lunedì 28 febbraio 2022


PIETRO DI BRUIS:
IL DISTRUTTORE DI CROCI  

Pietro nacque sul finire del XI secolo nella regione delle Hautes-Alpes, cantone di Rosans, nella regione attualmente nota come Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Non si conosce l'anno della sua nascita e non è neppure sicura la sua provenienza dal villaggio di Bruis dal quale trasse il suo nome. Nonostante la grafia Bruys sia molto diffusa, preferisco usare la variante Bruis per evitare confusioni: esiste infatti anche un borgo della Piccardia (in Francia del Nord) chiamato Bruys

Quasi tutto quanto sappiamo della sua tormentata esistenza terrena ci viene dal trattato
Contra Petrobrusianos hereticos, opera dell'abate di Cluny Pietro il Venerabile, noto anche come Pietro di Montboissier.  

Pietro di Bruis divenne un chierico, ma non restò a lungo all'interno della Chiesa di Roma. Una vocazione incoercibile lo spinse a dissociarsi e ad adottare idee radicali quanto di facile comprensione per chiunque. 

Verso il 1112 divenne un predicatore itinerante nella sua terra nativa, e cominiciò a diffondere con grande ardore il suo verbo attraverso le vallate della Provenza e del Delfinato, spingendosi in seguito anche a occidente del Rodano. Egli accettava come testi sacri soltanto i Vangeli, rifiutando con identica veemenza gli Atti degli Apostoli, le Epistole e l'Antico Testamento. Anche se non arrivò al punto di affermare esplicitamente la natura diabolica dell'Antico Testamento, lo ritenne comunque di dubbia origine. L'odiata autorità della Chiesa Romana era l'unico fondamento dell'accettazione di tali scritti da parte delle genti. Un'altra notevole peculiarità era l'individualismo: qualsiasi persona doveva poter avere accesso a Dio senza bisogno di intermediari di qualsiasi genere, e senza bisogno di doversi recare in una chiesa o in altra terra consacrata. Infatti, se Dio è ovunque, può essere pregato allo stesso modo in una basilica o in una stalla. 

In comune con il Catarismo, anche se su basi diverse, era condannata ogni manifestazione esteriore di religiosità cattolica. La croce era vista come idolo e come odioso strumento di tortura. Non solo non ne era accettata in alcun modo l'adorazione, ma era addirittura ritenuta opera di Satana. Sarebbe bello vedere che faccia farebbero gli esorcisti e certi filmografi nel sentire affermare questa idea dissidente, secondo la quale ben lungi dal cacciare i demoni, la croce ne è la diretta manifestazione.  


Pietro di Bruis fece un gran cumulo di tutte le superstizioni del clero romano e lo diede alle fiamme. Non servivano più chierici di nessun genere e nessuno doveva più essere ordinato. Era da abolire la celebrazione della messa, in quanto insignificante. Non serviva più alcuna preghiera per i defunti, perché questi sono salvati o dannati secondo il volere di Dio, e la volontà di Dio non può essere manipolata in alcun modo dalle parole umane. Di tutti i sacramenti, uno solo rimaneva valido: il battesimo impartito agli adulti. Il pedobattesimo non poteva avere alcun valore spirituale, essendo soltanto il lavacro di un corpicino. In ogni caso anche se amministrato a persone in grado di credere, il battesimo aveva un valore puramente simbolico, essendo la salvezza ottenibile unicamente per mezzo della fede personale. Infatti secondo il Vangelo di Marco (Mc 16, 16): "chi avrà creduto e sarà stato battezzato, sarà salvo; chi invece non avrà creduto, sarà dannato". 

Di tutti i sacramenti, quello più avversato fu l'eucarestia:  era respinta con particolare avversione la transustanziazione, che allora non era ancora stata formulata in modo chiaro come dogma dalla Chiesa di Roma. Non era possibile ripetere in senso sacramentale il Sacrificio di Cristo, evento unico nella storia dell'umanità, e il pane eucaristico non poteva che essere un qualunque cibo destinato alle brutture dei visceri. 

La predicazione di Pietro di Bruis durò oltre venti anni e conobbe un grandissimo successo e sempre più nutrito divenne il seguito dedito alla distruzione degli idoli. Ai credenti della nuova dottrina fu dato il nome di Petrobrusiani. La lotta iconoclasta si diffuse e conobbe punte di grande furore. Era costume dei Petrobrusiani fare roghi di croci, e il venerdì Santo essi cuocevano della carne su questi fuochi, mangiandola avidamente davanti agli occhi di coloro che erano rimasti fedeli alla Chiesa di Roma. Mangiavano tale carne e costringevano anche i monaci a nutrirsene. Davanti a tutti li denudavano, obbligandoli a sposarsi e a copulare in pubblico con le loro mogli sotto minaccia di tormenti. Gli altari furono abbattuti, le chiese distrutte, i preti percossi e umiliati, e un gran numero di persone ribattezzate. 

Pietro il Venerabile ci tramanda informazioni che ci permettono in qualche modo di tracciare la storia di questo singolare movimento. Secondo la prima impressione del cluniacense, i Petrobrusiani
sarebbero stati bande di montanari incolti la cui diffusione non poteva che essere limitata alla regione di nascita del predicatore. Ne attribuiva il sorgere all'ignoranza di quelle genti, tagliate fuori da ogni influsso culturale, tra le quali ancora vivevano residui di paganesimo. In seguito giunsero a Pietro rapporti dai quali risultava che i Petrobrusiani avevano messo radici in molte città del mezzogiorno francese, presso ceti tutt'altro che incolti. A questo punto fu costretto a rivedere le sue idee, e ne fu molto turbato. 

Prima che il clero di Roma potesse prendere una decisione repressiva, si ebbe il tragico epilogo della vicenda in un villaggio nei pressi di Nîmes, Saint Gilles, in un giorno di Venerdì Santo. Si ignora l'anno preciso, ma con ogni probabilità l'evento si colloca tra il 1132 e il 1139. La popolazione che pure in precedenza aveva acclamato Pietro di Bruis, forse presa da timore superstizioso a causa dei suoi eccessi, lo catturò e lo gettò in uno dei suoi roghi di croci. La sua eredità non andò comunque dispersa: di lì a poco un ex monaco, Enrico di Losanna, l'avrebbe ripresa con successo, pur senza ricorrere a provocazioni tanto estreme. 

Come si può vedere, le caratteristiche della dottrina petrobrusiana mostrano qualche influenza bogomile, ma non vi è presente alcun elemento dualista. Non si ha traccia di docetismo: secondo Pietro di Bruis, Cristo patì veramente nella carne. Il suo odio verso la croce è l'odio verso lo strumento di un tormento reale. Manca del tutto la condanna del matrimonio, dell'accoppiamento e della procreazione: i monaci vengono fatti sposare con la forza. Manca del tutto ogni riferimento al consumo di carne come male: tale alimento viene arrostito e mangiato il Venerdì Santo dallo stesso Pietro senza alcun senso di colpa. Allo stesso modo non si trova traccia dell'attribuzione della creazione materiale a Satana e della natura malvagia di tutta la materia.  

Si noti anche che le regioni comprese tra il Rodano e le Alpi, ossia la Provenza propriamente detta, furono toccate solo marginalmente dal Catarismo nei decenni successivi. Se le connessioni tra il movimento petrobrusiano e la religione dei Buoni Uomini sono labili, è invece molto probabile un'influenza dell'iconoclasmo di Claudio di Torino


Chiunque abbia dimestichezza con la storia della Riforma Protestante noterà una somiglianza o addirittura quasi un'identità tra le idee del predicatore di Bruis e gli insegnamenti caratteristici di Lutero, Calvino e altri riformatori nel XVI secolo. I metodi violenti e teatrali non saranno ripresi, ma il concetto di Salvezza individuale senza intermediari ecclesiastici giocherà un ruolo molto importante nella storia dell'intero continente europeo. 

giovedì 24 febbraio 2022


LO STRANO CASO DEI CANONICI DI ORLÉANS

Una comunità dualista infiltrata nella Chiesa di Roma 

Ad Orléans nel 1022 avvenne un fatto misterioso che gettò la Corte del Re di Francia nel panico. Un prete di nome Eriberto svolgeva il suo prestigioso incarico di cappellano presso la dimora di un nobile franco, Arefasto di Crepon. Il chierico aveva ricevuto la sua istruzione religiosa ad Orléans da due canonici di Santa Croce: Stefano e Lysoe (Lisoio). Forse era convinto di essere ineccepibile agli occhi della Chiesa di Roma. Senonché un giorno cercò di istruire Arefasto nelle dottrine che aveva ricevuto, e questi si accorse immediatamente della loro natura eterodossa. La cosa è degna di nota, perché a quell'epoca i nobili franchi avevano in genere una cultura di infimo livello. Già stupisce che questo Arefasto sapesse leggere e scrivere, ancor più strano che sapesse di teologia al punto da operare nette distinzioni tra ortodossia cattolica e contenuti ereticali. Il Re di Francia, Roberto II il Pio (972-1031), fu immediatamente informato della presenza eretica assieme a sua moglie Costanza di Arles. Il fatto che l'eterodossia si fosse sviluppata in seno all'organizzazione della Chiesa di Roma destò un terribile scandalo. 

Su consiglio del sovrano, Arefasto si infiltrò nella setta per raccogliere prove. Una volta accumulate testimonianze sufficienti degli insegnamenti segreti dei canonici di Orléans, questi furono arrestati e interrogati in modo approfondito. 

La dottrina e i costumi di questi preti e di queste suore erano inconfondibili. Lo Spirito Santo, fonte di ispirazione, era trasmesso tramite l'imposizione delle mani in un rito molto simile al Consolamentum. Non veniva attribuito alcun valore a sacramenti come il battesimo e l'eucarestia, e non veniva riconosciuta la Trinità. La cristologia si fondava sulla negazione dell'incarnazione, della morte e della resurrezione di Gesù. Era praticata l'astensione dalle carni, e il matrimonio era condannato come il peggiore di tutti i mali. 

Abbiamo visto nei casi di
Leotardo e dei Protocatari di Monforte una relativa prudenza da parte della Chiesa Romana. In questo caso invece l'applicazione di misure draconiane fu una diretta imposizione di Roberto il Pio e della sua crudele consorte. Mentre in diverse aree esisteva già una forte presenza di gruppi di idee bogomile, spesso sostenuti da buona parte della popolazione, in Orléans esplodevano reazioni popolari di intolleranza e di ferocia. 

