venerdì 28 agosto 2020

 
QUESTIONE DI CENTIMETRI

Attore: Luca Fagioli
Direttore: Paolo Migone
Autore dei testi: Paolo Migone 
Anno: 1993
Genere: Tragicomico
Forma narrativa: Monologo
Durata: 58 min

Link:

 
Luca Fagioli interpreta se stesso: il personaggio si chiama "Fagioli Luca", altezza 133 centimetri. Nel suo desolante monologo, il protagonista descrive la visuale grottesca con cui percepisce un mondo a lui sostanzialmente estraneo. Le stesse leggi fisiche agiscono sul suo minuscolo corpo in modo inquietante e diverso da quanto fanno su tutti gli altri: è come se a lui non fosse permesso interagire con gli oggetti, così ogni cosa viene presentata in virtù della sua irraggiungibilità. Gli sono impraticabili le azioni più banali, come guardare una persona negli occhi o prendere qualcosa da uno scaffale. Un mondo fatto di spigoli, sportelli troppo alti e ostacoli. Una realtà tutta pervasa da una paranoia quasi dickiana. 
 
L'Attore:  
 
Nato a Pisa, è laureato in giurisprudenza. 
Video di Luca Fagioli: 
   Il sablé (1986) 
   Il primo fidanzato (1987) 
   Biancaneve (1989)
   Il gioco dell'oca (1990)
   Ricordi difficili (1991)
   Insieme contro il crimine (1992)
Filmografia di Luca Fagioli: 
   Ivo il tardivo, di Alessandro Benvenuti (1955)
   Il cielo e la luna, di Massimo Fagioli (1998)
   Il pesce innamorato, di Leonardo Pieraccioni (1999) 
   La grande prugna, di Claudio Malaponti (1999) 
   Il guerriero Camillo, di Claudio Bigagli (1999)
   Nonhosonno, di Dario Argento (2000) 
 
Recensione:  

Teatro Litta di Milano, Marzo 1993. Ero presente. Era l'epoca della cattività cardanese, il periodo di confino in quel tristissimo anfratto fecale a cui le genti native danno il nome di Cardano al Campo. Dovetti accompagnare una scolaresca a vedere alcuni spettacoli teatrali. Uno di questi, tenutosi nello stesso oscuro borgo lombardo, mostrava alcuni vecchi che venivano scherniti, bastonati e smaltiti come immondizia, in sacchi neri e bidoni della spazzatura. Non riesco a ricordare null'altro della trama, solo queste sequenze allucinatorie, che sembravano frutto dell'ingestione di una frittura di psilocybe. Forse era un rudimentale adattamento di Quarto: uccidi il padre e la madre, di Gary K. Wolf, ma non ne sono sicuro. Vi fu però anche un'eccezione in quell'anno umiliante e disperato. Mi fu permessa una gradita escursione, a mio avviso molto utile. Fu proprio quando andai a Milano al Teatro Litta con la scolaresca, su iniziativa del professor G., che riteneva molto utile ed educativo lo spettacolo di Luca Fagioli. Furono quelli gli unici momenti che potrei definire, se non proprio "felici", almeno "non afflittivi", in un periodo della mia vita che dovrebbe essere cancellato dal Libro dell'Esistenza. 
 
Un tempo si diceva "Italiani, popolo di navigatori, santi e poeti". Poi qualcuno ha coniato il detto "Italiani, popolo di impastatori", per via della loro avidità di lievito durante il lockdown (avidità istigata dall'osceno tam tam mediatico dei giornalisti). Potremmo però aggiungere, oltre a "Italiani, popolo di delatori", anche "Italiani, popolo di bulli, persecutori di deboli e di inermi". A volte mi domando perché Sodoma e Gomorra non siano sopravvissute, mentre uno scandalo come questo vivaio di bulli continui a marcire impunemente sotto la luce tossica del sole. Già me ne accorsi quando ero un moccioso, il giorno stesso in cui sono stato portato all'asilo. Da allora mi sono imbattuto in un numero enorme di persone moleste come tafani, che si sentono vive soltanto se hanno qualcuno da deridere e da tormentare, traendo piacere dall'altrui sofferenza. 
 
Luca Fagioli porta in scena il proprio dramma esistenziale. Deve portare il peso di un vissuto molto problematico, caratterizzato da continui episodi di bullismo in età giovanile, per via della sua corporatura minuta. Tecnicamente parlando, è affetto da nanismo tiroideo. La bizzarra conformazione delle membra e l'aspetto ben singolare attirano in modo ineluttabile lo scherno e l'irrisione da parte delle persone definite "normali". Gli epiteti, come ad esempio "tappo", non si sprecano. Ognuna di questi insulti è una stilettata nel cuore. 
 
Il professor G. faceva notare alla scolaresca che Luca Fagioli ha avuto una vita piena di soddisfazioni umane e professionali e che ha avuto la fortuna di trovare una compagna splendida. La morale del professore, che era un convinto fautore del politically correct (anche se all'epoca non si usava questa locuzione), voleva insegnare il rispetto per la "diversità" a una classe particolarmente indisciplinata, dove non mancavano simpatie naziste. Tali simpatie non derivavano certo dalla lettura del Mein Kampf o dalla comprensione delle dottrine hitleriane: erano reazioni viscerali da parte di giovani rozzi e privi di qualsiasi senso critico, che in questo modo si ribellavano a un indottrinamento scolastico particolarmente oppressivo. Si può dire che il professor G. abbia creato un allevamento di naziskin, senza averne la minima consapevolezza. L'accaduto mi induce alcune amare riflessioni. A Luca Fagioli è andata bene: si è affermato come attore e ha trovato la sua metà. Ma per una persona a cui è andata bene, quante ce ne sono che hanno fallito? Quante persone sole sono state schiantate da questa Italia in cui chi ha problemi è considerato uno zimbello da annientare? Innumerevoli, e non c'è rimedio. Non ci sarà rimedio alcuno, se non il giorno in cui questo paese farà la fine di Atlantide. 

Mi è rimasta particolarmente impressa la lamentazione dell'autore, chiuso nella sua solitudine densa come il piombo. Un'oscurità in cui non si trova un varco, in cui non filtra nemmeno il riverbero di una remota sorgente luminosa. Trovo che sia pura poesia, lirismo assoluto, così la propongo in questa sede:
 
"Mi trovo a ripercorrere il perimetro della mia cameretta
la testa affollata dai pensieri, paure, progetti.
Ho murato la finestra
ma alcuni raggi del sole,
filtrati dalle fessure dei mattoni,
disegnano sul mio viso strani arabeschi.
Mi lascio cadere sulla sedia,
e annoto sul diario:


Intanto passano i giorni,
si sommano in settimane,
si aggrovigliano in mesi,
si ingarbugliano in stagioni,
si ammatassano in anni
natali, pasque, ferragosti
natali, pasque, ferragosti
anni,
natali, pasque, ferragosti

La sveglia mi guarda,
girami!
Fa tic e poi fa tac.
Le ragnatele cambiano ogni anno,
le vedi lì e le ritrovi là.
E nel silenzio più assoluto,
sentire il rumore della barba che cresce.
Deriso da un destino beffardo,
buttato lì come una vecchia cima,
schernito dal tempo inesorabile,
potenza in un nulla fatto di niente,
scheggia di un universo di diversi universi,
truciolo di falegnameria!
briciolino di pane!
(alcune parole borbottate, indistinte, che si perdono nel rumore di fondo) 
 
Quest'opera è etichettata dai media come "commedia", ma a mio avviso non lo è affatto. Si potrebbe andar più vicini al vero ritenendola tragicomica. Unisce in sé spunti ironici e sarcastici con una sostanza assolutamente tragica. Su questo non ci sono dubbi: prevale in ogni suo istante un senso di sofferenza assoluta, che non conosce requie. Non ho mai avuto alcuna esilarazione durante lo spettacolo, proprio perché le sofferenze del protagonista sembravano a me simili a quelle che ho dovuto subire nel corso della mia vita - nonostante la mia statura fisica non possa essere definita esigua. 

