai registi, in modo tale da evitare smarronate. 
 
Il film che James Cole e la dottoressa Railly guardano al cinema è Vertigo (La donna che visse due volte, 1958), di Alfred Hitchcock, a cui ha fatto riferimento anche Chris Marker nel suo cortometraggio La Jetée, fonte di ispirazione per l'opera di Gilliam. Sullo schermo passa proprio la scena inquietante in cui Kim Novak mostra il punto della sua nascita sulla sezione di una sequoia. Ciò non ha il minimo senso nella trama, è come un geroglifico erratico, un riferimento onirico a un universo più grande. 
 
Sembra che Terry Gilliam faticasse non poco a convincere Brad Pitt a impersonare il ruolo dello psicopatico pieno di tic. In particolare non riusciva a farlo parlare in modo discontinuo e frenetico. Ha persino tentato di fargli seguire un apposito corso di dizione, invano. Così un giorno gli ha nascosto le sigarette, ottenendo all'istante il risultato voluto: Brad Pitt si è messo a coportarsi come un folle genuino! 
 


Opere derivate 
 
A partire dal film di Gilliam è stata realizzata una serie televisiva intitolata 12 Monkeys, andata in onda a partire dal 2015 e durata fino al 2018. Gli ideatori sono Terry Matalas e Trevis Fickett. Riporto i principali personaggi e i rispettivi interpreti.
James Cole, interpretato da Aaron Stanford, doppiato da Emiliano Coltorti.
Dott.sa Cassandra "Cassie" Railly
, interpretata da Amanda Schull, doppiata da Federica De Bortoli.
José Ramse, interpretato da Kirk Acevedo.
Aaron Marker, interpretato da Noah Bean, doppiato da Francesco Venditti (è il fidanzato della dottoressa Railly e assistente di un senatore, il suo nome è un chiaro omaggio a Chris Marker).
Jennifer Goines, interpretata da Emily Hampshire, doppiata da Myriam Catania.
Katarina Jones, interpretata da Barbara Sukowa, doppiata da Rossella Izzo (è l'inventrice della macchina del tempo).
Theodore Deacon, interpretato da Todd Stashwick (è il capo di uno spietato gruppo di sopravvissuti chiamato The West VII).  
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Sul Davinotti ho trovato alcuni interventi. Nulla di particolarmente denso, s'intende, ma sempre meglio di un pugno in un occhio.

Galbo ha scritto:

"Film complesso e affascinante diretto da un regista che congerma la sua natura di geniale visionario affrontando il genere fantascientifico in modo assolutamente personale e lontano da ogni ovvietà stilistica. Colpiscono le immagini di un'umanità cupa e desolata, il fascino delle quali consente di superare una sceneggiatura un pò ostica. Ottima la prova degli attori, con Bruce Willis ad una delle prove migliori della carriera."

Ultimo ha scritto:

"Un film di fantascienza riuscito, con una trama piuttosto complicata e difficile da capire alla prima visione, ma comunque ben girato e ben interpretato. Bruce Willis è l'assoluto protagonista, a cui fa da contraltare uno scatenato (e schizzato!) Brad Pitt. I salti temporali possono far perdere il filo allo spettatore, ma se lo guardate con attenzione ne rimarrete soddisfatti. Un po' lenta la parte inziale, buona la seconda, con un finale degno. Niente male."

Barone75 ha scritto:

"Non lo so. Ho visto il film almeno tre volte ma ogni volta rimango dubbioso sopratutto per la sua farraginosità e complessità. Tutto mi sembra poco credibile e pretenzioso e quasi ai limiti del paranoico. Trovo più azzeccata l'interpretazione di Brad Pitt rispetto al duro di "Die Hard" che mi appare eccessivamente monotona. Terry Gilliam, nonostante sia ritenuto uno dei registi più bravi ed eclettici, non riesce a convincermi ed eccede anche in questo caso in esercizi visionari."  

martedì 28 aprile 2020

 
LA JETÉE

Titolo originale: La jetée
Paese di produzione: Francia
Lingua:
Francese, tedesco  

Anno:
1962 

Durata:
28 min

Colore:
B/N 

Genere:
Fantascienza 

Sottogenere:
Distopia, mondo postatomico, viaggi nel tempo,
     ucronia 

Regia:
Chris Marker 

Soggetto:
Chris Marker 

Sceneggiatura:
Chris Marker 

Produttore:
Anatole Dauman 

Casa di produzione:
Argos Film 

Fotografia:
Chris Marker, Jean Chiabaut 

Montaggio:
Jean Ravel

Musiche:
Trevor Duncan 

Fonico:
Antoine Bonfanti 

Interpreti e personaggi: 

    Hélène Châtelain: La donna

    Davos Hanich: L'uomo 

    Jacques Ledoux: Lo sperimentatore 

    William Klein: Un uomo del futuro 

    Janine Klein: Una donna del futuro 

    Ligia Branice: Una donna del futuro 

    André Heinrich 

    Jacques Branchu

    Pierre Joffroy 

    Étienne Becker
    Philbert von Lifchitz

    Germano Faccetti
    Jean Négroni: Il narratore

Traduzioni del titolo:
    Inglese: The Jetty
    Tedesco: Am Rande des Rollfelds
    Spagnolo: La Terminal
 