La folla insorse e tentò di linciare i canonici mentre si trovavano in chiesa, convinta che il Vescovo non avrebbe avuto la volontà di punirli. La Regina Costanza si frappose tra gli insorti e gli accusati, non certo per spirito di giustizia, ma solo per impedire che il sangue insozzasse e profanasse il suolo consacrato. Il clima esoterico in cui questi protocatari erano immersi era il prodotto della necessità oltre che del segreto iniziatico. Mimetizzarsi e propagare il Verbo di nascosto era l'unica chance di sopravvivenza in una ambiente tanto ostile. Il processo, opera del potere secolare, si svolse con metodi brutali e primitivi. 

In netto contrasto con la purezza della loro fede, gli imputati sotto tortura furono costretti a confessare ogni genere di aberrazione: adorazione di Satana, riti orgiastici collettivi e persino uccisioni di bambini con consumazione finale delle loro carni bruciate. In questo si vede il peso che l'autorità patristica aveva su una chiesa smarrita di fronte a ciò che non poteva conoscere. Una cinica esigenza di razionalizzazione dell'insondabile portava a rinnovare in modo artificioso accuse rivolte agli Gnostici e ai Manichei molti secoli prima. Secondo gli avversari dello Gnosticismo nei primi tempi del Cristianesimo, le peggiori dissolutezze si sarebbero accompagnate in modo quasi automatico a coloro che disprezzavano in modo radicale la procreazione. Secondo Agostino, gli Eletti dei Manichei avrebbero coltivato segretamente il vizio, tanto che descrisse l'episodio boccaccesco di un Perfetto che avrebbe tentato di ghermire una donna. 

Per i rappresentanti della morale normativa, non era possibile fare altro che applicare quanto scritto dalle autorità antiche, le cui opinioni erano considerate sempiterne e immutabili. Così quanto Agostino diceva DOVEVA essere la guida nel giudicare di situazioni del tutto dissimili. Le masse prive di qualsiasi istruzione, ricorrevano per contro a spiegazioni grossolane: nelle loro testimonianze Agostino è assente, mentre compare sempre come sola causa il "diverso". Secondo alcuni a spargere l'eresia sarebbero stata di volta in volta una donna venuta dall'Italia, oppure un contadino pagano versato nelle arti magiche. 

La Regina Costanza dimostrò una grande crudeltà e aberrazione, anche per il metro di quell'epoca. Quando si accorse che uno dei capi della setta, Stefano, era stato il suo istruttore spirituale, lo accecò personalmente servendosi di un bastone acuminato. Soltanto due degli imputati abiurarono. Il 28 dicembre del 1022 gli altri, in tutto una quindicina, furono arsi vivi sul rogo. Alcuni segnalano questa sentenza come la prima nel suo genere: in Occidente nessun eretico sarebbe stato condannato ad essere bruciato prima di allora (in Oriente la pratica era comune da secoli). Vediamo come di lì a pochi anni la stessa condanna avrebbe colpito i membri della comunità di Monforte. L'idea si stava diffondendo con la rapidità del vento. Il corpo di un altro canonico, Teodato, che era morto tre anni prima, fu esumato, fatto a pezzi e disperso. 

Queste esecuzioni non lasciarono Roberto il Pio del tutto soddisfatto, e il capro espiatorio della sua ira fu il Vescovo di Orléans Thierry (Teodorico), che fu destituito per la sua incapacità ad individuare e sopprimere la dissidenza religiosa tra i suoi chierici. Nello stesso anno numerosi Protocatari vennero scoperti a Tolosa e condannati a morte. 

Difficilmente l'oblio cancella del tutto episodi di questo genere. Passarono molti secoli, e 866 anni dopo i roghi dei Canonici di Santa Croce accadde che un uomo di nome Jules Doinel compì delle ricerche  nella biblioteca di Orléans. Vi scoprì per puro caso un manoscritto del canonico Stefano e lo studiò con attenzione. Pur provenendo da una famiglia molto cattolica, Doinel era uno spirito ribelle quanto ambiguo. Fu cacciato dal seminario perché ossessionato da morbose visioni dell'Eterno Femminino, e dopo alterne vicende divenne massone ed occultista, dedicandosi alle sedute spiritiche allora tanto di moda. Colpito dagli argomenti del protocataro di Orléans, Doinel cominciò a indagare sui movimenti dualisti che si sono avvicendati nel corso dei secoli, finendo col convincersi che il fondamento della dottrina massonica fosse proprio lo Gnosticismo. In realtà la Massoneria non è affatto dualista, e vede nell'universo materiale l'opera di un Grande Architetto piuttosto che di un Creatore Malvagio. Si tenga anche conto che nel confusionario XIX secolo si avevano conoscenze approssimative di questi argomenti. Doinel cominciò ad avere allucinazioni e visioni mistiche. Affermò di essere stato consacrato Vescovo di Montségur e Primate degli Albigesi direttamente dall'Eone Gesù. Un argomento ingegnoso quanto vano per ovviare alla difficoltà di reperire un Consolamentum valido (il bypass della successione apostolica è comune in molte associazioni moderne). Se può sussistere qualche dubbio sulla sua osservanza della Regola dei Buoni Uomini, di certo non si fece mancare conoscenze mondane e sedute spiritiche. Un gran calderone in cui degenerazioni del Libero Spirito si mescolavano a dottrine della Cabala travisate e incomprese, il tutto rinsaldato da suggestioni misticoidi. In questo clima assolutamente folle fu evocato lo spirito del Canonico Stefano, ma il culmine si ebbe quando quaranta Vescovi Catari avrebbero proclamato Doinel Vescovo dell'Assemblea del Paracleto, organizzazione che dal 1890 fu conosciuta come Chiesa Gnostica. 

In preda a nuove crisi di follia, nel 1894 Doinel abdicò dal suo ruolo di capo della Chiesa Gnostica e si separò anche dalla Massoneria, convertendosi alla Chiesa di Roma. Per anni si scagliò contro la setta che aveva fondato, accusandola di rappresentare il Demonio. Dopo la pubblicazione di numerosi libelli antimassonici di grande violenza verbale, ecco l'ennesimo colpo di scena: Doinel chiese umilmente di essere riammesso in seno alla Chiesa Gnostica, dichiarando di essere sempre rimasto fedele allo Gnosticismo. Negli anni che gli rimasero continuò in ogni caso a seguire anche i riti della Chiesa di Roma. Morì a Carcassonne nel 1902. 

Resta una domanda: dov'è finito il testo del Canonico Stefano di Orléans? 

domenica 20 febbraio 2022


I CATARI DI PÉRIGUEUX

Descrizione di una comunità dualista della Dordogna 

Riporto un testo notevole, una testimonianza del XII secolo (correva l'anno 1147) che ci permette di capire come un monaco della Chiesa di Roma vedeva i Catari che andavano diffondendo i loro insegnamenti in una regione dell'Aquitania: il Périgord, anticamente noto come Diocesi Petrocoricense.

Io, monaco Eriberto, desidero che sia noto a tutti i cristiani quanto debbono agira accortamente con gli pseudoprofeti che cercano di sovvertire in questi tempi la cristianità. Sono infatti apparsi nella regione di Périguex numerosi eretici, i quali affermano di seguire la vita apostolica. Essi non mangiano carne, non bevono vino, se non in piccola misura ogni tre giorni. Fanno quotidianamente centinaia di genuflessioni, ma non accettano denaro in elemosina. Invece di dire soltanto "Gloria al Padre", essi aggiungono "perché tuo è il regno, e tuo il potere su tutta la creazione, in eterno, amen", parole che non sono nella Scrittura. 

Essi sostengono che le opere di carità sono inutili, perché nessuno dovrebbe possedere ricchezze con cui fare elemosina. Considerano di nessun valore la messa, e asseriscono che il sacramento dell'eucarestia è unicamente la consumazione di un pezzo di pane. Se qualcuno di loro celebra la messa, per ingannare i fedeli, non recita il canone e non partecipa al sacramento, ma getta l'ostia dietro l'altare o la caccia dentro il messale. Essi non adorano la croce né l'immagine del Signore, anzi trattengono dall'adorarle, per esempio, pronunciando davanti all'immagine del Signore queste parole: "Come sono meschini coloro che ti adorano!", e recitando il Salmo "Gli idoli dei Gentili, ecc.". 

Già moltissime persone si sono lasciate sedurre da queste falsità, anche tra i nobili, che hanno abbandonato i loro averi e il loro stato, e persino tra i membri del clero, preti, monaci e suore. 

Non c'è tra costoro nessuno così incolto che, se si mette al loro seguito, non possa divenire nello spazio di otto giorni tanto abile da non lasciarsi confondere né in discussioni né in citazioni. Non c'è alcun mezzo per isolarli dagli altri, perché, anche se vengono messi in prigione, non possono essere tenuti da nessun vincolo: il diavolo stesso scioglie le loro catene. Essi compiono pure grandi prodigi: anche se, legati da manette di fetto, vengono ficcati dentro una botte capovolta, e tenuti sotto stretta sorveglianza, l'indomani non sono più visti, essendosi liberati da soli. 


(Eriberto, Epistola de haereticis Petragoricis, in J.P. Migne, Patrologia latina, volume CLXXXI) 

Da questa vivida descrizione apprendiamo il sacro terrore che una parte del clero cattolico nutriva verso i portatori di una tradizione giudicata incomprensibile, di cui intuiva però il potenziale antinomico. Il monaco Eriberto fotografa una situazione di incipiente cambiamento sociale: dalle sue parole è ben chiaro che all'epoca in cui scrisse il Catarismo in Dordogna era una novità destinata a mettere salde radici. Nonostante la cultura e l'intelligenza del chierico, si nota come la sua inquietudine era costantemente minacciata da cadute nell'irrazionale. L'attribuzione ai Perfetti di capacità soprannaturali e demoniache ricorre in molti altri testi. Questo luogo comune era diffuso anche a Oriente. Ad esempio, quando l'imperatore di Bisanzio Alessio Comneno fece condannare al rogo Basilio il Bogomilo, temette fino all'ultimo che questi potesse essere liberato con l'aiuto dei demoni. Il clima di superstizione offuscava le menti e preparava le peggiori atrocità. La cultura egemone a quell'epoca era dominata da rapporti complessi e rigidi che non ammettevano infrazioni, l'ostilità a qualsiasi cambiamento permeava ogni cosa. Anche solo il tentativo di applicare il Vangelo nella vita di tutti i giorni, negando le stratificazioni sociali, era ritenuta follia di ispirazione diabolica. Come dice a questo proposito J.P. Poly, studioso di storia medievale, "coloro che vogliono, molto o poco, modificare le situazioni esistenti, sono considerati ambiziosi senza scrupoli e spititi sovversivi, nella misura in cui mettono in causa l'ordine voluto da Dio." 

