sabato 1 gennaio 2022

 
SALÒ O LE 120 GIORNATE DI SODOMA

Titolo originale: Salò o le 120 giornate di Sodoma
Paese di produzione
: Italia, Francia
Anno
: 1975
Lingua: Italiano, francese, tedesco, sanscrito  
Durata
: 145 min (versione originale)
       117 min (versione rimontata e distribuita)
       111 min (versione italiana censurata)
Genere
: Grottesco, drammatico 
Sottogenere: Pseudo-snuff, scatofilia
Regia
: Pier Paolo Pasolini
Soggetto
: Pier Paolo Pasolini (tratto da Le 120 giornate
     di Sodoma
del Marchese de Sade e dagli scritti di
     Roland Barthes e Pierre Klossowski)
Sceneggiatura
: Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti, Pupi
    Avati (collaboratori non accreditati)
Produttore
: Alberto Grimaldi, Alberto De Stefanis,
    Antonio Girasante (ultimi due non accreditati)
Fotografia
: Tonino Delli Colli
Montaggio
: Nino Baragli, Tatiana Casini Morigi,
    Enzo Ocone
Effetti speciali
: Alfredo Tiberi
Musiche
: Pier Paolo Pasolini, Ennio Morricone
Scenografia
: Dante Ferretti
Costumi
: Danilo Donati
Interpreti e personaggi
    Paolo Bonacelli: Il Duca
    Giorgio Cataldi: Il Monsignore
    Uberto Paolo Quintavalle: L'Eccellenza
    Aldo Valletti: Il Presidente
    Hélène Surgère: La Signora Vaccari
    Elsa De Giorgi: La Signora Maggi
 
   Caterina Boratto: La Signora Castelli
    Sonia Saviange: La Pianista
    Marco Lucantoni: Prima vittima (maschio)
    Anna Troccoli: Prima vittima (femmina)
    Sergio Fascetti: Sergio - vittima (maschio)
    Bruno Musso: Carlo Porro - vittima (maschio)
    Antonio Orlando: Tonino - vittima (maschio)
    Claudio Cicchetti: Vittima (maschio)
    Franco Merli: Franco - vittima (maschio)
    Umberto Chessari: Vittima (maschio)
    Lamberto Book: Lamberto Gobbi (vittima, maschio)
    Gaspare Di Jenno: Vittima (maschio)
    Giuliana Melis: Vittima (femmina)
    Faridah Malik: Fatimah - vittima (femmina)
    Graziella Aniceto: Graziella - vittima (femmina)
    Renata Moar: Vittima (femmina)
    Dorit Henke: Doris - vittima (femmina)
    Antiniska Nemour: Vittima (femmina)
    Benedetta Gaetani: Vittima (femmina)
    Olga Andreis: Eva - vittima (femmina)
    Tatiana Mogilansky: Figlia
    Susanna Radaelli: Figlia
    Giuliana Orlandi: Figlia
    Liana Acquaviva: Figlia
    Rinaldo Missaglia: Collaborazionista (soldato)
    Giuseppe Patruno: Collaborazionista (soldato)
    Guido Galletti: Collaborazionista (soldato)
    Efisio Etzi: Collaborazionista (soldato)
    Claudio Troccoli: Collaborazionista (repubblichino
       di leva)
    Fabrizio Menichini: Collaborazionista (repubblichino
       di leva)
    Maurizio Valaguzza: Bruno - collaborazionista
       (repubblichino di leva)
    Ezio Manni: Ezio - collaborazionista (repubblichino
       di leva e criptocomunista)
    Paola Pieracci: Ruffiana
    Carla Terlizzi: Ruffiana
    Anna Maria Dossena: Ruffiana
    Anna Recchimuzzi: Ruffiana
    Ines Pellegrini: Serva nera 
    Alessandro Gennari: Ufficiale della OVRA
    Dante Trazzi: Reclutatore
Doppiatori originali
    Giancarlo Vigorelli: Il Duca
    Giorgio Caproni: Il Monsignore
    Aurelio Roncaglia: L'Eccellenza
    Marco Bellocchio: Il Presidente
    Laura Betti: La Signora Vaccari 
Titoli in altre lingue: 
   Inglese: Salò, or the 120 Days of Sodom
   Tedesco: Die 120 Tage von Sodom
   Francese: Salò ou les 120 Journées de Sodome
   Spagnolo: Saló o los 120 días de Sodoma
   Svedese: Salò, eller Sodoms 120 dagar
   Russo: Сало, или 120 дней Содома
   Giapponese: ソドムの市 (Sodomu no ichi)
 
Trama: 
Anno del Signore 1944, Marzabotto, Repubblica di Salò. La narrazione si divide in tre parti, in qualche modo ispirate alla geografia dell'Inferno di Dante; in particolare ricalca la tripartizione del Girone dei Violenti. Questa peculiare struttura dantesca si trova già nell'opera di Sade. 
 
1) Antinferno 
Quattro libertini sadiani, i Signori, soprannonimati il Duca, il Monsignore, L'Eccellenza e il Presidente, si chiudono in una villa sontuosa con un gran numero di giovani prigionieri provenienti da familie antifasciste e sovversive, rastrellati dai soldati repubblichini e dalle SS. Siglano quindi un patto di sangue: ciascun Signore dà una propria figlia in sposa a un altro suo pari. Stabiliscono il Codice, che detta alle loro vittime le draconiane regole di condotta, che le degradano a oggetti. La villa è isolata dal resto del mondo, i Signori vi esercitano il potere assoluto. I prigionieri sono destinati a compiere orge sodomitiche, incestuose e adulterine. Gli atti vaginali sono banditi e puniti con l'amputazione di un arto. Anche per il più piccolo e insignificante atto di devozione religiosa è decretata come punizione la morte.
 
2) Girone delle Manie 
La prima Megera, la Signora Vaccari (così chiamata dal cognome del suo primo cliente), descrive le sue esperienze sessuali giovanili seguendo con voce cantilenante le note del piano. Parte da quando aveva sette anni e un professore dall'enorme favone le ha schizzato sulla faccia il materiale genetico, per poi proseguire con descrizioni sempre più hard, come quello del libertino che era schifato dalla visione della sua vulva e che l'ha fatta girare a pancia in giù per iniziarla alla penetrazione anale. I pruriginosi racconti della Signora Vaccari infiammano i Signori, che si abbandonano a sevizie sui gracili corpi delle loro vittime, aiutati dalle reclute repubblichine. Uno di questi militari mette una ragazza corvina a carponi e le infila nell'intestino il gigantesco fallo eretto. Lei urla di strazio, poi si quieta mentre il suo violatore anale la stantuffa. Purtroppo la sequenza viene guastata dall'intervento del laidissimo presidente, un lubrico sodomita passivo che pretende di essere sodomizzato dal giovane: gli impone di estrarre il membro dal budello della fanciulla, quindi se lo spinge tra le chiappe! Come dimenticare la visione incubica del volto distorto e congestionato del Presidente, mentre il bombardiere gli devasta lo sfintere?  
Dopo essersi sfiniti con una giornata di eccessi, i Signori si ritirano in una grande stanza da letto, quindi disquisiscono dottamente su tematiche come l'etica del libertinismo e l'intrinseca anarchia del potere. Tra cicchetti di whisky e ciniche barzellette, citano a memoria testi di Klossowski, Baudelaire, Proust e Nietzsche, talvolta facendo qualche piccola confusione. 
Ogni nuovo giorno, le aberrazioni riprendono vigore. Un ragazzo e una ragazza, entrambi dai capelli biondicci, vengono uniti in un matrimonio farsesco e subito dopo separati. Viene loro impedito di copulare e finiscono sottoposti separatamente a sevizie. Poi le vittime vengono tenute al guinzaglio e viene imposto loro di comportarsi come cani. Ogni dignità umana è annichilita. Il cibo viene gettato o messo in ciotole metalliche. In un'occasione, un boccone di polenta è riempito a bella posta di chiodi: la ragazza che lo porta alla bocca, una delle figlie-spose, subisce lesioni e perde un copioso fiotto di sangue.
 