 
Trama: 
Il protagonista, di cui non si conoscerà mai il nome, è marchiato da profondo trauma. Un'immagine lo perseguita, insopportabile come una cicatrice dolente. È una memoria di quando era bambino e si trovava all'aeroporto di Orly con i suoi genitori. Il flashback sembra un eterno presente. Un uomo viene abbattuto da colpi di arma da fuoco e stramazza sul cemento, proprio davanti ai suoi occhi, ma la sua attenzione si fissa su una donna. Subito dopo scoppia la Terza Guerra Mondiale. La Francia viene sconfitta, Parigi è rasa al suolo da un bombardamento termonucleare e invasa. La terra stessa viene contaminata dalla radioattività, così la popolazione per sopravvivere è costretta a rifugiarsi nel sottosuolo. I vincitori dominano su un regno di rovine e di ratti. La specie umana è condannata: si vanno esaurendo le risorse alimenari e le fonti di energia. La sola speranza è il viaggio nel tempo. Gli sperimentatori, che sono più sadici e spietati del dottor Mengele, scelgono il protagonista proprio per via del suo tenace attaccamento alla sua ricorrente visione del passato, dotata di un'intensità straordinaria. Trovarlo tra migliaia di prigionieri non è stato difficile: la polizia spia persino i sogni. Le precedenti cavie inviate nel passato sono morte all'istante oppure sono impazzite a causa dello shock di trovarsi in un tempo diverso dal loro. Il viaggio crononautico avviene con mezzi chimici: alla vittima viene iniettata negli occhi una specie di siero che causa la proiezione della mente nel passato. La transizione ha inizio. Mentre il corpo rimane inerte nel suo giaciglio simile a una amaca, la figura del viaggiatore compare altrove nello spaziotempo, come un fantasma che tuttavia è composto di carne e di ossa - e che dovrebbe essere in grado di interferire con gli eventi. Esauritosi l'effetto del siero, il crononauta ritorna nella miseria della propria pseudo-vita nel sotterranei, come se si fosse destato da un sogno. Così il protagonista giunge nel passato, prima che Parigi fosse annichilita. Incontra proprio quella donna che aveva colpito la sua immaginazione quando da bambino l'aveva vista all'aeroporto di Orly. La corteggia e nel corso di diversi viaggi temporali riesce a conquistarla. I due vivono una storia d'amore e visitano uno spettrale museo pieno di animali impagliati. Quando gli sperimentatori comprendono che l'uomo non è riuscito a trovare nessun mezzo in grado di permettere la sopravvivenza del genere umano e di ricostruire la civiltà crollata, decidono di inviarlo nel futuro. Il crononauta trova una Parigi riedificata, perfettamente funzionante e abitata da un'umanità nuova. Le persone sembrano prive di vita, come se fossero gelidi zombie. Simili a ombre dell'Ade, hanno uno sguardo fisso e comunicano senza muovere le labbra. Rivelano al visitatore giunto dal passato il modo di trovare una fonte di energia e di avviare la ricostruzione, permettendo così la propria stessa esistenza nel presente. Subito l'uomo fa ritorno dagli sperimentatori, rivelando loro il segreto che gli è stato comunicato. Gli abitanti del futuro, che sono a loro volta in grado di viaggiare nel tempo, lo raggiungono e gli propongono di vivere con loro. L'uomo però chiede di poter realizzare un desiderio diverso: quello di tornare per sempre a vivere nel passato, dalla donna che ama. Questo gli viene concesso. Si ritrova così proprio all'aeroporto di Orly. Vede la donna e corre verso di lei, ma a questo punto viene raggiunto da un sicario, che è stato inviato dagli sperimentatori per abbatterlo. Se l'uomo riuscisse a coronare il proprio sogno, farebbe venir meno la catena di causazione in grado di scongiurare l'annientamento dell'umanità. Così viene abbattuto a colpi di pistola e all'improvviso, in limine mortis, comprende l'atroce verità, vedendo di fronte a sé la figura di un bambino. Quel bambino è lui stesso da piccolo. Ecco svelato il mistero della visione che lo perseguitava: quella che aveva visto era la propria stessa morte!

 
Recensione: 
Questo vibrante capolavoro è unico nel suo genere. Non ricordo di essermi mai imbattuto in un filmato girato usando la stessa originalissima tecnica. È stato definito un fotoromanzo (photo-roman). Consiste infatti in una sequenza di fotografie in bianco e nero, cariche di un orrore assoluto, indicibile, interstiziale e subliminale, che pervade fino al midollo e comunica ad ogni istante il senso di Morte dell'Essere. Semplici ombre e sagome fungono da geroglifici dell'annientamento eterno, senza che a livello conscio si riesca a dare una spiegazione razionale del perché. Il finale dilania, infligge una ferita interiore simile a quella del protagonista. Tocca qualcosa di profondo come l'Abisso. Fa venire la pelle d'oca. Quello che il regista intendeva comunicare, lo si porta su di sé, lo si vive sulla propria pelle. Non è forse questo lo scopo ultimo del cinema? 
 
Per usare un linguaggio un po' tecnico, le fotografie sono stampate otticamente e si riproducono come un fotomontaggio di ritmo variabile. Sono state scattate con una Pentax Spotmatic. C'è soltanto una brevissima scena filmata da una cinepresa, una Arri 35mm. Tale ripresa non facile da distinguere, tanto è sfuggente: mostra la donna interpretata da Hélène Châtelain, che dorme e viene svegliata all'improvviso. La storia è narrata da una voce fuori campo. La musica, composta da Trevor Duncan, è sconvolgente e penetra in ogni fibra dell'anima.  

 
Il IV Reich 
 
Aerei simili a torpedini più neri dello spazio siderale, predatori i cui contorni hanno l'aspetto di buchi nel cielo. Inizia così la Nemesi della Francia. Bisogna aspettare un po' per avere un'idea più chiara sulle dinamiche belliche e sulle loro cause. Man mano che l'azione prosegue nei sotterranei, viene fornito qualche elemento importante. In sottofondo si sentono a lungo le parole mormorate che gli sperimentatori si scambiano nel corso delle loro sevizie. Lo spettatore attento capisce all'istante che stanno parlando in tedesco. Le foto del prigioniero torturato sono di un'intensità incredibile. Ho visto qualcosa di simile soltanto quando ho visitato Dachau. Non ci sono dubbi: la Germania è proprio la potenza vincitrice che ha ridotto in cenere la Francia. Possiamo così dire che il corso storico descritto nell'incipit del cortometraggio di Marker è a tutti gli effetti un'ucronia. Certamente la cosa è un po' problematica. Sembra che si disegni una strana continuità storica tra il defunto III Reich e un inimmaginabile IV Reich sorto nel corso del secondo dopoguerra, naturale preludio della Terza Guerra Mondiale. Si converrà che una simile trovata narrativa, per quanto dotata di un'immensa potenza, ha la stessa verosimiglianza di un ircocervo. Del resto, non si può pretendere che un film di 28 minuti sia un manuale di storia alternativa e che permetta di afferrare ogni minimo dettaglio dell'Apocalisse. 
 
 
Ontologia temporale 
 
L'ontologia temporale dell'opera di Marker è quella del loop, ossia del circuito crononautico chiuso e retrocausale, in cui chi viaggia nel passato per sfuggire alla maledizione del presente, scopre di essere proprio il fattore che provoca ciò che intendeva evitare. Così l'uomo, nel suo tentativo di raggiungere la donna che ama, causa proprio quell'immagine traumatica che è la causa prima della propria storia di orrori. Anche la salvezza offerta dalle genti del futuro può essere il frutto di una retrocausazione e genera paradossi a non finire. Il viaggio nel futuro non sarebbe di per sé un problema concettuale: lo diventa non appena si concepisce un ritorno da tale destinazione. Resta sempre il cruccio filosofico delle entità acausali, sempre insito in storie di questo genere. Le genti del futuro esistono perché qualcuno ha scoperto un ritrovato tecnologico che ha permesso alla Terra e alla specie umana di rigenerarsi. Orbene, sono le stesse genti del futuro a comunicare questa conoscenza al crononauta giunto dal passato. Lo stesso crononauta, ritornato al proprio cronotopo di partenza, rivela quanto appreso - e permette quindi proprio la rigenerazione della Terra e della specie umana. Senza il suo viaggio nel futuro, questo non sarebbe stato possibile. Ma non sarebbe nemmeno stato possibile avere un'umanità del futuro con la conoscenza salvifica in possesso. La domanda, senza risposta, è: "Da dove ha avuto origine tale conoscenza?"   
 