Il rustico giannesco in Lucchesia! 
 
Fagioli Luca apprende che il suo amico Gianni, l'architetto, ha invitato amici ed amiche per un weekend nel suo rustico in Lucchesia. Così prende coraggio, gli telefona e gli dice che lo raggiungerà. Inizia la narrazione di qualcosa che sembra a metà strada tra una serie di contrattempi e le dodici fatiche di Ercole. I toni sono volutamente iperbolici. Ogni minima cosa è descritta dall'attore in un modo così surreale da provocare una sensazione di fortissimo straniamento, come se egli fosse un microscopico uomo di Lilliput giunto all'improvviso a Brobdingnag, ove regnano i giganti! Il fine settimana abortisce miseramente: Luca, come un pigmeo nel Labirinto di Cnosso, sbaglia l'ingresso e si ritrova nella cuccia del cane, poi finisce riesce a entrare nell'atrio ma finisce nel camino (il soffitto è alto come quello del Valhalla), quindi rinuncia all'impresa e passa la notte in un campo, trovandosi sommerso da nugoli di grilli zampettanti e da masse di crisalidi. Viene avvicinato da un dobermann libidinoso che cerca di avere un rapporto con una sua gamba e di tenerlo come schiavo sessuale. Al culmine del grottesco, Luca mima una copula, ancheggiando in modo frenetico. Riuscito a sottrarsi all'animale, per quindici giorni si addentra nella campagna toscana, che è descritta come se fosse Mordor! Dopo uno sfinimento estremo, il culmine si ha quando, giunto fino a Marina di Grosseto, si trova davanti la figura immane di Gianni. La sua gioia è incontenibile. "Gianni!!!", esclama. Mi sembra di vedere Gianni, di averlo davanti agli occhi, con quei manoni grandi simili a pale, con quel faccione smisurato perennemente sorridente. Proprio lui: Gianni, l'eterno coprofago! O forse è tutto frutto di un'allucinazione? Fatto sta che Gianni non sembra riconoscere l'amico farfugliante, che alla fine si allontana, annientato. "Ciao Gianni!", gli dice. Poi, dopo qualche passo: "Gianni, ma vaffanculo!"  

Un epilogo annichilente 

Fagioli Luca giunge infine al Capolinea. Certo, quello è il luogo dove prima o poi giungono tutti - anche se i bulli e i gorilla non lo sanno, credendosi immortali. Credo che sia un geroglifico della Morte dell'Essere. Ci viene descritto come uno squallido bar di periferia milanese, con luci al neon che deprimono lo Spirito. Chi è costretto a vegetare sotto quei raggi mortiferi, è come se avvizzisse e si riducesse a una mosca agonizzante sul bordo di un cesso. Ecco, il nostro amato protagonista si trova proprio lì, cercando di ordinare un caffè al banco. Non ci riesce. Aggiunge invano lo zucchero ad alcune tazzine che non sa essere vuote, poi lo ingurgita in preda al disgusto. Tenta anche di ordinare un tramezzino, senza che i risultati siano migliori. Il banco è sopra la sua testa, riesce a malapena a raggiungerlo, come se fosse uno Hobbit tra gli Orchi. Poi ha un'idea geniale. Si allontana e raggiunge il telefono pubblico presente nella sala. Compone il numero del locale e la cameriera che sta al banco risponde. Così può ordinare un tramezzino. "Cristina, dammi un tramezzino!", le urla, dopo essere riuscito ad attirare la sua attenzione. Siamo all'Annichilimento Assoluto. Quello è il luogo in cui l'Essere muore in Eterno! 

Insopportabilità del pubblico 

Quello che ho detestato in modo viscerale sono state le insulse risate di molti spettatori. Cosa diamine c'era mai da ridere? Mi sarei aspettato un profondo silenzio, carico di rispetto e di introspezione. Invece nulla. Alcune risate giungevano proprio nei momenti più penosi, più tragici. Questo mi ha dato una conferma in più della natura bullesca della maggior parte dei frequentatori di teatri. Moltissimi sono coloro che non vanno a teatro per imparare qualcosa, bensì per mero conformismo, per ostentare la loro pretesa superiorità e la loro condizione sociale, per trovare qualcuno da schernire, da tirare per il culo. Certo, l'attore è stato applaudito quando la rappresentazione si è conclusa, ma in un certo senso era un atto dovuto. Non dimentichiamoci che questa gente applaude anche ai funerali, così posso soltanto considerare vuote e ipocrite le loro manifestazioni di entusiasmo. Per molto tempo ho odiato il teatro proprio perché vi si respira un'aria di snobbismo molesto, e la sensazione è analoga al fastidio provocato agli equini dalle punture delle mosche cavalline. Mi affiora un bizzarro ricordo d'infanzia: mio zio S. era convinto che in realtà nessuno ridesse a teatro e che le risate fossero invece il prodotto di un'apposita macchinetta. "Schiacciano un bottone e si sentono le risate", diceva sempre, "ma sono finte". Di certo mio zio S. era più felice di me. 

martedì 25 agosto 2020

 
IL GRANDE INGANNO DEL WEB 2.0
 
Autore: Fabio Metitieri
Anno: 2009
Genere: Saggio
Temi trattati: Web, blog, siti, media, giornalismo 
Lingua: Italiana
Editore: Laterza
Collana: Saggi tascabili Laterza (n. 322)
Codice ISBN-10: 8842089176
Codice ISBN-13: 978-8842089179
Formato: Copertina flessibile
Pagine: 182
 
Sinossi:
In un’Internet di massa, trovare ciò di cui si ha bisogno è sempre più difficile, ma ancor più difficile è valutarne l’attendibilità. È il prodotto dell’ideologia del Web 2.0 – quello di blog e social network – che preconizza la scomparsa degli intermediari dell’informazione, dai giornalisti alle testate di prestigio, dai bibliotecari agli editori, presto sostituiti dalla swarm intelligence, l’intelligenza delle folle: chiunque può e deve essere autore ed editore di se stesso. Il ‘mondo Web 2.0’, dove nessuno è tenuto a identificarsi e chiunque può diffondere notizie senza assumersene la responsabilità, realizza davvero un sogno egualitario, o piuttosto un regno del caos e della deriva informativa? 

