Il termine xenoglossia non appartiene al linguaggio della Chiesa di Roma, come molti potrebbero credere. A coniare il vocabolo a partire da radici elleniche è stato il medico e fisiologo francese Charles Robert Richet nei primi anni del XX secolo. A quanto pare, il massimo studioso di xenoglossia non deve essere cercato tra gli esorcisti della corte papalina: era lo psichiatra Ian Stevenson della University of Virginia Medical School, deceduto nel 2007. Quel luminare ha posto la distinzione tra xenoglossia recitativa (recitative xenoglossy) e xenoglossia di risposta (responsive xenoglossy). Nel primo caso il soggetto è in grado di pronunciare singole frasi, in genere brevi, senza saper conversare nella lingua straniera. Nel secondo caso il paziente è in grado di rispondere in modo sensato a domande che gli sono poste. Il professor Stevenson riteneva autentico il fenomeno e per darne spiegazione ipotizzava che in certe condizioni uno spirito incarnato potesse ricordare lingue parlate in una vita precedente. In altre parole, gli era necessario sconfinare nella religione e nello spiritismo, essendo incapace di spiegare i fatti tramite il semplice ricorso al metodo scientifico. Tutto ciò non è poi così distante dagli enunciati di Padre Amorth e di Milingo, che consideravano gli xenoglossi posseduti da Satana. La linguista Sarah Grey Thomason, dell'Università di Pittsburgh, nel 1995 ha composto sull'argomento il saggio Xenoglossy, disponibile online gratuitamente e scaricabile in formato pdf:
La Thomason riporta alcuni interessanti casi americani di presunta xenoglossia, tra cui uno relativo allo svedese, un altro al tedesco e un altro ancora al bengali. Ne traccerò brevemente i limiti e le inconsistenze. I casi in questione sono stati studiati sul campo da Stevenson, dato che lo psichiatra non si fidava dei dati riportati in letteratura e non descritti con sufficientemente rigore. Lo studio risale al 1974, epoca abbastanza sospetta, dato il colossale abuso di sostanze stupefacenti diffuso in modo capillare in ogni strato della società americana e anche nel mondo accademico.
1) Primo caso. Una casalinga trentasettenne di cui si danno solo le iniziali non separate da punti, TE, ipnotizzata dal marito, manifestò la personalità maschile di un certo Jensen Jacoby, che si esprimeva in svedese. La donna rispondeva a domande in inglese usando l'inglese e a domande in svedese usando lo svedese - pur con qualche difficoltà di comprensione.
2) Secondo caso. Una casalinga di nome Dolores Jay manifestò, sempre in stato di ipnosi, una fantomatica personalità maschile rispondente al nome di Gretchen, che si esprimeva in uno strana varietà di tedesco. Anche questa volta si trattava di xenoglossia di risposta, soltanto che la donna non sembrava in grado di articolare i responsi in inglese. Tuttavia se le venivano poste domande in inglese capiva e formulava proposizioni apparentemente sensate in tedesco.
3) Terzo caso. Una donna indiana di nome Uttara Huddar, che parlava in modo fluente il marathi, senza essere ipnotizzata manifestò una personalità maschile rispondente al nome di Sharada, che si esprimeva in un bengali abbastanza buono. Alcune informazioni fornite da Sharada, così riporta la Thomason, sarebbero state verificate, permettendo di localizzare una famiglia corrispondente alle descrizioni in Bangladesh. Non si tacerà che Uttara Huddar è stata scoperta durante un ricovero in ospedale psichiatrico, dettaglio non trascurabile.
Il punto è che tutti i soggetti in questione erano stati esposti in un qualche modo alla lingua in analisi, anche se spesso in modi non scontati. Vediamo di passare in rassegna le evidenze.
1) TE proveniva da famiglia cosmopolita di stirpe Ashkenazi, con una spiccata dimestichezza per le lingue: era abituata allo yiddish, al polacco e al russo. Si è poi scoperto che era stata esposta a una trasmissione televisiva in svedese, le cui frasi ricordava ancora a distanza di anni. La dichiarazione scritta dal marito, secondo cui lei non sarebbe stata mai esposta a una lingua scandinava, era dunque una dichiarazione mendace. La vicenda mi ricorda un film in cui John Candy aveva imparato alla perfezione lo svedese a furia di guardare film porno prodotti nel paese nordico e non doppiati!