La Jetée e l'esercito delle 12 scimmie 
 
Proprio La Jetée ha ispirato a Terry Gilliam il concetto portante del suo film 12 Monkeys (L'esercito delle 12 scimmie, 1995). Non si tratta di un rifacimento, questo è abbastanza ovvio,  ma ci sono diversi punti in comune. Innanzitutto ritroviamo l'ambientazione claustrofobica in un futuro postcatastrofico, in cui i superstiti sopravvivono in sotterranei, in condizioni quasi impossibili. Molto simile è l'ontologia temporale e crononanutica, anche se nel film di Gilliam non si ha alcun tentativo di visitare il futuro per stabilire se l'umanità sia sopravvissuta e tentare di avere lumi su innovazioni tecnologiche salvifiche. Diversa è anche la motivazione che spinge gli sperimentatori a mettere a punto la tecnologia dei viaggi nel tempo e a mandare ricognitori nel passato. Trovare un rimedio tecnologico alla catastrofe, nell'opera di Marker. Trovare quale sia la stata la vera causa della catastrofe, nell'opera di Gilliam. Approfondiremo in altra sede l'analisi del confronto tra il cortometraggio di Marker e 12 Monkeys.
 
La Jetée e Vertigo 
 
Marker ha omaggiato Alfred Hitchcock incorporando sequenze che rimandano a Vertigo (La donna che visse due volte, 1958). Il crononauta si trova con la donna amata davanti a una sezione di sequoia con alcuni contrassegni posizionati su cerchi di crescita corrispondenti a importanti eventi storici. Le mostra il punto preciso della propria provenienza. La stessa cosa avveniva in una celeberrima scena faceva la protagonista di Vertigo, una donna conturbante ed enigmatica (interpretata dalla bellissima Kim Novak). Certo, una sequoia a Parigi non crescerebbe mai spontaneamente e l'elemento appare un po' incongruo, anche se è chiaro che l'esemplare sezionato della titanica conifera si trova in un giardino botanico.  
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Segnalo alcuni interventi che mi paiono interessanti. Il primo è di un autore eccelso, a cui devo moltissimo. 
 
"Questo film strano e poetico, un misto di fantascienza, favola psicologica e fotomontaggio, crea nei suoi modi peculiari una serie di immagini bizzarre dei paesaggi interiori del tempo"
 
(La Jetée, recensione di James Graham Ballard su New Worlds, luglio 1966 - Traduzione su J.G. Ballard, Shake edizioni, 1994)
 
 
Certo, magari dal genio di Ballard mi sarei aspettato qualcosa di più. Ma forse lo scrittore inglese non ha mai stato Dachau. Notevole è una riflessione sull'ineluttabilità, pubblicata su un blog alla deriva nell'oceano dell'Oblio:   
 
"Quello che [il protagonista] scopre... è che il passato non è mai così semplice come vorremmo che fosse. Tornarci significa rendersi conto che non l'abbiamo mai capito. Inoltre scopre - e qui è impossibile dimenticare il messaggio di Marker per i suoi spettatori - che una persona non può comunque sfuggire al proprio tempo. Per quanto ci sforziamo di perdere noi stessi, saremo sempre trascinati indietro nel mondo, nel qui ed ora. In ultima analisi, non c'è scampo dal presente."
(Jake Hinkson, blogger di Tor Books) 
 
Cineforum Fantafilm 
 
Il cortrometraggio di Marker è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 14 dicembre 2009. Era un lunedì ed ero presente, come al solito pieno zeppo di whisky. Subito dopo, quella stessa sera, è stato proiettato il film di Gilliam, L'esercito delle 12 scimmie. È stata una doppia proiezione. Mentre ho seguito con grande attenzione La Jetée, la mente mi si è sfocata verso la metà di 12 Monkeys, vinta dai fumi del liquore scozzese: mi hanno svegliato quando mi sono messo a russare. Per fortuna avevo già visto al cinema il film interpretato dal simpatico Bruce Willis, all'epoca della sua uscita, e lo ricordavo abbastanza bene. In seguito ho avuto occasione di vedere e rivedere La Jetée, che costituisce per me una vera e propria ossessione; 12 Monkeys finora l'ho rivisto soltanto un'altra volta.

domenica 26 aprile 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI DORK 'IDIOTA, SFIGATO'

Com'è risaputo, i secchioni hanno ricevuto epiteti come nerd e geek. Ebbene, c'è di peggio. Nell'inglese americano si trova un peggiorativo, dork, traducibile come "idiota" o "sfigato". Molti etimologi pensano che dork sia semplicemente un'alterazione eufemistica del più famoso dick "cazzo", dovuta alla puerile volontà di rimuovere tutto ciò che è ritenuto volgare o sconveniente, usando la magia del cambiamento di un suono. Sarebbe come se in italiano la parola pene potesse perdere ogni connotato traumatizzante diventando fene. Penso che tutto sommato sia una spiegazione abbastanza stupida e inconsistente. In ogni caso, è attestata in America una voce gergale dirk "cazzo".

Per quanto riguarda le dinamiche diffusive, gli studiosi americani suppongono che la parola dork sia emersa nel Midwest, dove le alterazioni di parole ritenute traumatizzanti e sporche sono molto comuni. Forse è stata proprio questa supposta origine nei puritani stati della cosiddettta Cintura Biblica (Bible Belt) a suggerire una sua origine eufemistica. La prima attestazione nota con l'inequivocabile significato di "pene" è nel romanzo Valhalla di Jere Peacock, pubblicato nel 1961, anche vi compare con l'ortografia fancesizzante dorque. Questa è la citazione esatta: "You satisfy many women with that dorque?" (con buona pace delle regoline e delle regolette sulle frasi interrogative). Pochi anni dopo, nel 1964, la parola compare con l'ortografia dork e con inequivocabile significato fallico in un articolo pubblicato su American Speech. Il serial killer Charles Schmid, detto "The Pied Piper of Tucson", dichiarò quanto segue in un'intervista a Life Magazine: "I didn't have any clothes and I had short hair and looked like a dork. Girls wouldn't go out with me.", ossia "Non avevo alcun vestito, avevo i capelli corti e sembravo un cazzone. Le ragazze non volevano uscire con me." Il non poter godere dei favori femminili a causa di un supposto aspetto fallocefalico sono stati addotti da questo soggetto proprio come la causa prima dei suoi impulsi omicidi. Gratta un serial killer: troverai una vittima perseguitata dai bulli, un poveretto disprezzato da tutti e schifato dalle ragazze! Quante aberrazioni sarebbero cancellate dal mondo se si colasse su ogni scuola un sarcofago di cemento come quello di Chernobyl! Torniamo alla scienza etimologica. Nonostante le inequivocabili attestazioni sopra riportate, va detto che il significato prevalente della parola dork nella cultura popolare era quello di "individuo bizzarro" o più in generale di "sfigato". 
 