Indice dell'opera:
 
Sommario
  La crisi dell'autorevolezza, fra l'ornitorinco e i lemming
  Imparare dagli errori per costruire un'intelligenza collettiva
  Istruzioni per la lettura e ringraziamenti
 
1. I nativi digitali come scoiattoli incapaci
  Quando tutto è Google
  I docenti contro i blog e contro il plagio
  Internet: strumento neutro o cattiva maestra?  
  Il copyright e le bufale: perché Internet non è onnisciente
 
2. Il Web 2.0 e gli user generated content
   Il Web 2.0: una brillante operazione di marketing
   Il negazionismo, i "flame" e i "barcamp"
   Il valore dei contenuti generati dagli utenti
 
3. La conversazione perduta dei blog
   La conversazione dai mercati ai blog, alle biblioteche
   Il successo dei blog e il fallimento dei bloggher
   Il desiderio di link e la piramide dei blog
   Un appunto sui veri Vib e su Beppe Grillo
   La conversazione nei media e la reputazione del villaggio
   Chi vuole distruggere l'idea comunitaria della Rete?
 
4. I dolori della stampa tradizionale e i new media
   La crisi della stampa e il fascino indiscreto del "rag"
   Ridurre i costi sfruttando gli Ugc
   Bloggher-giornalisti, new media e citizen journalism
 
5. Il caos che collabora: i wiki e le folksonomie
   Wikipedia e la resa delle enciclopedie
   L'anonimato, Knol e le folle di idioti
   Le folksonomie: i volatili tra gli zoologi e i cuochi
 
6. Le biblioteche, la filosofica open e i blog
   Le soluzioni 2.0 nelle biblioteche
   Gli "open archive": i blog degli accademici
   Validazione e valutazione negli open archive e nei blog
 
7. I difetti dei motori e i pregi delle persone
   Google, gli altri motori e il semantic web
   Le persone come fonti di informazione
   I social network e l'eccesso di socialità
 
8. Old media e new media allo sbaraglio
   Il racconto degli old media: Internet, Second Life e gli stupri
   Gli old media, i blog e il fallimento di Second Life
 
Conclusioni come valutare e come pubblicare
   L'infomation literacy, questa sconosciuta
   Valutare e pubblicare con giudizio (e con qualche metodo)
   Attrezzarsi per il Medioevo 2.0
 
Riferimenti bibliografici 

Recensione: 
 
Quando ho ordinato in libreria quest'opera, sono stato guardato male dalla commessa, che stupefatta ha farfugliato qualcosa come: "Ma è un contenuto datato!" La cosa le sembrava abbastanza scandalosa, neanche avessi ordinato un trattato sui processi digestivi dei mangiatori di feci o sulla diffusione dell'incesto tra madre e figlio. Non mi sono lasciato scoraggiare. Una settimana dopo mi è stato consegnato il volume, nella cui lettura mi sono presto immerso. Già conoscevo l'esistenza de Il grande inganno del Web 2.0: ne avevo reperito alcune recensioni e brani sparsi nella Rete, che mi avevano subito incuriosito. Per molto tempo avevo invano cercato di accedere a una copia in formato pdf, così alla fine mi sono deciso a optare per l'acquisto del volume cartaceo. Alcune ricerche mi hanno permesso di venire a conoscenza di alcuni importanti dettagli. L'autore era un giornalista ed è deceduto proprio nell'aprile del 2009, mentre era in corso la pubblicazione del libro in questione. Per quanto riguarda l'obsolescenza dei contenuti, mi sembra una questione di lana caprina: per indagare a fondo un fenomeno di capitale importanza è necessario consultare ogni fonte a disposizione, non soltanto i lavori più recenti. 
 
La visione che Metitieri ha del Web è cupa e in particolare si caratterizza per una forte ostilità verso la Blogosfera, che in parole semplici e pratiche è considerata alla stregua di un gigantesco immondezzaio. Già soltanto i titoli dei paragrafi del trattato sono tutt'altro che lusinghieri: i blogger sembrano dipinti non soltanto come coglioni, dementi, plagiari, parassiti e inquinatori, bensì come veri e propri soldati del Caos, consapevoli agenti dell'Entropia il cui fine è la distruzione di ogni punto di riferimento. In pratica siamo di fronte a una raccolta di osservazioni sparse, a tratti interessanti e a tratti tediosissime, inframmezzate da un pastone acido di contenuti a dir poco irritanti. Si capisce subito che l'oggetto della polemica non è un'astrazione, ma un avversario con un nome e un cognome: Giuseppe Granieri. Proprio lui, l'autore del saggio Blog Generation, pubblicato per la prima volta nel 2005. Metitieri applica molte volte la citazione (Granieri, 2005), più di rado (Granieri 2006), in pratica a ogni sorta di contenuti da lui ritenuti discutibili: Granieri confonde il Web con la Blogosfera, identifica i due concetti; Granieri afferma che la vecchia conoscenza, quella dell'epoca pre-Internet, sia obsoleta e vana; Granieri afferma che il blog è la storia intellettuale dell'individuo e che un individuo senza un blog è percepito come debole, etc. etc. Non che io abbia un'enorme simpatia per le tesi granieresche, però ho l'impressione che queste critiche a getto continuo nascondano un profondo livore personale.    

L'autore inizia la sua trattazione evidenziando tutti i limiti dei nativi digitali, la V Generation (dove V sta per virtual). Questi giovani, che non avevano mai conosciuto un mondo senza Internet, già confidavano nell'onnipotenza e nell'onniscienza di Google pur essendo incapaci di leggere lunghi testi on line. Abbastanza indigeste sono le continue geremiadi sull'inesorabile declino delle biblioteche cartacee, del mondo universitario e dei media tradizionali. Il tema centrale di queste lamentazioni bibliche è la crisi dell'autorevolezza, provocata dall'avvento del cosiddetto Web 2.0. A questa denominazione non è riconosciuta alcuna sostanza. In altre parole non si avrebbe alcuna differenza tra un Web 1.0 e una sua versione successiva, il Web 2.0: sarebbe tutto derivato da un equivoco comunicativo. Mi sarà permesso di dissentire. Il Web 1.0 era la Rete Solitaria, formata da una serie di pagine simili a vetrine, con i cui gestori era molto difficile interagire. La linea di demarcazione a mio avviso si è avuta quando hanno cominciato ad esserci intense comunicazioni tra utenti, proprio tramite la Blogosfera. 
 
Metitieri aveva forse un'opinione troppo elevata della professione che esercitata: la considerava come un ideale sublime per cui valeva la pena di combattere. Il nemico del giornalismo erano proprio i blog nel loro insieme. Lo stesso concetto di blog fin dall'inizio suscitava la furiosa reazione dei media tradizionali. Per molti giornalisti, i blog erano le membra informi di un colossale Moloch, che chiamavano "macchina del fango". Adesso che al desiderio di link è subentrato il deserto dei link, la polemica mostra segni di affievolimento.     

Riporto alcuni esempi che possono essere utili a illustrare ciò che intendo dire.
 