2) Dolores Jay alias Gretchen si esprimeva in un tedesco artefatto la cui pronuncia era distorta e di origine ortografica. Così pronunciava schön "bello" come se fosse la parola inglese shown. Se avesse sentito la pronuncia tedesca genuina, l'avrebbe invece assimilata a shane. A volte distorceva una parola inglese: anziché il corretto blau "blu", utilizzava il fantomatico blü, con vocale bemollizzata. Si è poi scoperto che anni prima dello studio si era procurata un vocabolario tedesco, mandando a memoria molti vocaboli. Siccome mancava ogni guida alla pronuncia, li aveva pronunciati come erano scritti, secondo l'ortografia inglese.
3) Uddara Huddar crebbe in una città babelica dello stato del Maharashtra in cui viveva una comunità di circa 10.000 Bengalesi. Possibile che non abbia mai sentito nemmeno una parola di quella lingua? Non è affatto possibile. Deve aver quindi sviluppato almeno una competenza passiva ascoltando i discorsi della minoranza linguistica bengalese. Si scoprì che non solo era stata esposta al bengali, ma che sapeva persino scriverlo avendo letto un romanzo in quella lingua. Non era una donna incolta: aveva studiato persino il sanscrito!
Una domanda: c'era proprio bisogna di ricorrere alla reincarnazione per spiegare simili pataccate?
Se soltanto si indaga abbastanza a fondo, si scopre che non esiste uno solo xenoglosso che sia stato in grado di ricostruire una parte utile del lessico e anche un abbozzo di grammatica di una lingua esistente a lui del tutto estranea. Insisto sull'assoluta inattendibilità dei prodotti degli xenoglossi, che si rivelano sempre inutili ai fini della conoscenza.
Con i prodotti dei glossolalici le cose non sono molto migliori. Ricordo di aver letto molti anni fa, in epoca pre-Internet, di un caso di glossolalia che in realtà può essere definito un abuso di credulità pubblica: una ragazza molto religiosa si esprimeva nella cosiddetta "lingua di Dio", che a giudizio del suo padre spirituale sarebbe stata un idioma neolatino. L'articolista riportava che le caratteristiche erano intermedie tra il provenzale antico e il portoghese. A quell'epoca vigeva l'uso di due pesi e due misure. Se un glossolalico era cattolico, i media si mostravano creduli e spesso riportavano le opinioni favorevoli di un teologo. Se un glossolalico era di altro tipo, allora era considerato un folle e non poteva sperare di suscitare il minimo interesse in nessuno.
Ovviamente è di un'ingenuità assoluta e figlia dell'ignoranza più belluina l'idea di attribuire a Dio una lingua derivata, simile al provenzale e al portoghese, che sono chiari esiti del latino volgare. Se un religioso ammette che Dio sia la causa di ogni cosa, come potrà attribuirgli come propria lingua un idioma derivato? È chiaro che è impossibile. Postilla: tutte le lingue terrestri a noi note sono lingue derivate, inclusi l'ebraico (è una forma di cananeo) e il sumerico (le sue radici presentano segni evidenti di forte evolutività). Gli Ebrei non ebbero l'ebraico come prima lingua, e questo è dimostrato dal fatto che tale forma di cananeo non spiega numerosi antroponimi e toponimi - di cui spesso gli stessi autori dei testi biblici hanno proposto etimologie popolari (es. Babele, Noè, Sodoma, etc.). Ne consegue questo: per coerenza nessun religioso dovrebbe pensare che Dio possa avere come propria lingua tali idiomi, in tutto e per tutto umani, i cui suoni derivano da usura umana da precedenti protoforme più complesse.