La vera etimologia di dork è da ricercarsi nelle lingue scandinave. In norvegese (Landsmål), dorg significa "massa, mucchio", ma anche "persona stupida e lenta, tonto". Non è difficile postulare un passaggio diretto dal norvegese all'inglese d'America. Dalla Norvegia sono giunti nella Terra dei Coraggiosi moltissimi immigrati. Quando ho visitato Bergen, ho appreso che gli americani di origine norvegese sono paragonabili in consistenza numerica all'intera popolazione del paese scandinavo. Ho anche saputo che una conseguenza interessante di questo flusso migratorio è stata l'introduzione di numerosi focolai di lebbra: a Bergen ancora verso la metà del XIX secolo, tre-quattro persone su cento avevano la lebbra, e percentuali simili si ritrovavano anche nell'arcipelago delle Lofoten. Non è poi così assurdo pensare che un termine dialettale norvegese abbia trovato negli States un terreno favorevole per diffondersi. 

A causa di un post comparso nel 2018 su un blog americano ormai non rintracciabile (sarà sprofondato nel Nulla), si è diffusa una voce surreale quanto infondata. Il termine dork apparterrebbe al gergo dei balenieri e signficherebbe precisamente "pene di balena". Qualcuno addirittura diffondeva la voce che la parola comparisse nel celeberrimo romanzo Moby Dick di Herman Melville (1851). Nulla di più infondato. Non esiste nessun vocabolo tecnico dork per indicare il fallo gigantesco dei maestosi cetacei, né tantomeno Melville ha fatto uso di tale dubbia risorsa espressiva! L'accaduto dovrebbe insegnare qualcosa sulla diffusione e sulla pericolosità dei pacchetti memetici, che spargono ovunque informazioni degeneri quanto incontrollate. 

Molti accademici americani accreditano una derivazione di dork "pene" dallo Scots dirk "tipo di pugnale", di origine incerta e documentato anche nelle varianti ortografiche dork (1602) e durk (XVIII secolo). La grafia dirk è stata fissata dal Johnson's Dictionary of the English Language nel 1755. Chi pensa a una possibile origine gaelica rimarrà deluso. In gaelico l'arma in questione è invece chiamata biodag. Vero è che esiste anche duirc (XVIII secolo), ma è stato accertato che si tratta di un prestito dallo Scots. C'è chi pensa a una derivazione di dirk "pugnale" dal nome proprio scandinavo Dirk, preso a prestito dal tedesco Dietrich "Teodorico", usato per indicare alcuni attrezzi come i grimaldelli - ma mai armi. Altri pensano invece a un prestito dal tedesco Dolch "pugnale" (attestato nel XV secolo come dollich, dolch, tolch e di origine sconosciuta), adattato in Scandinavia come dolk, anche se la fonetica non è affatto soddisfacente. Direi che è una pista da lasciar perdere. 
  
A partire da dork si è formato l'aggettivo dorky "sfigato, stupido, inetto", da cui è derivato l'astratto dorkiness "stupidità, inettitudine". Mentre i Nerds e i Geeks sono riusciti a riscattarsi dalla loro condizione di intoccabili colpiti dall'interdizione come i Dalit dell'India, a cui erano stati costretti dalla malefica genia degli stramaledetti bulli, i poveri Dorks non sono riusciti a migliorare il loro fato: cazzoni erano e cazzoni restano.

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI GEEK 'SECCHIONE; PERSONA BIZZARRA'

Oltre alla ben nota parola nerd "secchione", esiste in inglese anche un quasi sinonimo, geek, che attualmente denota una persona ossessionata da hobby intellettuali e da complessi argomenti scientifici. Secondo l'uso corrente in America e altrove, geek è un peggiorativo di nerd. Per molti parlanti, le due parole sono intercambiabili. Il vero significato del termine geek è tuttavia "persona bizzarra, eccentrica", senza implicazioni intellettuali. Occorre innanzitutto far notare che la sua pronuncia è /gi:k/, con una consonante occlusiva ("dura") /g/, proprio come in girl "ragazza". Non si deve pronunciare la parola con la consonante affricata ("molle"). Trovo che sia sempre necessario specificarlo, visto che in Italia le pronunce ortografiche continuano a costituire un flagello. 
 
Mentre l'etimologia di nerd è oscura e presenta gravi criticità, quella di geek può essere tracciata meglio. La forma più antica del vocabolo è senz'altro geck "sciocco", attestato già verso il 1510, come riportato su Etymonline. Si tratta di una parola giunta in inglese dall'olandese gek "pazzo" o dal basso tedesco geck, con lo stesso significato. La stessa radice ricorre in verbi come l'olandese gekken e il tedesco gecken, entrambi col significato di "deridere, farsi beffe di qualcuno". Ne possiamo addirittura ricostruire una forma protogermanica, dal momento che se ne hanno anche testimonianze in danese (gjække "deridere") e in svedese (gäcka "deridere"). In norreno doveva esistere un verbo *gjakka "deridere", anche se non mi risulta documentato. Alcuni wikipediani reputano invece che le forme scandinave siano prestiti dal basso tedesco, ma rifiuto questa opinione per via della frattura vocalica (-ja- da -e-), che non può essere occorsa in epoca medievale. La protoforma germanica era dunque qualcosa come *gekkanan "deridere", in ultima analisi di origine preindoeuropea, riconducibile a un antichissimo sostrato, rimasuglio estremo di una lingua poi scomparsa.  
 
Non è poi così difficile spiegare come geek si sia potuto sviluppare da un originario geck. A mio avviso una variante /ge:k/, con vocale lunga dovuta a ragioni accentologiche, si è prodotta naturalmente da /gek/, complice il fatto che la parola era considerata straniera - per poi evolvere naturalmente in /gi:k/, visto che la vocale lunga /e:/ non è tollerata in inglese. Anche la semantica ha subìto mutamenti: dal significato di "sciocco; pazzo" la parola è passata a indicare una specie di fenomeno da baraccone. Si tratta di uomini che masticavano e ingurgitavano insetti per divertire o schifare il pubblico, non diversamente dai come-baratas, i mangiatori di scarafaggi che tuttora operano in Brasile. La parola era quasi estinta sul finire del XIX secolo, ma è poi riapparsa a distanza di tempo, come un fiume carsico che riemerge da una sterile pietraia. Sul finire del XX secolo ecco tornare in auge geek col senso di "secchione, intellettuale" o più in generale di "sfigato". Nei primi anni '80 è documentato l'uso di geek nel gergo degli adolescenti americani per indicare gli studenti ossessionati dalle nuove tecnologie e socialmente incapaci. 
 
Analogamente a quanto accaduto ai Nerds, anche i Geeks hanno avuto il loro riscatto e i loro momenti di gloria. Esiste un movimento geek che rivendica un uso positivo della parola. A un certo punto, un uso improprio del Backslang (gergo inverso) ha prodotto la forma keeg, con significato opposto a quello di geek e traducibile in gergo computerese italico come "utonto" (< utente tonto). Chiunque si trovi a disagio con le nuove tecnologie è definito un keeg, anche se il vero Backslang non inverte il significato delle parole.