Eppure, anche in mezzo a tanta oscurità, una scintilla di luce riuscì a trovare il terreno per attecchire e svilupparsi. 

La profondità dottrinale di questa comunità catara appare già perfettamente delineata. Traspare nitidamente la concezione docetica che nega la carnalità di Cristo e la sua passione sulla croce, attribuendo alla Cena del Signore un mero significato commemorativo. È evidente che l'opera di Dio menzionata nella dossologia "perché tuo è il regno, e tuo il potere su tutta la creazione, in eterno, amen" non è il mondo materiale e sensibile, creato da Satana, ma il mondo dello Spirito in cui le anime umane hanno avuto origine. Già vi appare il particolare modo cataro di intendere il verbo "creare" nonché i termini "tutto" e "nulla". Anche la dieta seguita dai Perfetti è menzionata, segno che la religione dualista era già ben definita nei suoi costumi e nella sua gerarchia, a dispetto di quanto sostenuto da alcuni autori che parlano di movimenti spontanei. Il nome dato a questi religiosi eterodossi, Eretici Petragorici, fa riferimento al nome della regione, che trae la sua origine dai Celti Petrucorii che la abitarono (*). In seguito tuttavia, a causa della credenza nella metempsicosi, il nome Petracorici sarebbe stato mutato spesso in Pitagorici.

(*) In lingua gallica il nome Petrucorii significa "Quattro Tribù".

venerdì 18 febbraio 2022


I CATARI DI REIMS

Una comunità dualista nella Champagne del XII secolo


Dal Chronicon Anglicanum di Ralph (Radulfo) di Coggeshall traggo un significativo brano in cui si parla dell'incontro tra alcuni rappresentanti della cultura egemone e due donne catare, avvenuto intorno al 1175 nei pressi dell'augusta città di Reims.

Ai tempi di Luigi, Re di Francia che generò Re Filippo, mentre l'errore di certi eretici, che sono chiamati Publicani in volgare, si stava diffondendo in molte delle province di Francia, una cosa portentosa avvene nella città di Reims in relazione a un'anziana donna infettata da quella piaga. Un giorno, mentre il Signore Guglielmo, arcivescovo di quella città e zio del Re Filippo, stava facendo una gita con i suoi chierici fuori della città, il Maestro Gervasio di Tilbury notò una ragazza che camminava da sola in una vigna. Spinto dalla curiosità di una gioventù dal sangue ardente, le si avvicinò, come più tardi sentimmo per sua bocca, quando egli era diventato un canonico. Egli la salutò e indagò attentamente di chi fosse la figlia, e cosa stesse facendo tutta sola in quel luogo; e poi, dopo aver contemplato per un po' la sua bellezza, le fece alla maniera dei cortigiani una proposta di amore lascivo. 

Lei fu molto imbarazzata e, rivolgendo gli occhi a terra, gli rispose con gesti semplici e una certa gravità: "Buon giovane, il Signore non desidera che io sia tua amica o amica di un qualsiasi uomo, perché se io dovessi perdere la mia verginità e se il mio corpo fosse sporcato anche una sola volta, sarei dannata in eterno senza alcuna speranza di porvi rimedio."

Come udì queste parole, il Signore Gervasio comprese all'istante che ella apparteneva alla più empia delle sette, quella dei Publicani, che a quel tempo venivano cercati dovunque per essere annientati, specialmente da Filippo, Conte delle Fiandre, che li perseguitava in modo spietato, con la giusta crudeltà. Alcuni di loro erano giunti in Inghilterra e furono catturati ad Oxford, dove per ordine del Re Enrico II vennero vergognosamente marchiati a fuoco sulla fronte con una chiave incandescente.


Mentre il suddetto chierico stava argomentando con la ragazza, cercando di dimostrare l'errore della sua risposta, l'Arcivescovo si avvicinò al corteo. Come apprese la causa della discussione, ordinò che la giovane fosse arrestata e portata con lui in città. Quando le si rivolse in presenza del suo clero e le citò molti passaggi scritturali e argomenti ragionati in modo da confutare i suoi errori, lei rispose che non aveva ancora appreso abbastanza per dimostrare la falsità degli argomenti presentati, ma ammise che aveva una maestra in città che avrebbe confutato facilmente le obiezioni di tutti.

Così, quando la ragazza ebbe rivelato il nome e la residenza della donna, essa fu immediatamente cercata e trovata, e convocata davanti all'Arcivescovo dai suoi ufficiali. Quando fu attaccata da tutti i lati dall'Arcivescovo stesso e dal clero con svariate domande e con testimonianze delle Sacre Scritture che avrebbero dovuto distruggere l'errore, tramite perverse interpretazioni ella alterò tutti i testi proposti, in modo tale che divenne evidente a tutti come lo Spirito di Tutti gli Errori parlasse per bocca sua.

Invero rispose facilmente a tutti i testi e le narrazioni che le venivano presentate, sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, a menadito, come se padroneggiasse la conoscenza di tutte le Scritture e fosse stata ben istruita a questo tipo di risposte, mescolando il falso al vero e facendosi beffa della vera interpretazione della nostra fede con una perspicacia perversa. Quindi, siccome fu impossibile richiamare le menti ostinate di queste due persone dagli errori delle loro vie per mezzo di minaccia o persuasione, o di un qualsiasi argomento o passaggio scritturale, esse furono messe in prigione fino al giorno seguente.

Al mattino furono richiamate alla corte arcivescovile, davanti all'Arcivescovo e a tutto il clero, e alla presenza della nobiltà, esse furono di nuovo messe di fronte a molte buone ragioni affinché rinunciassero al loro errore pubblicamente. Ma siccome non ammisero in alcun modo le salutari ammonizioni, persistendo testardamente nell'errore adottato, fu decretato all'unanimità che entrambe fossero consegnate alle fiamme.

Quando il fuoco ebbe illuminato la città e gli ufficiali si prepararono a trascinarle alla punizione sentenziata, la signora dei vili errori esclamò: "O giudici stolti ed iniqui, pensate adesso di bruciarmi nelle vostre fiamme? Non temo il vostro giudizio, né tremo aspettando il fuoco!". Con queste parole, estrasse all'improvviso un gomitolo tratto dal suo seno e lo scaglò attraverso una grande finestra, afferrando l'estremità del filo con le mani: allora ad alta voce, udibile da tutti, esclamò: "prendetemi!", e fu sollevata da terra prima che gli occhi di tutti potessero seguire il gomitolo nel suo rapido volo, sostenuto - come crediamo - dal potere degli spiriti maligni che trasportarono Simon Mago nell'aria. Ciò che avvenne a quella donna malefica, o dove fu trasportata, gli astanti non poterono mai scoprirlo in alcun modo. 

Ma la ragazza non era ancora coinvolta così a fondo nella follia della setta; e, siccome era ancora presente, si sarebbe potuta salvare dalla testarda maledizione in cui si era imbarcata, ma non fu distolta né dalla ragione, dalla persuasione o dalla promessa di ricchezze. Così fu bruciata. Causò grande stupore in molti, perché non emise un solo sospiro, né una lacrima, né un gemito, ma sopportò l'intera agonia della combustione con fermezza e letizia, come una martire di Cristo.


Per comprendere meglio il contesto, occorre fare alcune precisazioni sui protagonisti di questa narrazione. Il sovrano di cui si parla in questa narrazione è Luigi VII, detto il Giovane. L'Arcivescovo Guglielmo di Reims (1176-1202) era il figlio del Conte Thibaud (Tebaldo) II di Champagne e lo zio di Filippo II di Francia. Anche il Maestro Gervasio è ben noto, anche se la maggior parte dei lettori certo non lo ha mai sentito nominare. Era inglese di nascita ma era un cosmopolita, come a quei tempi era la norma delle classi alte. Fu cresciuto a Roma e studiò legge all'università di Bologna. Servì svariati sovrani nella sua lunga esistenza, tra i quali Ottone IV e Guglielmo II di Sicilia.

All'epoca i Catari di Francia erano chiamati Publicani o Popelicani. Era questo uno dei molti nomi con cui erano conosciuti. Tra gli altri vanno menzionati Piphles (di origine oscura) e Tisserands, ossia Tessitori, dalla professione che molti di loro esercitavano. Il nome Publicani non allude ai funzionari incaricati di esigere le tasse nell'Impero Romano (i pubblicani), ma è chiaramente una deformazione del bulgaro Pavlikeni, ossia Pauliciani.

Le Chiese Catare più antiche furono stabilite dai Franchi che ebbero a lungo residenza in Bulgaria e a Costantinopoli. La formazione del Catarismo avvenne proprio nella terra che fu un tempo chiamata Tracia dai Romani, dall'incontro e dalla lunga convivenza di elementi manichei e marcioniti deportati a più riprese dall'Armenia. Le comunità della regione nota come Champagne (dal latino Campania) sono tra le prime di cui si abbia notizia nell'intero Occidente, e data la consistenza che già avevano nella seconda metà XII secolo, si pensa che il processo di formazione debba essere predatato al secolo precedente.

La cosa che più stupisce leggendo questi tristissimi fatti è già una sfida al buon senso comune di molti moderni: la figura del monaco libidinoso, un autentico sileno sbavante alla vista di una bella vergine, del tutto incapace di trattenere gli impulsi del suo basso ventre. Nonostante gli scandali sessuali di cui si ha notizia con cadenza quasi quotidiana, c'è una riluttanza nella maggior parte delle persone ad associare una condotta simile a chi indossa le vesti della Chiesa di Roma.

Non dimentichiamoci che tra quell'epoca torbida e i nostri giorni c'è di mezzo il Concilio di Trento, con la sua opera di moralizzazione esteriore dei corrotti costumi ecclesiastici. Nei secoli del Medioevo era del tutto normale il nicolaismo dei chierici. Moltissimi frati, preti e porporati avevano amanti, senza badare di certo ai limiti di età sanciti dalla legge odierna. Era molto comune che un uomo della Chiesa somministrasse comunioni oscene. Certo, la cosa accade anche oggi, e di questo abbiamo ampia testimonianza dai fatti di cronaca. Il punto è che nei secoli di cui stiamo trattando questi abusi erano ritenuti un diritto inalienabile ed esercitati alla luce del sole senza alcuna vergogna.