Ribadisco con forza le conclusioni già espresse in un mio precedente intervento. Se questi glossolalici producessero testi tanto sorprendenti, allora perché non vengono diffusi? Perché non si hanno dizionari e grammatiche delle varie "lingue di Dio"? Perché non circola nemmeno una frase? Semplice: perché si tratta di pastoni incoerenti, senza né capo né coda. Come se non bastasse, le persone che raccolgono tali testi sono incompetenti, non capiscono nulla di linguistica, non hanno conoscenze di alcun tipo di alcuna lingua concreta, e sarebbero capaci di definire una lingua "arabo" o "portoghese" soltanto sulla base della sua sonorità. A questo proposito, possiamo ben citare la cosiddetta glossolalia marziana, descritta nel blog Retroguardia 2.0, quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e di Giuseppe Panella:
"E’ il caso di Hélène Smith (Catherine-Élise Muller), la medium studiata e analizzata da Théodore Flournoy dell’Università di Ginevra, che parlava una lingua “marziana” simile al sanscrito e, per questo, osservata anche da de Saussure. La signorina Smith si rivolgeva a Flournoy in una lingua che la donna sosteneva derivare direttamente da Marte; successivamente la mutò in una lingua che de Saussure definì “sanscritoide” e che assomigliava a un linguaggio indiano. Ma i suoni che essa emetteva erano solo apparentemente indù – costituivano un linguaggio privato, una lingua “inventata” che andava al cuore della comunicazione aggirandola."
Immaginiamo che uno psicologo senza alcuna competenza in filologia germanica mi sottoponga il seguente testo, attribuito a uno spiritello che afferma di aver fatto parte del popolo degli Ostrogoti:
o:lu bo:lus analuth mi:nanans sinfli:ksn samiths
Si capisce all'istante che questa lingua non è gotico. Non si tratta di una xenoglossia: è una glossolalia. I motivi della classificazione del testo sono i seguenti:
1) nessuna parola ha un senso compiuto;
2) non si trova nemmeno una corrispondenza con il materiale noto;
3) la struttura grammaticale stessa è incoerente e non corrisponde alla morfologia di una frase di senso compiuto (es. non c'è un verbo in forma finita riconoscibile).
2) non si trova nemmeno una corrispondenza con il materiale noto;
3) la struttura grammaticale stessa è incoerente e non corrisponde alla morfologia di una frase di senso compiuto (es. non c'è un verbo in forma finita riconoscibile).
Chiunque abbia qualche conoscenza della lingua di Wulfila, anche senza parlarla fluentemente o possederne l'intero vocabolario, sa per certo che il testo prodotto, nonostante la fonotattica delle parole somigli a quella del gotico, non è formulato nella lingua dei Goti. Proprio come il grammelot di Celentano non è inglese, e qualsiasi parlante anglosassone può dirlo per certo. Che Ferdinand de Saussure affermasse che la glossolalia marziana fosse "sanscritoide" sembra implicare per certo che il linguista francese non avesse la benché minima nozione della lingua sacra dell'India. Che si potrebbe pensare di un latinista che facesse passare il testo detto "lorem ipsum" per una lingua che assomiglia al latino? Quindi tutti i linguisti "possibilisti" sono in malafede, agiscono con disonestà intellettuale e sono nella sostanza chierici traditori.
Insisto sulla limitatezza estrema dei prodotti dei glossolalici, privi di grammatica e spessissimo anche di traduzione certa, appena abbozzati, influenzati dalla fonetica della lingua in cui sono stati cresciuti. La sola eccezione a me nota è la lingua Enochiana, che pur avendo origini glossolaliche, è stata elaborata da una mente potente come quella dell'esoterista John Dee, e deve essere piuttosto definita una conlang. Se potessi occuparmi di glossolalici e xenoglossi, userei i metodi più rigorosi, tanto da rasentare la ferocia delle leggi dello spartano Licurgo e dell'ateniese Draconte. Registrerei ogni singolo fonema emesso e lo analizzerei con implacabile logica consequenziale, comminando punizioni severissime in caso di scoperta di una frode. Così dubito molto, solo per fare un esempio, che un anglofono americano che realizza /r/ come un flap e che possiede il rotacismo delle antiche /t/ e /d/ intervocaliche, possa uscirsene con una glossolalia dotata di un suono /r/ trillato come quello dell'italiano. Non mi aspetto neppure che un francese se ne esca con una glossolalia dotata di un suono /r/ trillato, dato che ha una rotica uvulare nella sua normale conversazione. Dunque gli spiriti soggiaciono agli usi fonetici delle nazioni della Terra?