3) Girone della Merda 
La seconda Megera, la Signora Maggi, intrattiene i Signori e gli ospiti parlando della sua infanzia travagliata, del suo esordio nel mondo della prostituzione, delle sue pratiche anali, oro-anali e scatofile. Narra la storia di un vecchio libertino moribondo, che intendeva spirare adorando il buco del culo di una puttana. Così la Signora Maggi ha avvicinato le sue natiche alla bocca del libertino, che ha le leccato avidamente l'ano infilando la lingua nel budello. Quindi l'adoratore ha chiesto di poter ingurgitare gli escrementi, che lei gli ha prontamente rilasciato in bocca. Si riconosce subito una forma di Viatico Nero, una specie di rito satanico in cui viene parodiata e dissacrata la Transustanziazione. 
Tra le altre cose, la Signora Maggi racconta di aver ucciso sua madre nel corso di un litigio, perché non voleva accettare le sue attività prostitutive. Una prigioniera biondiccia piange a dirotto, perché pensa alla propria madre morta per proteggerla. Il suo strazio eccita i Signori e in particolare il Duca, che defeca uno stronzo scuro sul pavimento e obbliga la vittima a mangiarlo con un cucchiaio. 
Il culmine del Girone è un banchetto fecale a base degli escrementi raccolti dalle vittime, per festeggiare il matrimonio dell'Eccellenza con Sergio, un giovane biondiccio dai capelli mossi vestito da sposa e imboccato con abbondanti forchettate di merda. Viene poi indetto un concorso di bellezza per premiare colui o colei che ha il deretano più bello: prigionieri e prigioniere sono messi a carponi nella semioscurità, in modo tale che nessuno possa indovinare il loro sesso (cosa che potrebbe condizionare il giudizio). Il premio è la morte immediata, tramite una pistolettata in una tempia. Vince Franco, un ragazzo dai tratti somatici marcati, ma la revolverata promessa è a salve: non sfugge ai carnefici che la morte sarebbe una benedizione e che non può essere facilmente concessa.
 
4) Girone del Sangue 
Le danze iniziano con un matrimonio fittizio, in cui il Presidente, il Duca e l'Eccellenza, acconciati come vecchie carampane, si uniscono ad altrettanti soldati. La cerimonia è celebrata dal Monsignore, che poco dopo sarà lui stesso posseduto sodimiticamente da un giovane nerboruto dotato di un colossale cazzone, una vera e propria sciabola di carne che affonda nell'intestino. Dopo essere stato sfondato e riempito di sperma, il Monsignore fa un giro d'ispezione tra i prigionieri nelle loro stanze. Si è instaurato un odioso sistema di tradimenti e delazioni. Tutti iniziano a tradirsi a vicenda in modo sistematico: Claudio rivela che Graziella nasconde una fotografia, Graziella a sua volta rivela che Eva e Antiniska hanno segretamente una relazione sessuale lesbica. Le due amanti, colte in flagrante, denunciano il repubblichino di leva Ezio, accusandolo di copulare ogni notte con una serva africana. I Signori sorprendono gli amanti nudi e avvinghiati. Ezio alza il braccio sinistro col pugno comunista e viene crivellato da molti colpi di arma da fuoco; la serva africana viene fulminata subito dopo con una revolverata nel cranio. Umberto, da vittima che era, viene scelto per sostituire Ezio. L'indomani, il Duca riunisce le vittime per annunciare i nomi di coloro che saranno sottoposti alla punizione capitale tramite tormenti aberranti: sono le quattro figlie-spose, sei ragazzi e sei ragazze, per un totale di sedici. A ciascun condannato viene consegnato un nastro azzurro. Chi non è stato chiamato, se continua la sua collaborazione, può sperare di seguire i Signori a Salò.
La terza Megera, la Signora Castelli narra la storia di un libertino che tortura in modo atroce le vittime usando macchinari manovrati da carnefici vestiti da diavoli. Nel cortile, i condannati vengono straziati, mutilati, marchiati, bruciati, impiccati, scotennati, stuprati, impiccati, mentre ogni libertino sadiano fa il suo turno per contemplare questi orrori, come un voyeur masturbante. La Pianista, affacciatasi alla finestra aperta, si rende improvvisamente conto con orrore delle atrocità che vengono commesse: si getta nel vuoto e muore di colpo nell'impatto, col cranio fracassato.  
 
5) Epilogo 
Due giovani soldati repubblichini, testimoni delle torture e delle uccisioni, ballano assieme qualche goffo passo di valzer. Uno chiede all'altro quale sia il nome della ragazza che lo sta aspettando e questi risponde che si chiama Margherita.
 
Citazioni: 
 
"Tutto è buono quando è eccessivo."
(Il Monsignore) 

"Ebbene sua eccellenza, si è convinto: è dall'abisso di coloro che non godono ciò che godo io e soffrono i peggiori disagi che deriva il fascino di poter dire a se stessi "comunque io sono più felice di questa canaglia che si chiama popolo". Ovunque gli uomini siano uguali e non esista questa differenza nemmeno la felicità esisterà mai."
(Il Duca) 

"Noi Fascisti siamo i soli veri Anarchici. Naturalmente, una volta che ci siamo impadroniti dello Stato. Infatti la sola vera Anarchia è quella del Potere."
(Il Duca)

"Imbecille! Come potevi pensare che ti avremmo ucciso? Non lo sai che noi vorremmo ucciderti mille volte, fino ai limiti dell'Eternità, se l'Eternità potesse avere dei limiti?" 
(Il Monsignore) 
 
"Vi renderete conto che non esiste cibo più inebriante, e che i vostri sensi trarranno nuovo vigore per le tenzoni che vi attendono."
(La Signora Maggi, parlando della merda)
 
"Wie ihr wohl wißt, es genügt nicht... den selben Menschen immer wieder zu töten. Es ist dagegen zu empfehlen so viel Wesen wie möglich umzubringen."
("Come ben sai, non è soddisfacente uccidere la stessa persona più e più volte. Sarebbe raccomandabile uccidere quanti più esseri viventi possibile").
(La Signora Castelli)

Dialoghi: 

Il Duca: "Il gesto sodomitico è il più assoluto per quanto contiene di mortale per la specie umana. Il più ambiguo, perché accetta le norme sociali per infrangerle."
Il Monsignore: "C'è qualcosa di più mostruoso del gesto del sodomita, ed è il gesto del carnefice"
Il Duca: "È vero, ma il gesto del sodomita ha il vantaggio di poter essere ripetuto migliaia di volte."
Il Monsignore: "Si può trovare anche il modo di reiterare il gesto del carnefice."  
 
Presidente: "Carlo! Metti le dita così. Sei capace di dire "non posso mangiare il riso" tenendo le dita così?"
Carlo: "Non posso mangiare il riso!"
Presidente Durcet: "E allora mangia la merda!"

Corrispondenze dei Signori nell'opera di Sade: 
 
   Il Duca: Il Duca di Blangis
   Il Presidente: Il Banchiere Durcet (Presidente della Banca
       Centrale)
   Il Monsignore: Il Vescovo
   L'Eccellenza: Il Presidente de Curval (Presidente della
       Corte d'Appello) 
 

