giovedì 5 luglio 2018

IL CERVELLO DI BOLTZMANN E L'USO ABUSIVO DELL'IPOTESI ERGODICA

Chi ha mai sentito nominare il cervello di Boltzmann? Pochi, immagino. Con questa locuzione non si intende la materia grigia un tempo contenuta nell'augusta scatola cranica del geniale fisico austriaco Ludwig Boltzmann (1844-1906), da lungo tempo ridotta in polvere. Il nome di cervello di Boltzmann indica un'entità autocosciente, ovviamente ipotetica, formatasi casualmente a partire da una fluttuazione statistica in un universo in morte termica. Vediamo di capire meglio il concetto.

Il secondo principio della termodinamica afferma che in un sistema isolato lontano dall'equilibrio termico, l'entropia aumenta nel tempo in modo irreversibile. Questo aumento è destinato a continuare fino al raggiungimento dell'equilibrio termico del sistema stesso, che non scambia energia e materia con l'esterno. L'entropia è una misura del disordine presente in un sistema fisico e ha le dimensioni di un'energia divisa per una temperatura: la sua unità di misura è Joule/Kelvin. L'enunciato matematico del principio in questione è il seguente: 

ΔS ≥ 0

dove ΔS è la variazione di entropia nell'unità di tempo, che non è mai negativa. Vale la relazione ΔS = ΔQ/T, essendo ΔQ la quantità di calore scambiata nell'unità di tempo alla temperatura T. Possiamo dire che in qualche modo il calore si degrada e va ad aumentare il moto disordinato degli atomi nella materia, diventando inutile ai fini di produrre lavoro. L'entropia è proprio questa parte di calore degradato, che non possiamo più utilizzare - ossia convertire in altre forme di energia, come ad esempio quella meccanica.

Essendo possibile definire l'universo come un sistema isolato, si deduce che la sua entropia aumenterà fino al raggiungimento di uno stato di equilibrio che possiamo definire morte termica. Una volta raggiunta la morte termica non potranno più verificarsi scambi di calore tra le parti del sistema, essendo tutto il calore disperso ed essendo quindi impossibile usarlo per compiere lavoro. L'inquietante domanda di Boltzmann è dunque questa: "Come mai l'universo non ha ancora raggiunto le condizioni di equilibrio, ossia di morte termica?" 

Certo, Rovelli farebbe meglio di me. Proverò comunque a spiegare come stanno le cose, usando i mezzi più efficaci a mia disposizione.

Nel mondo ideale di Piero Angela esistono soltanto trasformazioni reversibili. Se ad esempio si fa scorrere all'indietro la sequenza filmata del moto uniformemente accelarato di un corpo, si ottiene un'altra sequenza, di un moto uniformemente decelarato, che non viola alcuna legge ficisa. I corpi, detti mobili o gravi, non hanno struttura interna, sono indeformabili, non possono essere scalfiti o infranti, non sono nemmeno composti da atomi. Sono corpi ideali e ogni cambiamento in un simile mondo dei Puffi è parimenti ideale. 

Chiunque capisce che se da un corpo ideale passo a un corpo reale, gli esempi fatti da Piero Angela non valgono più. Se lascio cadere un bicchiere, causandone la rottura, accade una cosa mirabile: facendo scorrere all'indietro la sequenza filmata dell'evento, ottengo un'altra sequenza, che non ha senso alcuno. I cocci di vetro tornerebbero infatti a comporsi spontaneamente, fino a riformare il bicchiere infranto. Allo stesso modo, se ingurgito una decina di brioche, le digerisco e defeco, la sequenza inversa mostrerebbe le feci strisciare come serpenti, salire nel mio ano, farsi strada nell'intestino e riformare le brioche ingerite, che sarebbero infine rigurgitate tornando integre. Qualcosa non quadra, è evidente.  

Il moto uniformemente accelerato spiegato agli studenti da generazioni di insegnanti non esiste in condizioni reali. Un corpo dovrebbe muoversi nel vuoto assoluto per non incontrare resistenza. Nella realtà dei fatti, si manifesta questa resistenza, detta attrito. L'attrito genera calore, ossia provoca la trasformazione dell'energia cinetica in energia termica. Come conseguenza, il grave decelera fino a fermarsi. 

Questa discrepanza tra il mondo di Piero Angela e la realtà fisica osservabile ha le sue radici proprio nel secondo principio della termodinamica, da cui scaturisce la freccia del tempo. Dopo aver affermato in lungo e in largo che il tempo nelle equazioni fondamentali della Natura non lo si trova, lo stesso Carlo Rovelli è stato costretto ad ammettere che esiste una notevole eccezione: dovunque compaia l'entropia. Proprio lì il tempo c'è, eccome! Anzi, si può dire che ne venga generato.

Entropia, attrito, dispersione del calore, degradazione dell'energia, irreversibilità! I sistemi naturali sono assai complessi e non possono essere descritti con gli strumenti concettuali di un liceale. Può sembrare lapalissiano, eppure non si insisterà mai abbastanza su questo punto. Come può un meccanico classico descrivere un organismo come un cavallo? Approssimandolo a una sfera rotolante, come in una famosa barzelletta che circolava quando studiavo all'università. Facendo così perderà informazioni e non potrà codificare un numero incalcolabile di caratteristiche del cavallo stesso. Eppure si possono capire molte cose usando la termodinamica. Il corpo di un animale, umani inclusi, si manterrà in condizioni ben definite di bassa entropia ingerendo acqua e nutrienti, che permettono alle cellule di mantenersi in funzione. I residui dei processi di assorbimento di materia ed energia produrranno entropia in eccesso, che verrà espulsa con le feci, l'orina e il sudore. Se il disordine nel corpo crescerà, ad esempio ad opera di un patogeno, si avrà una condizione di malattia. Se crescerà oltre un certo limite tollerabile, si avrà la morte, e il corpo stesso diverrà entropia da smaltire, un dono per i carognari.

Se il predominio del disordine vi sembra schiacciante e vi causa angoscia, vi dirò che nell'universo l'entropia è in genere sorprendentemente bassa. La radiazione solare è una sorgente di bassa entropia. Certo, se un essere umano sta esposto ai raggi del sole, la sua entropia aumenterà e finirà per crollare (si chiama insolazione). Tuttavia se i raggi del sole colpiscono un vegetale, grazie alla fotosintesi clorofilliana permetteranno la produzione di nutrienti. I raggi del sole, incidendo su un pannello fotovoltaico, ci permetteranno di ottenere energia elettrica, che potrà essere convertita in energia meccanica e via discorrendo. Gli esempi sono innumerevoli. Si utilizzano forme di energia di cui possiamo disporre, si produce lavoro e si aumenta l'entropia nell'ambiente in cui viviamo. Se facciamo diminuire l'entropia in una porzione del nostro mondo, refrigerando una stanza, la faremo aumentare altrove. Quindi, essendo sempre crescente l'entropia del sistema isolato che è l'universo, essa dovrà essere stata ancora più bassa in passato. Com'è possibile questo? Da dove proviene tutta questa bassa entropia? 

Adesso possiamo capire meglio come Boltzmann sia riuscito a concepire la sua risposta molto originale a questo quesito dalle conseguenze esistenziali devastanti. In realtà il nostro universo a bassa entropia non esiste affatto. Le condizioni di morte termica, ossia di equilibrio universale, sono dominanti da eoni. Una fluttuazione termica imprevista e rarissima, quale si può produrre in miliardi di anni, avrebbe allora causato l'aggregazione di una struttura in grado di prendere coscienza di sé: è proprio il cervello di Boltzmann. Inorridito dal caos in cui si è trovato a sussistere, questo organismo si è chiuso nel solipsismo, concependo un universo inesistente, come i mondi onirici in cui ci illudiamo di vivere ogni notte, quando ci immergiamo nel sonno detto REM. Forse lo scienziato viennese avrebbe potuto dirci di più su questa orrifica prospettiva. Purtroppo è stato esasperato a tal punto dalla moglie e dalla figlia da impiccarsi per sfuggire al tormento, mentre si trovava in vacanza a Duino.