La Chiesa Romana incarnava la morale normativa,
e sanciva la divisione delle classi sociali come giusta e santa. Aveva la funzione di rendere legittimo l'arbitrio dei regnanti. Il contadino era ritenuto dal nobile poco più di una bestia. Se Catone il Censore definì lo schiavo "instrumentum vocale", per un porporato del XII il servo della gleba era un maiale dotato di favella. Pertanto una ragazza di bassa condizione sociale era soltanto materiale di soddisfacimento e poteva essere posseduta in tutti i modi possibili senza che potesse protestare. La sua volontà, le sue aspirazioni, la sua stessa morale, erano tutte cose irrilevanti. Quello che faceva scalpore nel lettore medievale non era quindi il comportamento del chierico, ma quello della fanciulla. La sua ribellione era ritenuta semplicemente inaudita!

I toni superstiziosi usati dal canonico di Coggeshall indicano la paura cieca verso una controcultura tenebrosa
che lentamente andava corrodendo le fondamenta della luminosa Città di Dio. Un male assoluto, verso cui non poteva esistere neppure un larvato tentativo di comprensione.

Compare anche il tema ormai familiare dell'identificazione forzata tra eresia e stregoneria, con conseguente attribuzione di portenti ai dissidenti religiosi. Ogni dottrina contraria all'interpretazione canonica delle Scritture veniva senza mezzi termini identificata con una grossolana forma di satanismo.

Sempre a proposito dei Catari della Champagne, il cronista di Coggeshall ci rivela che essi "credono che un angelo apostata, che chiamano Luzabel, presieda a tutta la creazione fisica..." Quello che all'inglese parve pazzia, è ora identificabile come uno dei capisaldi della teologia di Concorezzo, di diretta filiazione bogomila.

A dispetto della demonizzazione operata dalle classi alte, il pubblico ammirò la martire catara nella sua agonia tra le fiamme. A dispetto delle parole dei principi e dei preti, gli spettatori videro nella giovane quella purezza che non apparteneva alla religione dominante.

Questo sentimento è una chiara prova del terreno fertile che permise la crescita esponenziale dell'eterodossia, finché lo stato non si decise a chiedere l'aiuto del potere pontificio per compiere opere di sterminio.

Notevole è anche la menzione degli sfortunati Catari di Oxford, condannati da Enrico II ad essere marchiati a fuoco ed esposti a un inverno rigido senza poter indossare alcun abito. Siccome la popolazione li riteneva maledetti e non ammetteva alcun contatto con loro, essi non trovarono cibo e morirono assiderati. Un fatto atroce che è soltanto una delle tante prove dell'odio inestinguibile provato dagli Inglesi per la religione dualista. Anglo-francese era anche Simon de Montfort, il Conte di Leicester che condusse la funesta crociata contro gli Albigesi. In un luogo della sua opera, l'ormai anziano Gervasio di Tilbury ci narra l'ardita evocazione di un fantasma da parte di un prete. A detta sua, lo spettro avrebbe rivelato l'estrema gioia di Dio per il genocidio degli Albigesi e la condanna verso i cattolici che pur non aderendo all'eresia si erano mostrati tolleranti verso chi la professava.

Eppure il Catarismo sopravvisse anche in condizioni così ostili,
al punto di lasciare traccia di sé: è ben possibile che John Wycliffe fosse un discendente di Catari, visto che incorporò elementi bogomili nella sua dottrina. 

martedì 15 febbraio 2022


I PROTOCATARI DI GOSLAR 

Un esempio di nonviolenza autentica 

Tra gli episodi più singolari connessi ai primi processi per eresia dualista nell'Occidente cristiano, occorre segnalarne uno avvenuto in Germania settentrionale alla metà del XI secolo.  

Goslar è una cittadina caratteristica della Bassa Sassonia, famosa per le chiese, gli edifici storici e i musei, dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO. È stata addirittura soprannominata la Roma del Nord per la sovrabbondanza di edifici di culto. Fu fondata nel X secolo dall'Imperatore Enrico I nei pressi di un luogo ove furono scoperti ricchissimi filoni d'argento. I traffici dovuti alle attività estrattive permisero una notevole prosperità, al punto che ottenne lo stato di Città Libera Imperiale e divenne la residenza estiva dei sovrani del Sacro Romano Impero. Un sontuoso palazzo imperiale, tuttora esistente, ospitò per ben venti volte l'Imperatore Enrico III il Nero, che regnò dal 1046 al 1056. 

Nel periodo di Natale del 1051 e all'inizio dell'anno successivo vi furono scoperti alcuni eretici, e all'accaduto fu data una certa risonanza. Sappiamo che si trattava di contadini originari della
Lorena, la regione della Francia renana all'epoca nota come Lotaringia, dal nome di Lotario II. Era a quell'epoca una regione di lingua germanica: soltanto lo stato francese unitario sarebbe riuscito molti secoli dopo a stemperarne la fisionomia culturale. 

Il capo di accusa ci appare già ad una prima analisi capzioso: furono convocati davanti al Vescovo e all'Imperatore perché erano vegetariani.
La loro esistenza fu rivelata soltanto perché rifiutavano ostinatamente di mangiare la carne dei polli che allevavano. La dinamica dei fatti non ci è del tutto chiara, ma possiamo supporre che gli agricoltori siano stati invitati ai festeggiamenti natalizi, e a quel punto sarebbe emersa la stranezza della loro dieta. 

L'Imperatore aveva terrore del ritorno del Manicheismo, di cui ormai si parlava in gran parte dell'Occidente.
Non gli ci volle molto a riconoscere negli imputati quella che chiamava "lebbra eretica". 

Il Vescovo non riuscì ad ottenere una confessione dagli imputati, così fece portare un pollo e ordinò a uno di loro di decapitarlo.
Come questi si rifiutò, passò al successivo, finché non ebbe chiaro che tutti erano Manichei. Appurato questo, Enrico III decise di condannarli a morte per impedire che da loro si diffondesse il "contagio". Si può quindi dedurre che idee eterodosse fossero già ampiamente penetrate nel suo immenso dominio. 

La condanna applicata fu abbastanza inusuale: non il rogo, bensì l'impiccagione.
Non conosciamo la dottrina di questi protocatari, ma sussistono pochi dubbi sulla sua origine bogomila. 

Di recente si è dato il caso di apologeti della Chiesa di Roma, che negano che siano mai state condannate a morte persone per il rifiuto di uccidere animali. Per metterli a tacere, vale la pena di riportare un estratto da un documento ecclesiastico denominato Gesta Episcoporum Leodiensium, tradotto dal latino.
Di sicuro quello di Goslar è il primo caso documentato di persone colpite da condanna capitale per essersi rifiutate di uccidere un pollo. L'autore del testo è un canonico, Anselmo di Liegi, che continuò le cronache iniziate da Erigerio di Lobbes. Come il suo vescovo Wazo, Anselmo era abbastanza liberale ed obiettivo, e il resoconto delle impiccagioni di Goslar ci è giunto solo per la sua tendenza a notare fatti che altri autori ritenevano irrilevanti. 

"In questo modo l'uomo di Dio si sforzò di seguire l'esempio di San Martino di Tours, e trattere l'usuale precipitosa frenesia tipica dei Francesi dal fomentare ogni tipo di crudeltà, perché egli udì che degli eretici erano stati identificati solo dal pallore dei loro volti, e siccome chiunque fosse pallido era senza dubbio un eretico, non si contavano i cattolici uccisi come risultato di questo errore isterico. Premesso questo, quando tali chiari argomenti e l'autorità biblica non possono essere contraddetti in modo ragionevole, ognuno può vedere come essi si comportarono in modo biasimevole a Goslar, quando alcuni membri di tale setta furono catturati. 

Dopo molte discussioni sulla loro stravaganza e un'opportuna scomunica per l'ostinazione nel loro errore, essi furono anche condannati all'impiccagione. Quando abbiamo investigato con cura il corso del processo, non abbiamo riscontrato altra ragione per la condanna di quella gente a parte il fatto che essi hanno rifiutato di obbedire al vescovo quando egli ordinò loro di uccidere un pollo. 

Non posso trattenermi dal far notare che se Wazo fosse stato là, non avrebbe consentito a questa sentenza: egli avrebbe seguito l'esempio di San Martino, che intercesse per i Priscillianisti condannati dall'editto dell'Imperatore Massimo dopo che erano stati perversamente travisati da un concilio di preti servili, preferendo coraggiosamente il rischio di danneggare se stesso piuttosto che impedire che gli eretici fossero risparmiati. 

Dico questo non perché voglio nascondere gli errori degli eretici, ma perché si può mostrare che un simile decreto in nessun luogo riceve l'approvazione della Legge Divina." 

Purtroppo l'esempio di uomini onesti come Anselmo, Wazo e Bernardo di Chiaravalle non è mai riuscito a prevalere. A farla da padrone è stato invece il cieco fanatismo.
  

Per molto tempo gran parte della Chiesa Romana ha considerato il vegetarianismo un crimine capitale.
L'argomento su cui si basava la condanna nasceva dalla constatazione che Dio avrebbe dato all'uomo il dominio sulla terra, rifornendolo di animali da mangiare. In questo modo, rifiutare un alimento di origine divina era considerato un sovvertimento dell'ordine cosmico. 

Nei primi tempi del Cristianesimo esisteva una tradizione vegetariana all'interno dell'ortodossia cattolica, basti pensare a San Gerolamo, che si disse contrario al consumo di carni e fornì argomentazioni dottrinali in sostegno di questa scelta. Dopo l'anno Mille, di tutto ciò persistevano ben poche tracce all'interno dell'ortodossia. 

La dieta di alcuni ordini religiosi come i Cistercensi era eccezionale, in quanto non comprendeva la carne. Nella società medievale esistevano codici comportamentali molto rigidi, che oggi sarebbero considerati assurdi. Se i costumi di santi e di monaci non destavano troppo scalpore, per i laici la tolleranza era inesistente. 

Gli atti dell'Inquisizione riportano casi di persone alle quali fu chiesto di togliere la vita a un animale e di consumarne le carni.
In questo modo l'imputato poteva provare al di là di ogni dubbio di non essere un Perfetto Cataro. Non eseguire l'ordine corrispondeva a morte certa sul rogo. Spesso gli animali usati per questa prova erano polli. Ci si può chiedere se gli inquisitori del XIII-XIV secolo avessero chiara la memoria dei fatti di Goslar, oppure se utilizzassero questi volatili per praticità: imporre di uccidere un maiale o un vitello poteva comportare difficoltà di qualche tipo. 