Recensione: 
Lo scandalo provocato da questa potente pellicola è stato immenso e non accenna a placarsi. Ancora a distanza di tanti anni, moltissimi commentatori definiscono il capolavoro pasoliniano "violento", "vomitevole", "una pugnalata nello stomaco", "allucinante" e via discorrendo. A dire il vero, posso guardare anche le sequenze più truci con assoluta tranquillità mentre mangio, senza perdere l'appetito. Mi rendo conto che la mia reazione è qualcosa di molto raro. Essendo la mia stirpe destinata all'Estinzione, non ho alcuna paura. Tutto ciò che nella vita mi può capitare, avrà la sua fine quando Azrael verrà a ghermirmi. Così non è per coloro che hanno procreato. Ogni genitore, vedendo Salò, si sentirà invadere dall'inquietudine e dal terrore. Penserà questo: "E se capitasse a mio figlio? E se capitasse a mia figlia?" Oppure: "E se capitasse ai miei nipoti, ai miei pronipoti?"  
Sono stati scritti innumerevoli trattati nel tentativo di spiegare il significato delle sequenze sadiane, ritenute di volta in volta metafore del potere della borghesia, del potere della dittatura fascista, del consumismo, della società edonistica, persino della scuola dell'obbligo. Ecco così che il Duca, il Monsignore, l'Eccellenza e il Presidente acquistano l'apparenza di geroglifici del potere dinastico, religioso, giudiziario ed economico. Tutte questa massa di estenuanti elucubrazioni politiche e sociali lascia il tempo che trova e in fin dei conti non risolve nulla. Sono consapevole che la parola "metafora" era usata dallo stesso regista. Penso che fosse lo spirito di quei tempi, in cui nessuna narrazione era accettata dal pubblico se non era vista come una "metafora" di qualcosa. Trovo che sia necessario andare oltre. Me ne esco così con una chiave d'interpretazione per certi versi rivoluzionaria: e se Salò fosse la pura e semplice storia di un gruppo di carnefici sodomiti e delle pratiche da loro inflitte a vittime inermi? Se fosse da interpretarsi in senso letterale? Se vedo un cazzone che si infila nel culo, perché diamine dovrebbe essere un'allegoria di qualcosa? Semplice. È innanzitutto un cazzone che si infila nel culo! È il potere in sé ciò che il regista ci mostra, il potere dell'essere umano sull'essere umano. In quanto tale, senza infingimenti. Per Caligola era un atto di voluttà infliggere supplizi efferati esercitando un arbitrio assoluto sulle vite dei suoi sudditi, che erano terrorizzati dalla sua presenza. Non c'era alcun bisogno di una spiegazione razionale. È proprio questo che non capiscono i critici cinematografici, i radical chic intellettualoidi, etc.
Troppo spesso si è detto che Salò sarebbe il testamento poetico di Pasolini, ma penso che poche cose siano più lontane dal vero. Egli cercava infatti di realizzare una Trilogia della Morte, contrapposta alla Trilogia della Vita, che era composta da Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle mille e una notte (1974). Ebbene, nelle sue intenzioni Salò doveva essere proprio il primo film della Trilogia della Morte. Si converrà che con un simile progetto in mente, non si fanno testamenti di sorta. Mi piacerebbe riuscire a immaginare come sarebbero stati il secondo e il terzo capitolo della Trilogia della Morte! Purtroppo, non potremo mai nemmeno immaginarcelo.
 
Il potere della censura
 
Se si dovesse fare un riassunto dell'accanita persecuzione giudiziaria che si è abbattuta su questo film, forse non basterebbe un'enciclopedia per esaurire l'argomento. Furono aperti più di 30 processi postumi (secondo alcuni sono stati 31, secondo altri addirittura 33) e la pellicola passò da un sequestro all'altro. Ogni volta che veniva proiettata, c'era qualche grave rogna che portava nuovamente alla sua scomparsa. Trovo difficile mettere a fuoco questo complesso percorso persecutorio. Rimando quindi alle numerose fonti presenti nel vasto Web, in cui si possono trovare dettagli e approfondimenti. Ecco un link che può essere utile:


Pasolini fu assassinato sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia, il 2 novembre 1975, prima dell'uscita del film. Giuseppe "Pino" Pelosi, un diciassettenne di Guidonia Montecelio già noto come ladro e "ragazzo di vita", fu arrestato e incolpato dell'omicidio. Ammise di aver investito molte volte il corpo del regista con l'automobile, schiacciandolo in seguito a una lite furibonda. Per tale delitto fu quindi condannato, eppure a distanza di molti anni negò ogni coinvolgimento. Il caso rimane irrisolto. Sono state fatte moltissime ipotesi, anche complottistiche, per spiegare l'accaduto. Nessuno potrà mai togliermi dalla mente l'idea che le motivazioni della morte del regista abbiano in qualche modo a che fare con Salò. A parer mio, politici potenti devono aver commissionato l'uccisione, perché non volevano che la popolazione arrivasse a concepire atti sessuali considerati  eversivi. Oggi nel Web si trovano con grande facilità immagini e video di atti di sesso anale e di coprofagia, solo per fare qualche esempio, ma dobbiamo tener conto della realtà dell'Italia dell'epoca, dominata dalla Democrazia Cristiana, in cui non si respirava ed era un problema già menzionare le gambe dei tavoli. Non c'è più la soffocante cappa della censura che rese difficile la vita a Pasolini, ma dobbiamo combattere contro la minaccia del politically correct, ancor più grave e corrosiva.  


L'anarchia di ogni potere 
 
Queste sono le parole del regista sulla sua opera: 

"Il film è preso da ‘Le 120 giornate di Sodoma’ di De Sade, ma è ambientato durante la Repubblica di Salò, cioè tra il ’44 e il ’45. Quindi c’è molto sesso. Ma il sesso che c’è nel film è il tipico sesso di De Sade, la cui caratteristica è esclusivamente sadomasochistica, in tutta l’atrocità dei suoi dettagli e delle sue situazioni. A me questo sesso interessa come interessa a De Sade, per quello che è, ma nel mio film tutto questo sesso assume un significato particolare ed è la metafora di ciò che il potere fa del corpo umano. La mercificazione del corpo umano, la riduzione del corpo umano, è tipica del potere, di qualsiasi potere. Quindi il mio film è un film contro qualsiasi forma di potere e precisamente contro quella che io chiamo l’anarchia del potere, ed è questa la ragione per cui ho scelto Salò e la Repubblica fascista di quel periodo, perché mai come in quel momento il potere è stato anarchico, arbitrario e gratuito, potendo fare qualsiasi cosa". 
 
E ancora: 
 
"Il reale senso del sesso nel mio film è quello che dicevo, cioè una metafora del rapporto del potere con chi gli è sottoposto. Tutto il sesso di de Sade, cioè il sadomasochismo di de Sade, ha dunque una funzione ben specifica, ben chiara. Cioè quella di rappresentare ciò che il potere fa del corpo umano, la riduzione del corpo umano alla cosa, la mercificazione del corpo. Cioè praticamente l'annullamento della personalità degli altri, dell'altro. È quindi un film non soltanto sul potere, ma su quello che io chiamo "l'anarchia del potere", perché nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole e ciò che il potere vuole è completamente arbitrario, o dettatogli da sue necessità di carattere economico che sfuggono alla logica comune. [...] Questo vuole essere un film sull'inesistenza della storia. Cioè la storia così come vista dalla cultura eurocentrica, il razionalismo e l'empirismo occidentale da una parte, il marxismo dall'altra, nel film vuole essere dimostrato come inesistente... Beh! Non direi per i nostri giorni, lo prendo come metafora del rapporto del potere con chi è subordinato al potere, e quindi vale in realtà per tutti. Evidentemente la spinta è venuta dal fatto che io detesto soprattutto il potere di oggi. È un potere che manipola i corpi in modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio di culture viventi, reali, precedenti."

Il concetto è sacrosanto: ogni dittatore è anarchico, perché non deve rendere conto a nessuno e non riconosce alcun potere superiore al suo. Ovviamente i suoi sottoposti sono soltanto ingranaggi nel meccanismo di stritolamento. L'anarchia è come la corona, soltanto il Sovrano la può portare. Se a farlo è qualche suddito, allora diventa un crimine e un pericolo.
Facciamo un esempio concreto. Adolf Hitler non amava Max Stirner. Eppure era in tutto e per tutto uno stirneriano puro: solipsista, nichilista, individualista, egoista, capace di affermare l'unico e la sua proprietà. Non tollerava che altri al di sotto di lui portassero avanti queste idee, perché ciò avrebbe significato l'inizio della fine del suo potere.
Naturalmente la parola "anarchia" in questo contesto non ha nulla a che vedere col significato che comunemente le masse le attribuiscono.
 