Statisticamente, si può dire che la formazione di un cervello di Boltzmann in un universo in equilibrio sia molto più probabile dell'evoluzione di un universo implausibile come il nostro a partire da condizioni di bassissima entropia, che sono ancora più incomprensibili. A questa conclusione si dà il nome di Paradosso del cervello di Boltzmann. A quanto pare, queste splendide elucubrazioni boltzmanniane sono state tenute nascoste per decenni, riemergendo soltanto agli inizi del XXI secolo. La stessa locuzione "cervello di Boltzmann" è stata coniata da Lorenzo Sorbo e da Andreas Albrecht nel 2004, proprio nello stesso anno in cui ho iniziato la mia poco proficua carriera di blogger. 

Ergodicità abusiva! 

In Quora è stata posta una domanda cruciale, che tormenta il genere umano da sempre. 

È stata data una risposta al perché esiste la vita?

Così ha risposto Roberto Weitnauer:

"La risposta è molto semplice: perché può esistere. Si può applicare la legge di Murphy, non c’è problema a stabilire questo ponte concettuale tra comicità e scienza."

"In questo universo tutto ciò che prima o poi, in qualche modo o per qualche verso può accedere, prima o poi, in qualche modo o per qualche verso, accade. Esiste dopotutto la versione scientifica della legge di Murphy. Si tratta di una nota teoria statistica, detta Ipotesi ergodica - Wikipedia. Vorrei qui esemplificarla con una scimmietta immortale che batte a caso sui tasti di un computer." 

"Sfruttando le alternative a disposizione, questo animale instancabile produce dell’informazione. Esso sortirà ogni genere insulso di simboli e di sequele di caratteri alfanumerici. Informazione non vuole dire infatti significato. Tali successioni saranno enormemente superiori alle eventuali sporadiche parole che potrebbero avere un senso in qualche lingua. Eppure, continuando instancabilmente a battere sui tasti, la scimmietta arriverà a un bel momento a una sequenza casuale di caratteri che corrispondono alla “Divina Commedia” di Dante o magari a “Ulisse” di Joyce in serbo-croato. Non solo, alla lunga, questo succederà un numero illimitato di volte." 

E ancora: 

"Possiamo scherzare sulla legge di Murphy o sulla scimmietta ergodica, ma i concetti sottostanti sono tutt’altro che banali. Il punto è che la vita non è in alcun modo incompatibile con le leggi fisiche note. Contrariamente a quanto qualcuno pensa, essa non ha affatto le sembianze di un miracolo o di qualcosa di eccezionale rispetto al comportamento della materia e dell’energia. Esistono persino delle condizioni termodinamiche favorenti la comparsa di sistemi auto-organizzati. In effetti, la vita sul nostro pianeta è uno di questi: la biosfera è una struttura dissipativa perfettamente descrivibile in termini termodinamici." 

Ora, nessuno dubita che la biosfera sia perfettamente descrivibile in termini termodinamici. Quello che Weitnauer descrive come soluzione del problema, è invece il problema stesso. Sembra sfuggirgli che la somma improbabilità delle condizioni di partenza e dell'evoluzione del sistema universo non possono essere descritte come il prodotto di una banale combinazione di elementi semplici come le lettere dell'alfabeto. C'è di mezzo l'abisso della fisica quantistica e della non commutatività delle sue variabili!

In poche parole, un cervello di Boltzmann non sorge come sorgerebbe un verso di Dante da una continua estrazione casuale di lettere da un contenitore, essendo qualcosa di infinitamente più complesso. Per non parlare di un intero universo improbabile a bassa entropia! Le tesi di Weitnauer sono insostenibili: ci troviamo una volta di più di fronte all'argomento fallace della scimmietta della Città degli Imperatori, già confutato da me in un precedente contributo: 


Per quanto riguarda l'ipotesi ergodica, ecco un sunto facilmente ricavabile dal Web e assai utile: 

"Il termine ergodico è stato introdotto da Ludwig Boltzmann (1844-1906) con riferimento ai sistemi meccanici complessi capaci di assumere spontaneamente tutti gli stati dinamici microscopici compatibili con il loro stato macroscopico. Le particelle costituenti il sistema, cioè, assumono ogni insieme di valori istantanei di posizione e velocità le cui caratteristiche medie corrispondono allo stato macroscopico del sistema."
(Fonte: Wikipedia)

"In meccanica statistica, l'ipotesi ergodica dice che, dopo un tempo sufficientemente lungo, il tempo speso da una particella in un volume nello spazio delle fasi di microstati della stessa energia è proporzionale al volume stesso; equivalentemente alle condizioni termodinamiche, il suo stato può essere uno qualunque di quelli che soddisfano le condizioni macroscopiche del sistema." (Fonte: Wikipedia)

Si comprende facilmente che è stato fatto un uso abusivo del termine "ergodico" e della stessa teoria di Boltzmann. 

Immaginiamo ora un congegno che estrae simboli alfanumerici, posto nei pressi di un quasar distante da noi dieci miliardi di anni luce. Immaginiamo che quando è partita la luce che raggiunge in questo istante un attuale astronomo, il congegno abbia ottenuto questa sequenza: 

NELMEZZODELCAMMINDINOSTRAVITA

Avrebbe un senso? No. Per nulla. Einstein ci dice che non esiste un unico presente in tutto l'universo. Tuttavia ci dice anche come tutti i presenti dell'universo sono tra loro connessi. Per certo quando il congegno ha estratto la sequenza dantesca, non esistevano né Dante Alighieri né la lingua italiana, né la protolingua del genere umano, né la vita multicellulare. Questo perché la sequenza NELMEZZODELCAMMINDINOSTRAVITA è stata estratta dal congegno dieci miliardi di anni prima del nostro presente. Non basta che si generi una sequenza di elementi alfanumerici: è necessario che esista qualcuno ad attribuirle un senso.

Si arriva così a un altro paradosso. Un cervello di Boltzmann è un codice. Un codice non è un semplice insieme di elementi inerti senza relazione reciproca. Un codice è un aggregato di elementi simbolici che veicolano informazione. Un cervello di Boltzmann deve essere un codice. Per essere consapevole, deve includere algoritmi, ossia procedimenti che permettono la risoluzione dei problemi mediante un numero finito di passi elementari. Questo però non è possibile: il caso non genera codici.

domenica 1 luglio 2018

L'INGLESE È E RESTA UNA LINGUA GERMANICA OCCIDENTALE

Kristin Bech (Università di Oslo) e George Walkden (Università di Manchester) sono gli autori del lavoro English is (still) a West Germanic language, ossia "L'inglese è (ancora) una lingua germanica occidentale". Si può leggerlo seguendo questo url:


Il contributo di Bech-Walkden nasce per confutare un'idea balzana e pseudoscientifica fatta passare per seria, ossia la discendenza dell'inglese dall'antico nordico. Riporto una sintetica cronistoria di quella che ha tutta l'aria di essere una burla, a tal punto contrasta con ogni principio elementare della logica.

Nel novembre dell'anno 2012 una singolare ipotesi è stata presentata al mondo da Jan Terje Faarlund nel corso di un'intervista per la rivista dell'Università di Oslo, Apollon: la lingua inglese dovrebbe essere classificata come lingua germanica nordica sulla base della sintassi, mentre l'inglese appartenente al germanico occidentale si sarebbe estinto nel corso del Medioevo. Seguendo queste folli proposizioni, l'inglese medio sarebbe de facto una forma moderna del norreno. Questa dichiarazione stravagante e demente ha avuto qualche eco nei media globali, tuttavia il dibattito si è presto spento, dal momento che non è stata seguita dalla pubblicazione di alcun materiale utile alla sua dimostrazione. Soltanto alla fine del 2014 è comparsa la monografia English: The Language of the Vikings, ossia "L'inglese: la lingua dei Vichinghi", edita dalla Università Palacký di Olomouc (Repubblica Ceca). Gli autori del lavoro sono Jan Terje Faarlund e Joseph Embley Emonds. Dato che nei paesi slavi è molto popolare ogni forma di pseudoscienza, la cosa non stupisce più di tanto.

Come Bech e Walkden fanno notare, non è la prima volta che l'inglese dopo il Medioevo viene considerato alla stregua di un cuculo nel nido. Nel 1977 Bailey e Maroldt dichiararono che l'inglese medio è un creolo formatosi dalla mescolanza tra antico inglese e francese normanno; nel 1982 Poussa ha pure sostenuto un'origine creola, ma coinvolgendo il norreno anziché il francese. Tuttavia a quanto pare il lavoro di Faarlund e di Emonds presenta una caratteristica mai vista prima, dal momento che postula la morte dell'antico inglese e una sostanziale discontinuità occorsa durante il Medioevo. In quest'ottica l'antico inglese avrebbe fatto la fine del gotico di Wulfila, mentre il medio inglese continuerebbe in linea diretta il norreno.