Nella migliore delle ipotesi, i Millennial erano ancora girini spermatici in nuoto nei testicoli paterni, quando Beppe Grillo inscenò uno sketch in cui Spadolini aveva un telefono mozzo con solo la parte audio, mentre all'altro capo della linea c'era Brezhnev con un altro telefono mozzo con soltanto il microfono in cui impartire ordini. Erano tempi non sospetti: Grillo era un comico e non esisteva il MoVaffaimento. Ecco, i media tradizionali sono come il telefono di Spadolini di grillesca memoria. Politicanti, giornalisti e presentatori parlano e i cittadini ascoltano, subiscono senza poter mai replicare. Una comunicazione verticale e unidirezionale. Nessun cittadino poteva nemmeno diffondere in modo efficace le proprie opinioni ad altri suoi simili: ogni cosa che venisse detta o scritta non arrivava da nessuna parte. 
 
In epoca pre-blog, un giornalista compose un articolo sull'omosessualità militare, cominciando a discorrere di Alessandro il Grande per passare poi a Röhm e a Mishima. Un interessante articolo, ma con un dettaglio di non poco conto. Il nome attribuito a Röhm era Eric anziché Ernst, sia nel testo che nella foto. Sono andato su tutte le furie e ho subito scritto una mail alla redazione, chiedendo che fosse pubblicata una rettifica dell'errore. Non ebbi alcun riscontro. Come doveva essere in epoca antecedente l'introduzione dell'email? Anche peggio. Questa è l'autorevolezza del giornalismo: non è garantita alcuna accuratezza delle informazioni, non si può interagire, non si può reagire alle stronzate, non si possono emendare errori marchiani, non si può comunicare in alcun modo. Si può soltanto subire, con buona pace di Metitieri. Tramite il Web tutti possono sapere che il tal giornalista ha scritto una stronzata. Tutti lo possono leggere. Forse non servirà a molto, ma qualche internauta prima o poi incapperà senz'altro nel testo e si renderà conto dell'accaduto.  
 
Anche l'accademia mostra problemi simili. Ho identificato diversi errori marchiani, talvolta sesquipedali, fatti da professori su alcuni loro testi. Facchetti, che pure è un ottimo etruscologo, ha fatto molti voli pindarici a partire da una parola greca tradotta in modo erroneo come "topi", mentre in realtà significa "mosca"; da questi roditori inesistenti ha dedotto un verbo col senso di "consumare". Pur avendo pubblicato un articolo sulla questione, non ho avuto nessun riscontro. Fattovich in un suo lavoro sull'antico irlandese ha tradotto erroneamente con "naviglio" una parola che significa "ombelico". Anche in questo caso, pur avendo reso pubblica la questione in un articolo sul mio blog, non ho avuto riscontro alcuno. Voglio credere che sia perché i miei lavori non sono stati indicizzati bene da Google, sfuggendo così all'attenzione. Altrimenti dovrei dedurre, visto che gli errori degli accademici citati sono rimasti al loro posto, che il ragionamento sia stato un "metitierismo" di questo genere: "Se una cosa è scritta su un blog, allora è merda e non vale nulla." Anche se è vera, oserei aggiungere. Eppure sono convinto che i miei articoli siano utili: prima o poi qualche internauta leggerà e trarrà le sue conclusioni. In fondo è anche colpa della mia accidia: avrei potuto scrivere una mail ai docenti per segnalare gli errori. Non l'ho fatto, ho preferito dare la possibilità di una discussione pubblica e costruttiva, impossibile ai tempi della civiltà del libro stampato. 
 
Concordo con Metitieri sull'importanza dell'information literacy, che è la capacità di reperire fonti (on line e off line) e di valutarle. Reputo tuttavia che la validazione dei dati reperiti nel Web non affatto così ardua come viene suggerito, anzi, è una sfida oltremodo interessante. Spesso si rimanda a contenuti cartacei informatizzati, ad esempio in Webarchive o altrove. La cosa può funzionare anche senza che ci sia un signore chiamato "bibliotecario", che magari non sa nulla dell'argomento trattato. La generalizzazione è stigmatizzata, spesso confusa con la più che legittima inferenza statistica. Quando però si parla dei blog, la generalizzazione è ritenuta lecita dai giornalisti. C'è la tendenza a non distinguere i singoli portali e le singole informazioni, come se valutandone una ne conseguisse in via diretta la valutazione di tutte le altre. Se 99 blogger su 100 sono superficiali e non considerano il problema delle fonti, questo non significa che tutti i blog siano automaticamente sterco, per definizione. Così non si può dire che se su un blog è presente un'inconsistenza, tutto ciò che vi è contenuto debba essere automaticamente inconsistente. 
 
Per i politici di ogni genere e di ogni nazione, la comunicazione tra i cittadini è una iattura, qualcosa di sommamente funesto. Solo per citare un caso, Erdoğan ebbe a dire che il Web è come un'autobomba. Da quando ho iniziato la mia attività nei blog su Splinder, ci sono stati decine di tentativi da parte di forze politiche varie, tutti volti a reprimere la Blogosfera, ad impastoiarla con i mezzi più elaborati e stravaganti. Hanno tentato di accusare i blogger di stampa clandestina. Hanno tentato di trasformare ogni blogger (anche il perditempo che parlava della diarrea dei gatti) in un giornalista iscritto a una specie di albo, con l'obbligo di assumere un redattore e un legale. Hanno tentato di punire in modo draconiano ogni contenuto blogosferico etichettabile arbitrariamente come "apologia di reato" o "istigazione": ci fu addirittura una proposta, per fortuna naufragata, che arrivava a prevedere pene fino a 12 anni di carcere. Hanno tentato di ostacolare i blogger servendosi del copyright, minacciando di oscurare senza l'intervento del giudice ogni portale che riportasse anche solo il titolo di un articolo di giornale o che mostrasse anche soltanto un'immagine presa dalla Rete. Hanno cercato di censurare i blogger imponendo un gravoso obbligo di rettifica, da applicarsi in tempi rapidissimi alla minima denuncia o segnalazione. La piattaforma blogosferica Splinder è stata acquistata soltanto per essere chiusa; nessuno potrà mai convincermi che i motivi della sua cessazione non fossero di natura politica. Tutto questo è accaduto in Italia, in quella che è considerata una delle democrazie più avanzate del pianeta. Ci si aspetta che cose simili siano tipiche dei paesi del terzo e del quarto mondo. Ci sono luoghi in cui i blogger finiscono finiscono incarcerati e torturati, addirittura macellati e appesi ai viadotti autostradali. All'epoca c'era il timore paranoico che presto o tardi in Europa si sarebbe potuto instaurare un regime autoritario che avrebbe liberato le galere dai criminali per riempirle di blogger. Faccio notare che Metitieri non ha menzionato nulla di tutto ciò, nulla di ciò che ha potuto vedere mentre era in vita.