Sta a noi non dimenticare tutte queste atrocità, e fare in modo che non torni il tempo in cui la vita di un dissidente religioso valeva meno di quella di un gallinaceo. 

sabato 12 febbraio 2022


I PROTOCATARI DI MONFORTE

Piemonte Dualista
 

Erano passati poco più di vent'anni dalla morte di Leotardo di Vertus, suicida dopo una breve ma folgorante carriera iconoclasta a neanche un anno dalla sua illuminazione. L'Arcivescovo di Milano, Ariberto di Intimiano, non voleva credere ai rapporti che gli arrivavano da Alrico, Vescovo di Asti, tanto gli sembravano sconcertanti. Vi era un borgo del Piemonte, sito su un colle delle Langhe, in cui i feudatari e la popolazione avevano aderito a una nuova religione. Un fatto inconcepibile per i porporati, rappresentanti della normatività e incapaci di comprendere qualsiasi cosa esulasse dalla loro idea di universo gerarchico. Questo centro dell'eterodossia era Monforte (all'epoca scritto anche Monteforte), attualmente noto come Monforte d'Alba, in provincia di Cuneo. Il capo religioso di questa comunità si chiamava Gerardo, e la Contessa Berta lo proteggeva, ospitando lui e i suoi confratelli nel proprio castello.

Alcuni studiosi propongono un'interpretazione semplicistica dei fatti, affermando che il deleterio interesse di Ariberto di Intimiano verso le genti di Monforte fu dettato dal timore di perdere il controllo militare di una regione delle Langhe strategicamente importante per i suoi complessi rapporti con l'Impero. Sostengo invece un'ipotesi diversa: per comprendere gli eventi del XI secolo occorre innanzitutto pensare come un uomo di quegli anni tumultuosi. Ridurre tutto a moventi politici oggi comprensibili non giova alla Storia.

A causare la reazione dell'Arcivescovo di Milano fu soprattutto il terrore superstizioso di un profondo turbamento dell'ordine sociale, scaturito da una nuova visione del mondo. Gerardo di Monforte predicava il disprezzo dei beni materiali e del giuramento, riteneva vanità ogni forma di politica e di interesse nelle cose mondane. Se una simile idea si fosse sparsa tra le genti, il destino della società feudale sarebbe stato segnato. Questi santi uomini uscivano da ogni compromesso con la Chiesa di Roma e con le sue regole: rifiutavano come diabolico qualsiasi segno di religiosità esteriore.

Ciò che fece Ariberto è una chiara conferma di quanto affermo. Infatti non agì come i crociati avrebbero fatto a Béziers. Inviò contro i signori di Monforte potenti eserciti e nel 1028 ne espugnò il castello. Una volta vittorioso, non disse però "Ammazzateli tutti, Dio riconoscerà i suoi". Lo scopo era la cattura, non lo sterminio. Ordinò infatti la deportazione in massa dei Monfortini superstiti a Milano, dove li costrinse a inurbarsi in attesa di essere giudicati. Impiegò del tempo prima di decidersi ad emettere una condanna, e volle farlo solo dopo aver interrogato a lungo Gerardo sulla dottrina professata da lui e dai suoi seguaci. Senza bisogno di torture, Gerardo espose in dettaglio ciò in cui credeva, e la sua testimonianza fu messa per iscritto. Le fonti per la conoscenza di questo argomento sono Landolfo Seniore e Rodolfo Glabro, entrambi contemporanei ai fatti.

Questo conferma quanto già emerso narrando la vita di Leotardo: avendo inesperienza dell'Eresia, la Chiesa di Roma era a quell'epoca abbastanza garantista, e pensava di poter aver ragione delle opinioni avverse solo usando l'autorità delle Scritture.

Le credenze di Gerardo di Monforte mostrano un chiaro influsso del Bogomilismo, ma la natura della sua impalcatura teologica era quella tipica di un'eresia dotta. Non si trattava quindi del semplice emergere di individui suggestionati dalle parole di sconosciuti Fundaiti: all'origine di tutto vi erano una o più persone di cui sappiamo per certo soltanto che avevano dimestichezza con Platone e con Origene.

L'eccezionalità di questa esperienza religiosa sta nel fatto che non si trattava di pura e semplice speculazione filosofica, sterile e astratta, ma di un'idea rivoluzionaria ed affascinante, capace di far presa anche su un pubblico incolto.

I costumi dei Protocatari di Monforte erano tipici di una comunità dualista, ma erano in qualche modo portati all'estremo e praticati con un entusiasmo che un moderno riterrebbe fanatico. Oltre ad astenersi dalla carne, tutti vivevano in assoluta castità. Quelli che avevano contratto matrimonio non consumavano alcun rapporto. Tale era il ribrezzo che nutrivano per qualsiasi forma di sessualità, che sognavano uno stato di perfezione in cui gli esseri umani si sarebbero riprodotti in modo asessuato come le api. Non si sa bene se questa singolare caratteristica fosse una reminiscenza classica o un'innovazione dovuta a un singolo individuo. Si potrebbe pensare che Gerardo non alludesse a tempi che sarebbero giunti nel malvagio universo materiale, ma a quella che secoli dopo sarebbe stata nota ai Catari come Terra dei Viventi.

La cristologia mostrava forti somiglianze con quella dei Bogomili, con negazione dell'Incarnazione e della Passione. Anche la Trinità veniva respinta alla radice, al punto che Padre, Figlio e Spirito Santo erano ritenute semplici interpretazioni allegoriche. Non solo erano docetisti, ma arrivavano addirittura ad identificare Cristo con una proprietà di Dio. La vergine Maria era ritenuta una semplice allegoria della volontà di fare del bene, e quindi priva di una reale esistenza.

Anche l'Antico Testamento era accolto nel canone (cosa inconsueta), ma ogni parola era sottoposta a un'interpretazione simbolica. In questo si vede l'estrema evoluzione dell'allegoria biblica di Origene.

Una caratteristica che rendeva questi Protocatari simili ai Messaliani era la pratica della preghiera continua, alla quale veniva attribuito il potere di espellere i demoni che dominavano il corpo. Credevano fermamente che l'unico modo possibile per sfuggire alla dannazione eterna fosse una morte tra i tormenti. Era una forma violenta di Endura, chiamata Martyrium.

L'organizzazione sacerdotale era semplice, dividendosi in due livelli. Il livello più basso corrispondeva ai credenti del Catarismo, mentre il livello più alto, quello dei Maggiorenti (Maiores), corrispondeva ai Perfetti. Anche le donne potevano essere consacrate Maggiorenti. Si fa poi riferimento alla misteriosa figura di una specie di Pontefice identificato con lo Spirito Santo, di cui però non si sa nulla: è ben possibile che si tratti di una figura allegorica. La morale pretesa era per tutti molto rigida. Mentre tra i Catari del XII-XIII secolo gli obblighi per i Credenti erano minimi, la comunità di Gerardo era interamente pervasa dal fervore.

Un altro elemento peculiare era la totale rinuncia alla proprietà privata: ogni bene era in comune. In questo si può quasi cogliere qualche eco della dottrina degli antichi Gnostici Carpocraziani, definiti da qualcuno comunisti ante litteram

L'odio verso la vita era così totale da impressionare Ariberto da Intimiano. I suoi incubi erano funestati da visioni apocalittiche in cui gli insegnamenti dei Protocatari attecchivano in tutto il mondo. Gerardo di Monforte fece notare all'Arcivescovo che sono in pace con il mondo solo coloro che appartengono al mondo. Quando Ariberto si accorse che la predicazione eterodossa cominciava a diffondersi tra la popolazione di Milano, fu invaso dal terrore e si decise a una soluzione estrema: nel 1031 ordinò che tutti i Monfortini fossero bruciati vivi sul rogo. Fu allora eretta una grande croce, affinché i condannati che lo desiderassero potessero abbracciarla e abiurare la loro fede. Pochissimi si prostrarono davanti all'idolo accettando di adorarlo. Gerardo e la massima parte dei suoi seguaci accettarono con gioia ed eroismo l'agonia tra le fiamme fino a ridursi lentamente in cenere, certi di liberarsi attraverso tali strazi dalle atrocità dell'inferno materiale.

Il martirio dei Protocatari destò una grande impressione tra gli astanti: era iniziato qualcosa che l'Arcivescovo non poteva controllare. Il luogo dell'esecuzione fu in loro memoria chiamato Monforte dai milanesi, che ricordarono a lungo i fatti. Ancora oggi conserva il suo nome ed è noto come Corso Monforte.

Per qualcuno il Carroccio inventato da Ariberto sarà anche un simbolo di libertà. Non per me. 
 

Dialogo tra Gerardo Protocataro
e l'Arcivescovo Ariberto
 
Gerardo: "Rendo immense grazie a Dio Padre Onnipotente, al Figlio e allo Spirito Santo, perché voi tanto diligentemente procurate d’interrogarmi, e colui che dall’inizio vi conobbe nei lombi di Adamo, conceda che per lui viviate e per lui moriate, e che regnando con lui nei secoli dei secoli siate nella gloria. Vi farò sapere, qualunque sia l’animo con cui me lo chiediate, la mia vita e la fede dei miei fratelli. Lodiamo soprattutto la verginità; chi, invece, l’ha persa, può osservare la castità perpetua, col permesso del nostro superiore. Nessuno di noi ha rapporti intimi con la propria moglie, ma se la tiene amorosamente come madre o sorella. Non ci nutriamo mai di carne; preghiamo senza interruzione e digiuniamo continuamente; i nostri superiori, a turno, pregano sempre, giorno e notte, affinché non passi ora senza orazioni. Abbiamo ogni nostra proprietà in comune. Nessuno di noi finisce la vita senza tormenti, onde possiamo sfuggire i tormenti eterni. Crediamo e confessiamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Crediamo di poter essere legati o sciolti da coloro che hanno la potestà di legare e di sciogliere. Ci atteniamo al Vecchio Testamento e al Nuovo e ai Sacri Canoni, che leggiamo ogni giorno..." 

Tutte queste cose diceva Gerardo, che a tutti i presenti apparivano grandi e terribili...

Ariberto: "Perché vi sposate se poi non procreate figli?"

Gerardo: "Se tutto il genere umano si congiungesse in modo da non sentire la corruzione, esso si riprodurrebbe senza coito, come le api."

Ariberto: "A chi spetta l’assoluzione dei vostri peccati? Agli apostoli, al vescovo o al sacerdote?"

Gerardo: "Abbiamo un papa, non quello romano, che ogni giorno visita i nostri fratelli dispersi per il mondo, e quando Dio ce lo concede, allora con somma devozione ci è donata l’assoluzione dei nostri peccati."

Ariberto: "La vostra vita in che modo finisce nei tormenti?"

Gerardo: "Se noi moriamo per le torture inflitte da uomini malvagi, siamo felici; se poi talvolta la morte viene secondo natura, chi ci è vicino, prima di esalare l’anima, in qualche modo ci uccide..."