Aldo Valletti nel ruolo del Presidente

Il fulvo e paonazzo Valletti (Roma, 1930 - Roma, 1992) fu scelto per la sua fisionomia grottesca, per i suoi lineamenti faineschi, da freak. I suoi occhi microscopici e scuri ardono di una luce assolutamente malsana. Quando chiesero a Pasolini perché gli avesse assegnato il ruolo del Presidente, rispose così: "Si tratta di un generico che in più di vent'anni di lavoro non ha mai detto una battuta".
In una intervista sul film, il regista affermò questo: "I signori e i potenti li ho scelti parte tra gli intellettuali in grado di recitare (Uberto Paolo Quintavalle, e alcuni doppiatori), parte tra persone che non dovessero recitare ma solo essere (Giorgio Cataldi e Aldo Valletti), e parte tra attori (Paolo Bonacelli, Elsa de Giorgi)".
Ezio Manni, che interpretò un repubblichino di leva, ebbe a dire: "Valletti era così come lo vedi in Salò, un imbranato. Era dolce, timoroso, a fine giornata si chiudeva in albergo e non usciva più. Diceva che doveva prepararsi per il giorno dopo, poi veniva sul set e sbagliava tutto. Si scordava le battute, si bloccava. Quando doveva torturare i ragazzi con la candela accesa, gli tremava la mano. Nella scena della mia uccisione, non gli sparava la pistola, una frana".
Per questi motivi e per la sua scarsa capacità recitativa che fu scelto di farlo doppiare da Marco Bellocchio, collaboratore di vecchia data del regista.
Uberto Paolo Quintavalle aggiunge altre informazioni non proprio eulogistiche: "Un ex seminarista che non si era poi fatto prete e aveva tirato avanti fino allora, per venticinque o trent'anni cioè, dando ripetizioni di latino e facendo la comparsa all'Opera di Roma o a Cinecittà".  
Eppure la barzelletta del Presidente su Perotto è tuttora definita "agghiacciante". A me sembra del tutto innocua. Eccola. Un uomo deve incontrare un amico di nome Perotto, a notte fonda. Si può immaginare che intenda sodomizzarlo. A un certo punto sente qualcuno muoversi. "Sei Perotto?", chiede. Quello risponde: "Quarantotto!"
Certo, il fatto considerato "agghiacciante" dal pubblico è che la barzelletta è raccontata in presenza di una ragazza sgozzata, uccisa per aver compiuto un atto di devozione religiosa.
 
 
Paolo Bonacelli nel ruolo del Duca

Senza dubbio Paolo Bonacelli, nato a Civita Castellana nel 1937, è il migliore attore tra coloro che hanno recitato in questa pellicola. Lo trovo una spanna al di sopra degli altri. La sua interpretazione incarna alla perfezione lo spirito perverso del Divin Marchese! Sprovvisto di pazienza, vorrebbe piegare l'Universo al suo volere, dando in escandescenze quando per qualche motivo non ci riesce. I suoi tremendi scatti d'ira sono proverbiali. Prima di Salò, Bonacelli aveva al suo attivo una parte di attore in ben 18 film. Tra questi menzioniamo L'arcidiavolo (Ettore Scola, 1966), Giordano Bruno (Giuliano Mondaldo, 1973), il bizzarro Milarepa (Liliana Cavani, 1974) e il profetico La banca di Monate (Francesco Massaro, 1975).
A questo punto devo riportare uno strano fatto che mi è accaduto qualche anno fa. Si tratta di un caso di prosopagnosia. Era il 2020. A causa dei postumi di un'infezione da SARS-CoV-2, il mio cervello ha avuto per quasi un anno gravi difficoltà a riconoscere i volti. Quando vidi una foto del Duca, interpretato magistralmente da Bonacelli, lo scambiai per Ramzan Khadyrov. "Ecco, questo è il ceceno biondiccio!", commentai su Facebook a un carissimo amico, che rimase esterrefatto. In realtà la somiglianza tra l'attore e il politico ceceno è a dir poco vaga. Detto ciò, non credo proprio che Khadyrov sarebbe entusiasta delle attività sodomitiche del Duca! 
 
 
Sul ponte di Perati 

A un certo punto, il Duca biondiccio intona un canto della Brigata Alpina "Julia", seguito dagli altri Signori e da alcuni degli ospiti. Riporto nel seguito il testo completo della canzone, di cui nel film si sente soltanto una sintesi delle prime due strofe. Alcuni versi sono redatti in un veneto molto italianizzato, mentre altri sono in italiano.

Sul ponte di Perati

Sul ponte di Perati
bandiera nera:
l'è il lutto degli Alpini
che va a la guera.

L'è il lutto della Julia
che va a la guera
la meglio gioventù
che va sot'tera.

Sull'ultimo vagone
c'è l'amor mio
col fazzoletto in mano
mi dà l'addio.

Col fazzoletto in mano
mi salutava
e con la bocca i baci
la mi mandava.

Queli che son partiti
non son tornati
sui monti della Grecia
sono restati.

Sui monti della Grecia
c'è la Vojussa
col sangue degli Alpini
s'è fatta rossa.

Un coro di fantasmi
vien zo dai monti:
l'è il coro de li Alpini
che son morti.

Gli Alpini fan la storia,
la storia vera:
l'han scritta con il sangue
e la penna nera.

Alpini della Julia
in alto il cuore:
sul ponte di Perati
c'è il Tricolore!

Il componimento commemora la grande battaglia del Ponte di Perati tra la Grecia e l'Albania (24 aprile 1941), che coinvolse truppe italiane e greche. Dopo sei mesi di combattimenti durissimi e logoranti, la 9° Armata Italiana occupò nuovamente il ponte, congiungendosi con le forze tedesche. Perati è il villaggio di Perat in Albania. 
Il Duca ovviamente considera la bandiera nera menzionata nel canto come il vessillo fascista, derivato direttamente da quello anarchico - piaccia o no. In occasione della proiezione del film il 10 gennaio 1976, ci fu un risvolto penale. L'Associazione Nazionale degli Alpini fu offesa e indignata nell'udire il canto intonato da ripugnanti aguzzini: alle proteste seguì subito una denuncia. I nervi erano scoperti, bastava un nonnulla per finire in tribunale!  


Uberto Paolo Quintavalle nei panni dell'Eccellenza 

L'Eccellenza è un uomo di un'intelligenza vivissima e attento ai dettagli. Scansiona l'intera realtà che si offre ai suoi sensi e la mappa con la potenza delle sue sinapsi. Vuole sapere tutto. In particolare pretende che i racconti sui libertinaggi siano completi della descrizione particolareggiata dei cazzoni smisurati dei protagonisti. Quando ho voluto passare dal personaggio alla conoscenza del suo interprete, sono rimasto sorpreso. L'attore, nato a Milano nel 1926 e deceduto a New York nel 1997, era di famiglia aristocratica, iscritta nel Libro d'Oro della Nobiltà Italiana. Era figlio di Bruno Antonio Quintavalle, Conte di Monasterolo d'Adda, e di Paola Marelli, figlia dell'industriale Ercole Marelli. Era giornalista e scrittore, ma non aveva precedenti esperienze cinematografiche. Collaborò con il Corriere della Sera e proprio nel contesto giornalistico conobbe Pasolini, essendo tra i primi ad essere informato del progetto del film sodomitico. Fu autore di diversi romanzi, tra cui La festa (1953), Code senza lucertola (1965), Il viaggiatore supercompresso (1964), Pao Pao, anticamera del paradiso (1965), Il Dio riciclato (1989) e In cerca di Upamanyu (1995). Devo assolutamente approfondire la conoscenza degli scritti di questo autore.