Errori folksonomici 
 
L'autore critica il sistema di categorizzazione dei portali blogosferici, da lui etichettato come folksonomia (dall'inglese folksonomy). Lo contrappone al sistema di catalogazione dei volumi nelle biblioteche cartacee, facendo intendere che si tratta di un'attività nociva e apportatrice di marasma. Si capisce subito che il paragone è abusivo e insostanziale. A dire il vero, non avevo mai sentito usare quella strana parola prima di conoscere Il grande inganno del Web 2.0. Non si è mai parlato di folksonomie ai tempi di Splinder, soltanto di categorie e di categorizzazione. Esisteva anche un nome dato a queste etichette dei post, ossia tag. In alcune piattaforme blogosferiche esisteva l'identità tra categoria e tag, in altre si trattava invece di due concetti diversi. Ci terrò a precisare che le folksonomie sono raramente utili e danneggiano innanzitutto il blogger. Se si etichettano male i contenuti, si rischiano poi pesanti conseguenze nella loro indicizzazione da parte di Google. Non ho mai visto nemmeno un blogger animato dalla pretesa di organizzare i contenuti in una classificazione folksonomica basata su una logica rigorosa. Spesso la folksonomia è improvvisata e incoerente. L'accidia frena ogni tentativo di miglioramento. Trovo assurdo che Metitieri descrivesse questi sistemi di etichette come l'arrogante pretesa di rifondare la Scienza, quando è soltanto cazzeggio. Neanche si parlasse delle imprese di Linneo o di Darwin! 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 

L'internauta .mau. ha definito il saggio di Metitieri "Una voce fuori dal coro e molto interessante". Poi però ha aggiunto "peccato parli troppo dei blog". La Blogosfera è in buona sostanza considerata merda. Ecco un estratto in cui si spiega il concetto: 
 
Però a mio parere la vis polemica ha portato l'autore a perdere un po' di vista la sua tesi principale, e cioè che da un lato oggi risulta sempre più difficile validare e valutare la correttezza di un fatto, perché non ci sono più fonti autorevoli, e dall'altro si nota come la gente stia perdendo il proprio senso critico e si limiti a ricerchine banali senza un'analisi critica dei primi risultati che escono. Aver passato buona parte del libro a denigrare i blog, generalmente prendendo come esempio per antonomasia i saggi di Giuseppe Granieri, dà loro troppa importanza, e nasconde appunto il vero e condivisibile problema dell'attendibilità delle fonti. 
 
Per Chiara Marra ci troveremmo addirittura di fronte al "Vaccino alla saggistica di De Biase e Granieri". A questo titolo altisonante aggiunge quindi: "quando internet non è positivista". Non capisco bene cosa intenda dire. Forse pensa che il Web debba essere animato dalla fede di poter giungere a spegnere e accendere il sole come se fosse una lampadina?  
 
Woland ha scritto: 

Le ipotesi erano pure giuste ma lo svolgimento è superficiale nei due punti essenziali:
1)la falsità utopistica della sostutizione dell'intelligenza delle masse agli intermediari dell'informazione e 
2) i rapporti tra editoria tradizionale e editoria elettronica 

Questi due punti andavano sviluppati meglio e invece nel libro non si trova molto di più degli enunciati messi in IV di copertina. 
Magari togliendo un po' di spazio all'inutile e ridondante sproloquio su blog blig blug etc etc 

Ercole aggiunge: 

Un saggio "quasi totalmente inutile" 

Amare riflessioni 
 
Usando il suggestivo linguaggio dell'intervento di Woland, ecco un estremo sunto del pensiero che si ha l'impressione di poter estrarre dall'opera metitieresca: 

Se c'è la scabbia, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la lebbra, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la peste, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la guerra, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è il terrorismo, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è lo stupro, è colpa dei blog blig blug.
Se cìè la crisi, è colpa dei blog blig blug.
Se le cose vanno male, è colpa dei blog blig blug.

sabato 22 agosto 2020

 
BLOG GENERATION
 
Autore: Giuseppe Granieri 
Anno: 2005
Edizioni: 1a ed. 2005, IV rist. 2009 
Editore: Laterza 
Pagine: VIII-185
Collana: Saggi Tascabili Laterza (n. 287)
ISBN carta: 9788842075646
ISBN digitale: 9788858102152
Argomenti: Attualità culturale e di costume, giornalismo,
      informatica, scienze della comunicazione 
Prefazione: Derrick De Kerkhove
Copertina: flessibile
 
"Se questo libro non fosse anche molto piacevole da leggere, direi che si tratta di una sorta di studio sociologico sui weblog e sui motori di ricerca. La prospettiva di Granieri è al tempo stesso ampia e precisa: attraverso l'individuazione dei suoi attori e l'esame della tecnologia, la trasformazione delle relazioni personali oggi in atto è messa in luce nei suoi vari aspetti. Il libro di Granieri è ispirato a una visione della democrazia e dell'organizzazione sociale in movimento. La sua è una vera vocazione politica, non di partito, ma di umanità."
(Derrick De Kerckhove)
 
Indice (edizione 2005): 

Prefazione di Derrick De Kerckhove 
 
Nota dell'autore 

Prologo. Di come le percezioni diventano realtà 
     Platone snack bar
     Cosa sanno di noi 
     La democrazia come lotta contro la complessità 

Parte prima
Non la tecnologia: la pratica. Come nasce un modello nuovo 

Capitolo 1. La rivoluzione della pagina "What's New" 
    1.1 Di cosa parliamo quando parliamo di Internet
    1.2 Una tecnologia che esiste da quando è nato il Web 
    1.3 Il problema dell'ornitorinco 
 
Capitolo 2. Per una descrizione della blogosfera 
    2.1 Dalla prassi allo standard 
    2.2 "The Power of Linking": cenni di economia politica del 
          Web 
    2.3 Le regole della conversazione 
    2.4 La palestra delle idee 
    2.5 La moltiplicazione dei pani e dei pesci 
 
Capitolo 3. Il Super-Google 
   3.1 "The ant colony", ovvero la redazione più grande del 
          mondo 
   3.2 "RSS way of life": come cambia il nostro rapporto con le 
          informazioni 
 
Parte seconda
Prove tecniche di rappresentazione del mondo 

Capitolo 4. Ecosistema dei media 2.0 
   4.1 Al lupo, al lupo! 
   4.2 Interazione numero uno: miglior giornalismo 
   4.3 Interazione numero due: il patto critico 
   4.4. La "Google Generation"

Capitolo 5. Democrazia 3.0
    5.1 Campagne elettorali open-source 
    5.2 Modi e tempi del dibattito politico

Capitolo 6. Quello che ci meritiamo 
    6.1 Cosa ne faremo
    6.2 La rivincita della politica 

Bibliografia 

Indice dei nomi
 
Recensione: 
 