Gli autori della monografia del 2014 non hanno alcuna conoscenza di linguistica storica dell'inglese e più in generale della filologia germanica. Emonds è un esperto di sintassi teorica, mentre Faarlund è un esperto di sintassi specializzato nelle lingue della Scandinavia. Gran parte della loro opera è focalizzata sulle caratteristiche morfologiche e sintattiche dell'inglese medio, nel tentativo di dimostrare che queste sono meglio spiegate come eredità diretta della lingua scandinava parlata nel nord dell'Inghilterra e in Scozia. Quello che non accetto della posizione di Bech-Walkden è la supposta necessità di abbassarsi allo stesso piano dei chierici traditori e di usare i loro stessi mezzi per confutarne le tesi. Questo principio è enunciato nella seguente frase: "The proposal, like any other, should be evaluated on the basis of the evidence and argumentation provided" (pag.). Non sono assolutamente d'accordo con un simile approccio, perché le prove e le argomentazioni fornite da Faarlund-Emonds hanno meno valore di un mucchio di feci. Anzi, dirò che i due studiosi di sintassi, ben consapevoli della rigidità mentale del mondo accademico, hanno fabbricato artatamente il loro otre di veleni e di pus, al preciso scopo di far perdere tempo e risorse a chi cercasse di confutarli seguendoli sul loro terreno. Seguirò un filo conduttore ben diverso da quello di Bech-Walkden.

Influenza del norreno sull'inglese

L'importazione di parole norrene in inglese è stata significativa in epoca medievale. A partire dal IX secolo ci sono stati folti stanziamenti di coloni scandinavi nell'Inghilterra e in Scozia. A un certo punto una vasta area che andava dal Middlesex fin oltre a York ha ricevuto il nome di Danelaw, alla lettera "Legge dei Danesi" (norreno Danalǫg), poiché in essa la legge danese prevaleva su quella anglosassone. Gli elementi scandinavi, particolarmente forti nei territori settentrionali, hanno continuato ad influenzare le genti anglosassoni e la loro lingua per secoli. Così nel XIII secolo - l'èra vichinga era da tempo conclusa - l'influsso del norreno continuava e gli scandinavismi divenivano capillari. Alcuni di questi prestiti erano pertinenti al lessico di base, altri facevano parte del lessico culturale. Non pochi si sono conservati ancor oggi. Possiamo a buon diritto parlare integrazione anglo-norrena. Il processo non è stato così massiccio come l'integrazione anglo-romanza o come l'integrazine anglo-latina, ma ha fornito elementi di fondamentale importanza. Alcune parole si sono inserite nel lessico di base e ancor oggi ricorrono in moltissime frasi di uso quotidiano. Ecco un elenco di sostantivi e di aggettivi che l'inglese moderno ha ereditato dall'antico nordico:

anger "ira" < angr "afflizione"
awe "soggezione" < agi "terrore" 

awkward
"disagevole"(1) < ǫfugr "inverso,
     contrario"

big
"grande" < *byggr "grosso"(2)
black
"nero" < blakkr "nero, blu scuro"
cake "torta" < kaka "torta"
dirt "sozzura" < drit "sterco"
dregs "feccia" < dregg "sedimento"
egg "uovo"(3) < egg "uovo" 
fellow
"compagno" <
félagi
"compagno"
flat "piatto" (agg.) < flatr "piatto" (agg.)
gap "apertura; divario" < gap "abisso"
gift "dono" < gipt "dono"
guest "ospite" < gestr "ospite"
happy "felice" < hapinn "fortunato"
hawk "falco" < haukr "falco"
husband "marito" < húsbóndi "padrone di casa"
ill "malato" < illr "cattivo"
keel "chiglia" < kjǫlr "chiglia"
kid "capretto"(4) < kið "capretto"
knife "coltello" < knífr "coltello"
law "legge" < lǫg (pl. tantum)
leg "gamba" < leggr "gamba"
low "basso" < lágr "basso"
odd "bizzarro; dispari" < oddi "terzo numero"
rotten "marcio" < rotinn "putrefatto"
skill "abilità" < skil "discernimento"
skin "pelle" < skinn "pelle di animale"
skipper "vogatore" < skipari "marinaio"
skirt "gonna" < skyrta "gonna"
sky "cielo" < ský "nuvola"
tarn "lago" < tjǫrn "lago morenico"
thrall "schiavo" < þrǽll "schiavo"
ugly "brutto" < uggligr "spaventoso"
weak "debole" < veikr "malato"
window "finestra" < vindauga "finestra"
wing "ala" < vǽngr "ala d'uccello"
wrong "sbagliato" < rangr "ingiusto"(5)

(1) Il suffisso -ward è di origine anglosassone.
(2) In Norvegia si trova il termine dialettale bugge "grande uomo", "uomo grosso". Secondo alcuni l'aggettivo norreno non attestato deriverebbe dal verbo byggja, byggva "abitare" e avrebbe avuto il significato di "abitabile", donde "spazioso". La semantica sembra piuttosto macchinosa.
(3) Prima che la forma settentrionale, di origine norrena, si imponesse, a Londra e in tutto il Sud si usava ey "uovo", pl. eyren "uova". Il prestito può essere stato favorito dalla somiglianza fonetica della forma nativa con eye "occhio".
(4) Il significato di "bambino" è oggi diffusissimo. In molte varietà dell'inglese d'America, kid è arrivato a sostituire quasi del tutto child.
(5) La forma inglese deriva da una forma arcaica *vrangr. Il norreno a cui siamo abituati ha invece rangr. Quando la parola è entrata nel lessico inglese, il nesso /wr-/ non si era ancora semplificato.

Questo è un elenco di verbi:

to bask "crogiolarsi" < baðask "lavarsi, bagnarsi"
to busk
"prepararsi" < búask "prepararsi" 
to call
"chiamare" < kalla "chiamare"
to cast "gettare"(1) < kasta "gettare"
to clip "tagliare, recidere" < klippa "tagliare"
to crawl "strisciare" < krafla "gattonare"
to die "morire"(2) < deyja "morire"
to gape "spalancare la bocca" < gapa "spalancare la
      bocca"
to gasp "spalancare la bocca" < geispa "sbadigliare"
to get "ottenere"(3) < geta "ottenere"
to give "dare" < gefa "dare"
to glitter "brillare" < glitra "brillare"
to kindle "accendere" < kynda "infiammare"
to raise "sollevare, alzare" < reisa "sollevare,
      alzare"
to seem "sembrare" < sǿma "stimare, onorare"  
to skip "sorpassare" < skopa "fare una corsa"(4)
to stain "macchiare" < steina "dipingere"(5)
to take "prendere"(6) < taka "prendere"
to want "volere" < vanta "mancare"

(1) Il verbo nativo, to throw "gettare", è rimasto in uso a fianco della forma di origine norrena.
(2) Il verbo nativo ha assunto un significato più ristretto: to starve "morire di fame" (cfr. tedesco sterben "morire").
(3) Questo verbo ha avuto una fortuna immensa in inglese, formando una moltitudine di forme unite ad avverbi (phrasal verbs), come to get in "entrare, salire", to get into "entrare", to get out "uscire, scendere", to get up "salire; alzare; alzarsi", to get down "scendere; star giù", to get over "superare", to get off "scendere; lasciare" e via discorrendo. Le forme sono davvero tante, la semantica è spesso sfuggente e il loro giusto uso non è sempre facile.
(4) La semantica è perfetta, ma è difficile spiegare la vocale del verbo inglese, che nel XIV secolo significava "fare un piccolo salto".
(5) La forma norrena trae la sua origine dal fatto che i pigmenti erano ottenuti macinando pietre (steinn "pietra"). Il sostantivo inglese stain "macchia" è stato retroformato dal verbo to stain "macchiare". Un notevole caso di slittamento semantico. 
(6) Senza l'influsso del norreno, useremmo to nim, verbo che si trova in effetti in qualche dialetto, ma col significato di "rubare". Una fine ben ingloriosa per un verbo corradicale del tedesco nehmen "prendere".