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI NERD 'SECCHIONE'

La parola nerd "secchione" ha avuto origine nell'inglese americano e si è poi diffusa anche in italiano. La pronuncia originale è /nə:rd/, ma in italiano è stata naturalmente adattata in [nɛrd]. Qualcuno riterrà grossolana la mia traduzione, affermando che il nerd è molto più di un secchione. Si può dire che sia un individuo iper-intellettuale, ossessivo, introverso e privo di capacità sociali, che eccelle in attività tecniche considerate astruse e difficilissime dalla gente comune, spesso connesse con l'informatica o con la fisica e detestate perché considerate "roba da sfigati". Una specie di iper-secchione e di iper-sfigato, tanto più goffo quanto più è intelligente. Altra caratteristica del nerd è la sua incapacità di avere contatti sessuali, in un contesto in cui la condicio sine qua non per esercitare una qualsiasi attività sessuale è la futilità assoluta. L'immaginario collettivo attribuisce al nerd una serie di caratteristiche fisiche non attraenti: fisionomia grottesca, forte miopia che costringe a indossare occhiali molto spessi; acne, corporatura gracile ai confini del rachitismo, dentoni sporgenti, chiome incolte e via discorrendo. 
 
Qual è l'origine del termine in questione? Ebbene, è oscura. Come spesso accade con le voci di natura gergale nate nella Terra dei Liberi, ci si muove in uno scenario fangoso e indistinto che costituisce l'incubo di ogni etimologo del Vecchio Continente. Ci troviamo quindi a passare in rassegna ipotesi già fatte da altri e tutte di una fragilità logica molto spinta. 
 
Si deve allo scrittore, poeta e disegnatore Theodore Seuss "Ted" Geisel (1904 - 1991) la prima attestazione stampata della parola nerd, che compare nella sua opera per bambini If I Ran the Zoo, un testo in tetrametri anapestici con illustrazioni grottesche, pubblicato nel 1950. I versi, che ben rappresentano la tradizione anglosassone del Nonsense, sono i seguenti:   
 
"And then, just to show them, I'll sail to Ka-troo
And bring back an It-kutch, a Preep and a Proo,
A Nerkle, a Nerd, and a Seersucker, too!"
  

Essendo tra le altre cose un etimologo, sono subito partito in quarta non appena ho letto il testo: Nerkle mi è parso un derivato di Nerd, come se fosse derivato da un precedente *Nerdcle tramite un suffisso diminutivo -cle (come in article, corpuscle, cubicle, particle), quasi presupponendo un latino goliardico e maccheronico *Nerdculus.  
Il Seersucker è alla lettera colui (o colei) che pratica la fellatio a un veggente (seer), stando alla traduzione letterale. Non mi è sembrato possibile. Ho notato che in inglese esiste la parola seersucker, che invece indica un tipo di cotone, solitamente a righe, e deriva dal persiano shir "latte" e shakar "zucchero". Ogni connessione col verbo to suck "succhiare" è stata quindi ritenuta da me ingannevole. 
 

Non appena ho trovato le illustrazioni eseguite dallo stesso autore per i suoi testi, ecco che sono iniziate le sorprese.
1) Il Nerkle non ha nulla a che fare col Nerd: è una specie di bradipo allampanato, dotato di un esile collo di giraffa e di una lunghissima proboscide.
2) Il Nerd invece è un macaco con gli occhi strabuzzati dalle orbite, lo sguardo fisso e strabico, il capo ornato da vistosi ciuffi di capelli bianchi e di barba dello stesso colore. Non esiste modo di capire cos'è un Nerkle sapendo soltanto cos'è un Nerd
3) Vediamo anche che il Seersucker è proprio un effeminato succhiatore di uccelli e non ha nulla a che fare col tessuto a strisce che porta lo stesso nome: l'illustrazione lo mostra come un grosso scimmione giallastro, quasi glabro, dallo sguardo sognante e intento a masticare alcuni fiori. Senza dubbio Geisel voleva chiamare la sua creatura Cocksucker, ma non ha potuto farlo per ragioni di decenza. La figura è la caricatura di un corpulento omosessuale passivo, su questo non ci sono dubbi.
N.B.
Con grande costernazione ho appreso che di recente If I Ran the Zoo è stato accusato di diffondere "stereotipi razzisti" e di "incitare all'odio": i fanatici del buonismo politically correct hanno accusato il suo autore di essere un "suprematista bianco" e addirittura un affiliato del Ku Klux Klan. Adesso ci sono campagne per fare pile dei suoi libri e darli alle fiamme in nome dell'inclusivismo
 

Non c'è alcuna menzione nel testo dell'ineffabile Dr. Seuss alla reale semantica di Nerd e non è immediato riuscire a capire cosa gli passasse per la testa quando si è messo a scrivere. Fatto sta che già nel 1951, un anno dopo la pubblicazione di If I Ran the Zoo, su un quotidiano si trova attestata la parola nerd col significato di "persona non interessante" (drip) o "persona convenzionale, antiquata" (square). Si può pensare che un compagno di scuola dello scrittore facesse di cognome proprio Nerd e che fosse un albino rachitico con gli occhi arrossati strabuzzati dalle orbite. Forse era un pignolo, secchione e antipaticissimo? Forse, più che essere vittima di scherzi, questo Nerd era anche molesto? Si potrebbe credere che abbia fatto un torto a Ted Geisel e che questi si sia vendicato trasformandolo in un personaggio del suo libro? Oppure Geisel era il bullo che aveva preso di mira questo Nerd? Si noterà che il Nerd raffigurato nel libro è truce, minaccioso. Non ha l'aria di essere una vittima. 
 
Nel corso delle mie ricerche ho scoperto che il cognome Nerd esiste davvero, anche se è molto raro. È di origine ashkenazita. Ho trovato in un sito di genealogia una donna il cui cognome è Nerd (nata Abramowitz), e indovinate un po': la sua foto mostra che ha una fisionomia nerdesca al massimo grado, con tanto di occhiali spessi come fondi di bottiglia! Sono convinto che l'origine ultima della parola nerd sia proprio il cognome Nerd. Ora bisognerà capirne l'origine. Non è difficile. Viene dall'ebraico נֵרְדְ nēred "nardo". Sono pronto a sostenere a spada tratta questa etimologia. Sono più incline a credere che Geisel non amasse i suoi compagni di scuola e che per questo li abbia dipinti come strani animali. Com'ebbe a dire Philip K. Dick, se si colpisce uno scrittore bisogna essere sicuri di ucciderlo, perché altrimenti si rialzerà e si vendicherà, mettendosi a scrivere! A scrivere... e a disegnare, aggiungo.
 