Giorgio Cataldi nei panni del Monsignore

All'inizio del Girone del Sangue, durante la surreale celebrazione del matrimonio posticcio tra tre dei Signori e gli stalloni, vediamo il Monsignore vestito come un antico sacerdote di Baal. Indossa un surreale abito di porpora che è come un'impalcatura grottesca. Il ministro, nell'atto di officiare le unioni tra i suoi compari travestiti grottescamente da carampane e altrettanti montatori, pronuncia parole incomprensibili che si sentono a malapena. Come le ho udite, mi è parso che avessero la sonorità di un antico idioma della Mezzaluna Fertile. Non sono del tutto sicuro che la formula sia la stessa per tutte le "coppie"; in ogni caso, riascoltando di continuo l'ultima celebrazione, quella in cui la voce dell'officiante è più chiara, sono riuscito a distinguere questo frammento: "atmàn daghishmàn vaesatràn atmanàm mahèma itma samarkàn...". Seguono altre due o tre parole che non sono riuscito in alcun modo a trascrivere. La mia trascrizione potrebbe essere distorta e inesatta. All'inizio ho pensato che questa fosse la perduta lingua di Sodoma. Presto l'illusione è caduta e mi sono accorto che è sanscrito pronunciato in modo approssimativo. Senza approfondire troppo, così di getto si possono tradurre le seguenti parole: 
 
ātman "tu stesso", "il sé"
vaiśastra "governo, regola"
ātmānaṃ "corpo" 
mahema "che possiamo onorare"
samarhana "mostrare onore", "offerta fausta" 
 
Si comprende all'istante che queste traduzioni sono compatibili con una formula nuziale. Così il mistero è risolto. Quello che non è del tutto chiaro è cosa può aver indotto Pasolini a compiere questa scelta. Credo che fosse ben consapevole della necessità di dare una lingua concreta a Sodoma e che per questo abbia ideato la sequenza: voleva attrarre l'attenzione. Ovviamente non era a conoscenza di come si parlasse nella Pentapoli, si è limitato a darcene un'idea e trasmettere il dubbio, l'inquietudine che la conoscenza di tale eredità possa essersi trasmessa in modo esoterico, segreto, dall'epoca di Lot fino ad oggi. Ha così preso il sanscrito, che tanto era conosciuto da ben poche persone in Italia. In fondo, aveva scarsa importanza l'ontologia linguistica sodomitica: Dante Alighieri non sapeva nulla della lingua parlata dai Demoni dell'Inferno, eppure ci ha trasmesso un immortale "Papè Satàn, papè Satàn aleppe".  
Oltre al film sodomitico, l'attore Giorgio Cataldi ha interpretato soltanto La ragazza alla pari (Mino Guerrini, 1975). Non si hanno molte informazioni sulla sua vita: si ignora persino la sua data di nascita, nemmeno si sa se sia tuttora in vita. Dovrebbe essere nato a Roma e apparteneva all'ambiente degradato delle borgate. Fu scoperto da Pasolini, che probabilmente rimase colpito dalla sua espressività e dai suoi occhi cerulei. Avrebbe dovuto interpretare il ruolo del protagonista di Accattone (1961); non poté farlo perché si trovava in prigione e fu così sostituito da Franco Citti. Non comparve nel primo film di Pasolini. Comparve nell'ultimo.
 

Le tre Megere e la Pianista
 
Il duetto comico-grottesco della Signora Vaccari e della Pianista è memorabile. È un numero di bravura recitato in perfetto francese. Pasolini era un entusiasta ammiratore del regista còrso Paul Vecchiali, nato ad Ajaccio nel 1930. In particolare era rimasto impressionato dal film Femmes Femmes (1974), alla cui proiezione aveva assistito a Venezia. Volle così che le sue protagoniste, la bionda Hélène Surgère (1928 - 2011) e la rossiccia Sonia Saviange (vero nome Christine Vecchiali, 1923 - 1987), recitassero proprio in Salò. Il duetto a quanto pare si trova nel film di Vecchiali ed è stato qui riproposto tal quale. Il risultato può dirsi eccellente. Mi piace molto Elsa de Giorgi (1914 - 1997) nel ruolo della Signora Maggi, famosa dovunque per il suo sensualissimo culo. L'attrice era di stirpe nobile, figlia di un'antica famiglia aristocratica umbro-marchigiana, i Giorgi Alberti di Bevagna e Camerino, patrizi di Spoleto. Purtroppo di questi tempi non la ricorda più quasi nessuno, ma è stata un'attrice e una scrittrice molto prolifica; come regista ha diretto il film Sangue più fango uguale logos passione (1974), oggi praticamente introvabile.
La meno riuscita delle tre Megere sembra essere la Signora Castelli, interpretata da Caterina Boratto (1915 - 2010). Forse questa mia impressione deriva dal fatto che la vedo fredda rispetto alle sue compari e che le è stato riservato un ruolo meno prominente. Inoltre va detto che lo spettatore, arrivato in pieno Girone del Sangue già sovraccarico di input sensoriali bizzarri, si trova davanti alle scene di tortura ed è meno incline a prestare troppa attenzione alla figura della tenutaria. 
 

Le feci finte 

Gli escrementi usati nelle scene di coprofagia non erano ovviamente reali, soprattutto per motivi sanitari. Furono realizzati moltissimi stronzi posticci con una grossolana mistura di cioccolato, cacao in polvere, marmellata di arancia amara, canditi e altri ingredienti dai sapori stridenti (sembra che ci fosse anche del formaggio spalmabile, ma non ne sono sicuro). Nessuna fonte riporta contemporaneamente tutti gli ingredienti citati: alcuni menzionano i canditi anziché la marmellata, altri il cacao in polvere anziché il cioccolato; devo dire che non sono riuscito a reperire la ricetta dell'intruglio nel Web. Le reazioni di disgusto erano comunque reali, anche se non arrivano ai conati di vomito che sarebbero stati indotti in molte persone dal materiale fecale autentico. Sembra che il solo Bonacelli abbia gradito molto il dolciume dall'aspetto escrementizio, ingozzandosene con avidità! Non sarebbe male fondare una branca della pasticceria che imita gli escrementi! Non mancherò di tenere informati dei miei esperimenti culinari gli eventuali lettori.
 
Dio! Dio! Perché ci hai abbandonati? 
 
Pasolini non fa mancare nemmeno qualche interessante spunto di riflessione teologica. Una ragazza, immersa in una tinozza piena zeppa di feci calde assieme alle sue compagne, a un certo punto insorge, si leva piena di rabbia ed esclama: "Dio! Dio! Perché ci hai abbandonati?" Il suo urlo disperato riecheggia quello di Cristo sul Golgota, pronunciato poco prima di spirare sulla croce: "Eloì, Eloì, lemà sabactàni?" (variante: "Elì, Elì, lama sabachthani"). In aramanico significa per l'appunto questo: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?" La risposta che mi sento di dare alla ragazza è la seguente: "Se Dio fosse egli stesso un libertino sadiano, proprio come i quattro Signori, sarebbe tutto più chiaro."  
 
Scomode analogie 
 
Salta agli occhi che il tiranno dotato di maggior potere è proprio la divinità. Che sia il Dio delle religioni abramitiche oppure un qualsiasi essere divino/demoniaco di una qualsiasi tradizione politeista, in fondo poco importa. Il concetto di divinità, introdotto nel mondo a causa della paura, mostra una sorprendente somiglianza con quello di libertino sadiano. La divinità detta la sua legge assurda e arbitraria, costringe l'adoratore con la minaccia, la punizione, l'insopportabile senso di colpa e di peccato. Questo è il fondamento dell'idea stessa di religione normativa, una funesta innovazione formatasi nel Neolitico.  


Il problema del finale 
 
Pasolini a un certo punto si trovò di fronte a una serie di enormi difficoltà. Che conclusione dare alla vicenda dei quattro libertini sadiani? Gli vennero in mente quattro diversi finali alternativi, nessuno dei quali ritenne soddisfacente. Eccoli, in estrema sintesi: 

1) A un certo punto compare una bandiera rossa al vento, con la scritta "È amore".  
2) Tutto finisce nella sala delle orge, coperta da bandiere rosse, in cui vittime e carnefici si scatenano al ritmo del boogie woogie. La bardatura comunista rappresenta l'arrivo di una nuova epoca.
3) I quattro Signori, usciti dalla villa, parlano tra loro, cercando di fare il punto sull'accaduto e sul suo significato. Finiscono quindi con l'autoassolversi, ritenendo le loro uccisioni "insignificanti" in confronto a quanto sta avvenendo nel mondo sconvolto dalla guerra.
4) Due giovani repubblichini, timidi e impacciati, ballano come se fossero ragazzo e ragazza, mentre la radio trasmette una canzone sdolcinata tipica di quei tempi. 
 