In estrema sintesi, il libro granieresco è una massa di contenuti molto datati, che ormai l'editoria potrebbe considerare carta da macero. Fu pubblicato per la prima volta nel febbraio del 2005, a poca distanza dalla mia entrata nel mondo blogosferico di Splinder (luglio 2004). Una ragazza che all'epoca era una diciottenne, adesso è una milf. Una donna che all'epoca era una quarantenne, adesso sia avvia a diventare una vecchia carampana. Un adolescente dei nostri giorni, all'epoca era soltanto uno spermatozzo! Ricordo ancora quando quello stesso anno, credo fosse settembre, fui invitato allo IULM insieme ad alcuni altri splinderiani, tra cui spiccava il giovane Jack the Ripper. Era costui un individuo alquanto bizzarro. Parlammo di Ernst Röhm e di Gregor Strasser, delle SA e dell'omosessualità nella Germania di Weimar. A dire il vero di quella giornata ricordo soltanto lui e un anziano signore il cui portale si intitolava "Ceci n'est pas un blog". Gli altri che incontrai mi parvero assolute nullità, tanto che ogni traccia mnestica della loro esistenza è scomparsa dai miei banchi di memoria stagnante. A parte l'organizzatrice dell'incontro, che aveva i capelli rossicci, non sono nemmeno sicuro che ci fossero delle ragazze. Il motivo di questo lungo flashback è presto detto: proprio allo IULM diedero in omaggio una copia del libro di Granieri a me e agli altri blogger presenti. Lì per lì lo trovai interessante. Dopo anni lo ripresi in mano e mi parve più lontano da noi di una tavoletta d'argilla con iscrizioni cuneiformi. Soprattutto mi parve futile. Pensate, l'opera è tutta innervata da illusioni politiche e da velleità messianiche! Sono andato con la mente ai tempi in cui all'improvviso mi trovai in Splinder: molti facevano un gran parlare del blog come strumento di informazione. C'era chi pensava di usare questo mezzo per migliorare il mondo, senza voler accettare il fatto che non si può pulire un cesso usando la merda. Molti si atteggiavano a giornalisti di un nuovo tipo, mai visti prima e destinati a rivoluzionare il pianeta. Era tutto un pullulare di cronisti d'assalto politicizzati, esperti in materie legali e attivisti pacifisti, che agivano utilizzando il Web anziché i media tradizionali. Cosa ne è rimasto? Niente. Dove sono finiti tutti i movimenti contro la guerra? Ricordo i tempi in cui fu rapito e ucciso Enzo Baldoni (splinderiano, autore di "Bloghdad"). Qualunque cosa succedesse in Iraq aveva un riflesso immediato nella blogosfera splinderiana. Ricordo quando dal mattino alla sera comparve un grottesco blog intitolato "Le due Simone subito libere!" (ormai nessuno se ne ricorda più: le Simone erano due giovani volontarie rapite in Iraq). Esisteva una massiccia presenza di portali politici di ogni genere. Bastava mettersi nell'homepage di Splinder e comparivano post di un gran numero di blog di Forza Nuova, in pratica uno per città. Anche l'Ulivo (che poi è diventato il Piddì) aveva blog territoriali, di cui presto ne rimase uno solo: quello dell'Ulivo di Velletri. C'erano i "Bloggers contro la guerra", "La torre di Babele" di Pino Scaccia e innumerevoli altri. Lo stesso concetto di blog politico è stato nel frattempo dimenticato. Nessuno più coltiva quell'idea puffesca di realizzare la Democrazia Universale tramite la Blogosfera. Per quanto riguarda i gruppi antidemocratici, sono migrati in altri ambienti, come ad esempio Facebook.

Durante l'incontro allo IULM, l'organizzatrice ci invitò a formulare una definizione di blog. Dopo una breve discussione si convenne che un blog differisce da un comune sito web in questo:
1) è aggiornabile facilmente tramite un'apposita finestra di editing e un tasto di pubblicazione;
2) presenta gli aggiornamenti, detti post, in uno storico, di solito in ordine crononogico inverso (anticronologico);
3) permette l'interazione in tempo reale tramite commenti. 
 
Col senno di poi, aggiungerei un'altra caratteristica:
 
4) fa parte di una piattaforma, che è il suo universo-contenitore. 
 
Questo quarto punto, lo capisco sempre di più, è fondamentale. Un portale solitario, con un proprio dominio, non può essere definito un vero blog, perché non è parte di alcuna struttura della galassia informatica. Non è parte della Blogosfera. Ai tempi di Blog Generation, questo concetto non era chiaro. Era addirittura comune l'invidia verso portali come quelli di Granieri e quello di Mantellini (il famoso Manteblog), che si diceva viaggiassero sulle mille visite al giorno. Era quasi un feticismo delle visite. Lo affermo con veemenza, anche a costo di farmi nemici: se l'url di un portale non ha un suffisso che marca la piattaforma, non è un blog. Al massimo può essere definito pseudo-blog.
 
Se ci pensiamo bene, nel trattato di Granieri non viene nemmeno data una vaga definizione di cosa sia un blog. Viene considerata una cosa scontata. A parer mio questo è stato un colossale errore. Un segno che Blog Generation era rivolto unicamente ai blogger, come se fossero una setta priva di aperture verso il mondo esterno, coincidente con l'intero Web. L'insistenza con il tema del dibattito politico e della democrazia digitale è fortissima fin dalle prime pagine: sembra quasi una lente distorcente attraverso cui l'autore guarda l'Esistenza. Eppure la maggior parte dei blog non ha mai avuto contenuti politici articolati. Un ex collega aveva un blog i cui post erano tutti uguali: "Berlusconi vi ruba il futuro". La stessa identica frase, ripetuta centinaia, forse migliaia di volte. Certo, è una frase politica, ma se vogliamo è un po' scarna. Per ogni portale di un attivista, ce ne saranno stati centinaia e centinaia che trattavano di tutt'altro. C'erano blog di varie subculture. Ve li ricordate gli Emo? Erano quei giovani magrissimi e vestiti di nero che facevano feste orgiastiche e si cospargevano di sperma! E le anoressiche? All'epoca erano molto attive in Splinder, al punto che ci furono tentativi di fare leggi per reprimerle. Poi c'erano moltissimi a cui non importava un bel niente di nulla. In fondo, con buona pace di Granieri, uno può benissimo aprire un diario on line e scrivere cose del tipo: "Oggi ho la diarrea! Il suo odore di uova marce stordirebbe le mosche!" C'era poi un portale il cui autore ripeteva soltanto il carattere "ù", in innumerevoli post di questo genere: "ùùùùùùù". Riceveva moltissimi commenti di internauti adirati che si lamentavano dello spreco di risorse. Il tempo ha affossato la Blog Generation, proprio come ha affossato Nabucodonosor e il Re di Sodoma. Certi concetti graniereschi suonano così distanti dalla realtà che al confronto ci sembra concreto e immanente il magico mondo dei Puffi! Non tutto però è una melassa di ingenuità e di stucchevole panglossismo. Ci sono anche spunti per riflessioni di un certo interesse, a patto di saperli scorgere nella massa delle scorie ideologiche. 
 