Negli anni '60 cominciò a comparire la variante ortografica nurd. Philip K. Dick si attribuì la sua creazione nel 1973, anche se questa rivendicazione non ha reali basi. La prima attestazione di nurd compare in una pubblicazione universitaria del  Rensselaer Polytechnic Institute (New York). Proprio in tale università è tramandata oralmente una strana tradizione etimologica che attribuisce alla parola nurd un'origine non onomastica. Secondo questa narrazione, nurd, scritto un tempo anche gnurd o addirittura knurd, altro non sarebbe che drunk "ubriaco" scritto al contrario e pronunciato di conseguenza. La spiegazione data dagli universitari sarebbe questa: i secchioni, passando il loro tempo sui libri ed essendo malvisti, non frequentavano le feste a base di alcol tenute dagli studenti "fighi" (cool). Quindi erano sobri o astemi, il contrario degli ubriachi, anche perché nessuno avrebbe servito loro da bere. Così la parola drunk sarebbe stato invertita in knurd e usata per indicarli. Si noterà che esiste una tradizione anglosassone del Backslang. Si tratta di un gergo fondato sull'inversione grafica delle parole, con alcune modifiche per renderle pronunciabili. L'epicentro del Backslang è Londra, ma potrebbe essere usato anche in altri paesi anglosassoni. Ci sono però alcuni problemi: 
1) Il Backslang non inverte mai il significato delle parole. Così doog significa "buono" (< good) e non "cattivo"; dab, deb significa cattivo (< bad) e non "buono". Dog significa "Dio" (< God) e non "Diavolo", etc.
2) Il Backslang sillaba i gruppi consonantici ardui per renderli pronunciabili. Così bemal, beemal significa "agnello" (< lamb); kanurd significa "ubriaco" (< drunk): non si produce mai knurd "sobrio, astemio".
Naturalmente è possibile che al Rensselaer Polytechnic Institute fosse in uso un Backslang diverso da quello londinese. Si tratterebbe dunque di un gergo che invertiva le parole foneticamente e spesso anche nel significato. Il problema è che non mi risulta documentato. L'idea stessa dei Nerd astemi ha tutta l'aria di fondarsi su una storiella creata a bella posta per spiegare una parola difficile. In ogni caso, il termine nurd è attestato anche nel Massachusetts Institute of Technology nel 1971.     

Altre ipotesi sono ancor più surreali. Secondo una di queste, nerd sarebbe derivato da una nasalizzazione espressiva di turd "stronzo, grosso escremento". Gli etimologi americani prediligono invece l'alterazione di nut "pazzo" (alla lettera "noce", ossia "testicolo, coglione"), nutcase "persona eccentrica; pazzo" ("caso o condizione di pazzia", cfr. mental case alla lettera "caso mentale"), che sarebbe stato trasformato in nert per rimuovere la volgarità; la glossa corrente è "individuo stupido o pazzo" (stupid or crazy person). A quanto pare si registrano occorrenze di nert con questi significati già negli anni '40. Se questo fosse confermato, la teoria di una derivazione dal cognome Nerd potrebbe andare in crisi? Non necessariamente. Secondo me potrebbe anche darsi che l'origine di queste attestazioni precoci fosse proprio Ted Geisel, che avrebbe diffuso la parola ben prima della pubblicazione del suo libro illustrato per bambini. Un'altra ipotesi, un po' audace, è che nert e nerd non abbiano davvero la stessa origine, essendoci stata una sovrapposizione solo in un secondo tempo. Faccio notare che non si riesce a trovare la documentazione necessaria a risolvere una volta per tutte il problema. 
 
Un interessante derivato di nerd è l'aggettivo nerdy "da nerd; da sfigato" (detto di persona, di aspetto, di comportamento, etc.). Google permette di trovare un gran numero di siti con immagini e filmati delle nerdy girls, ragazze occhialute che fellano, copulano e si esibiscono con lo sperma in bocca.
 
La quadrilogia dei Nerds  
 
Attualmente la parola nerd non è più per necessità un insulto: sono sorti movimenti che ne hanno fatto un termine di orgoglio. Com'è stato possibile? Interamente grazie alla Settima Arte. Nello specifico, il merito va a quattro film che costituiscono una sorta di quadrilogia: 
 
1) La rivincita dei Nerds (Revenge of the Nerds), di Jeff Kanew (1984)
2) La rivincita dei Nerds II (Revenge of the Nerds II - Nerds in Paradise), di Joe Roth, 1987 
3) La rivincita dei Nerds III (Revenge of the Nerds III: The Next Generation), di Roland Mesa, 1992
4) La rivincita dei Nerds IV (Revenge of the Nerds IV: Nerds in Love), di Steve Zacharias, 1994  
 
Questa è una sintesi dei contenuti: I Nerd, bullizzati e perseguitati dagli energumeni sportivi dell'associazione universitaria Alpha Beta, per difendersi dalle angherie formano l'associazione Lambda-Lambda-Lambda (Tri-Lambda); servendosi del proprio grande intelletto riescono a vendicarsi dei loro aguzzini e ad annichilirli, passando da uno strabiliante successo all'altro. 
Il primo di questi film ebbe una certa popolarità in Italia e ricordo che veniva spesso passato in televisione. Senza dubbio ha introdotto nel Bel Paese la parola nerd.

venerdì 24 aprile 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI OK

Tutti conoscono la locuzione Okay, scritta anche OK, Ok, O.K., che è sinonimo di "va bene". Si è diffusa a partire dagli Stati Uniti d'America - e su questo tutti sono d'accordo - ma pochi si domandano quale sia la sua vera origine. Eppure sono stati scritte così tante pagine sull'etimologia di OK che non si potrebbe nemmeno riuscire a contarle: si farebbe prima a pesarle. Non c'è una sola opera dell'ingegno umano che possa davvero fornire una soluzione certa di questo annoso problema. Possiamo dire che siamo di fronte a una realtà ben definibile come pantano etimologico
 
Spiegazioni acronimiche 
 
In qualche modo è sempre stato dato per scontato che OK non sia una vera e propria parola di un linguaggio naturale, bensì una sigla o un acronimo, una specie di abbreviazione composta dalle iniziali di un nominativo o di una frase. Non per niente una variante diffusa è proprio O.K., con tanto di lettere puntate che sembrano dare conferma di questa idea, così radicata nell'immaginario collettivo. Non fa qindi specie che siano state elaborati molti tentativi ad hoc per individuare il nominativo o la frase all'origine della supposta abbreviazione. 
 
Tra gli snob di Boston nel XIX secolo erano in uso due passatempi abbastanza futili: la costruzione di acronimi e le gare di ortografia umoristica (certo, a Sodoma si divertivano di più). Così è opinione comune che nei salotti qualche bostoniano durante una serata frizzante passata a ideare "comical mispellings" se ne sia uscito a scrivere oll korrect (o addirittura orl korrect, ole kurreck) anziché all correct, e da qui sarebbe derivato direttamente l'acronimo OK. Non per niente la prima attestazione di OK risale al 1939 e compare proprio sul quotidiano The Boston Post. Altri esempi di inutili creazioni dei questi cervellotici idioti di Boston sono le seguenti:  NG "no go", OFM "our first man", GT "gone to Texas", SP "small potatos". A quanto pare è stato addirittura individuato un predecessore di OK: all right, scritto comicamente oll wright, fu quindi abbreviato in OW.
 