I finali 1) e 2) avrebbero mandato tutto in merda. No, non si può smerdare così una sublime sequela di atti di sadismo, sodomia e coprofagia con stronzate politiche banali, retoriche, inconsistenti, stupidissime. Pasolini lo capì all'istante. Sarebbe scaduto nella "morale psichedelica" tanto in voga in quegli anni. Sapete, le idiozie dei nuovi lotofagi che volevano trasformare Stalin in un figlio dei fiori. Il punto è che il regista detestava tutto ciò in modo viscerale. A quanto pare il finale 2) venne realmente girato, anche se non fu poi utilizzato: risultò confuso, caotico, del tutto vano. Il finale 3) avrebbe posto un problema ancora maggiore: siccome i fatti si svolgevano a Marzabotto, come mostrato chiaramente da un cartello stradale, si profilava il grave rischio di far passare il film per una giustificazione o minimizzazione della strage che avvenne in quel luogo il 29 settembre 1944. 
Come si poteva uscire da questo blocco? Pasolini scelse quindi il finale 4), quello dei due ragazzi repubblichini danzanti. 


Curiosità 
 
Maurizio Costanzo lavorò alla prima versione della sceneggiatura. Pupi Avati diede al copione alcuni contributi non accreditati. A quanto pare, chiese in modo esplicito che il suo nome fosse cancellato, forse perché si vergognava. 
 
Gli stalloni, dotati di falli colossali, in realtà portavano protesi peniene fatte di gomma e molto realistiche, tanto che si possono vedere persino le venature del prepuzio. 

Il film ha avuto una diffusione molto limitata a livello mondiale ed è tuttora bandito in molti paesi. Il paese in cui ha avuto una maggior diffusione è la Svezia, dove nel 1976 ha venduto ben 125.000 biglietti. Ciò significa che è stato visionato dall'1,5% della popolazione svedese. 
 
L'enigma del furto delle pizze
 
Nel corso della lavorazione del film, settantaquattro pizze di negativi scomparvero dalle celle frigorigere degli stabilimenti Technicolor di Cinecittà. Furono rubate anche bobine di altri due film: Il Casanova di Federico Fellini (Federico Fellini, 1976) e Un genio, due compari, un pollo (Damiano Damiani, 1975). Le tre pellicole avevano in comune la casa di produzione, la PEA, di proprietà di Alberto Grimaldi. Non si seppe mai chi trafugò questo materiale. Per la sua restituzione fu chiesto un riscatto di cento milioni di lire, ma Grimaldi rifiutò di cedere al ricatto. Il montaggio Salò fu effettuato comunque utilizzando due artifici:
1) i cosiddetti "doppi", ossia le scene girate da un'inquadratura diversa;
2) le pellicole "intermediate", che permisero di ricostruire i negativi tramite una tecnica innovativa messa a punto dalla Kodak.
Le pizze sottratte furono infine ritrovate dai Carabinieri il 2 maggio 1976, dopo l'uscita del film e dopo la morte del regista. È stato ipotizzato che Pasolini sia caduto nell'agguato all'Idroscalo di Ostia in seguito a un'informazione sul supposto ritrovamento delle pizze. Le prove tuttavia non sembrano esserci. 
 

Il genere nazi-erotico 
 
La critica ha spesso considerato Salò come il capostipite del genere nazi-erotico, detto anche nazisploitation, diffuso a metà degli anni '70 dello scorso secolo. Si tratta di una dozzina di pellicole imperniate sugli agghiaccianti esperimenti condotti da carnefici nazisti su prigionieri e prigioniere dei campi di concentramento. Le analogie con l'opera pasoliniana sembrano piuttosto superficiali, limitate all'imitazione di qualche sequenza. È più verosimile che il vero capostipite del nazi-erotico sia Salon Kitty (1976), diretto da Tinto Brass. Tuttavia si deve notare che l'attrice Antiniska Nemour, la provocante brunetta dai capelli crespi e dai vivaci occhi scuri, comparve in un nazi-erotico due anni dopo aver interpretato Salò: è L'ultima orgia del III Reich (1977), diretto da Cesare Canevari. La bella Antiniska mi è molto simpatica perché mi ricorda F., un'amica conosciuta ai tempi di Splinder.
Non sono un patito di film di nazisploitation, tuttavia devo notare che attualmente non potrebbero essere più girati e nemmeno concepiti nell'anticamera del cervello.  
 
Memorie di strani giorni
 
Ero uno studente universitario. Ricordo ancora un viaggio sul treno, in una giornata estiva assolata. C'era un pazzo che enunciava i fondamenti della sua fede. Affermava che il pane mangiato durante il giorno è pane, mentre il pane mangiato durante la notte è sterco. Evocava la coprofagia e menzionava a gran voce il titolo dell'opera del Marchese de Sade, Le 120 giornate di Sodoma. Con ogni probabilità, era rimasto traumatizzato dalle sequenze del film di Pasolini.  
 
Etimologia di Salò 

Il toponimo Salò non ha etimologia chiara. Tuttora rappresenta una grave crux: non si sono trovate proposte convincenti. Bisogna scartare senza indugio le storielle inventate ad hoc da topi di biblioteca ottocenteschi, che vogliono il nome di Salò derivato da un fantomatico lucumone etrusco Saloo o da un'altrettanto insostanziale regina etrusca Salodia. Possiamo dire questo: la forma latina del toponimo, attestata in epoca medievale, è Salodium, da cui deriva l'aggettivo salodiano. Verosimilmente la consonante -d- è antica e non deriva da eufonia, come vorrebbero i romanisti. Varianti di Salodium sono Salude e Salaude. Queste strane variazioni sono antiche e di difficile spiegazione.  Bisogna scartare, alla luce di queste attestazioni complesse, la derivazione dal latino salūs "salute". Nel Web si trova spesso menzionata una derivazione da una voce latina fantomatica, *salodium, che indicherebbe "sale e stanze di cui erano ricche le ville a lago di epoca romana". Si tratta di una formazione artificiosa fatta derivare dall'italiano sala, di chiara origine longobarda. Non poteva esistere in epoca imperiale. Da scartarsi anche l'accostamento al francone *sahla "salice". In realtà la forma germanica è errata, deve essere *salha, come l'antico alto tedesco salaha "salice". La proposta è implausibile già soltanto per la natura inesplicabile del suffisso -od- / -aud- / -ud-. Si potrebbe accostare Salò a idronimi paleoeuropei formati dalla radice *sal-, ma temo che ci vorranno molti anni di studi per arrivare a una conclusione ragionevole. Una curiosità: gli abitanti di Salò in gergo sono chiamati Salàm "Salami" o Salamì "Salamini".

martedì 28 dicembre 2021


PORCILE 

Paese di produzione: Italia
Anno: 1969
Durata: 98 min
Genere: Drammatico
Regia: Pier Paolo Pasolini con la collaborazione di Sergio
   Citti e Fabio Garriba
Soggetto: Pier Paolo Pasolini
Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini con la collaborazione
   di Sergio Citti
Produttore: Gian Vittorio Baldi, Attilio Fattori
Produttore associato: Gianni Barcelloni 
Coproduttore: Paul Claudon, Macha Méril 
Fotografia: Armando Nannuzzi e Tonino Delli Colli
   (primo episodio), Giuseppe Ruzzolini (secondo episodio)
Montaggio: Nino Baragli
Musiche:
Benedetto Ghiglia
Scenografia: Danilo Donati
Trucco: Pierantonio Mecacci
Interpreti e personaggi
    Pierre Clémenti: Il primo cannibale
    Franco Citti: Il secondo cannibale
    Luigi Barbini: Soldato spagnolo nel deserto
    Ninetto Davoli: Maracchione
    Sergio Elia: Servo
    Jean-Pierre Léaud: Julian Klotz
    Alberto Lionello: Herr Klotz
    Margarita Lozano: Madame Klotz
    Anne Wiazemsky: Ida
    Ugo Tognazzi: Herdhitze
    Antonino Faà di Bruno: L'uomo anziano (scena
         della sentenza)
    Marco Ferreri: Hans Günther  
Titoli in altre lingue:
   Inglese: Pigsty 
   Inglese (USA): Pigpen
   Tedesco: Der Schweinestall 
   Francese: Porcherie
   Spagnolo (Argentina): El chiquero
   Portoghese (Brasile): Pocilga
   Olandese: Zwijnestal
   Danese: Svinestien  
   Finlandese: Sikolätti
   Lituano: Kiaulidė
   Polacco: Chlew
   Russo: Свинарник
   Greco: Χοιροστάσιο
   Giapponese: 豚小屋 (Butagoya) 

Citazioni: 

Prima lapide:
Interrogata ben bene la nostra coscienza abbiamo stabilito di divorarti a causa della tua disobbedienza.