Toponomastica

A Milano c'è una via dedicata a Tertulliano, mentre non c'è nessuna via dedicata al Profeta Mani, a Marcione o a Valentino. Intendo scrivere al più presto all'URP del Comune per sottolineare tale grave lacuna. Intendo inoltre chiedere al Comune di Milano che in corso Monforte venga affissa una targa che spieghi che la via è stata dedicata al martirio dei catari di Monforte d'Alba, che, costretti dal vescovo di Milano, hanno scelto di gettarsi nel fuoco piuttosto che rinnegare la propria fede. Ho potuto constatare di persona che in Francia si sta recuperando una memoria storica della tragedia catara, con l'affissione di targhe commemorative in luoghi pubblici. È ora che anche in Italia si inizi per questa via.
(Albedo)

giovedì 10 febbraio 2022

EON DELLA STELLA

La storia di un Messia Bretone

Eudo (Eudes) nacque da una famiglia della nobiltà minore, nei pressi di Loudéac, in Bretagna. Si ignora l'anno della nascita, così come non si hanno notizie sulla prima parte della sua vita. Si sa che Eudo divenne un monaco degli Agostiniani, conducendo vita da anacoreta nella foresta di Brocéliande (Brecheliant in lingua bretone). Era quello un luogo considerato sacro dagli antichi Druidi e ricco di testimonianze di una civiltà megalitica anteriore all'arrivo dei Celti. Nel 1140, durante il regno di Conan III di Bretagna, ebbe la sua residenza in un'abbazia abbandonata, nel luogo conosciuto come Moinet. Tuttavia non rimase per lungo tempo in quel luogo. Secondo quanto ci è riportato da alcune fonti, mentre assisteva alla messa, udì nitidamente il prete dire "Per eum qui venturus est judicare vivos et mortuos", ossia ("per colui che verrà a giudicare i vivi e i morti", e riconobbe nella formula il suo nome, perché la pronuncia del prete avrebbe riprodotto la parola "eum" della liturgia come "Eon", essendo "Eon" (con la variante "Yun") la forma bretone di Eudo, Eudes. Altrove è invece riportata una versione del tutto diversa: egli avrebbe fatto un sogno soprannaturale. In questa rivelazione divina in cui gli sarebbe stato nominato Giudice Universale e gli sarebbe al contempo stato imposto di cambiare il suo nome in Eon. È possibile che in seguito all'episodio della messa, egli abbia avuto il sogno, la cui descrizione farebbe pensare all'uso di amanita muscaria, un fungo dagli intensi poteri allucinogeni. C'è anche chi pensa che queste narrazioni fossero null'altro che scherni e irrisioni da parte delle autorità ecclesiastiche, di cui è ben nota la strategia di negare l'intelligenza degli avversari per screditarli agli occhi delle genti. Quale che sia la verità dei fatti, ammesso che a distanza di tanto tempo sia ancora appurabile, dal momento della rivelazione il nobile bretone si fece chiamare Eon e si presentò come Profeta e Messia.

Correva l'anno 1145 quando si registrarono segni celesti, tra cui il passaggio di una cometa, in concomitanza alla morte del Pontefice Lucio II. Verosimilmente da questo evento, Eon prese il soprannome "de Stella" (in francese "de l'Étoile"). Nel Medioevo le comete erano ritenute portenti nefasti, che annunciavano la caduta dei potenti. Proprio in quell'anno
Eon cominciò a predicare nella foresta. Riscosse immediatamente molti consensi tra i poveri e gli oppressi, tanto che un folto gruppo di seguaci si riunì intorno a lui, costituendo il primo nucleo di una setta destinata ad accrescere rapidamente la propria popolarità. I tratti distintivi della nuova religione fondata da Eon erano improntati a un acceso messianismo: in modo simile al Cristo di Bourges di alcuni secoli prima, egli era ritenuto lo Spirito Santo incarnato e chiamato il Signore dei Signori, mentre i suoi seguaci erano Angeli e Apostoli. In quest'ottica, elesse una sua corte i cui membri si fregiavano di altisonanti appellativi: Giudizio, Saggezza, Conoscenza, etc. Mentre imperversava una carestia atroce in tutta la Bretagna, Eon predicava in nome di Cristo. Esaltava la vita ascetica e le virtù evangeliche contro le crapule e la dissolutezza degli ecclesiastici, che pensavano solo a rubare, a riempire i loro pingui ventri mentre il popolino moriva di fame e non aveva di che nutrire i proprii figli. I sacramenti della Chiesa Romana erano giudicati inefficaci, perché il Vangelo era stato tradito e usato come maschera dell'iniquità. Mentre altrove, a molte miglia di distanza, Bernardo di Chiaravalle si stava affannando per restaurare la dignità perduta e la parvenza di santità degli ordini monastici ormai decadenti, Eon della Stella era arrivato a giudicare i vivi e i morti. I toni delle sue prediche divennero sempre più esaltati e violenti, tanto che presto iniziarono i saccheggi delle proprietà della Chiesa di Roma. I granai furono svuotati, le chiese e i monasteri subirono razzia e devastazione. I tesori immensi dei monaci rapaci furono ridistribuiti al popolo. La fama di Eon si espanse, tanto che ci furono suoi seguaci in Normandia e persino in Guascogna. Si diceva che un alone luminoso lo circondasse e che avesse il potere di bilocarsi. Un grande paradosso si produsse a questo punto, perché le risorse sottratte servirono ad alimentare un grandissimo lusso tra Eon e i suoi seguaci, che finirono col vivere in modo altrettando dissoluto dei chierici da loro condannati a causa della mondanità. Se dobbiamo credere ai cronisti, mangiavano avidamente, vivevano tra mille eccessi, incarnando una contraddizione.

La reazione della Chiesa di Roma non poteva tardare. Ci fu un grande
clamore a proposito di quelle che fu chiamata Eresia Eonista, e il Pontefice, Eugenio III, la condannò nel Concilio di Reims. Era il 1148. Fu ordinato l'arresto di Eon, ma è riportato che i primi uomini inviati a catturarlo si convertirono, attratti dallo stile di vita stravagante che regnava alla corte del profeta bretone. Ci furono altri tentativi e alla fine Eon della Stella fu catturato dagli uomini dell'Arcivescovo Ugo di Ammiens, e portato in catene davanti al Sinodo presieduto dallo stesso Pontefice Eugenio III. Egli aveva con sé un ramo a forma di Y, e disse fieramente che lo avrebbe puntato verso il cielo se Dio avesse dovuto possedere due terzi del mondo e lui un terzo, mentre sarebbe stato il contrario se lo avesse puntato verso il basso. Il Concilio scoppiò a ridere fragorosamente di fronte a queste dichiarazioni. Quanto seguì non fu certo comico. Il prigioniero venne sottoposto a spaventose torture, nel tentativo di fargli ritrattare ogni cosa. Alla fine, dato che insisteva nel ritenersi lo Spirito Santo venuto a giudicare i vivi e i morti e il mondo nel fuoco, fu ritenuto del tutto insano di mente e condannato ad essere imprigionato a vita a pane e acqua. La Chiesa Romana affermò che si era riconciliato, pentendosi e ritrattando, in modo tale da togliere vigore ai suoi seguaci; non è facile stabilire cosa realmente avvenne, a parte il fatto che il condannato fu assegnato alla custodia dell'Arcivescovo Sansone di Reims e rinchiuso nell'Abbazia di Saint-Denis. Morì nel 1150, a causa delle privazioni e dei maltrattamenti. La sua organizzazione resisté con coraggio, e tutti i suoi membri furono catturati solo dopo molte difficoltà, in quanto si annidavano in luoghi impervi. A differenza del loro Messia, furono tutti riconosciuti sani di mente e condannati ad essere bruciati vivi sul rogo, dato che nessuno di loro rinnegò la propria religione.

Questo è il testo originale di Guglielmo di Neuburg che parla di Eudo
de Stella, tratto dalla Historia de Rerum Anglicarum: 

Eudo is dicebatur, natione Brito, agnomen habens de Stella, homo illileratus et idiota, ludificatione daemonum ita dementatus, ut, cum sermone Gallico Eon diceretur, ad suam personam pertinere crederet, quod in ecclesiasticis exorcismis dicitur, scilicet "per eum, qui venturis est judicare vivos et mortuos, et seculum per ignem." Ita plane fatuus, ut Eon et eum nesciret distinguere, ded supra modum stupenda caecitate crederet, se esse dominatorem et judicem vivorum et mortuorum. Etatque per diabolicas praestigias tam potens ad capiendas simplicium animas, ut - seductam sibi multitudinem aggregaret, quae tota illum tanquam dominum dominorum individue sequeretur. - Et interdum quidem mira velocitate per diversas provincias ferebatur: interdum vero morabatur cum suis omnibus in locis desertis et inviis, mosque instigante diabolo, erumpebat improvisusi, ecclesiarum maxime, ac monasteriorum infestator. Accedebant ad eum plerumque noti ejus et propinqui, erat enim non infimi generis; sive ut eum familiari ausu corriperent, sive ut quomodo se circa eum res haberet cautius explorarent. Videbatur autem esse circa eum ingens gloria, apparatus fastusque regius, et qui cum eo erant, sollicitudinis laborisque expertes, pretiose indui, splendide epulari, et in summa laetitia agere videbantur : in tantum ut plerique, qui ad corripiendum eum venerant, conspecta ejus non vera sed fantastica gloria, corrumperentur. Fiebant enim haec fantastice per daemones ; a quibus scilicet misera ilia multitudo, non veris et solidis, sed aeriis potius cibis in locis desertis alebatur. Nam, sicut postmodum per quosdam audivimus qui in ejus fuerant comitatu, eoque sublato tanquam agentes poenitentiam per orbem vagabantur, in promptu eis erant, quotiescunque volebant, panes, carnes, et pisces, et quique cibi lautiores. Verum quod iidem cibi non solidi sed aerii fuerunt, subministrantibus invisibiliter spiritibus aeris hujus, ad capiendas magis quam pascendas animas, hinc elucet, quod quantamcunque ex cibis illis repletionem modico ructu exinanitio sequebatur, tanta mox succedente esurie ut eosdem cibos illico repetere cogerentur. Quicunque autem forte ad eos accedens ex cibis eorum vel modicum gustasset, ex participatione mens daemoniorum mente mutata spurcissimae multitudini continuo adhierebat; et quicunque ab eis aliquid in qualibet specie.