Tale fu l'influenza norrena, che penetrarono in inglese persino elementi pronominali:

they "essi, esse" < þeir "essi"
them "loro" (acc./dat.) < þeim "loro" (dat.)
their "loro" (gen.) < þeirra "loro" (gen.)

Queste forme sostituirono quelle native, ossia hī, hīe "essi", him, heom "loro" (dat.), hira, heora "loro" (gen.), che si prestavano a grande confusione col singolare. Senza il norreno, oggi si userebbe *he al posto di they; *him al posto di them; *her al posto di their - e questo per entrambi i generi! Una situazione a dir poco scomoda, che spiega bene il successo delle forme importate dai Vichinghi.

I dialetti settentrionali e lo Scots 

Nello Yorkshire un tempo si parlava il dialetto che aveva la più alta percentuale di parole di origine norrena in tutta l'Inghilterra. John Geipel nel suo lavoro The Viking legacy: The scandinavian influence on the English and the Gaelic languages (1971) riporta un testo che include alcuni scandinavismi evidenziati in corsivo:

“pigs were grice, heifers quees, and bulocks stots, yellow was gool, soft was blowt, large was stor and steep was brandt; bairns would laik where nowadays children play and a man would risp if he had a lop on his rig where today he would scratch if he had a flea on his back” (p.77). 

C'è una gran massa di parole norrene in numerosi dialetti settentrionali e nello Scots, la lingua delle Lowlands scozzesi separatasi dall'inglese già in epoca medievale. Questo è un breve elenco di termini tipici: 

bigg "orzo" < bygg "orzo"
clegg "tafano" < kleggi "tafano" 
haver(s) "avena" < hafri "avena"
ing "prato" < eng "prato"
ket "carogna" < kjǫt "carne"
kirk "chiesa" < kirkja "chiesa"
mun "bocca" < munnr "bocca"
oast "formaggio" < ostr "formaggio"
oc "e" < ok "e"
scrat "folletto" < skratti "demone"
skellum "furfante" < skelmr "furfante; diavolo"
toom "vuoto" < tómr "vuoto; vano"
trigg "sicuro" < tryggr "sicuro, fedele" 

Si potrebbero fare moltissimi altri esempi. Per un approfondimento rimando a questo link: 


Confronto lessicale tra inglese e norreno 

Mi rendo conto che per gli specialisti in linguistica tipologica le mie parole sembreranno scandalose e blasfeme, eppure oso proferirle. La sintassi non conta nulla nel definire la natura di una lingua. Bisogna smetterla con stronzate del tipo "in questa lingua l'ordine delle parole è OV (oggetto-verbo), in quell'altra è VO (verbo-oggetto), quindi non sono imparentate" o "queste due lingue sono entrambe VO, quindi sono senz'altro imparentate". Simili macchinazioni dei linguisti tipologici sono soltanto ammassi di sterco fumante, come ho già avuto modo di affermare e di dimostrare.


Il lessico di base è ciò che decide la natura dell'inglese. La stessa morfologia è meno efficace, dato che si è molto semplificata durante il dominio dei Normanni - eppure anche le declinazioni residuali e le coniugazioni dell'inglese medio ci appaiono a colpo d'occhio come continuazioni dirette di quelle dell'inglese antico. Si capisce al di là di ogni dubbio che l'inglese appartiene alle lingue germaniche occidentali a dispetto di qualsiasi influenza e di qualsiasi massa di prestiti possa aver assimilato durante i secoli - e anche a dispetto di qualsiasi cambiamento nella sintassi. Questa non è una mia opinione che può essere accettata o respinta in un ambito di demenza berkeleyana generalizzata. Quanto affermo è un dato di fatto ed è possibile dimostrarlo. Conosciamo la fonetica dell'antico inglese e quella del norreno. Conosciamo i mutamenti fonetici occorsi nelle due lingue in questione a partire dalla fase del protogermanico. Possiamo seguire queste trasformazioni con una precisione che ha dell'incredibile. Possiamo distinguere a colpo d'occhio i prestiti dal norreno dalle voci ereditate. Non solo: produciamo un breve elenco di parole importanti, per mostrare come possiamo capire all'istante che le forme inglesi moderne sono la diretta continuazione di quelle anglosassoni e non di quelle norrene.

Inglese: ale "birra"
Antico inglese: ealu, ealo "birra"
Norreno: ǫl "birra" 

Inglese: bear "orso"
Antico inglese: bera "orso"
Norreno: bjǫrn "orso" 

Inglese: bishop "vescovo"
Antico inglese: bisċop "vescovo"
Norreno: biskup "vescovo" 

Inglese: church "chiesa"
Antico inglese: ċiriċe "chiesa"
Norreno: kirkja "chiesa"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova kirk "chiesa", evidente prestito.

Inglese: churl "contadino, zotico"
Antico inglese: ċeorl "uomo libero di bassa casta"
Norreno: karl "uomo, maschio"

Inglese: dwarf "nano"
Antico inglese: dweorh, dweorg "nano"
Norreno: dvergr "nano" 

Inglese: eye "occhio"
Antico inglese: ēaġe "occhio"
Norreno: auga "occhio" 

Inglese: fire "fuoco"
Antico inglese: fȳr "fuoco"
Norreno: funi "fuoco" (poet.)*
*La parola comunemente usata è eldr "fuoco".

Inglese: fish "pesce"
Antico inglese: fisċ "pesce"
Norreno: fiskr "pesce"
Nelle parole di origine norrena in inglese, il gruppo /sk/ si conserva. La consonante /ʃ/ è tipica delle parole di origine anglosassone. 

Inglese: five "cinque"
Antico inglese: fīf "cinque"
Norreno: fimm "cinque" 

Inglese: hand "mano"
Antico inglese: hand, hond "mano"
Norreno: hǫnd "mano"

Inglese: head "testa"
Antico inglese: hēafod "testa"
Norreno: hǫfuð "testa"
La forma norrena ha una vocale breve (< protogerm. *xaβuðan), mentre la forma anglosassone ha un dittongo (< protogerm. *xauβuðan).

Inglese: high "alto"
Antico inglese: hēah "alto"
Norreno: hár "alto" 

Inglese: I "io"
Antico inglese: "io"*
Norreno: ek "io"
*Se fosse sopravvissuta la forma più antica, oggi la parola per dire "io" suonerebbe esattamente come itch "scabbia". La forma attualmente in uso deriva da una variante settentrionale senza palatalizzazione, comunque dissimile dalla forma norrena.

Inglese: is "è"
Antico inglese: is "è" 
Norreno: er "è"*
*La forma arcaica è es

Inglese: mead "idromele"
Antico inglese: medu, meodu "idromele"
Norreno: mjǫðr "idromele" 

Inglese: mouth "bocca"
Antico inglese: mūþ "bocca"
Norreno: munnr "bocca"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova mun "bocca", evidente prestito.

Inglese: need "bisogno"
Antico inglese: nēad, nēod "necessità"*
Norreno: nauðr, nauð "tribolazione"
*Con bizzarre varianti (nīed, nēd, nīd, nȳd).

Inglese: oak "quercia"
Antico inglese: āc "quercia"
Norreno: eik "quercia"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova aik "quercia", evidente prestito.

Inglese: red "rosso"
Antico inglese: rēad, rēod "rosso"
Norreno: rauðr "rosso"

Inglese: seven "sette" 
Antico inglese: seofon "sette"
Norreno: sjau "sette" 

Inglese: shield "scudo"
Antico inglese: sċield, sċild "scudo"
Norreno: skjǫldr "scudo" 

Inglese: ship "nave"
Antico inglese: sċip "nave"
Norreno: skip "nave" 

Inglese: star "stella"
Antico inglese: steorra "stella"
Norreno: stjarna "stella"

Inglese: stone "pietra"
Antico inglese: stān "pietra"
Norreno: steinn "pietra"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova stain "pietra", evidente prestito. Nella lingua standard stain significa "macchia" (vedi sopra).

Inglese: tooth "dente"
Antico inglese: tōþ "dente"
Norreno: tǫnn "dente" 

Inglese: water "acqua"
Antico inglese: wæter "acqua"
Norreno: vatn "acqua" 

Inglese: yarn "filato"
Antico inglese: ġearn "filato"
Norreno: garn "filato"
Nei dialetti inglesi settentrianali si trova garn "filato", evidente prestito.