Quando ero al liceo ero afflitto da un insopportabile genialoide, un biondino effeminato e molesto, fanatico pierangelista, convinto di avere la spiegazione definitiva di ogni cosa. Questo individuo era più irritante di una cimice dei letti. Un giorno la professoressa di inglese gli chiese se sapesse da dove ha avuto origine la locuzione OK. Lui rispose con supponenza che si trattava di una sigla formata dalle iniziali del nome di un club politico, il cosiddetto Old Kinderhook, che in occasione delle elezioni presidenziali del 1840 sosteneva il candidato democratico Martin Van Buren. Tale politicante era nato proprio a Kinderhook, nello Stato di New York, cosa che aveva dato nome al club. Il biondino odioso ne era convinto e non ammetteva dubbi: OK era proprio il nome di un club politico. Lo sosteneva con lo stesso fervore da pasdaran con cui propugnava la cosmologia del Big Bang, l'evoluzionismo di Darwin o l'origine della coscienza nella biochimica del cervello. Il contraddittorio non era previsto. Il biondino non era un essere umano, era un gelido androide. Per fortuna l'insegnante espresse dubbi su questa storiella dell'Old Kinderhook, e non gli diede soddisfazione, preferendo la teoria della derivazione di OK dalle iniziali di oll korrect
 
Il mondo accademico ritiene che le due spiegazioni appena riportate siano anche le più probabili. Quando un utente digita in Google la chiave di ricerca "OK etimologia", il motore mette in bella mostra un riquadro che riporta la storiella dell'Old Kinderhook e della candidatura di Van Buren alle presidenziali del 1840. La chiave di ricerca "OK etymology", in ingelse, fornisce un risultato simile ma più esteso e con anche un riferimento a orl korrect, postulando un'interferenza: l'abbreviazione di Old Kinderhook si sarebbe imposta sfruttando la popolarità della preesistente abbreviazione bostoniana di orl kurrect. Per molti è ragionevole che sia andata proprio così. Questo non toglie che siano state formulati molti altri tentativi di penetrare i misteri dell'OK. Sembrano tutte abbastanza stravaganti e surreali. Nella migliore delle ipotesi presuppongono storielle fabbricate a bella posta dal nulla. 

1) Greco: Ὅλα Καλά (ola kalá) "tutto bene"
Si suppone che la siglia fosse usata dagli immigranti greci nei telegrammi per limitare le spese; secondo altri sarebbe stata usata dagli insegnanti nella correzione dei compiti degli studenti; secondo altri ancora il suo uso sarebbe nato tra i marinai greci.
2) Russo: очень хорошо (očen' khorošó) "molto bene"
Si suppone che questa fosse un'esclamazione usata dagli scaricatori di porto ucraini a Odessa per segnalare che il caricamento delle merci era andato a buon fine. Ne sarebbe quindi derivata una sigla da scrivere sulle casse.  
3) Tedesco: ohne Korrektur "senza correzione" 
Si suppone che la sigla fosse usata dagli insegnanti nella correzione dei compiti; forse diffuso dalle minoranze germanofone del Texas? 
4) Tedesco: Ober Kommando "Alto Comando"
L'abbreviazione sarebbe nata tra i contingenti militari Assiani utilizzati dall'Impero Britannico per reprimere la Rivoluzione Americana. Oggi si scriverebbe piuttosto Oberkommando. Non manca chi suppone che OK stia invece per Oberst Kommandant, "colonnello in comando". La semantica è piuttosto forzata.  
5) Inglese: Order Received "ordine ricevuto", con la lettera R letta male come K.
L'errore sarebbe di lettura stato commesso un commesso nero semianalfabeta in una fattura di vendita, ma a quanto pare si tratta di una storiella inventata di sana pianta dallo storico Albigence Waldo Putnam.
6) Inglese: opposto di KO, abbreviazione di knockout.
Si presuppone l'origine della sigla nel gergo del pugilato, secondo l'idea che invertendo le lettere di una parola o di una siglia se ne invertirebbe magicamente anche il significato.
7) Inglese: cattiva lettura di 0k "zero killed", ossia "nessun ucciso"
Si tratterebbe di una specie di contrassegno usato dai militari americani per segnalare che una battaglia o una missione di combattimento si era conclusa senza nessuna perdita.
8) Inglese: Open Key "comunicazione aperta", ossia "pronto a trasmettere" 
Si presuppone l'origine della sigla nel gergo dei telegrafisti. Questa storiella sarebbe nata da un equivoco a partire da un telegramma in cui O.K. sta verosimilmente per oll korrect
9) Inglese: outer keel "chiglia esterna"
La sigla OK N° 1 sarebbe stata usata dai costruttori di navi dallo scafo di legno per contrassegnare la prima trave che doveva essere posata.
10) Inglese: King's Observatory "Osservatorio del Re" 
La siglia, a dire il vero KO, sarebbe comparsa sugli strumenti di precisione certificati dall'Osservatorio, che aveva sede a Richmond, nei pressi di Londra (la costruzione esiste ancora ma è una dimora privata). Questo KO era scritto in modo bizzarro, coi caratteri sovrapposti, tanto da essere letto erroneamente OK.   
11) Francese: au courant "al corrente", "consapevole di qualcosa" 
In una poesia dell'umorista Charles Godfrey Leland compare il personaggio di Hans Breitmann, immigrato tedesco semicolto, che avrebbe scritto male le iniziali della locuzione francese, dando origine a O.K. 
12) Latino: Omnis Korrecta (secondo altre fonti Omnes Korrecta) "tutta corretta" 
La sigla sarebbe stata usata dagli insegnanti nella correzione dei compiti degli studenti. Questa proposta di spiegazione è comparsa sul quotidiano The Vancouver Sun. I casi sono due: o l'autore non conosceva bene il latino, oppure presupponeva che la locuzione si riferisse a un sostantivo femminile sottinteso. Forse sarebbe stato meglio un neutro plurale, omnia correcta. La K si deve a una grafia fantasiosa come si è visto in altri casi simili.  
 
Sono assai numerosi i tentativi di ricondurre OK alle iniziali di qualche personaggio, reale o fantomatico, vissuto in passato. In genere si tratta di politici, ufficiali, funzionari o altre persone che si occupavano di controllare qualche tipo di merce apponendovi le proprie iniziali, di compilare elenchi o di firmare documenti. A parer mio si tratta di trovate ridicole, in ogni caso riporto quelle di cui sono venuto a conoscenza:  

i) Otto Kaiser, industriale tedesco che avrebbe apposto le proprie iniziali alla merce destinata all'imbarco, allo scopo di certificarla.
ii) Onslow e Kilbracken, parlamentari inglesi che avrebbero apposto le proprie iniziali alle proposte di legge da loro revisionate.   
iii) Orrin Kendall, produttore di biscotti e fornitore del Dipartimento di Guerra dell'Unione durante la Guerra Civile: su ogni biscotto ci sarebbero state le sue iniziali.
iv) Otis Kendall, controllore di merci nel porto di New York: su ogni cassa ispezionata avrebbe apposto le proprie iniziali.
v) Old Keokuk, capo degli Indiani Sawk, avrebbe siglato i trattati con O.K., dalle iniziali del suo nome.
 