Veniamo ora all'interpretazione di questa strana vicenda. Non pochi sono rimasti impressionati dall'assonanza tra il nome Eon e l'Eone gnostico, arrivando persino a supporre che nel monastero degli Agostiniani in cui era stato per breve tempo, il nobiluomo avesse avuto accesso ad antichi testi che descrivevano una qualche forma di Gnosticismo antico. Tuttavia egli è definito "analfabeta" da Guglielmo di Neuburg, e a quei tempi davvero in pochi sapevano scrivere, anche nella piccola aristocrazia. Se davvero egli fu incapace di leggere, crolla la possibilità che abbia potuto avere accesso a fonti antiche. Quello che appare evidente è la scarsità di influenze da parte del Dualismo, a parte la negazione della validità dei sacramenti della Chiesa di Roma e la condanna della sua mondanità. Ma queste caratteristiche erano all'epoca molto diffuse. I nomi dati ai ministri di Eon, Saggezza, Giudizio, Conoscenza, ricordano in effetti caratteri gnostici. Dall'analisi dei fatti, manca tuttavia il riscontro di una qualsiasi forma di anticosmismo e di dottrina di tipo gnostico. Anzi, l'esiguità del corpo dottrinale eonista è palese. Egli non era interessato a dispute filosofiche sull'origine dell'universo e sulla natura di Dio, a stabilire se Satana fosse a sua volta un Dio o una creatura, e così via. Tutto in lui era pratico, volto ad instaurare in concreto il Regno Millenario, una caratteristica tipica di una grande schiera di predicatori indipendenti e di visionari di ogni genere, dal Cristo di Bourges ad Adolf Hitler. L'opinione prevalente tra gli studiosi moderni è scettica a proposito di un qualsiasi nesso con tradizioni più antiche: nonostante la gran confusione delle fonti, è estremamente improbabile che Eon abbia qualcosa a che vedere con gli Eoni dei sistemi di Valentino e di Basilide.

domenica 6 febbraio 2022


IL MISTERO DEGLI ERETICI SARDI

Il millenarismo imperversava. Gli animi pii provavano un sincero terrore: l'avvicinarsi dell'Anno 1000 aveva riportato in vita le suggestioni apocalittiche del primo cristianesimo. In corrispondenza della data si temeva che sarebbe giunta la Fine dei Tempi. Anche quando l'Anno 1000 fu passato, il timore restava: molti credettero possibile che la data fatidica fosse invece il millenario della morte di Cristo anziché quello della sua nascita - ossia il 1033. Di quest'atmosfera ci dà testimonianza uno storico e cronista dell'epoca: Rodolfo il Glabro. Questo autore interpreta la comparsa di fermenti eterodossi come un segno dell'imminenza del Giudizio. Così egli scrive a questo proposito: 

Tutto ciò costituisce un presagio che ben si accorda con la profezia di Giovanni, là dove dice che Satana verrà liberato, e al termine di mille anni [uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra].

Tra i tanti eventi descritti come calamitosi, molti devono essere connessi alla comparsa di gruppi di Protocatari, riconducibili al Dualismo Bogomilo. È però da notare che alcuni casi sono di natura totalmente dissimile, come quello di Vilgardo da Ravenna (1), spiegabile piuttosto come un fermento neopagano nato tra i cultori delle lettere. Un fenomeno certo stravagante per il contesto dell'epoca, ma descritto tutto sommato nei particolari. Per contro un passo è ancora senza alcuna spiegazione soddisfacente:

Anche dalla Sardegna, isola dove gli eretici sempre abbondano, in quel tempo uscirono alcuni che andarono a traviare in parte la popolazione della Spagna: e finirono massacrati dai cattolici.

A cosa si riferisce Rodolfo il Glabro? Non sono riuscito a trovare in alcuna fonte altre allusioni a movimenti eterodossi in Sardegna. Il fatto, di per sé eccezionale, dovrebbe risalire al tardo X secolo, quindi prima della comparsa dei fermenti protocatari. Qual era la situazione religiosa della Sardegna dell'epoca in questione? Va notato che se ci fosse stata un'inveterata abbondanza di dissidenti religiosi, la cosa sarebbe dovuta emergere anche nelle opere di altri autori, anche se è probabile che la natura periferica di quel territorio spieghi almeno in parte questo silenzio.

Quando i Vandali giunsero ad occupare l'isola verso il 456, la cristianizzazione era abbastanza recente e non si era diffusa che nei centri costieri. I Vandali erano una popolazione appartenente al ramo rientale dei Germani, come i Goti e i Burgundi. Seguivano l'Arianesimo, ma essendo un'aristocrazia poco numerosa, la loro influenza religiosa sulle popolazioni sottomesse fu in pratica nulla. Avendo occupato anche l'Africa e perseguitandovi accanitamente il clero cattolico, utilizzarono la Sardegna come terra di esilio per i dissidenti. Accadde così che molti chierici della Chiesa di Roma furono confinati nell'isola.

Le lotte tra le diverse confessioni cristiane non toccarono la popolazione dell'interno. Questa regione era conosciuta come Barbaria, ossia come Terra Barbara (da cui Barbagia), perché i suoi abitanti non erano stati romanizzati. I Barbaricini, lontanamente imparentati con i Baschi, continuavano ad esprimersi in un idioma preindoeuropeo derivato dal nuragico, e adoravano gli idoli. Non c'è traccia di un singolo cristiano in quest'area prima dell'epoca di Gregorio Magno. Quando il dominio vandalico finì in Sardegna, nel 534, vi subentrarono i Bizantini. Papa Gregorio Magno scrisse nel maggio del 594 una lettera al barbaricino Ospitone, esprimendosi in questi termini:

"Gregorio ad Ospitone, capo dei Barbaricini.
Poiché nessuno della tua gente è Cristiano, per questo so che sei il migliore di tutto il tuo popolo: perché sei Cristiano. Mentre infatti tutti i Barbaricini vivono come animali insensati, non conoscono il vero Dio, adorano legni e pietre, tu, per il solo fatto che veneri il vero Dio, hai dimostrato quanto sei superiore a tutti.
Ma dovrai mettere in atto la Fede che hai accolto anche con le buone opere e con le parole, e al servizio di Cristo, in cui tu credi; dovrai impegnare la tua posizione di preminenza, conducendo a Lui quanti potrai, facendoli battezzare e ammonendoli a prediligere la vita eterna.
Se per caso tu stesso non potrai fare ciò perché sei occupato in altro, ti chiedo, salutandoti, di aiutare in tutti i modi gli uomini che abbiamo inviato lì, cioè il mio "fratello" e coepiscopo Felice e il mio "figlio" Ciriaco, servo di Dio consolatore, e di aiutarli nelle loro mansioni, di mostrare la tua devozione nel Signore onnipotente, e Lui stesso sia per te un aiuto nelle buone azioni come tu lo sarai per i servi consolatori in questa buona opera, e tramite loro ti mandiamo veramente la benedizione di San Pietro Apostolo, che ti chiedo di ricevere con buona disposizione d'animo."

Sembra che l'intento cristianizzatore di Gregorio si sia dimostrato fallimentare e che anzi il paganesimo abbia conosciuto una fase di espansione accompagnata da violente scorrerie ai danni delle popolazioni cristianizzate di lingua romanza.

Il dominio bizantino, limitato alle coste, portò nuove forme di culto cristiano, fino ad allora sconosciute. Alcuni residui di quest'epoca ancora permangono. Un tipico esempio è il culto di San Costantino (in sardo Santu Antine). L'Imperatore Costantino è ignorato dal martirologio romano, ma è considerato santo dalla Chiesa Ortodossa, che anzi gli attribuisce un singolare epiteto, chiamandolo Pari agli Apostoli.

Qualche autore ha pensato che Rodolfo il Glabro alludesse a forme di monachesimo greco-bizantino, che sarebbero state considerate eretiche (2). Ancora oggi qualcuno nei forum si chiede con stupore come mai i Sardi venererebbero Costantino se la Chiesa di Roma non lo considera santo.

Non è comunque possibile che il cronista facesse riferimento a questo. L'uso di termini come "eretici" o "traviare" alludono evidentemente a contenuti dottrinali e non a mere differenze formali.

Non è neppure possibile pensare che Rodolfo confondesse del tutto l'eresia con il paganesimo (3). Agli adoratori di pietre ed alberi non è mai interessato il proselitismo. Chi erano dunque questi dissidenti religiosi che veleggiarono fino alla Spagna? Questo è un vero mistero, e a differenza dei tanti falsi dei misteriologi non ha soluzione alcuna. Si potrebbe pensare a Bogomili radicatisi precocemente attraverso ambienti monastici bizantini. Non si trovano comunque prove a favore di questa interpretazione. Dai documenti emerge che la Barbagia era ancora pagana nel X secolo, e che la sua prima cristianizzazione avvenne soltanto nel XI secolo (4). A un certo punto le fonti ci dicono che i cristiani della Sardegna avevano nemici esterni, ossia i Saraceni, come nemici interni, ossia i Barbaricini pagani. Non è facile capire come in un contesto simile l'isola potesse essere registrare abbondanza di eretici.

La stessa ipotesi di una precoce influenza bogomila comporta difficoltà. Se corrispondesse al vero, nei secoli successivi l'isola avrebbe dovuto essere un territorio ben predisposto alla diffusione del Catarismo, che vi apparve invece solo in forma marginale. Verso la fine del XIII secolo la Chiesa di Roma organizzò una spedizione in Sardegna per cercare di snidare esuli Albigesi, ma non registrò a quanto pare alcun successo (5).

Interessante è infine notare quanto contrasti con il quadro descritto da Rodolfo il Glabro la faziosa affermazione del Vaticano
, secondo cui "la Sardegna non è mai stata terra di eresie; il suo popolo ha sempre manifestato filiale fedeltà a Cristo e alla Sede di Pietro". 

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/
homilies/2008/documents


Sarebbe tra l'altro bello disporre di una macchina del tempo e spedire tra i Barbaricini pagani chi ha scritto "Sì, cari amici, nel susseguirsi delle invasioni e delle dominazioni, la fede in Cristo è rimasta nell’anima delle vostre popolazioni come elemento costitutivo della vostra stessa identità sarda". 