Inglese: year "anno"
Antico inglese: ġear "anno" 
Norreno: ár "anno" 

Inglese: yellow "giallo"
Antico inglese: ġeolo, ġeolu "giallo"
Norreno: gulr "giallo"
Nei dialetti inglesi settentrionali si trova gool "giallo", evidente prestito.

Inglese: yoke "giogo"
Antico inglese: ġeoc "giogo"
Norreno: ok "giogo"

Inglese: young "giovane"
Antico inglese: ġeong "giovane"
Norreno: ungr "giovane" 

Potremmo andare avanti a lungo, ma credo che quanto mostrato sia sufficiente.

mercoledì 27 giugno 2018

L'INGLESE È E RESTA UNA LINGUA GERMANICA

La natura germanica della lingua inglese moderna dovrebbe essere chiara a tutti. Eppure non è così. Il vocabolario derivato dall'anglosassone sembra esiguo rispetto all'immensa mole dei prestiti di origine romanza, latina e greca, così sono state avanzate proposte di classificare l'idioma di Shakespeare come una lingua germano-romanza. Per lo stesso motivo l'uomo della strada, che ignora la filologia germanica, è incline a ritenere l'inglese un bizzarro tipo di lingua romanza. In Italia questa opinione è diffusissima, complice un sistema scolastico tradizionalmente ostile a tutto ciò che non ha in Roma la sua radice.

La battaglia di Hastings (1066) ha cambiato per sempre il destino dell'Inghilterra. A causa del dominio dei Normanni, la lingua inglese è stata colpita da una sciagura gravissima, un trauma irreparabile a cui possiamo dare il nome di integrazione anglo-romanza. Gli esiti di questo processo spaventoso e caotico sono sotto gli occhi di tutti. Si stima che circa l'85% del lessico anglosassone originale sia andato perduto. Circa 10.000 vocaboli sono entrati nel medio inglese a partire dalla lingua d'oïl parlata dai Normanni. Di questi prestiti, il 75% è tuttora vivo. Come se non bastasse, innumerevoli parole dotte sono state prese a prestito dal latino e dal greco nella fase dell'inglese moderno. Questo processo, che tra le altre cose ha permesso la formazione della lingua scientifica, è tuttora in corso e non accenna a diminuire. Potremmo quasi parlare di integrazione anglo-latina e di integrazione anglo-greca. Esistono moltissimi lavori che parlano di questi argomenti, sia nel Web che cartacei. Per un'introduzione sintetica rimando all'articolo di Stefano Assolari (Università di Cipro), Latinismi in inglese: un'analisi dell'influenza lessicale latina sulla lingua della comunicazione globale


A dispetto dei profondi stravolgimenti subiti, è pur vero che il lessico di base, quello che caratterizza la lingua, è rimasto in gran parte derivato dall'anglosassone. Per convincersene, basta stilare un breve elenco di parole che costituiscono il nucleo dell'idioma di Albione: 

arm "braccio" 
beard
"barba"
blood "sangue"
child "bambino"
dream "sogno"
cow "vacca"
ear "orecchio"
earth "terra"
eye "occhio"
fire "fuoco"
fish "pesce"
foot "piede"
gold "oro"
good "buono"
goose "oca"
hair "capelli"
hand "mano"
head "testa"
high "alto"
horse "cavallo"
iron "ferro"
land "terra"
little "piccolo"
man "uomo"
month "mese" 
moon
"luna"
nose "naso"
ox "bue"
sea "mare"
silver "argento"
sun "sole"
water "acqua"
woman "donna"
year "anno"

Si possono ancora formare frasi composte esclusivamente da parole di questo genere. Ad esempio: "I saw the earth sinking in the dark waters of the sea".

Come conseguenza della sua storia molto travagliata, l'inglese è una lingua fortemente dissociativa. Questo significa che forma parole derivate a partire da radici prese dal francese, dal latino o dal greco, che non hanno alcuna attinenza con la radice germanica usata per esprimere il concetto di base. Questo è in netto contrasto con la lingua di Beowulf, che era fortemente associativa, dal momento che formava le parole derivate utilizzando la radice delle parole semplici e opponendosi a ogni opacità etimologica.

Per illustrare la dissociatività dell'inglese moderno prendiamo ad esempio il verbo to live "vivere" (cfr. antico inglese dell'Anglia lifian, antico inglese del Wessex libban; gotico liban; norreno lifa < protogerm. *liβǣnan / *liβjanan "vivere").

Alcuni concetti derivati da quello di "vivere" non sono espressi usando questa radice di origine germanica, dal momento che si usano prestiti dall'antico francese, la cui radice in ultima istanza viene dal latino (vivo, vivis, vixi, victum, vivere). Così abbiamo: 

to survive "sopravvivere"
to revive
"rivivere"

Da questi verbi si formano sostantivi: 

survival "sopravvivenza"
survivor
"sopravvissuto" 
revival
"rinascita" 

Il punto è che un parlante inglese non sa analizzare queste radici verbali survive e revive come composti da cui estrarre una radice verbale *vive a cui sono aggiunti i prefissi sur- e re-, che pure si trovano in altre parole (surname "cognome" da name "nome"; surtax "soprattassa" da tax "tassa"; to renew "rinnovare" da new "nuovo"; to rediscover "riscoprire" da to discover "scoprire", etc.). In italiano, lingua meno dissociativa dell'inglese, la situazione è più chiara: chiunque capisce che i verbi sopravvivere e rivivere sono semplici composti del verbo vivere e i prefissi sono di uso comune. Situazioni di questo genere sono comunissime. Se gli studenti non fossero zombie lobotomizzati, se ne accorgerebbero di certo.

Non di rado accanto a un aggettivo derivato da una radice germanica, si trova anche un prestito di origine latina. Questi sono alcuni esempi significativi: 

father "padre";
      fatherly / paternal
"paterno"
mother
"madre";
     
motherly / maternal "materno"
brother
"fratello";
     
brotherly / fraternal "fraterno"
heaven
"cielo, paradiso";
      heavenly / celestial
"celeste"
night "notte";
      nightly / nocturnal "notturno"
death "morte";
      deathly / mortal
"mortale"
year "anno";
       yearly / annual
"annuale"
East "est";
       eastern / oriental "orientale"
West "ovest";
       western / occidental
"occidentale"
thought "pensiero";
       thoughtful / pensive
"pensieroso"

Allo stesso modo, accanto a un derivato astratto formato a partire da una radice germanica con un suffisso nativo, si trova anche un prestito dall'antico francese, dal latino o dal greco, la cui formazione non è necessariamente chiara a un parlante anglosassone. Questi sono alcuni esempi: 

fatherhood / paternity "paternità"
motherhood / maternity
"maternità"
brotherhood / fraternity
"fraternità"
freedom / liberty
"libertà"
happiness / felicity "felicità"
kingship / monarchy "monarchia" 

In tutti questi esempi, la parola latina da cui si formano i derivati dissociativi non è in uso e spessissimo non è neppure conosciuta dai parlanti. Allo stesso modo, in italiano abbiamo derivazioni dissociative a partire da vocaboli schiettamente latini, che creano forme incongrue:

bambino / puerile, puericoltura, etc.
guerra / bellico, bellicoso
, etc.

I dotti che hanno importato nella lingua d'uso comune parole come puerile e bellico ovviamente conoscevano alla perfezione il latino: per loro puer "bambino" e bellum "guerra" erano parole quotidiane. Il problema si pone quando ad usare puerile e bellico è il popolano a malapena alfabetizzato, che a maggior ragione non ha familiarità alcuna con l'antica lingua di Roma. Ai tempi poteva essere il macellaio o il fabbro, oggi sarà piuttosto l'adolescente riscimmiato che vediamo ogni giorno sui treni intento a berciare e a vandalizzare.