Seconda lapide:
Io e te moglie siamo alleati. Tu madre-padre, io padre-madre. La tenerezza e la durezza sono intorno a nostro figlio da tutte le parti. La Germania di Bonn, accidenti, non è mica la Germania di Hitler! Si fabbricano lane, formaggi, birra e bottoni. Quella dei cannoni è un’industria d’esportazione. È vero: si sa che anche Hitler era un po’ femmina. Ma come è noto era una femmina assassina: la nostra tradizione è decisamente migliorata. Dunque? La madre assassina, Lei, ebbe figli obbedienti con gli occhi azzurri pieni di tanto disperato amore mentre io, io, madre affettuosa, ho questo figlio che non è né obbediente né disobbediente? 


Trama:
Il film si divide in due episodi, ambientati in epoche storiche diverse e in contesti non assimilabili. Le narrazioni scorrono in modo parallelo, intersecandosi ripetutamente. 
 
Primo episodio:  
Secolo XVI, epoca coloniale. Un giovane guanche di Tenerife, che ha ucciso il padre brutale e alcolizzato, fugge sulle pendici del monte Teide, dove passa un periodo di stenti nutrendosi di animali selvatici. Nel suo vagabondare, incontra uno spagnolo e lo uccide. Subito comprende che la carne umana è succulenta come quella di porco: decapita la vittima e getta la testa in una caldera vulcanica, come offerta a Guayota, quindi arrostisce il corpo su un fuoco di sterpi e la divora. Inizia così la sua attività predatoria. Le sue azioni vengono notate da altri disperati della sua gente, che si uniscono a lui nei banchetti cannibalici. Si forma così una banda di feroci predoni che non si limitano a derubare i malcapitati, ma li arrostiscono alla brace e ne ingurgitano le carni! Tutto ciò dura per un po', ma alla fine arriva un giovane timorato di Dio, invaso dal terrore, che denuncia alle autorità spagnole quanto ha visto. Così viene organizzata una spedizione di soldati, armati di tutto punto e protetti dalle caratteristiche corazze. Attirano gli antropofagi usando come esca un uomo e una donna, entrambi nudi, quindi li affrontano in campo aperto e li sconfiggono facilmente. Il capo della ribellione getta le armi e si denuda. I prigionieri vengono deportati in città e sottoposti a giudizio. Vengono tutti legani nudi a pali di legno con lacci di cuoio bagnato, finendo sbranati dai cani selvatici che a quell'epoca erano molto diffusi nelle Canarie. Prima di essere legato ai pali, il condannato pronuncia più volte le sue parole (con insignificanti variazioni grammaticali), un testamento pesante come un macigno: "Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana, tremo di gioia!"  
 
Secondo episodio:
Anno del Signore 1967, Germania Occidentale, Godesberg ("Montagna di Odino"). Il potente industriale criptonazista Klotz ha un figlio, Julian, che gli procura non pochi grattacapi per via della sua devianza sessuale verso i porci. Herr Klotz, che somiglia a una versione grassoccia di Hitler, con tanto di caratteristici baffetti, tiene ben nascosto questo imbarazzante segreto, com'è ovvio, cercando in tutti i modi di mettere Julian assieme a Ida, una ragazza di sinistra con manie intellettuali. Lei si dice innamorata del giovane, ed è molto tormentata dal fatto che questi le nasconda la sua passione totalizzante, l'oggetto del proprio amore. Lui è reticente, pronuncia meno parole possibile, perché quanto ha dentro di sé è a dir poco spaventoso: ama leccare l'ano dei porci e sodomizzarli! La giovane di sinistra non può nemmeno immaginare l'esistenza di simili pulsioni sadiane, così crede di avere delle semplici corna. Chi ha la stupida fede nella bontà naturale del genere umano, può soltanto immaginare che le cose siano di una semplicità disarmante: "a lui piace lei, a lei piace lui, scopano con lui sopra e lei sotto, gnè-gnè-gnè". Ecco che arriva un industriale potente quanto Herr Klotz: è il tognazzesco Herr Herdhitze (alla lettera "Ardore del Focolare"). In realtà il suo vero cognome è Hirt: era un gerarca nazista molto importante, che durante la guerra collezionava crani di commissari bolscevichi ebrei. Ognuno dei due industriali è a conoscenza di tremendi segreti che riguardano l'altro, così decidono di cementare la loro alleanza con una fusione dei rispettivi gruppi industriali. A un certo punto, proprio nel bel mezzo della festa, giunge una delegazione di braccianti, imbarazzatissimi. Solo un giovane immigrato italiano, Maracchione, ha il coraggio di prendere la parola per riferisce l'accaduto a Herr Herdhitze: il giovane Julian è stato sbranato e divorato dai suini, che non hanno gradito le sue attenzioni sodomitiche. L'industriale decide di mettere la cosa a tacere e di non riferire nulla al suo socio, il padre del ragazzo finito in pasto ai maiali.
 
Un elemento comune ai due episodi  

Maracchione compare in entrambi gli episodi. In Germania è un italiano che lavora come bracciante; a Tenerife è invece il delatore timorato di Dio che denuncia i cannibali alle autorità spagnole. 


Recensione: 
Non si dimentica facilmente questo susseguirsi di fotogrammi visionari, spesso al limite del lisergico. Il primo episodio del film pasoliniano è stato girato sulle pendici dell'Etna. In realtà la vicenda del cannibale si svolge a Tenerife, l'isola del Monte Teide, un vulcano che gli antichi Guanche ritenevano la sede dell'Inferno e del Diavolo, chiamato Guayota nella loro lingua. Il protagonista rinnega il Cristianesimo per votarsi al culto di Guayota, a cui offre le teste degli uccisi. Compie un preciso atto rituale, nulla è lasciato al caso. Anche di fronte al fratacchione che gli porge la croce durante il processo finale, il giovane ribelle si rifiuta di baciarla. Si noterà che il suo compare, che aveva supplicato i religiosi piangendo, inginocchiandosi e baciando il crocefisso, non ha poi beneficiato di alcuna clemenza: è finito proprio come l'impenitente adoratore del Diavolo. La morale è semplice. Quando si intraprende un cammino estremo, tanto vale continuare fino in fondo e conservare la propria fierezza. Ci sono alcune inconsistenze tecniche e narrative. Oltre alla scia di una macchina sulle ceneri vulcaniche, assistiamo a due spari consecutivi di un fucile, cosa che a quei tempi era impossibile, essendo le operazioni di ricarica molto laboriose. Certo, i serpenti alle Canarie sono un'importazione recente - un flagello per i sensuali lucertoloni autoctoni - ma a un genio come Pasolini possiamo ben perdonare questa incoerenza narrativa. Il protagonista è un guanche che vive sotto il dominio degli Spagnoli, in una società infernale fondata sulla schiavitù. Comprendendo questo fatto, si aprono scenari complessi e molto interessanti per un antropologo. 
Ho riconosciuto all'istante le note della sigla di apertura: è lo Horst-Wessel-Lied, conosciuto anche come Die Fahne hoch ("In alto la bandiera"). Il testo, che non viene cantato, per ovvie ragioni, dal 1930 al 1945 fu l'inno ufficiale del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP). Mi domando quanti spettatori italiani sappiano di cosa si tratta. Pasolini cerca di tracciare una continuità tra la Germania dei III Reich e il tessuto industriale della Germania Ovest del dopoguerra. Si ha l'impressione che sia più che altro una grossolana forma di propaganda antigermanica, senza grande rispondenza nella concreta realtà dei fatti. In fondo in Italia sono moltissimi gli ideologi di sinistra animati dalla convinzione che l'essere umano sia buono per natura con la sola eccezione dei Tedeschi. 
 