La natura aristocratica del Web segue i princìpi della Teoria delle Reti, così ben descritti dal cibernetico ungherese Albert-László Barabási. Si comprese ben presto che non tutti i blog potevano avere la stessa visibilità. Accadde quando in Splinder cominciarono ad emergere le cosiddette blogstar. In molti casi i loro contenuti erano di una stupidità spaventosa, di un vuoto desolante, eppure erano graditi a un numero immenso di utenti, a loro volta stupidi e vuoti. Granieri non manca di parlare di questo fenomeno, citando il caso di un blogger  splinderiano conosciuto come Personalità Confusa. Di lui si parlò a fondo anche allo IULM. Da quello che ricordo, era uno studente che fingeva di essere una baby sitter alle prese con pannolini sporchi di merda e simili amenità. Il suo delirante diario piacque a un gran numero di utenti, tanto che divenne uno dei blog più citati dai media. Non si capirà mai perché sia andata così. In pratica ha funzionato come la formazione di un cristallo intorno a un minuscolo nucleo di aggregazione in una soluzione satura di sali. Non è poi così strano che Granieri abbia riportato proprio questo esempio, anche se non sembra essere politicamente spendibile. Il meccanismo che permetteva a un blog di attirare enormi consensi era visto come qualcosa della massima importanza: c'era l'illusione di poterlo comprendere e di utilizzarlo per realizzare la democratizzazione blogosferica dell'intero Universo, fino alle più remote galassie. A distanza di anni anche queste blogstar sono scomparse: già da tempo si erano avviate lungo i sentieri dell'Estinzione.
P.S.
A quanto si scopre, i contenuti di Personalità Confusa sono stati migrati in un tristissimo portale indipendente con suffisso .net. Gli aggiornamenti sono continuati fino a tempi recenti, ma tutto ciò non mi sembra la stessa cosa di Splinder.     

Il caso del Connettivismo 
 
Peccato che anche per motivi cronologici Granieri non abbia potuto menzionare la complessa interazione blogosferica da cui è nato un movimento artistico della massima importanza, il Connettivismo, a cui ho avuto il privilegio di aderire fin dagli inizi del 2005. Il nucleo iniziale del Connettivismo era il blog splinderiano Cybergoth di Zoon. Su un template nero come l'Abisso Siderale scorreva un flusso incessante di post che erano frammenti di universi collassati. È stato per me un grande privilegio parteciparvi! Estinto Splinder, il progetto di Zoon continua su HyperHouse (NeXT Hyper Obscure), ospitato dalla piattaforma WordPress. Si tratta di uno degli ultimi blog in cui permane l'antica scintilla. 
 
 
Se penso alle antiche glorie, mi commuovo. Mi limiterò a riportare l'inizio del Manifesto del Connettivismo e a rimandare a una pagina del sito Fantascienza.com.    
 
"Siamo i Custodi della Percezione, i Guardiani degli Angeli Caduti in Fiamme dal Cielo, i Lupi Siderali. Un gruppo di liberi pensatori indipendenti. Viviamo nel cyberspazio, siamo dappertutto. Non conosciamo frontiere. Questo è il nostro manifesto." 
 

Sono le Ultime Stelle, che diffondono la loro fioca luce nel Nero Assoluto, nella Morte Termodinamica del Multiverso.

Altre recensioni e reazioni nel Web

Queste sono due recensioni di Blog Generation, che reputo interessanti:
 
"Il 2004 è stato tutto un pullulare di libri sui blog, sui blogger e via discorrendo. Continuo a chiedermi da un lato se hanno un certo qual successo, e dall'altro se servono a qualcosa. In fin dei conti è anche vero che chi scrive su un blog tende a leggere più della media, e con le tirature medie italiane basta "leggersi addosso" per ottenere un discreto successo. Questo agile saggio nasce per spiegare il fenomeno da un punto di vista sociologico. Granieri è una figura molto nota nel campo, e il suo punto di vista è che la Rete permetterà una maggiore partecipazione dei cittadini alla "politica", intesa sia nel senso usuale che in quello etimologico di "scambio di informazioni e conoscenze tra le persone; il tutto favorito dai sistemi software di aggregazione di quanto noi rendiamo pubblico, che faranno sì che ognuno di noi si costruirà il proprio giornale interattivo. Il libro è scritto in uno stile che si mantiene quasi sempre scorevole, senza usare quei paroloni che danno l'aria di voler nascondere la scarsa conoscenza degli argomenti. Chi conosce il "guru" Granieri si potrà piuttosto stupire che non è stata mai usata alcuna faccina: è proprio vero che un sito web e un libro richiedono formalismi diversi. L'unica pecca che ho trovato è il tono a volte troppo trionfalistico, come se i blog fossero la Rivoluzione Totale e Definitiva invece che uno strumento utile ma non certo indispensabile. Forse però la mia è una visione prevenuta: in fin dei conti faccio già parte della Blog Generation."
(Maurizio Codogno) 

"15.000 blog nuovi al giorno l'anno scorso; forse quest'anno anche di più. Il libro ci spiega che cosa è un blog e come funziona: in che modo è la forma più matura di internet. La possibilità per ogni utente del web di avere un proprio punto di presenza, fa la differenza rispetto ai sistemi finora in uso: newsgroup, forum, e-mail, ecc. Inoltre il blog - dice ancora Granieri - inverte la sequenza letteraria cui eravamo finora abituati: esso prima pubblica e poi filtra. L'esigenza di tale filtro, ovviamente, dovrebbe portare (porta) alla scrematura della fuffa, e quindi far sì che solo la punta della piramide abbia una consistenza. Il resto è vanità! Granieri riferisce numerosi episodi per avvalorare l'incidenza dei blog anche nei confronti dei media tradizionali, che tendevano ad ignorarne la presenza. La lettura è piacevole oltre ad essere istruttiva."
(Romolo Pranzetti) 

Parole che a pochi anni di distanza suonano come rumore di fondo!
 
Epilogo 
 
Dov'è finita la Blog Generation? Nel Nulla. È finita nel Nucleo del Nulla. Non ne resta quasi alcun ricordo, solo qualche traccia mnestica in dissoluzione nella Noosfera demente di questa umanità terminale.

giovedì 20 agosto 2020

BRUCE STERLING E LA PROFEZIA SULL'ESTINZIONE DEI BLOG

Il 16 marzo 2007 è stata riportata sul quotidiano La Stampa, nella sezione Tecnologia, una notizia a dir poco singolare: Bruce Sterling al South by Southwest Festival di Austin (Texas) ha dichiarato che i blog sono in via di estinzione, aggiungendo che entro un decennio, nel 2017, la stragrande maggioranza di tali portali sarebbe scomparsa. Ecco il link al (poco) mirabile articolo: 
 
 
I giornalisti come al solito hanno concepito un titolo in grado di generare fraintendimenti. Il lettore medio entra a malapena negli articoli, di cui legge in modo disattento poche righe. Così è l'impatto del titolo ad essere determinante nel formare l'opinione pubblica. Il problema è questo: dal titolo si sarebbe dedotto che nel 2017 ci sarebbe stato un evento catastrofico, come l'impatto di un asteroide, che all'improvviso avrebbe spazzato via l'intera blogosfera mondiale. I giornalisti hanno trasformato le dichiarazioni di Sterling in qualcosa di simile alla famosa "Profezia del Maya" che nel 2012 avrebbe dovuto colpire il pianeta (e che si è rivelata una merdata colossale). In realtà Sterling non ha mai parlato di un annientamento subitaneo: alludeva soltanto a un declino e a un lento processo di sfacelo che avrebbe infine portato alla quasi estinzione dei blog. Stramaledetti giornalisti, che fanno deformazione anziché informazione! Ecco alcuni estratti:
 
“Ci sono cinquantacinque milioni di blog, qualcuno di loro deve essere buono”, ha detto Sterling, ripetendo ironicamente lo slogan che campeggia sul portale Technorati. “In realtà, non è così. Non sono buoni e nel giro di dieci anni ne rimarranno pochi. Sono un fenomeno passeggero”. E neanche poi troppo innovativo, ha concluso, più che altro una declinazione in larga scala delle vecchie forme di comunicazione tribale.
 