Con un po' di tempo e di pazienza, è possibile compilare una lunga lista di doppioni, in cui a fianco di ogni parola anglosassone genuina si mette il suo equivalente importato. I termini anglosassoni sono nella maggior parte dei casi parole semplici, quelli neolatini, latini o greci possono essere parole semplici o derivate. Questi sono alcuni esempi significativi:

blossom / flower "fiore"
child / infant "bambino"
craft / art "arte"
doom / judgement "giudizio"
fair / beautyful "bello"
fiend / devil "diavolo"
foe / enemy "nemico"
folk / people "gente, popolo"
ghost / phantom "fantasma" 
ghost / spirit "spirito"
grave / tomb "tomba"
graveyard / cemetery "cimitero"
ground / soil "suolo"
heaven / paradise "paradiso"
hell / inferno "inferno"(1)
housel / eucharist "eucarestia"(2)
inn / tavern "taverna"
mead / hydromel "idromele"(3)
near / close "vicino"
shape / form "forma"
snake / serpent "serpente"
speech / language "lingua"
speed / velocity "velocità"(4)
strength / force "forza"
town / city "città"(5)
wedlock / marriage "matrimonio" 
whole / entire
"intero"
wild / savage "selvaggio"
wish / desire "desiderio" 

(1) La parola inferno è stata presa dall'opera di Dante Alighieri.
(2) Il termine housel è arcaico, la sua estinzione è avvenuta nel corso del XIX secolo. Non è nemmeno incluso in Etyonline.com. Eppure la sua origine è assai nobile e genuinamente germanica (cfr. gotico hunsl "sacrificio"; norreno húsl "eucarestia"). L'uso cristiano del termine probabilmente si è irradiato dalla lingua di Wulfila alle altre lingue germaniche.
(3) Il termine hydromel era molto in uso in epoca elisabettiana ed è attestato nei ricettari di corte.
(4) Nel linguaggio scientifico, speed indica la velocità scalare, velocity indica la velocità vettoriale. Dubito fortemente che questi concetti siano chiari alle persone comuni.
(5) Esiste una differenza semantica, per cui city indica una metropoli, mentre town in genere è una città di medie dimensioni.

Alcune parole native sono ormai così arcaiche da essere state sostituite completamente con termini importati, anche se possono emergere in alcuni dialetti. Nessuno in Italia le ha apprese a scuola. Tutti conoscono soltanto il sinonimo preso a prestito nel corso dell'integrazione anglo-romanza. Un fenomeno davvero bizzarro. Questo è un elenco:

athel / noble "nobile"
atheling / prince "principe"
barrow / mountain "montagna"
bookstaff / letter "lettera"
britches / pants "calzoni"
drighten / prince "principe"
eld / age "età"
ferd / army "esercito"
frith / peace "pace"
frithful / peaceful "pacifico"
here / army "esercito"
hosen / pants "calzoni"
maidenhood / virginity "verginità"
reard / voice "voce"
ruth / pity "compassione"
steven / voice "voce"
stound / hour "ora" 

Sarebbe un'ottima cosa riportare in auge questi nobilissimi vocaboli.

Lo stesso sistema verbale pullula di doppioni: 

to bear / to carry "portare"
to end / to finish "finire"
to gather / to assemble "raccogliere"
to look / to appear "sembrare"
to mean / to signify "significare"
to meet / to encounter "incontrare"
to rot(*) / to putrefy "marcire"
to seem(*) / to appear "sembrare"
to uphold / to support "sostenere"
to utter / to pronounce "pronunciare"

(*) Verbo di origine norrena.

In diversi casi sono avvenuti slittamenti semantici drammatici, in cui una parola derivata dal protogermanico ha acquisito un significato molto distante da quello di origine. Non di rado la forma genuina anglosassone ha avuto la peggio nella sua lotta con la forma importata, finendo con l'occupare un'altra nicchia semantica nell'architettura della lingua.

deer "cervo" < a.i. dēor "animale selvatico"(i)
stream
"ruscello" / river "fiume"(ii) 
meal "pasto" / flour "farina"(iii)

(i) Cfr. tedesco Tier "animale", gotico dius, gen. diuzis "animale", norreno dýr "animale selvatico".
(ii) Il termine anglosassone strēam significava "fiume", ma non resse la concorrenza della forma normanna (cfr. italiano riviera) e passò a indicare corsi d'acqua minori.
(iii) Il significato originale di meal era "farina", conservato in oatmeal "farina d'avena". Poi passò a indicare la farinata, quindi il pasto servito dai frati nei refettori. Il vocabolo flour in origine indicava il fior di farina e ha la stessa etimologia di flower "fiore".

Sono interessantissimi i termini della lingua d'oïl importati per indicare la carne di animali usata a fini alimentari, mentre l'animale vivo continua ad essere indicato da un termine germanico o comunque non romanzo:

calf "vitello" / veal "carne di vitello"
deer "cervo" / venison "carne di cervo"
ox "bue" / beef "carne bovina"
pig "maiale" / pork "carne di porco"
sheep "percora" / mutton "carne ovina" 

In Italia molti conoscitori di forme grossolane di pseudoinglese scolastico non capiscono che i termini culinari importati dalla Normandia non possono essere usati per indicare gli animali vivi. A parte il fatto che ignorano forme come veal, venison e mutton, troppo dotte, spesso usano beef per indicare il bue che muggisce e pork per indicare il maiale grufolante.

La formazione del linguaggio scientifico ha introdotto numerosi aggettivi dotti fortemente dissociativi presi dal latino e dal greco o formati dalle relative radici. Ecco un elenco, ben lungi dall'essere esaustivo:

ape "scimmia" : simian
bear "orso" : ursine
bee "ape" : apian
bird "uccello" : avian
blood "sangue" : sanguine
brain
"cervello" : cerebral
cat
"gatto" : feline
chest
"petto" : pectoral
cod "merluzzo" : cyprine
crow
"corvo" : corvine
dog "cane" : canine
earth "terra" : terrestrial
fish "pesce" : piscine
fox
"volpe" : vulpine
goat "capra" : caprine
heart "cuore" : cardial
horse "cavallo" : equine
kidney "rene" : renal
liver "fegato" : hepatic
man "uomo" : human
mind
"mente" : mental
moon
"luna" : lunar
mouse "topo" : murine
neck
"collo" : cervical
ox "bue" : bovine
pig "maiale" : porcine
sheep "pecora" : ovine
snake
"serpente" : anguine
star
"stella" : stellar
sun
"sole" : solar
tooth
"dente" : dental
tongue
"lingua" : lingual
wasp "vespa" : vespine
whale "balena" : cetacean
wolf "lupo" : lupine
worm "verme" : vermian

Anche in italiano abbiamo simili forme dissociative, basti pensare a pecora / ovino, a gatto / felino, a cavallo / equino e a maiale / suino. Tuttavia in un gran numero di casi si hanno forme associative, come capra / caprino; bue / bovino; dente / dentale; rene / renale; petto / pettorale; terra / terrestreluna / lunaresole / solare, etc. 

Nel nocivo sistema scolastico italiano, il lessico di base della lingua inglese, in gran parte di origine anglosassone, viene molto trascurato quando non addirittura considerato irrilevante. Accade così che sia alquanto fallace e lasso l'insegnamento del giusto suono di parole che sono in buona misura monosillabi, con effetti devastanti. Se uno studente pronuncia cow "vacca" facendo rimare la parola con snow "neve", commette un errore gravissimo e non sarà affatto capito dagli anglofoni nativi. Se fossi un insegnante, educherei la scolaresca insegnando che cow deve rimare con Dachau, magari previa escursione in quell'amena località.

I filologi continuano a descrivere il processo di integrazione anglo-romanza come qualcosa di "positivo", come un indice di "civiltà", come un "arricchimento del lessico". Essendo fiero sostenitore del germanesimo, evidenzio invece le perdite catastrofiche del vocabolario nativo. L'antico inglese non ha perso soltanto un numero immenso di parole genuine: ha perso anche gran parte della sua prodigiosa capacità di creare composti vitali. Eppure, sotto la maschera dei prestiti, brilla ancora una natura primigenia e fulgida.