Etimologia di Godesberg 
 
La forma più antica attestata di questo toponimo è Wuodenesberg, derivato dal teonimo Wuodan (variante di Wuotan) "Odino" e da bërg "montagna". L'evoluzione fonetica è singolare e presuppone che nella regione, anticamente abitata dalla tribù degli Ubii, si parlasse una lingua germanica peculiare, diversa dall'antico alto tedesco. Theo Vennemann scrisse a suo tempo un ottimo articolo sull'antica lingua degli Ubii e sulle sue peculiarità, partendo da attestazioni di teonimi di epoca imperiale e di toponimi pieni di irregolarità fonetiche - che è riuscito finalmente a spiegare. Avremo modo di trattare a fondo questo argomento in un'altra occasione. 
 
 
Le ossessioni sadiane di Pasolini

Il contatto tra la lingua di un essere umano e il buco del culo dei maiali, proprio sotto il codino arricciato, è suggerito ripetutamente già nella sigla del film. Queste fissazioni erano caratteristiche di Pasolini, che pur ricorrendo all'off-camera suggerisce molteplici cose perverse in sommo grado. Il pubblico inebetito non riesce a coglierle, ma a uno spettatore attento balenano subito come potenti scariche di elettricità nel cervello. A un certo punto il giovane Julian cade in catalessi. Non è difficile indovinare la causa di questa perdita di consapevolezza. Avendo dimestichezza con le feci dei suini, deve essere stato colpito da un'infezione fulminante da Escherichia coli, una tipica malattia di Sodoma! Riuscito a riprendersi dal grave morbo e perseverando nel suo singolare vizio, il figlio dell'industriale è infine diventato cibo per i maiali. Questi animali intelligentissimi e vivaci sono onnivori e possono far scomparire ogni traccia di una persona, ingerendo quasi qualsiasi parte del corpo umano: carne, pelle, ossa, etc. Non mi sembra plausibile che possano divorare il cuoio capelluto, i vestiti e le scarpe, anche se non ci scommetterei. Nel Medioevo era diffuso un racconto, che parlava di un ubriaco deriso e rinchiuso in un porcile dai villici durante una notte di baldoria: al mattino non ne veniva più trovata traccia alcuna. Poi possiamo anche perdere tempo a parlare di allegorie sul potere che trasforma gli umani in porci e di altre simili stronzate.
  
Una splendida occasione persa!
 
Pasolini offrì il ruolo del cannibale a Klaus Kinski, che purtroppo rifiutò adducendo come scusa speciosa che il compenso era troppo basso. Se avesse accettato la proposta, questo film sarebbe stato un capolavoro immortale! L'ambientazione e la parte sarebbero state perfette. 
 

Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Come spesso accade, troviamo qualche gemma nel mitico sito del Davinotti. 
 
 
Lucio ha scritto nel 2010:

Un capolavoro, uno dei film meno noti e più belli di Pasolini. Lo stile è quello di Kubrick e il film, un grottesco doc che iniza con la lettura di due tavole sulla disubbidienza, per proseguire su una territorio vulcanico dove un giovane che si nutre di farfalle e serpenti, prosegue con una storia ancestrale. Affascinante nella sua arcana visionarietà. 
 
Magi94 ha scritto nel 2020:

Cervellotico, diviso pasolinianamente in due parti del tutto separate: il racconto del sacro, del mito dei cannibali in un ambiente vulcanico che può ricordare il Sudamerica, e l'opera buffa che gira attorno all'alta borghesia di quegli anni. La parte sacra è stiracchiata senza un'estetica abbastanza travolgente da giustificarlo (fatta eccezione per i bei panorami danteschi). L'ironia sui giovani conformisti anche quando ribelli non scalfisce più di tanto e il doppiaggio dei giovani è pessimo; molto meglio la satira sugli industriali post-nazisti, coi grandissimi Tognazzi e Lionello.
MEMORABILE: "Chi vuole il nulla come te vuole il potere."; "La sua abiezione di maiale attraverso l'idea del futuro si fa ancora più cinica". 
 

L'opera teatrale 
 
Il film è stato in parte tratto da un'ominima opera teatrale dello stesso Pasolini, in undici episodi, composta nel 1966 ed ambientata interamente in una tenuta borghese a Godesberg, in Germania. Il film del 1969 ne costituisce un adattamento. Non esiste alcuna menzione dei cannibali e degli spagnoli del XVI secolo.

Personaggi:
  Julian Klotz
  Ida
  Signor Klotz, indicato come Padre
  Bertha Klotz, indicata come Madre
  Hans-Guenter
  Servo
  Herdhitze
  Spinoza
  Clauberg ex Ding
  Wolfram
  Maracchione

I episodio
Il venticinquenne Julian è amato dalla diciassettenne Ida, che cerca il senso della vita nell'impegno politico di sinistra. Juluan, figlio di un uomo ricchissimo, non contraccambia i sentimenti di Ida: la copre di irrisione e di scherno.

II episodio
Julian, superficiale, non intende partecipare all'impegno di Ida nel sociale. Non vuole presenziare alla manifestazione per la pace a Berline, che lei gli vorrebbe imporre. 
 
III episodio
Il padre e la madre sono preoccupati dall'inerzia del figlio Julian nei confronti di Ida. Si chiedono anche se il ragazzo sia animato da ribellione contro di loro. Temono che possa vederli come laidi e pingui porci. 
 
IV episodio
Ida torna da Berlino. Julian se ne frega del suo attivismo e sfotte i suoi sentimenti.

V episodio
Julian viene colpito da una strana paralisi e rimane immobilizzato a letto. La madre parla con Ida, paragonando il figlio a San Sebastiano. 

VI episodio
Hans-Guenter rivela al padre che il signor Herdhitze, imprenditore avversario, altri non è che Hirt, un vecchio compagno di studi che si è sottoposto a una radicale plastica facciale in Italia. Herdhitze, un criminale nazista, ha come testimone dei suoi misfatti un certo Ding, che ha cambiato nel frattempo il nome in Clausberg e lavora nella riserva di Klotz come bracciante. Un servo introduce Herdhitze in casa.

VII episodio
Herdhitze e Klotz si accordano sulla fusione delle proprie aziende sotto un unico nome. Il loro dialogo è pieno zeppo di inquietanti allusioni agli ebrei, identificati con i porci. A un certo punto Herdhitze ricorda un vecchio episodio con protagonista Julian: il giovane era solito appartarsi nei porcili per avere contatti sessuali con i suini. Questo discorso sulla zooerastia viene bruscamente interrotto da Klotz. 
 
VIII episodio
Julian si risveglia dal suo stato comatoso. Ida gli rivela che si è innamorata di un altro, un tale col cazzone. Il ragazzo non è turbato dalla rivelazione e le dice addio: sa di non poterla amare, perché già ama qualcun altro che non è donna né uomo: i porci!

IX episodio
Klotz ed Herdhitze festeggiano la fusione delle rispettive imprese, ingozzandosi come porci ingordi.

X episodio
Julian ha una visione portentosa in cui gli appare il filosofo Spinoza. Lo spirito gli dà qualche dritta su come liberarsi della sua passione erotica per il culo dei porci, potendo in questo modo avere una vita sociale.

XI episodio
Il signor Klotz riceve una delegazione di braccianti formata da Clauberg (ex Ding), Wolfram e Maracchione. Essi intendono parlare con Herdhitze, così Klotz si allontana ed esce di scena. Gli raccontano una terribile sciagura: Julian, entrato come sempre nel porcile per avere contatti carnali coi porci, è stato da loro divorato. Di lui non è rimasta traccia alcuna. Herdhitze chiede se vi siano resti in grado di provare la morte del giovane: dato che non ve ne sono, impone loro il silenzio sull'accaduto.