Interessante notare che nel frattempo si è estinto proprio il portale Technorati, da lungo tempo ingorgato e inservibile, meno utile di un peto sulfureo. 
 
E ancora: 
 
Poche ore dopo aver sconvolto la platea di blogger radunati ad Austin (da festival essenzialmente musicale, il SXSW sta diventando sempre più un raduno high tech, con decine di incontri dedicati a Internet e alle nuove tecnologie), Sterling ha utilizzato proprio un blog, quello che cura su Wired.com, per puntualizzare alcuni aspetti del suo intervento. 
 
Vista la reazione del pubblico sconvolto dalla Profezia, il Texano avrebbe fatto qualche precisazione: 
 
“Non credo che i blog siano una moda destinata a svanire”, ha scritto. “Ma che sta svanendo la forma originaria del blog: noi usiamo ancora quel termine, ma ormai non coincide più con lo sviluppo di Internet”. Sterling fa riferimento a YouTube, a Flickr, a MySpace, ai social network. “E’ questo ciò che intendevo quando ho detto che non ci saranno più blog nel giro di dieci anni. Ci saranno un sacco di contenuti post-blog. Megatoni di importanti contenuti. Ma non blog”.   
 
(Nota: Immagino che un originale megatons sia stato tradotto con "megatoni", anche se lo scrittore intendeva certamente dire "milioni di tonnellate"!)
 
Questo è il link al post di Sterling: 
 
 
Peccato che sia un link rotto: nel frattempo il blog dell'augusto texano si è estinto! Come mi secca avere sempre ragione! 
 
Come spesso accade, risulta essenziale confrontare le cose scritte dai giornalisti italici con le fonti in inglese da cui hanno attinto. Infatti in alcuni casi mi sono imbattuto in articoli presi per intero e copiati per poi inserire nel traduttore di Google. Da allora sono abbastanza cauto. Cercando nel Web, ho facilmente trovato un articolo che in teoria dovrebbe riportare il discorso di Sterling verbatim ab origine. È apparso sul quotidiano online The Register e si intitola Bruce Sterling gives blogs 10 years to live. Come se fosse l'annuncio di una diagnosi di cancro. Sempre il solito pacchiano sensazionalismo giornalistico. 
 
 
Questo è un estratto particolarmente significativo: 
 
Science fiction writer and professional pundit Bruce Sterling has cracked bloggers with the extinction stick, saying the plebs will crawl back into their ooze by 2017.

"There are 55 million blogs and some of them have got to be good," Sterling said, during a speech here at the SXSW conference in reference to the slogan on blog search site technorati.com. "Well, no, actually. They don't."

"I don't think there will be that many of them around in 10 years. I think they are a passing thing." 
  

Ho preso il testo e l'ho messo tal quale nel traduttore di Google. Questo è il risultato, da confrontare con l'articolo in italiano: 

Lo scrittore di fantascienza ed esperto professionista Bruce Sterling ha incrinato i blogger con il bastone dell'estinzione, dicendo che la plebe tornerà a strisciare nella sua melma entro il 2017.

"Ci sono 55 milioni di blog e alcuni di loro devono essere buoni", ha detto Sterling, durante un discorso qui alla conferenza SXSW in riferimento allo slogan sul sito di ricerca di blog technorati.com. "Beh, no, in realtà. Non lo fanno."

"Non credo che ce ne saranno così tanti in giro tra 10 anni. Penso che siano una cosa passeggera".

 
Spettacolare! Almeno i giornalisti italici non hanno scritto che Sterling ha incrinato i blogger con il bastone dell'estinzione e non hanno maledetto le plebi!!! :) 
 
Poi tutto dipende da cosa gli astanti hanno capito davvero delle dichiarazioni di Sterling. Siccome la lingua che parla abitualmente è meno comprensibile di un idioma alieno, i fraintendimenti sono all'ordine del giorno. Che un ascoltatore sia o meno di lingua madre anglosassone, le difficoltà sono notevoli. Non dimenticherò mai quella volta in cui un giornalista napoletano, incapace di capire il neotexano, ha trasformato il Guru del Cyberpunk in un pistolero!  
 
Il punto è questo, con buona pace di Sterling. I blog sono irrilevanti. Che muoiano o meno non significa proprio nulla. L'essenza di un blog è di per sé meno importante della cacchina depositata da uno scarafaggio sul pavimento di una latrina! Presi singolarmente, questi portali contano meno delle feci di una mosca su uno specchio in un bordello indiano. Non sono i blog ad essere morti, bensì la Blogosfera!
 
Tanatologia blogosferica
 
La Blogosfera non è definibile come la semplice somma algebrica dei blog che la compongono. All'epoca in cui la Blogosfera era una realtà in espansione, era un insieme di proprietà emergenti, date dai legami tra i blogger, dalle loro continue interazioni, dal flusso di informazioni. Queste proprietà si esprimevano nei modi più svariati. Esisteva il blogroll, in cui venivano linkati un gran numero di blog di persone con cui si interagiva. Nei post erano spesso incorporati i link a post altrui, i commenti che formavano spesso estesi thread. In alcuni casi queste discussioni avevano la mole di poemi epici e contenevano autentiche gemme. Tutte queste cose sono svanite nel Nulla. Se la Blogosfera nel 2007 era paragonabile a un pianeta vivo come la Terra, con i suoi complessi cicli, oggi esiste soltanto la desolazione di Plutone! Dove un tempo fiorivano ecosistemi rigogliosi e caotici, oggi si scorgono soltanto rocce nude e gelide alla deriva nell'Abisso!
 
Contenuti post-blogosferici  
 
Bruce Sterling, nel suo ottimismo gioviale, nel 2007 si diceva convinto che dopo un decennio sarebbero comunque esistiti moltissimi contenuti interessanti nel Web. Aveva ragione! Non esito a dire che posso fornirne qualche esempio. Un fan della Ferrigni riporta la ricetta di una torta ottenuta dalla cacca della sua biondissima diva e aromatizzata al castoreo, l'aroma di vaniglia ottenuto dalle ghiandole anali dei castori: un'autentica ghiottoneria giannesca! Sono state posate le fondamenta del Tempio dei Coprofagi! Questo è un piccolo passo per il post-blogger, ma un passo gigantesco per l'umanità! Grazie all'incessante lavorio di qualche eroe post-blogosferico stanno ritrovando vigore alcune vecchie leggende. Mi sono imbattuto nella storia di Rod Stewart quasi morto per aver ingerito un'immensa quantità di sperma, donato da un folto gruppo di marinai nerboruti!