Brillano diamanti anche in quelli che la gente considera i bassifondi della lingua. Una parola nobile e antica, arse, ass "ano", è ritenuta "slang volgare", nonostante derivi da una chiara protoforma germanica *arsaz. Per contro, la parola anus è un crudo latinismo impiantato in inglese dalla lingua degli scienziati e dei letterati. In antico inglese c'era la parola earsgang "ano" (alla lettera "passaggio del culo"), che non mancava di poesia. Un'altra forma simile era ūtgang "ano" (alla lettera "uscita"), un chiaro eufemismo. Questo confuta l'idea di alcuni romanisti, che reputano il termine tedesco antico ûzcanc, ûzgang  (moderno Ausgang) "uscita" un calco del latino exitus. Non solo questo non è vero: l'anglosassone indica che la parola, antica, era usata per indicare quella che di certo è una delle parti più bizzarre e interessanti del corpo umano. Se oggi usiamo penis "pene", crudo latinismo, è perché si sono perse parole mirabili e antichissime. In anglosassone per definire il concetto si usava teors (cfr. antico alto tedesco zërs "pene"; norreno tjasna "tipo di paletto") e wǣpn (alla lettera "arma", inglese attuale weapon).

Un gravissimo errore nel lavoro di Assolari

Si segnala un raggelante strafalcione nell'articolo di Assolari sopra riportato: il termine antico inglese ċeaster "città" (riportato senza il diacritico), viene ritenuto corradicale di city (francese cité), mentre è un chiaro prestito dal latino castrum "fortezza". A pagina 81 (numerazione a piè di pagina) è riportata questa incredibile frase: "Antico inglese ceaster, dal latino civitas. Ora in inglese city e in italiano città". Quando l'ho vista, non volevo credere ai miei occhi. L'autore sembra ignorare anche i fondamenti della pronuncia dell'antico inglese, credendo addirittura che ceaster avesse la stessa consonante iniziale di city, mentre il suono corretto è quello iniziale di cheese. Voglio sperare che tutto ciò si debba all'imperizia di un revisore ignorante e meritevole di fustigazione a sangue.

sabato 23 giugno 2018

IL TRAMONTO DELL'INGLESE COME LINGUA INTERNAZIONALE

Le genti vivono immerse in una spessa coltre di illusioni. Il mito della caverna narrato da Platone spiega la miserabile esistenza degli umani, che scambiano vane ombre proiettate da sagome per la realtà delle cose. Così credono che la lingua inglese sia al suo apogeo e irradi la luce del massimo splendore sul globo terracqueo, imponendosi dovunque, lingua franca dell'intero genere umano, destinata a soppiantare ogni altro idioma. Il sistema scolastico ha molto contribuito, unitamente ai media, a forgiare questa narrazione fallace. In fondo le semplici menti degli esseri umani sono ben comprensibili. Innanzitutto credono che l'insegnamento di una lingua debba per forza di cose corrispondere alla concreta esistenza di questa lingua come fenomeno assoluto, univocamente determinato e conoscibile, che non può dare adito a incomprensioni e ad ambiguità di sorta. Milioni di persone apprendono dalla maestrina qualcosa che chiamano "inglese", così tutti sono convinti che ad ogni singola parola scritta debba corrispondere una pronuncia universalmente riconoscibile senza difficoltà alcuna. Non può esistere inganno peggiore di questo!  

La perdita di unità della lingua inglese   

Immaginate un convegno sul destino del pianeta Terra, tenutosi nella città di Belloveso. Un climatologo americano di fama internazionale esponeva la sua relazione dopo quella di una ricercatrice del Politecnico. La donna parlava in uno pseudoinglese legnoso, caratterizzato da una rotica trillata al punto da sembrare un ringhio emesso facendo vibrare l'ugola. Nelle sue intenzioni, WI ARRA doveva significare "noi siamo". Il professore venuto dagli States, un ometto paffuto e grottesco, scandiva i suoi discorsi in una lingua tanto distante da quella dell'italiana da sembrare un vulcaniano o un klingoniano. Egli non usava rotiche trillate. Nessuna rotica finale di sillaba era da lui pronunciata. In altri contesti realizzava costantemente le rotiche come approssimanti labiali, ossia come /w/. Non solo, egli pronunciava allo stesso modo la consonante /l/ come /w/ in diverse posizioni, ad esempio quando preceduta da un'occlusiva. Così la parola climate "clima", che nell'inglese della Regina suona /'klaɪmɪt/, era da lui pronunciata QUAMA /'kwama/ o QUAME /'kwame/. La locuzione climate change era pronunciata addirittura in forma ridotta che noi trascriveremmo nell'ortografia italiana come QUAN C'È /kwan'tʃɛ/, con una /ɛ/ tonica nettissima e senza traccia di consonanti finali. Allora mi chiedo, una volta di più: "Può una persona che dice WI ARRA intendersi con una persona che dice QUAN C'È anziché /'klaɪmɪt 'tʃeɪndʒ/?" Santo Dio, no! Diabole Domine! Schweinegott Hundegott! No! Non è possibile. Troppa è la distanza tra i rispettivi sistemi fonemici. Quindi la relatrice del Politecnico e il professore americano non si comprendevano affatto. La prima usava una varietà semiortografica di pseudoinglese, di chiara origine scolastica. Il secondo agiva ispirandosi a un pensiero molto comune nel mondo anglosassone: "La mia lingua la parlo come voglio, sono gli altri che devono impararla, non sono io a dovermi abbassare al loro livello." A maggior ragione, gli studenti presenti nell'aula, un branco di stoltissimi Millennial adusi a ogni genere di droga e alle gangbang spermatiche, di certo non comprendevano nemmeno l'eco di una sillaba. L'accaduto è rappresentativo di ogni incontro tra persone di diverse nazionalità. Ognuno usa il proprio pseudoinglese, fingendo di capire l'altro. Se ho imparato a comprendere diversi tipi di pseudoinglese usati da studiosi anglosassoni, non lo devo certo alla scuola: è stata soltanto una lunga e paziente pratica ad insegnarmi. Se anche un giorno dovessi tenere in pubblico un discorso in inglese, userei di certo l'inglese della Regina, che in America si studia a scuola come una lingua morta. Tanto ci sarebbe la certezza che nessuno mi capirebbe e che le parole di qualsiasi interlocutore in fondo sono prive di qualsiasi importanza. "Il convegno è finito, andiamo su Youporn", questo pensa il branco degli studenti quando l'ultimo relatore ha esposto la sua presentazione. 

Una lingua incapace di unire

Se una lingua si frammenta in una miriade di varietà mutuamente inintelligibili o quasi, come può assolvere la funzione di lingua globale? La risposta è una sola: non può. Manca un'autorità centrale in grado di normare i fonemi e persino gli allofoni, di imporre una varietà prestigiosa che possa essere davvero comune a tutti. Lo stesso inglese della Regina ha un sistema fonetico di una grande complessità, le sue parole sono brevi e sfuggenti. Non è però un idioma condiviso, da milioni di persone è visto come preistoria, come se fosse una lingua morta del Neolitico. Comunque la si metta, non esiste una sola varietà di inglese che possa imporsi sulle altre. Non solo: non esiste una sola varietà di inglese che sia semplice. I problemi non si risolvono, si moltiplicano. Se una lingua ha fonemi che la maggior parte della popolazione non anglosassone sparsa per il globo terracqueo reputa ostici e fatica molto a distinguere, come può assolvere la funzione di lingua globale? Ancora una volta la risposta è una sola: non può.