Spiegazioni non acronimiche 
 
I Choctaw e i Chickasaw parlavano la stessa lingua. Nella lingua di questi popoli non esisteva un verbo in grado di tradurre "to be" dell'inglese (corrispondente a esse in latino). Si ovviava a questa carenza utilizzando una parola enfatica okéh, traducibile con "(è) così" o con "(è) vero", che concludeva ogni frase. La frase "l'indiano Choctaw è un buon compagno" si traduce con hattak upeh hoomah chahtah achookmah okéh (alla lettera "uomo corpo rosso Choctaw buono è così"). Il Generale Andrew Jackson abitò tra i Choctaw, quando ancora non era famoso, e deve aver sentito spesso pronunciare la parola in questione. Potrebbe quindi averla adottata come parte del proprio linguaggio colloquiale, mantenendo questo costume una volta diventato Presidente degli States. Questo è ciò che pensava William S. Wyman. Secondo un altro studioso, William H. Murray, l'origine di OK sarebbe sempre Choctaw, ma deriverebbe piuttosto da un'altra forma verbale: si hoka, traducibile con "sono io" o con "questo è ciò che ho detto". Si noterà che la forma riportata come okéh da Wyman oggi viene trascritta come okii e suona verosimilmente /o'ki:/.  
 
Nella lingua dei Lakota hoka hey significa "su, andiamo!" e traduce l'inglese "let's go!" o "let's do it". La pronuncia non è molto dissimile da quella dell'inglese americano OK e la semantica non è incompatibile. A proposito della locuzione Lakota, si menziona un singolare fraintendimento. Cavallo Pazzo (Tashunka Witko), che fu un valorosissimo condottiero degli Oglala, usava incoraggiare i suoi guerrieri con la frase "Hoka hey, oggi è un buon giorno per morire!" (in inglese "Hoka hey, today is a good day to die!"). Ebbene, negli States molti hanno creduto che la seconda parte della frase fosse proprio la traduzione di hoka hey, cosa che non corrisponde al vero. La frase originale in Lakota è "Nake nula wauŋ welo!", la cui traduzione accurata è "Sono pronto per qualunque cosa accada!" Certo, il succo del discorso è lo stesso. 
 
Nella lingua degli Wolof dell'Africa Occidentale (Senegal) waw-kay significa "sì, certo" ed è formata a partire da waw "sì" e dalla particella enfatica -kay. Le forme riportate non sono trascritte secondo l'ortografia anglosassone come potrebbe pensare a prima vista: c'è chi scrive waaw anziché waw, evidentemente la pronuncia è /wa:u/, /wa:u'kai/. La particella -kay si trova anche in axakay "sì", dove -x- è una forte aspirazione. Credo quindi che sia frutto di un fraintendimento la trascrizione "fonetica" uou-key che compare spesso nei siti web in italiano, venendo tra l'altro descritta come "Bantu". Una forma assai simile, waw-key, è considerata Bantu anche in siti web in inglese, anche se non ho potuto trovare la necessaria documentazione. Una forma simile al Wolof waw-kay si trova invece nella lingua dei Mandingo, ma con una fonetica forse più adatta a spiegare l'inglese OK: o ke "certo", "è così". Queste forme africane sarebbero state portate in America per via del traffico di schiavi. Trovo molto interessante notare che una forma kay "sì, certo", spesso scritta 'kay come se fosse derivata da un precendente okay, si trova nel linguaggio afroamericano: "Kay, massa, you just leave me, me sit here, great fish jump up into da canoe, here he be, massa, fine fish, massa; me den very grad; den me sit very still, until another great fish jump into de canoe;..." (J. F. D. Smyth, A Tour in the United States of America, 1784). 

Riporto una serie di altre proposte etimologiche non fondate su acronimi:  
 
1) Francese: aux quais "ai moli", au quai "al molo"
2) Francese: Aux Cayes "A Cayes", essendo Les Cayes una città di Haiti da cui si importava il rum. 
3) Francese: o qu'oui "certo che sì" 
4) Occitano: oc "sì". La parola sarebbe stata introdotta da coloni giunti nella Lousiana. 
5) Latino: hoc est "questo è" (usato come affermazione). La locuzione sarebbe stata diffusa a partire dal linguaggio degli studenti. 
6) Finlandese: oikea "corretto, giusto", ma anche "destro", proprio come accade nella semantica dell'inglese right. Esempio: se oli oikea vastaus "era una risposta corretta". Secondo le ricostruzioni degli uralisti questa parola deriva dal protofinnico *oikeda, a sua volta dal proto-finnopermico *wojketa
7) Scots: och aye (pron. /ox 'eɪ/, /oχ 'eɪ/) "oh sì". Non esistendo in inglese americano una consonante aspirata /x/ o /χ/ questa sarebbe stata adattata come una semplice occlusiva /k/. Nel Web in italiano la locuzione viene erroneamente attribuita al gaelico, ma si tratta di un errore. Lo scots è una lingua anglosassone come l'inglese. 

Mi sono imbattuto anche nel tentativo di ricondurre OK a una formula magica greca (di origine egiziana), ὤχ, ὤχ (okh okh), usata per scacciare le pulci. Credo che la proposta etimologica sia una pura e semplice burla.
 
Old Kinderhook e Old Kindersly  
 
C'è anche un altro O.K. negli Stati Uniti d'America, che nulla ha a che vedere con quello di cui stiamo trattando. Si tratta del famoso O.K. Corral, nei pressi di Tombston (Arizona), dove nel 1881 avvenne una sparatoria tra i fratelli Earp, sostenuti dal pistolero Doc Holliday, e la banda dei Cowboys. Questo microtoponimo deriva a quanto pare dall'abbreviazione di Old Kindersly Corral, a sua volta dal nome del primo proprietario di quel luogo desolato (corral significa "recinto"). Certo, non esiste alcuna connessione con OK "va bene", ma trovo bizzarra l'assonanza tra Old Kindersly e Old Kinderhook. Questo dimostra se non altro l'immensa diffusione della mania acronimica in tutto l'immenso territorio degli Stati Uniti, tanto da trovarsene esempi anche nelle zone più inaccessibili. 
 
Conclusioni  
 
A parer mio si salvano soltanto due ipotesi, che posso considerare decenti e abbastanza probabili: quella dell'origine dal Choctaw e quella dell'origine africana. Come terza possibilità potrei pensare al Lakota, anche se non mi convince del tutto. Il problema è che non riesco a decidere. Non possiedo tuttavia alcuna certezza definitiva. Troppo forte è il rumore di fondo. Rigetto senz'altro gli acronimi, le sigle e simili. Sfido chiunque a trovarmi uno straccio di prova materiale a favore di tali contorte fabbricazioni, tipo una trave con la scritta OK N° 1, una cassa con le iniziali di Otis Kendall, un documento militare che riporti il codice 0k e via discorrendo.