Note: 
 
(1) Vilgardo era un grammatico di Ravenna, appassionato di studi classici, che in seguito a una visione di Virgilio, Orazio e Giovenale, si mise a predicare il ritorno all'antica religione di Roma, finendo sul rogo (fine X secolo). Di lui ci parla Rodolfo il Glabro.
(2) Benelli è particolarmente incline a considerare gli eretici Sardi come Bogomili detti Fundaiti; Duvernoy è incline poi a considerare il Bogomilismo come un esito diretto del monachesimo basiliano.
(3) Jones e Pennick (2013) sono di diversa opinione e attribuiscono a una forma attiva di culto pagano l'eresia menzionata da Rodolfo il Glabro. 
Melis (2010) è incline a considerare gli eretici della Sardegna come proseliti di Vilgardo, giunti dalla Penisola.
(4) Non si deve confondere il nicodemismo con la conversione. "Gregorio la informa di aver mandato nell'isola dei chierici per convertire i Barbaricini pagani e si lamenta del fatto che il giudice dell'isola (ab eodem insulae judice...) esigeva la tassa dovuta dagli idolatri per poter praticare la propria religione, anche da quelli che si erano già convertiti" (Fois, 1990). Altri dettagli sono riportati in Jones-Pennick (2013). Una testimonianza tardissima di persistenza dei Barbaricini nel paganesimo è una poesia di Fazio degli Uberti (1305 o 1309 - post 1367), che dell'isola aveva esperienza diretta. Nel Dittamondo è scritto: "Quel che sia Cresime, e Battesimo non sanno". Con superficialità, il mondo accademico ha liquidato questo verso come dovuta all'influenza della lettera a Ospitone.
(5) Lambert (2001).

venerdì 4 febbraio 2022


LETTERA DI CLAUDIO DI TORINO
SUL CULTO DELLE IMMAGINI

Argomenti in favore dell'iconoclasmo 
 
Pubblico un estratto dalla voluminosa opera del vescovo iconoclasta Claudio di Torino. Per chi volesse leggere il testo originale, il titolo è Apologeticum atque rescriptum Claudii episcopi adversus Theutmirum abbatem, in Patrologia latina, ed. Jean-Paul Migne, 221 volumi (Parigi, 1844-1864), 105:459-64. Su Academia.edu è presente il trattato in latino con la traduzione in italiano, che è di un autore diverso rispetto a quella da me riportata nel seguito.


Mi scrivi che sei turbato alla voce sparsasi per l'Italia, per tutta la Gallia e persino in Spagna, che io abbia formata una nuova setta contro la fede cattolica. Ma è una calunnia, e non fa meraviglia che i membri di Satana l'abbiano strombazzata per infamarmi. La cagione di tale fracasso è che, costretto io dall'imperatore Lodovico ad accettare il vescovado di Torino, ho trovato in esso tutte le chiese piene di false reliquie e di immagini, e tosto ho cominciato a distruggere ciò che i miei diocesani veneravano con fanatica superstizione, e tutti spalancarono tanto di bocca, per bestemmiarmi contro con tale furore, che se non era Dio a scamparmi mi avrebbero divorato così com'ero vivo.

Coloro contro i quali ho preso a difendere la Chiesa, per giustificarsi dicono così: "Noi non crediamo che vi sia nell'immagine alcunché di divino, ma le rendiamo onore di adorazione per riferirci a coloro che è da essa rappresentato". Noi rispondiamo che se coloro che hanno rinunciato al culto degli dei pagani, seguitano tuttavia a onorare le immagini, non fanno altro se non cambiare i nomi, senza lasciare l'idolatria. Sia l'immagine di Pietro o di Paolo ovvero di Giove o di Saturno quella dipinta sulla parete, si erra del pari venerando l'effigie tanto degli uni che degli altri.

Di certo se gli uomini dovessero essere adorati, sarebbe il vivente piuttosto che non il morto a dover essere così onorato. Nel vivente c'è la somiglianza di Dio, non la somiglianza delle bestie o, cosa anche peggiore, delle rocce e del legno, che sono prive di vita, senso e ragione. Da ciò si dovrebbe concludere che se le opere delle mani di Dio non devono essere adorate e onorate, ancor meno devono esserlo le opere di mani di esseri umani, o addirittura le parvenza che si dice siano loro appartenute. Se l'immagine che viene adorata non è Dio, ancor meno dovrebbe essere venerata per l'onore dei santi, che non arrogano a se stessi onori divini.

Perché ti umili e ti inchini davanti false immagini? Perché pieghi il tuo corpo, imprigionato davanti stupide statue e pitture terrene? Dio ti ha creato diritto. Mentre altri animali sono proni e dirigono la loro faccia verso la terra, tu hai la sublime condizione di essere eretto, di guardare il cielo e il volto di Dio. Guarda in alto, rivolgi i tuoi occhi verso il cielo, cerca Dio nelle cose celesti, affinché tu possa evitare ciò che sta in basso. Innalza il tuo cuore dubbioso ad altezze paradisiache. Perché scagli te stesso nel grembo della morte con quelle immagini senza vita che onori? Perché ti razzoli nelle rovine del diavolo? Preserva il sublime stato in cui sei nato. Persevera nella condizione in cui sei stato fatto da Dio.

Coloro che appartengono alla falsa religione e alla supersitizione dicono: "in ricordo del nostro Salvatore noi onoriamo, veneriamo e adoriamo un'immagine dipinta della croce fatta in suo onore." Nulla fa maggior piacere a loro del nostro Salvatore, tranne ciò che piace anche agli empi, che è la disgrazia della sua passione e della derisione della sua morte. Essi credono ciò che uomini empi, Ebrei e Pagani che misero in dubbio la sua resurrezione, pure credettero. Essi non hanno imparato a pensare a lui in altro modo al di là del credere e conservarlo nei loro cuori come contorto, morto, perennemente contratto nella sua passione. Non hanno mai udito né compreso ciò che l'Apostolo disse: "E se anche abbiam conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così" (2 Cor 5,16).

Io rispondo: "Se vogliono che si adori ogni legno formato in guisa di croce, per essere stato Cristo confitto ad una croce, allora bisognerebbe fare lo stesso per la memoria di molte altre cose che Cristo fece nella carne. Perché soltanto sei ore egli è rimasto appeso alla croce, ma è stato nel seno dellla Vergine per nove mesi lunari e undici giorni, ossia duecento e settantasei giorni solari, ossia nove mesi e sei giorni aggiunti. Si dovranno allora tutte le vergini, perché una vergine ha partorito Cristo? Si dovranno adorare le mangiatoie, perché egli giacque in una mangiatoia appena nato? Si dovranno adorare i vecchi panni di lino, perché appena nato fu avvolto in questo modo? E le barche, perché egli spesso veleggiò, e insegnò alle folle da una barchetta, e dormì in barca, e comandò ai venti da una barca, e fu sul lato destro di una barca che egli ordinò di collocare le reti, quando la grande, profetica pesca fu fatta? Si dovranno adorare gli agnelli, perchè sta scritto di Cristo: "Ecco l'Agnello di Dio"? Costoro non vogliono adorare gli agnelli, li vogliono mangiare. Si dovranno adorare i leoni, perchè di Cristo è scritto: "Ha vinto il leone della tribù di Giuda"? E persino gli asini, dato che egli cavalcò un asino? Si dovranno adorare le pietre, perchè Cristo fu posto in un sepolcro di pietra, e perchè è scritto: "La pietra era Cristo"? Si dovranno adorare le spine, perchè di esse fu coronato? E le canne, perchè con una di esse fu percosso? Infine si dovranno adorare le lance, dal momento che uno dei soldati aprì il suo costato con una lancia, e dalla ferita scorse sangue misto ad acqua, i sacramenti che formano la Chiesa?"

Queste cose sono assurdità e non andrebbero neppure menzionate per iscritto, ma derise. Siamo però costretti a proporre cose stupide agli stupidi, e scagliare pietre contro cuori di pietra, piuttosto che dardi di parole e di opinioni. "Richiamatelo alla mente, o trasgressori" (Is 46,8). Avete deviato dalla Verità, cercato vanità, e siete diventati vani. Voi crocifiggete di nuovo il figlio di Dio, e lo mettete in mostra. Così avete reso le anime degli ingenui complici dei demoni. Rendendoli folli tramite l'empio sacrilegio delle statue, avete fatto sì che fossero rigettati dal loro creatore e scagliati nella dannazione eterna.

Perché Dio ha ordinato una cosa, ed essi ne fanno un'altra. Dio ha comandato di portare la croce, non di adorarla. Essi vogliono adorarla, ma non vogliono saperne di portarla, sia in senso spirituale che corporale. Servire Dio in questo modo è rinnegarlo, perché egli disse: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16, 24). Finché uno non abbandona se stesso, non si avvicina a colui che è al di sopra di lui, e non è in grado di comprendere che ciò che sta dietro di lui, se non sa compiere sacrificio.

Rispetto ai pellegrinaggi a Roma, a cui dici che io mi oppongo, anche questa è una calunnia. Non approvo né disapprovo sì fatto viaggio: so che esso non a tutti fa male, né a tutti fa bene. Se credi che andare a Roma significa far penitenza, allora ti chiedo perché mai sei stato causa della rovina di così tante anime in così poco tempo, dato che tieni imprigionati nel tuo monastero così tanti frati. Tu li hai accolti per far penitenza, e li hai persino tenuti al tuo servizio. Dici di avere un gruppo di centoquaranta monaci, tutti venuti a te per fare penitenza. Non hai dato a uno solo di loro la licenza di andare a Roma. Se, come sostieni, andare a Roma è cercare penitenza, cosa farai circa questa opinione espressa dal Signore: "Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare" (Mt, 18, 6).

Non c'è maggior scandalo che proibire a un uomo di intraprendere il cammino verso la felicità eterna.

Dall'Evangelista sappiamo che le parole del Salvatore non furono capite, quando parlò a Pietro, "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e a te darò le chiavi del regno dei cieli" (Mt 16, 18-19). A causa di queste parole, la razza degli uomini ignoranti, avendo disprezzato la comprensione di tutte le cose spirituali, desidera recarsi a Roma per acquisire la vita eterna.

Chi comprende le chiavi del Regno dei Cieli come spiegato sopra, non richiede che l'intercessione del beato Pietro sia limitata in un luogo. Se consideriamo il vero significato delle parole del Signore, non fu detto da lui "tutto ciò che scioglierai nei cieli sarà sciolto sulla terra e tutto ciò che legherai nei cieli sarà legato sulla terra." Da ciò segue che il ministero è garantito ai capi della Chiesa solo finché sono in pellegrinaggio nel loro corpo mortale.

Quando essi pagano il debito della morte, coloro che succedono al loro posto ottengono lo stesso potere giudiziale, come è scritto: "Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli; li farai capi di tutta la terra." (Salmi 45, 16; 44, 17 nella Vulgata).

Udite questo, stupidi tra le genti, e voi che foste sciocchi e cercaste l'intercessione dell'apostolo andando a Roma!

Tu poi mi apponi a colpa di essermi tirato addosso l'ira del signore apostolico. Tu parli di papa Pasquale, ora andato tra i più: ma papa e apostolico deve dirsi non colui che siede sulla cattedra dell'apostolo, si bene colui che ne adempie i doveri. Il Signore disse a proposito di coloro che detengono un luogo, ma non svolgono l'incarico, "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno" (Mt 23, 2-3).