Fraintendimenti

Posso trarre dalla mia memoria un gran numero di aneddoti in grado di illustrare ai lettori quanto sostengo. Ne riporto alcuni in questa sede. Un attempato giapponese faceva la fila all'autostazione e balbettava richieste di informazioni. La ragazza che distribuiva i biglietti lo ha indirizzato verso un pullman rosso, chiamandolo red bus. Peccato che il nipponico abbia capito bread bus, ossia "pullman del pane" o "pullman (fatto) di pane". Nonostante tutti i tentativi di spiegarsi, l'uomo insisteva, così la ragazza ha afferrato un oggetto di plastica rossa che aveva a portata di mano, scandendo con pazienza di Giobbe: "RED". A questo punto è stata compresa. Non mi è chiaro cosa possa aver ingenerato l'equivoco. Forse la rotica un po' uvulare della ragazza è stata analizzata come un nesso /br/. Se la lingua globale fosse lo spagnolo, termini come colorado o rojo non potrebbero essere fraintesi da nessuno: il loro suono sarebbe chiaro dall'Africa equatoriale alla Cina, anche tra genti che hanno rotiche diverse. Non sarebbe meglio per tutti? L'accaduto mi ha scosso: ancora adesso faccio fatica a capire come un giapponese possa trovare più logico pensare a un pullman che trasporta pane o a un pullman fatto di pane piuttosto che a un banalissimo pullman rosso. Anni fa il fraterno amico P. mi raccontò un singolare episodio che risaliva ai tempi in cui andava in vacanza negli States. Siccome tali vacanze comportavano l'obbligo di frequentazione scolastica, era facile incontrare in classe persone di mezzo mondo. Così P. era rimasto colpito da un giapponese che non riusciva ad articolare le parole più semplici, perché tentava disperatamente di ridurle ai suoni della propria lingua. Il ragazzo dell'Arcipelago aveva destato esilarazione pronunciando her house "la sua casa (di lei)" come whore house "bordello, postribolo". Non potendo pronunciare la vocale rotica di her /hə:ɹ/, la realizzava come una /ɔ:/ aperta e nettissima, collocando sulla sillaba un forte accento. Così se ne usciva con un /'hɔ:'haʊsu/ che per l'orecchio di un nativo era la casa delle puttane. Anche se house da quelle parti suonava /hɛɔs/ e non /haʊs/ come insegnato dai manuali, questa differenza non creava davvero problemi. La pietra dello scandalo era una sillaba che da pronome si trasformava in una fallofora. Sempre durante la stessa vacanza, l'insegnante, una giovane donna, rivolse una strana domanda alla scolaresca. Chiese a ciascuno cosa facesse venire in mente il termine Puritans. Quando fu il suo turno, un indostano scattò sull'attenti, esclamando: "PISS AND MORALITY!" L'insegnante rimase raggelata. Naturalmente il giovane hindu non intendeva dire che i Puritani si riunivano per fare sessioni di pissing. La parola da lui pronunciata /pɪs/ con una /ɪ/ breve e aperta, doveva invece essere /pi:s/ con una /i:/ lunga e chiusa, ossia peace "pace"

La piaga delle pronunce ortografiche

Molte forme di pseudoinglese italico sono caratterizzate da veri e propri fonemi intrusivi. Il fenomeno, di per sé disdicevole e ripugnante, nasce dal fatto che gli studenti apprendono la lingua scritta a scuola, pensando che la lingua parlata sia soltanto il risultato dell'applicazione di regoline, regolette, regolucce e regolacce. Questo risultato, chiamato "pronuncia", è visto come qualcosa di secondario rispetto alla lettera. Non è altro che l'output di un software mentale che macina lettere. L'idea che la lingua parlata sia venuta prima di quella scritta è lontanissima dalle menti di questi decerebrati, che si sottomettono ai dogmi delle maestrine. Peggio ancora, essi professano queste storture in modo fideistico. Complice l'ignoranza belluina del corpo docente, questi branchi di alunni trovano che nulla sia più naturale dell'attribuire un suono a lettere mute, dando origine a moltissimi obbrobri. Così knee "ginocchio", che suona /ni:/, lo realizzeranno come KNI o addirittura come KINÌ. Famoso poi è il caso di iron "ferro", che suona /'aɪən/ e che è pronunciato AIRON dalle scolaresche italiche - come se fosse scritto EYE RAWN. Se la pronuncia ortografica è spinta, ecco che I know "io so" può suonare addirittura AI KANÒV o AI KANOVA, col pronome ben staccato e accentato quanto il verbo. Appurato che il suono trascritto col dittongo ea è spesso /i:/, molti pronunciano /i:/ tutte le parole con un dittongo ea, anche quelle in cui la vocale è una /e/ breve. Così lead "piombo" è da loro pronunciato come se fosse *LEED, e persino heavy "pesante" è pronunciato come se fosse *EEVY. A volte questo fenomeno colpisce anche parole senza dittongo grafico: devil "diavolo" è spesso pronunciato come se fosse *DEEVEEL o *DEEVAWL. Si può ben capire che i parlanti di un simile pseudoinglese non riconosceranno le parole native; allo stesso modo le loro aberrazioni non saranno riconosciute dai parlanti anglosassoni. I docenti mostrano verso tutto ciò un'incredibile tolleranza. Alcuni di loro sono convinti che lo schifo appena esposto sia "inglese" a tutti gli effetti, tanto sono asini. Altri invece sono consapevoli degli errori degli alunni, ma non hanno determinazione sufficiente per correggerli, anche perché plasmare i giovani stolti a suon di sganassoni è diventato illegale.

Il mito dell'accento

Cosa accade quando uno studente si reca in Inghilterra o in America e constata l'assoluta incomunicabilità? Semplice: dà la colpa a un mostro fantomatico che chiama "accento". La situazione classica è quella del giovane che sbandiera titoli, esami e quant'altro, ma dice di avere un "accento italianissimo" e di trovare difficile l'inglese parlato. In realtà l'accento qui non c'entra proprio nulla, dato che siamo di fronte a un problema di riconoscimento dei fonemi. Se in un dialetto del Regno Unito abbiamo una vocale /ɔ/ aperta nella parola stop, mentre in un dialetto americano abbiamo /a:/ e la pronuncia è /sta:p/, l'intonazione delle frasi non è nemmeno chiamata in causa, dal momento che la difficoltà è che nelle due parlate alcune parole sono realizzate usando due fonemi tra loro dissimili. Se io conosco la pronuncia /stɔp/ e mi trovo ad ascoltare un parlante che usa /sta:p/, può mancarmi la possibilità di identificare la parola nei suoi discorsi. Me la immaginerei addirittura scritta *STARP e non ne capirei la natura. C'è tuttavia di peggio. Su Quora in inglese, l'utente brasiliano Ygor Coelho ha scritto quanto segue (la traduzione è mia): «Non solo l'inglese è parlato molto velocemente dalla maggior parte dei parlanti, ma è anche una lingua con un uso molto intenso del sanddhi (connessioni di suoni tra le parole), che spesso cambia o porta via qualcosa dalla sillaba immediatamente precedente. Il risultato è che l'inglese parlato, della strada, è spesso estremamente difficile da distinguere parola per parola. Diventa tutto un unico, molto lungo borbottio, molte sillabe connesse l'una all'altra, e tui spesso non hai abbastanza tempo per pensare "vediamo, questa parola finisce qui, quest'altra inizia là", in modo tale da decodificare le frasi. Oltre a questo, le variazioni dialettali, specialmente nella pronuncia delle vocali, possono essere molto vaste in inglese, accrescendo ulteriormente la difficoltà di decodificare parola per parola una lunga sequenza di parole.» 

L'ascesa dello spagnolo

L'utente Alfonso Garcia, sempre su Quora, ricorda che lo spagnolo è usato dal 15% dei cittadini dell'Unione Europea, per un totale di circa 75 milioni di persone. Inoltre cita altri dati molto interessanti: 

1) Lo spagnolo è parlato da 55 milioni di persone negli USA; 
2) Lo spagnolo è obbligatorio in alcune scuole cinesi. Il Governo studia di renderlo obbligatorio in tutte le scuole. Lo stesso accade nelle Filippine; 
3) Lo spagnolo è la lingua straniera più importante nel futuro del Regno Unito, come sostenuto da un nuovo studio del British Council;
4) La popolarità dello spagnolo sta crescendo in Africa. È parlato da circa 10 milioni di persone in tale continente (Marocco, Sahara, Isole Canarie, Guinea Equatoriale, etc.);
5) Lo spagnolo è la seconda lingua in Antartide, dopo l'inglese. Ci sono stazioni di ricerca di Argentina, Cile, Spagna, Perù, Uruguay, etc.
6) È parlato da circa mezzo milione di persone in Oceania (minoranze in Australia, Nuova Zelanda, Isola di Pasqua, Hawaii, Guam, etc.);
7) È parlato da 575 milioni di persone in tutto il mondo. Inoltre, il portogese è parlato da 250 milioni di persone, e l'italiano da 75 milioni di persone. Così tu puoi capire, con diversi gradi di comprensione, circa 900 milioni di persone; 
8) In Duolingo, lo spagnolo è studiato da 145 milioni di persone. Molto più del francese, del tedesco o del cinese;
9) Infine è la seconda lingua più usata su Facebook e su Twitter. 

Che dire? Se davvero la Cina dovesse rendere obbligatorio lo studio dello spagnolo in tutte le sue scuole, l'ispanofonia diverrebbe una marea inarrestabile, un vero e proprio tsunami. Anche perché i cinesi le lingue le imparano davvero.